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GNOSIS 3/2006
Il movimento e il no alla TAV

Alla scoperta della lotta dal basso


articolo redazionale

La Val di Susa, in Piemonte, è stata segnata, negli ultimi mesi dello scorso anno, dalla protesta no TAV che è sfociata in cortei, barricate, blocchi stradali e ferroviari, scioperi, nonchè veri e propri scontri con le Forze dell’Ordine chiamate a tutelare l’allestimento dei cantieri per l’avvio dei sondaggi geotecnici dei terreni, preliminari alla costruzione della linea ad alta velocità/capacità. La contestazione si è caratterizzata per una rilevantissima partecipazione della popolazione della Valle (da tempo erano costituiti Comitati cittadini contrari al progetto, ritenuto portatore di gravi danni all’ambiente e di potenziali rischi per la salute) (1) , con la quale hanno interagito anche collettivi e realtà dell’antagonismo, locale e non, intenzionati a ‘sfruttare’ la dimensione della ‘rivolta’, oltre che per esaltare il proprio ruolo, per affermare la validità della ‘lotta dal basso’ ai fini del contrasto del potere decisionale proveniente ‘dall’alto’. Quale messaggio stanno cercando di mandare questi ambienti?


dal testo "NO TAV" La valle che resiste

Le immagini che scorrono sugli schermi televisivi riguardanti la ‘battaglia del Seghino’ (2) e il ‘presidio di Venaus’ (3) mostrano giovani, anziani, bambini, agenti municipali e sindaci che ‘fronteggiano’ i poliziotti. Poi le barricate, gli ostacoli per impedire l’accesso ai siti interessati dai lavori, i presidi permanenti, anche di notte, al freddo, il cantiere di Venaus dopo l’‘invasione’.
Un ruolo non indifferente, nella protesta della popolazione valsusina, fortemente deteminata nell’opporsi alla TAV, è stato svolto da settori dell’oltranzismo antagonista, come dimostrano i dati relativi alle denunce per i disordini, riguardanti, in una consistente percentuale, appartenenti all’Autonomia e all’anarco-insurrezionalismo (4) .
Che cosa hanno visto, i militanti antagonisti, nella lotta no TAV? Perché si sono esaltati e hanno partecipato attivamente alle manifestazioni, dando anche un fattivo contributo nel radicalizzare gli scontri? Quali spunti di discussione ha offerto la mobilitazione valsusina al ‘movimento’?
Le caratteristiche della lotta no TAV che maggiormente hanno attirato l’attenzione dei gruppi dell’antagonismo radicale sono tre: prima di tutto, il ‘soggetto’ della ‘rivolta’, vale a dire il ‘popolo’. Non, cioè, l’espressione di una categoria specifica (i lavoratori di un comparto industriale, oppure i precari dell’Università, i pensionati), ma un fronte ‘trasversale’ (per età, fascia sociale, occupazione), ‘di massa’.


foto ansa

Questo ‘popolo’, eterogeneo nella composizione, è unito e determinato nel perseguimento dell’obiettivo, che - e siamo al secondo punto - è un obiettivo limitato e ben definito, vale a dire impedire l’avvio dei lavori della TAV e non una generica lotta contro il capitale, le nuove tecnologie, il modello di sviluppo globale, ecc..
Il ‘popolo’ come si muove per raggiungere il proprio obiettivo? Con modalità ‘spontanee’ ed ‘autorganizzate’, che includono anche azioni illegali: la terza caratteristica della mobilitazione no TAV. La gente, cioè, ha agito raccogliendosi spontaneamente nei luoghi dove dovevano essere allestiti i primi cantieri, si è riunita in assemblee ed ha preso decisioni, ‘autorganizzandosi’, senza servirsi di mediazioni, istituzionali o meno, e non si è fermata davanti alla possibilità di compiere il reato (il blocco stradale, il danneggiamento, la resistenza al pubblico ufficiale).


Il ‘movimento’ e il no TAV:
verso una nuova conflittualità sociale?


