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GNOSIS 1/2004
Virus importati, virus creati: un rischio a due facce

Giuseppe IPPOLITO, Emanuele NICASTRI

Il rischio di bioterrorismo è diventato di attualità. Le malattie emergenti e riemergenti sono parte integrante della patologia infettiva generale e sono causate da agenti infettivi identificati negli ultimi venti anni o da agenti già noti in precedenza di cui si è osservato un importante aumento dei casi negli ultimi anni. Parte di essi potrebbe essere utilizzata a fini terroristici sfruttando la trasmissione dell’agente infettante mediante aerosol di particelle microbiche o mediante il contatto diretto ed indiretto.
In questo articolo, viene utilizzato un approccio globale, multidisciplinare ed integrato con i differenti campi della demografia, dell’epidemiologia, dell’economia, dell’antropologia e delle scienze ambientali, per descrivere i differenti elementi che determinano l’emergere e riemergere di malattie infettive e le possibili implicazioni dell’uso di tali agenti a fini bioterroristici.


Il timore di moderne epidemie non è completamente ingiustificato. In molte parti del mondo non siamo preparati a affrontare nuove catastrofi. Non abbiamo a sufficienza né acqua, né alimenti, né rifugi, in ultimo non abbiamo nemmeno la pace.
(I.J.P. Loefler, The Lancet, 1996)



Introduzione

Le preoccupazioni sul rischio di epidemie deliberate, causate da attacchi terroristici con agenti biologici, sono cresciute nel corso degli ultimi anni parallelamente all’allarme terrorismo. Un attacco terroristico, di qualsiasi tipo esso sia, mette a dura prova il sistema sanitario dell’area in cui si verifica e, nel caso di un attacco con agenti biologici, dell’intero Paese o addirittura del mondo intero. A differenza dell’attacco con esplosivi o con agenti chimici, gli attacchi con agenti biologici determinano una potenziale disseminazione di un microrganismo con conseguenze non facilmente prevedibili e, comunque, potenzialmente catastrofiche.
Il problema è quanto mai rilevante alla luce di numerosi fattori, tra cui:
– l’esistenza nel mondo di numerosi conflitti attivi;
– la prevenzione di azioni terroristiche, che risulta estremamente difficile dal punto di vista organizzativo e dispendiosa da quello finanziario;
– la pronta identificazione e l’interdizione di terroristi intenzionati ad utilizzare armi biologiche, che rimane una sfida estremamente difficile da realizzare;
– il progressivo disfacimento dell’ex blocco sovietico, che ha potenzialmente reso disponibili, ed a basso costo, tecnologie, competenze ed esperienze per la manipolazione e la produzione di agenti biologici utilizzabili a fini offensivi;
– la produzione di armi biologiche, meno costosa delle armi convenzionali e del nucleare; non a caso i germi vengono detti l’atomica dei poveri;
– la facile accessibilità, specialmente in passato, di agenti biologici attraverso Internet con descrizione estremamente dettagliata delle tecniche di isolamento e coltura di germi altamente patogeni;
– l’esistenza di numerose fonti di agenti patogeni. Al mondo esistono diverse centinaia di collezioni ufficiali di colture di microrganismi, e di queste si calcola che almeno 54 comprendano l’antrace e 18 la peste.


