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GNOSIS 3/2006
STORIE DI CASA NOSTRA

L’invenzione della mafia nei quartieri di Bari


articolo redazionale

Il racconto insegue il ritmo incalzante della violenza criminale a Bari in un periodo di guerra tra i locali clan. E’ proprio la città la vera protagonista, negli occhi di poliziotti, agenti, mafiosi e banditi, su posizioni opposte ma accomunate dal bisogno di interrogarsi sul destino del capoluogo, ciascuno a suo modo secondo valori, ideali e”vissuti” diversi. Il racconto si snoda attraverso un senso del tempo che è attesa attiva, che non smette di armare le intenzioni degli attori, che guarda alle dinamiche interne delle faide ed esterne dell’Adriatico, che è l’orizzonte barese di nuove possibilità e aspirazioni. Non a caso, è evidente il richiamo alla rubrica “Dall’archivio alla storia” in merito al legame italiano con il Montenegro nel settore del tabacco, occasione di riflessione su quanto siano vicini, e non solo geograficamente, l’Italia e i Balcani.


da www.urbanworkshop.it

Le strade sono affollate. La gente scivola stancamente, tra i colori polverosi della città vecchia. Borgo Antico, San Girolamo, via Libertà….
Il rombo di un motorino passa inosservato. I giovani amano bucare la marmitta, inseguendo un tuono che li rincuori e riempia i loro vuoti. Il rumore non diminuisce, nell’ordito stretto delle vie è rischiosa quella accelerata fuga….
La gente avverte brividi dietro la schiena, ha imparato ormai a riconoscere quel sospeso allarme che stringe la gola….
Quattro colpi crepitano, geometrica violenza che si perde nella scia rumorosa che il motore traccia con la schiuma di vendetta…
Grida. Altre moto inseguono, alcune cadono nel parapiglia.
Qualcuno, con la busta della spesa in mano, giace in ginocchio ferito, stupito di trovarsi in quel far west, pentito di aver voluto per forza i lupini, quella mattina…
Ciccio “a’ mullett” è a terra esanime. La sua pancia di gozzoviglie e bevute è rivolta stanca al cielo stretto da tetti aguzzi. Per lui non c’è più sole.

In questura la notizia non stupisce. A Bari la morte non stupisce più da tempo. Nell’officina di pensieri dove le pistole spuntano tra centinaia di pagine sui tavoli, sotto lo sguardo ebete dei latitanti incorniciati in bacheche luminose, tutti si guardano… a chi tocca? Struscia o Capra? Si attendeva una risposta? Chi era il più esposto? L’archivista attende l’ordine. Il faldone dei Capra con la croce in rosso ben in vista è più vuoto. Vorrebbe rischiare e prenderlo subito. Ma l’ultimo morto era dei Capra. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Era diverso in Calabria. Quando da giovane s’inventava poliziotto, con quella passione per le carte che l’avrebbe rovinato per sempre, muffa negli archivi, tra precedenti e ricordi che si facevano memoria. In Calabria la cosca poteva meditare la vendetta e realizzarla dopo anni. In Puglia no. A Bari ancora meno. Come squali impazziti nella scia di sangue i killer sentono la morte del compare come un’offesa vitale, una questione di sopravvivenza che si placa solo nell’azione irruente, nella risposta stizzita, costi quel che costi…
“Un altro…”
“Di chi era?”
“Era a’ mullett, dovrebbe essere Struscia. Ieri hanno fatto una picchiata… un’azione contro i Capra, e oggi questi rispondono…“
“ne abbiamo arrestati a decine..”
“e quelli si prendono i ragazzi per strada, gli danno il nome, un po’ di spaccio, magari una piazza, così li sfruttano e li organizzano e al momento buono li buttano nella mischia…”
“E’ il pozzo di San Patrizio… non c’è fine…”
“Acceleriamo quella operazione…almeno ne togliamo un po’ dalla strada. Imponiamo una tregua. Certo, mancano i capi, ma, ti ripeto, li facciamo nuotare in poca acqua e vediamo se mettono fuori la testa…è l’unico modo per fiaccarli, per fargli passare la voglia …”
“Ma a’ mullett non era … non avevano parlato di lui i Servizi?”
“Si… oggi li vedo…che avevano detto?”
“Che a’ mullett aveva il controllo di San Girolamo, ma che De Marzi non l’aveva presa bene e aveva intenzione di lasciare la sua posizione neutrale e andare con i Capra. Perché i de Marzi…”
“De Marzi non sopportava a’ mullett. Nel 1997 aveva ucciso suo cugino. De Marzi non vuole entrare in guerra, non ha la forza necessaria, ma non poteva sopportare “a’ mullett” nel suo territorio a spadroneggiare..”
“Cornuto, ma non a casa propria… così la pensano… avevano sopportato i Striscio che erano i mandanti e si lamentano per la presenza del killer…”
“E’ una questione di faccia… è sempre una questione di faccia.. Certo, gli interessi muovono l’universo dei criminali come di quelli non criminali. Poi, però, schizzano fuori dalla ragione spesso per la faccia… un senso dell’onore che mi fa vomitare ma che qui è legge di vita e di morte…”
“Magari pure nel mondo… normale…”
“Non dire minchiate…”