Esponenti e gruppi antagonisti, specie quelli presenti nell’area, già attivi da tempo nell’ambito della medesima mobilitazione e che si ispirano ai principi e alla prassi dell’Autonomia, ostile alla strutturazione gerarchica e centralizzata del marxismo-leninismo ortodosso, hanno subito registrato come significativa la connotazione popolare e diversificata della protesta.
Delusi dall’evoluzione negativa, sotto il profilo della ‘rottura rivoluzionaria’, dei più recenti movimenti contestativi ‘di massa’, quello ‘no global’ che, dopo l’esplosione iniziale, è stato progressivamente assorbito nell’ambito dei Social Forum, e il ‘no war’, dimostratosi incapace di ‘radicalizzare’ la campagna ‘antimilitarista’ e ‘antimperialista’, tali settori hanno visto nella mobilitazione compatta di una popolazione determinata a ‘difendere il proprio territorio’ dal ‘nemico’, un terreno favorevole allo sviluppo di una conflittualità che dalla dimensione locale passasse a quella generale e che da ‘resistenziale’ si tramutasse in ‘offensiva’.
L’elemento considerato vincente, nella protesta no TAV, è il rifiuto della mediazione e della delega, il rimanere contrapposti alle Autorità, una pratica che di per sé è antagonista e che conferisce, a quella mobilitazione ‘apolitica’, una politicità intrinseca, in quanto portatrice di un messaggio di non riconoscimento di ‘questo’ sistema.
Il fatto, cioè, che il no TAV abbia messo in crisi, ad un certo punto, proprio con il proseguire della ‘resistenza’, il programma di avvio del progetto ferroviario, dimostrerebbe, nell’ottica dei gruppi antagonisti, la possibilità reale di ostacolare il processo decisionale istituzionale.
Il no TAV diventa così il simbolo di una lotta che ‘paga’, in quanto produce effetti concreti, e che esprime un significato politico di opposizione.
E’ qui che si innesta la funzione asseritamente propulsiva e per certi versi ‘canalizzatrice’ della protesta svolta da Centri Sociali e collettivi antagonisti che si sono identificati con la mobilitazione no TAV, l’hanno resa propria e propagandata come attività di ‘resistenza’ - assimilandola nostalgicamente a quella antifascista della II Guerra Mondiale e giudicandola un evento ‘storico’ - al fine di attribuirle connotati di lotta di classe.
Si legge in una riflessione contenuta in un libro realizzato da un Centro Sociale particolarmente impegnatosi nella mobilitazione valsusina: i comitati popolari impegnati nella lotta no TAV sono “effettivi organismi di massa” che hanno dato vita, con il loro operato, a un “contropotere di massa” (5) .
Per questo è giudicata importante, in tali ambienti, la presenza tra la gente, non volta necessariamente a ‘premere sull’acceleratore’ della protesta od a favorire l’adozione di modalità violente, quanto a svolgere un lavoro ‘politico’ diretto a cogliere gli stimoli ‘dal basso’ per portarli avanti e favorire, in prospettiva, l’insorgere di un clima ‘insurrezionale’.


da www.legambientevalsusa.it/notav


Prospettive

E così, l’esempio di una lotta non connotata ideologicamente, ‘non istruita’ politicamente, non programmata, che si è definita nel suo stesso procedere, autoalimentata dalla convinzione “Fermarlo è possibile. Fermarlo tocca a noi”, nutre aspettative di nuovi percorsi rivoluzionari, di insurrezioni di massa.
Quanto sono reali queste aspettative? Una battaglia specifica e territorialmente circoscritta come quella della Val di Susa può dare il segnale d’avvio per una lotta politica rivoluzionaria? Il ‘particolare’ della Valle può prefigurare una dimensione nazionale di scontro?
Sebbene la tendenza attuale, sul fronte dell’antagonismo radicale, sia quella, a fronte dell’assenza di organizzazioni fortemente strutturate, di superare gli ‘steccati ideologici’ e portare avanti la lotta contro il ‘sistema’ sulla base di ‘campagne’ e ‘parole d’ordine’ specifiche, non sembra comunque che percorsi di ‘appropriazione’ di una contestazione come quella del no TAV possano superare la finalità strumentale.
Le prerogative del movimento no TAV (larga adesione popolare che ha coinvolto anche rappresentanti delle istituzioni locali) appaiono peraltro difficilmente esportabili in altri ambiti territoriali, perché connaturate allo specifico contesto valsusino, una realtà montana fortemente compatta che storicamente ha espresso una notevole capacità di resistenza, dai connotati ‘eroici’.
Emerge, di conseguenza, anche la dimensione velleitaria di tentativi di attribuire contenuti generali e, soprattutto, ‘rivoluzionari’ a questa lotta che viene ‘dal basso’.
Non è trascurabile, invece, il rischio che, proprio per influenza di tali settori, si possa registrare, nell’ambito di mobilitazioni fortemente sentite dalla popolazione, una progressiva legittimazione di modalità di lotta radicali.


(1) E’ stato evidenziato il rischio di impatto ambientale per un’area che, già occupata lateralmente dai viadotti autostradali, verrebbe ulteriormente ristretta dal taglio trasversale della nuova linea ferroviaria. Si paventa inoltre il pericolo che, in conseguenza dei lavori, vengano liberate nell’aria polveri di materiali come amianto e uranio, la cui presenza è stata rilevata nelle montagne del territorio.
(2) Si fa riferimento agli scontri verificatisi il 31 ottobre 2005, in occasione dell’installazione dei cantieri per i carotaggi geotecnici in località Mompantero.
(3) Il 6 dicembre 2005, a seguito dello sgombero del presidio di manifestanti a Venaus, dove è previsto l’inizio dei lavori con la costruzione di un tunnel, si sono verificati disordini e proteste in varie località della Valle. L’8 successivo, gravi scontri si sono registrati in occasione del corteo e della ‘ri-occupazione’ della sede del cantiere.
(4) Per i disordini avvenuti il 31 ottobre 2005 sono stati denunciate - per i reati di resistenza aggravata a Pubblico Ufficiale, interruzione di servizio pubblico o di pubblica necessità, manifestazione pubblica non preavvisata, blocco stradale - oltre 60 persone, di cui una buona metà rappresentata da militanti autonomi e anarchici, prevalentemente locali e torinesi. Anche in relazione agli eventi del 6-8 dicembre, la quasi totalità degli indagati (24 su 27) è costituita da appartenenti all’area dell’Autonomia, dell’anarco-insurrezionalismo, dei Centri Sociali.
(5) Da “NO TAV: La Valle che resiste”, prodotto dal Centro Sociale Askatasuna di Torino, febbraio 2006.

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