Attacchi terroristici con agenti biologici ed epidemie

La diffusione intenzionale di agenti biologici è assimilabile alla comparsa e diffusione epidemica di un pericoloso agente infettivo in una comunità, con le relative conseguenze in termini di sofferenza, morte, sconvolgimento dell’assetto organizzativo e della struttura sociale dell’area o del paese in cui l’evento si verifica. I microrganismi hanno sempre condizionato la storia del pianeta e, fin dall’antichità, gli stati sono stati chiamati a mettere in atto misure di sanità pubblica per limitare l’impatto negativo delle epidemie. La recente epidemia di SARS ha dimostrato, specialmente in Cina ed in Canada, quale può essere l’impatto negativo di un evento epidemico ed ha evidenziato i dilemmi con i quali si debbono confrontare i “decisori” di un paese per affrontare l’evento, tra cui la crisi del sistema sanitario che si determina rapidamente e l’impatto negativo sull’economia. Il modello di risposta ad un evento terroristico con agenti biologici rispecchia quello da mettere in atto per affrontare una epidemia grave e letale.
Nel caso dell’attacco bioterroristico i problemi possono essere amplificati dalle implicazioni politiche, dalla paura di altri attentati, dai rischi di limitazione dei valori e dei diritti democratici, dalle distorsioni delle informazioni riportate dai mezzi di comunicazione di massa.
Di fronte ad una minaccia di tale portata è diventato obbligatorio definire le politiche per approntare con immediatezza l’intervento preventivo e stabilire le reali necessità per finanziare tali attività ed i settori in cui privilegiare l’intervento. L’approccio della sanità pubblica al bioterrorismo è sostanzialmente sovrapponibile alla battaglia per il controllo delle infezioni emergenti e riemergenti. Nel caso di attacchi con agenti biologici, analogamente ai casi non immediatamente identificabili e numericamente quantificabili, i soggetti esposti agli infetti possono determinare casi secondari prima che la malattia si manifesti. Solo l’identificazione precoce dei casi, la disponibilità di strutture diagnostiche adeguate, la possibilità di mettere prontamente in atto misure di isolamento per i casi accertati o sospetti, la capacità di adottare una stretta sorveglianza sanitaria, possono limitare la diffusione dell’infezione.


La speranza di un mondo senza infezioni

Nel 1962, Mc Farlant Burnet scriveva “si può pensare alla metà del ventesimo secolo come alla fine della più importante rivoluzione sociale della storia, l’eliminazione virtuale delle malattie infettive come un fattore significativo nella vita sociale”. In modo simile, quando il vaiolo è stato sradicato dal pianeta negli ultimi anni 70, molti esperti di salute pubblica ritenevano che le malattie infettive potessero essere a lungo termine eliminate.
Mai previsione fu più drammaticamente smentita: attualmente si stima che circa 15 milioni (>25%) dei 57 milioni di decessi per anno globali siano correlati direttamente alle malattie infettive. Questa stima non contempla le complicanze tardive associate a precedenti infezioni acute come lo scompenso cardiaco per precedente malattia reumatica valvolare da streptococco e la cirrosi o l’epatocarcinoma successivo ad epatite cronica da HCV o HBV.
Le malattie emergenti e riemergenti sono parte integrante della patologia infettiva generale e sono causate da agenti infettivi identificati negli ultimi venti anni o di cui si è osservato negli ultimi anni un’importante recrudescenza.
Ma se le malattie infettive emergenti e riemergenti sono causa importante di mortalità nei paesi poveri, particolarmente tra neonati, minori di 5 anni ed anziani, nelle nazioni ricche esse colpiscono quasi esclusivamente settori di popolazioni minoritarie e svantaggiate dal punto di vista socio-economico. Nei paesi ricchi, tali patologie sono però oggetto di sempre maggiore interesse talora quasi ossessivo: alcuni degli agenti infettivi identificati come emergenti o riemergenti, ad esempio le febbri emorragiche, possono essere infatti considerati agenti potenzialmente utilizzabili come arma biologica mediante la produzione di aerosol di particelle microbiche o mediante il contatto diretto ed indiretto.
Emerge con forza quindi la stridente contraddizione secondo cui patologie che da decenni sono tra le prime 5 cause di mortalità nei paesi poveri stanno ora ricevendo una inattesa attenzione per l’ipotetica minaccia di rilascio intenzionale nei paesi ricchi. L’esempio della malattia del sonno, pur non essendo provocata da agenti biologici utilizzabili a fini terroristici, è comunque illuminante del rapporto esclusivamente economico che lega Nord e Sud del Mondo, Africa sub Sahariana nel caso particolare. La malattia del sonno è causata dal Tripanosoma brucei trasmesso con la puntura della Glossina, o mosca tse-tse: alcuni decenni or sono era stata quasi completamente eradicata; ora però in assenza di misure preventive e terapeutiche efficaci è tornata ai livelli dei primi decenni del secolo scorso. L’unico farmaco apparentemente efficace per la malattia del sonno, l’eflornitina, ha trovato una sola compagnia farmaceutica disposta a produrlo e distribuirlo: ma solo in considerazione del fatto che la applicazione topica di questo antiparassitario ha dimostrato una chiara efficacia anche nella cosmesi femminile come agente depilante cutaneo. La compagnia farmaceutica proprietaria del marchio è stata sottoposta a forti pressioni pubbliche ed ha raggiunto un accordo nel 2001 con l’OMS per la ripresa della produzione e la fornitura gratuita di 60.000 fiale per i successivi 5 anni. Cosa succederà nel 2006?
Ugualmente il peso della ricerca applicata alle malattie più comuni nei paesi poveri è del tutto residuale e viene evidenziato dalla nota formula del “gap 90/10”: dei 73 miliardi di dollari americani dedicati alla ricerca sanitaria nel 1998 meno del 10% è stato dedicato alla ricerca sulle malattie che causano il 90%