Il funzionario della squadra mobile entra trafelato. Ha l’affanno di chi insegue qualcosa di irraggiungibile. Ineluttabile.
“E’ uscito…”
“Chi?”
“Decorrenza di termini…Paride, don Salvo Paride è uscito per decorrenza… ma come si fa? Ci sono voluti cinque anni, fiumi di denaro, giri del mondo…. Alla fine gli metti un bel paio di manette, sei convinto che se ne stia per trenta anni nelle patrie galere, a meditare sui “morti ammazzati”… e invece…”
“e invece….Esce con la sua faccia di bronzo, magari con il tappeto rosso… Dopo, solo dopo si grida allo scandalo, tutti lo vogliono di nuovo dentro, pretendono che non scappi…che fai, ora, te lo metti in tasca? Magari…”
“Sanno quanto sudore lasci sulla strada, quanta fatica costa mettere le mani su di un latitante, soprattutto di quei livelli?”
“a ciascuno il suo…loro devono pensare, devono fare altre cose..”
“certe volte vorrei spezzare la fune che ci regge al cielo, mandare tutti al diavolo! E’ assurdo. Decorrenza dei termini. Pensi che dopo l’arresto la macchina proceda inesorabile, come hai fatto tu nell’acchiapparlo. Pensi che tutti stiano sulla stessa barca, che remino con gli occhi puntati sulla rotta, che remino, che non lascino la barca naufragare, alla deriva, succeda quel che succeda. Che facciamo, cerchiamo la tempesta? Invece.. ma non lavoriamo dalla stessa parte? sembra un ping pong, ma noi dobbiamo fare sempre i raccatta palle…”
“Lasciamo perdere, tanto ci tiriamo su le maniche e iniziamo di nuovo. Prima che me ne dimentichi, quando dobbiamo vedere quello dei Servizi?”
“chi, la barba finta? Alle cinque. Avrà qualcosa per le mani….”
“L’ultima volta non era male quell’informazione. Vorrei chiedere approfondimenti, devono avere una buona fonte e hanno anche inquadrato la cosa in un contesto che all’inizio non mi convinceva, ma che, pensandoci su, mi sembra da discutere”
“beh, detto da te che non hai simpatia per i Servizi…”
“beh, forse anche loro hanno iniziato a pensarci su un po’ di più..”
“niente più pesca a strascico, ma con la canna da pesca…”
“Magari cercano pesci grossi, pesca d’altura e non sottocosta. Hanno una bella squadra, collaudata, dritta verso cose importanti”
“Qui in Puglia, le cose importanti, i capi, i grandi interessi, si confondono tutti con il banditismo di strada, con la massa di scippatori, con la criminalità di strada. Pesci piccoli a branchi immensi che fanno da corte agli squali…”
“…poi va a finire che gli squali se li mangiano!”
“…o che i pesci piccoli diventano squali, o peggio, pensano di esserlo!…”

“ciao Paolino…”
“L’hanno fatto fuori…”
“Era possibile…”
“Non mi dire che ce l’avevi detto…”
“No, non lo dico…”
“Certo, per voi è facile, voi parlate, dite cento cose, noi dovremmo seguire tutto quello che dite… e con che forza? E poi, chi ci dice che è vero? Voi avete risolto il vostro problema, vero o falso a voi che interessa? Se va bene, allora bene, bravi.. se va male, è la fonte, forse la situazione si è evoluta diversamente…”
“Calmati. Guarda che hai fatto tutto quello che potevi fare. Io ti ho detto che a San Girolamo c’era confusione e che De Marzi non aveva preso bene la reggenza di “mullett”, ma da questo all’omicidio! In ogni quartiere sai quanti sono i morti che camminano? Ci vorrebbe un’armata, per tenerli d’occhio tutti, e forse non servirebbe nemmeno, perché si butterebbero lo stesso nella mischia, con gli artigli a prendere quello che si può, a rischio di rimanere anche impallinati…”
“Tra poco… tra poco gli Struscia avranno una bella batosta.. spero presto..”
“Consegnata l’informativa?”
“Si. Il dottore non sai quante nottate ha fatto. Se gli addebitano la corrente dei suoi uffici in Procura, deve fare un mutuo. Ma non penso arrestino trecento persone. Saranno circa duecento…”
“Beh, complimenti, un bel lavoro…”
“Te l’ho detto la volta scorsa. Ogni buona operazione ti lascia l’amaro in bocca, perché da’ una bella botta a destra e la sinistra si rinfranca. Allora noi ci diamo da fare a sinistra, e nel frattempo la destra, magari per la scarcerazione di qualcuno riprende forza e alza la testa… Sono ormai dieci anni di questa storia…”
“Molti clan sono spariti, però. Per merito vostro… ma, a proposito di scarcerazione, a Roma sono preoccupati per la scarcerazione di Paride. Troppo grosso e troppo intelligente per non tentare una sortita… di qualsiasi tipo.. così dicono gli scienziati di Roma, gli analisti”
“Che lusso, gli analisti!”
“Se vuoi te li regalo…”
“Dite sempre così, però ve li tenete stretti, li sequestrate, magari con qualche sindrome di Stoccolma di cui poi vi pentite…”
“In questo caso io condivido…”
“Paride esce stasera, dubito si possa controllare in modo aderente se torna nel suo quartiere…”
“Hanno fatto festa…”
“Si. E’ amato. E’ il santo patrono. Per fortuna non per tutti…”

L’aria di Bari è tiepida. Un tepore che riscalda l’anima. Dopo anni di aria filtrata da sbarre di ruggine e prigionia, il respiro libero penetra come una spada nel petto.
“Don Salvo, che piacere… l’avevate detto che non vi tenevano tutto quel tempo, voi siete un profeta…”
“Carminu’, chiamate subito Peppe “a’ zoccola”. Domani voglio parlargli. Poi, dopo, voglio parlare con Franco… ditegli che ci vediamo al garage. Voi avvisate i ragazzi, non voglio divise tra le palle. Mi devo muovere. Qui la musica non mi piace. Qui ciascuno suona per conto proprio. E che musica è questa?“
Salvo ha gli occhi profondi e scuri. Chi se lo ricorda da bambino dice che aveva gli occhi azzurri come la marina barese. Poi a Milano, dopo dieci anni appresso a calabresi e siciliani, si erano scuriti. Era tornato più calmo ma anche più risoluto. Ripeteva, mo’ è il momento nostro. Fatichiamo per gli altri ma per conto nostro, facciamo commercio. Serve la costa? Serve qualcuno che porti la droga? Serve qualcun altro al porto? Ci pensiamo noi, ma senza dipendere, senza più cedere il passo.
Così Bari era diventata la banchina di ogni traffico e Salvo presidiava la gola e pretendeva il pizzo e pure il grazie.
“Avviso vostro fratello?”
“E’inutile, non serve. Se aspettavo a lui perdevo il vestito e pure le mutande. Quante volte gli ripetevo: fai mangiare tutti ma quando il boccone è grosso lascialo strozzare. E se si salva affogalo appena puoi. Doveva fare più gavetta. Forse. Eppure ha il mio sangue!”
“C’è Franco di là. Lo faccio venire?”
“E gli sbirri?”
“Niente”
“Hai controllato che qui non ci sentano?”
“Qui no. E’ pulito. Fatto tutto”
Franco Capra era cresciuto tra i piedi di Salvo. Con suo padre avevano vissuto a Milano, tra abbracci e litigi furibondi. Salvo era astuto. Ma anche suo padre, bravi entrambi a fare amicizie importanti, albanesi, kosovari, montenegrini, colombiani.