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delle patologie; inoltre se scendiamo ancora più in dettaglio valutando la ricerca sanitaria nelle malattie infettive ci accorgiamo che il “gap “ è di 1 a 99: cioè, tra il 1975 ed il 1976 solo 13 farmaci sono stati licenziati per queste patologie a fronte di circa 1233 nuovi farmaci totali (circa1%).
La speranza è che sfruttando l’onda lunga della ricerca sul bioterrorismo si possa proporre una ricerca clinica di tipo duale cioè che sposti l’attenzione anche verso quelle masse di diseredati che si potrebbero giovare di farmaci e cure di patologie infettive presenti nei paesi poveri ma considerate come emergenti e riemergenti nei paesi ricchi.


Le infezioni emergenti e riemergenti

L’elemento comune di molti agenti infettivi che causano le infezioni emergenti o riemergenti è quello di essere virus ad RNA a singola elica: il SARS-coronavirus, HIV, HCV, le febbri emorragiche tra cui Ebola, e la West Nile, tra gli altri, appartengono tutti a questa classe. Tali virus sono intrinsecamente caratterizzati dall’elevato numero di mutazioni genomiche (²10-5) che, in assenza di meccanismi di riparazione/correzione, possono produrre strutture proteiche tali da rendere il virus stesso capace di adattarsi ad un nuovo ospite: ecco il razionale per il salto di specie dal serbatoio animale all’uomo. È questo il caso della recente epidemia di Severe Acute Respiratory Sindrome – SARS, la prima malattia trasmissibile del XXI secolo. È causata dal nuovo coronavirus umano, recentemente isolato da felini e roditori. Sembra che questa infezione sia stata causata dal salto di specie di questo nuovo virus da un roditore presente nel sud della Cina, lo zibetto, le cui carni sono ampiamente utilizzate ed apprezzate nella cucina cinese.
L’esemplificazione classica del salto di specie è rappresentata dal virus influenzale “A” che periodicamente sviluppa elaborati meccanismi di riassortimento genetico, chiamati antigenic shift, tra virus influenzale umano ed aviario. Tale antigenic shift ha portato alle pandemie influenzali del 1888, 1918, 1957 and 1968 (7,8). Prima del 1997, erano però stati segnalati pochi casi di influenza aviaria nell’uomo (cioè senza riassorbimento genetico con un virus influenzale umano); al contrario, a partire da quella data i casi umani di influenza aviaria sono diventati sempre più frequenti: l’epidemia del 1997 da virus influenzale aviario H5N1, l’epidemia del 2003 da H7N7 in Olanda, sino alla recente epidemia dei primi mesi del 2004 da H5N1 in Vietnam e Tailandia (grafico). Il timore che nell’uomo o in un animale intermedio (il maiale, ad esempio) co-infetto con virus influenzale aviario ed umano si potesse assistere ad un riassortimento di materiale genetico è stato certamente elevato; la nuova ondata epidemica aviaria da H5N1 attualmente in corso in Asia fa supporre che la minaccia di una nuova pandemia influenzale possa ugualmente ripresentarsi nel prossimo autunno-inverno.


Cambiamenti ecologici

L’analisi degli effetti del clima sull’incidenza delle malattie infettive aumenterà certamente i legami esistenti tra scienze ambientali e sanità pubblica. La piovosità annuale e le temperature medie, ad esempio, sono parametri importanti nella demarcazione di ambienti bioclimatici all’interno dei quali descrivere l’incidenza di molte malattie infettive. Ad esempio, Thomas Mann ambienta il suo romanzo “La Montagna Incantata” nel sanatorio svizzero di Davos, in quanto il bacillo tubercolare è un microorganismo aerobio obbligato che sopravvive stentatamente in alta quota a basse pressioni parziali di ossigeno.
I parametri climatici hanno effetti significativi anche sull’efficienza della trasmissione da ospite a vettore e viceversa. Il tasso di sviluppo dei parassiti correla direttamente con la temperatura, aumentandone in tal modo la capacità di trasmissione. Ad esempio, le temperature tra 20° e 30°C e l’umidità al di sopra del 60% forniscono condizioni ottimali affinché le zanzare possano incubare e trasmettere i parassiti che causano la malaria. Attualmente, il virus della dengue viene trasmesso nei tropici solo tra il 30° nord e il 20° sud di latitudine ma la tendenza al riscaldamento del pianeta può spostare il vettore e la distribuzione dell’infezione dengue a latitudini diverse anche a noi più familiari. L’area del bacino mediterraneo, ove l’Aedes albobticus, la zanzara tigre, vettore alternativo del virus della Dengue, è stata recentemente introdotta, potrebbe essere interessata da questo fenomeno nei prossimi anni.


Cambiamenti demografici e immigrazioni

I movimenti di masse di popolazioni umane sono state un fattore importante nella storia della diffusione delle malattie infettive. Nel 1998, erano stati calcolati 22 milioni di rifugiati e 25 milioni di profughi in tutto il mondo. Gli esempi più lampanti sono stati forse l’esplorazione e la colonizzazione delle Americhe da parte degli Europei e la successiva importazione di schiavi dall’Africa che ha portato, con sé infezioni come l’influenza, la malaria, il morbillo, il vaiolo, la scarlattina o la febbre gialla. Nei paesi europei, gli stranieri – soprattutto lavoratori immigrati – sono responsabili tra il 4 ed il 50% dei casi di tubercolosi del 1992, e l’incidenza di malattie infettive tra gli stranieri è da due a venti volte più alta che quella registrata tra le popolazioni del luogo. È importante sottolineare come la tipologia più comune dell’emigrante sia quella di essere giovane, maschio e sano e l’incidenza di malattie infettive dell’emigrante nel paese ospite aumenta significativamente quando le condizioni sociosanitarie in cui vive degradano.
Le scienze demografiche sono estremamente utili ed avranno sempre più influenza sullo studio delle infezioni emergenti e riemergenti. Nel 1990, solo il 5% della popolazione mondiale viveva in città con più di 100.000 abitanti. Si stima che nel 2025, il 61% dell’umanità, o più di 5 miliardi di persone vivranno in città. In passato, l’isolamento geografico impediva che un episodio isolato di colera, febbre gialla, peste od ebola diventasse un’epidemia. Questo tipo di protezione non esiste più. Le barriere che impedivano la circolazione di agenti infettivi stanno scomparendo rapidamente e nuovi metodi di trasmissione di agenti infettivi stanno facendo la loro apparizione sul mondo. L’esempio del volo Hong-Kong Pechino del 15 marzo 2003 con a bordo numerosi casi di SARS è la più chiara esemplificazione della circolazione microbica nel mondo globale.


Carenze delle infrastrutture di Salute Pubblica


Una delle più grandi epidemie trasmesse per via orofecale è avvenuta a Milwaukee, Wisconsin, Stati Uniti nel 1993. Più del 52% della popolazione dell’aerea sud del Milwaukee “Water Works”, l’acquedotto cittadino, fu colpita dalla diarrea. Nonostante molta gente fosse malata, fu solo l’impatto sul basket professionistico (Milwaukee perse contro Miami a causa della diarrea da cryptosporidium) risvegliò l’interesse dell’opinione pubblica. Solo successivamente fu valutato il profondo impatto clinico di tale epidemia: l’82% di individui con infezione da HIV colpiti, tra di essi 59% di letalità! A causa della sua alta resistenza al cloro il cryiptosporidium minaccia ogni risorsa d’acqua mondiale.


Conclusioni

Anche in futuro ci saranno delle epidemie. Cambiamenti antropologici, sociali e climatici, migrazione e mobilità forniranno ai microbi inaspettate opportunità per produrre epidemie. Ma la maggior parte delle malattie infettive di oggi può essere prevenuta e curata con basilari provvedimenti di salute pubblica; la maggior parte dei 15 milioni di morti per malattie infettive dello scorso anno si sarebbe potuta evitare. È giunto il momento per uno sforzo globale per raccogliere conoscenze multidisciplinari e ampie risorse finanziarie per ridurre, controllare e possibilmente eradicare le malattie infettive e parassitarie che da sempre hanno colpito la nostra specie.




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