da www.villapuglia.com/albums/

Studiavano i capi calabresi, imparavano la loro rabbia, i sorrisi che uccidevano e l’arte di fare magie con i soldi. Sapevano moltiplicarli in un soffio.
Quando erano tornati a Bari avevano scelto di inventare la mafia nel quartiere in cui erano nati. Funzionava. Con sorpresa, soprattutto con i soldi del narcotraffico e con i compari sparsi in Europa che tenevano le fila della rete lasciata alla deriva.
Un po’ di Milano nei vicoli che rischiavano di essere cancellati dalle mosche che ronzavano inutilmente.
Ora i calabresi e i campani chiedevano per piacere e pagavano.
Erano bei tempi, quelli.
Si parlava di Napoli, Palermo, Reggio. Ma Bari sembrava dall’altra parte della luna, in quell’oscurità divorata dalle ombre. Non si parlava di mafia in Puglia. Poi, d’un tratto, s’accorsero delle batterie foggiane che replicavano le paranze camorriste. Soprattutto il capo del Salento, la famosa Sacra Corona Unita, ebbe l’ingenua arroganza di definirsi il boss della mafia. L’aria cambiò. Bari, però, era già diversa.
Franco sapeva che Bari l’avevano creata loro, Salvo, suo padre e pochi altri.
C’era anche Struscia. Ma era ancora piccolo. Quasi non si vedeva.
Se ci pensava gli si rodeva il fegato e avrebbe voluto fare una “puntata” contro quei pidocchi che volevano spartirsi la città.
“Franco! Allora, ancora a giocare con le pistole?”
“Zio Salvo, voi lo sapete, siete sempre stato saggio, ma non c’è posto per tutti e due. Non ce ne devono essere più degli Struscia.”
“E così vi mangiate l’uno con l’altro e la tavola bandita di ogni grazia di Dio rimane lì, magari a marcire, mentre gli sbirri si fanno quattro risate e, quando siete tutti belli rosicati, vi ficcano dentro per tutta la vita. Siamo nati per questo? Per questo mi sono fatto il carcere?”
“Zio Salvo..”
“Sentimi bene. Io sto fuggendo in Albania. Ci sono ancora amici. Non si sono dimenticati di me, forse non si sono mai dimenticati di nessuno di noi, ma noi certo abbiamo avuto altri pensieri. Poveri fessi. Sentimi bene. Ho parlato con qualcuno “buono”. Quelli di sotto, gli albanesi vicini alla Grecia. Quelli si sono arricchiti, con noi. Abbiamo fatto sigarette e cristiani e non so se abbiamo portato più sigarette o poveri disgraziati. Con i soldi, tanti, hanno costruito palazzi. Da morti di fame sono diventati signori. Ma sono cinque anni che non hanno che fare. Quando sono finiti i cristiani e le barche l’hanno affondate, allora si sono mangiati il capitale. Vogliono fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ed io ho qualche progetto in proposito. Ma voi che fate? V’ammazzate. Lo sai che anche quelli di Durazzo stanno pensando alle sigarette? Vogliono farne girare tante, dai Balcani e dalla Cina. E c’è la droga. Cocaina. Eroina. A tonnellate. Mo’ che dobbiamo fare? Stiamo alla finestra? Mettiamoci un punto. Pensaci Franco. Io ho parlato con Costi. Lui era il boss. Dall’altra parte, in faccia a noi, lui ha costruito un impero con le sigarette e non ci sono segreti per lui. Anche lui dice che non ci sono più i gruppi di una volta, teste esperte. Solo ragazzi, che hanno visto la mafia al cinema. I clan come noi, con la storia dietro le spalle, che fanno? La guerra. Allora?”
“Allora loro devono uscire dai nostri quartieri”
“E ci parlo io, pure con lui. Ma voglio che tu sia dalla mia parte. Ho mandato qualche sfoglia pure a lui dal carcere, statti buono, stai calmo. Invece niente”
“Fatemi riflettere”
“Parla con chi vuoi, ma fai in fretta. Sento il fiato degli sbirri, devo andare via, appena sistemata questa faccenda. Prima che mi fottano.”
Salvo parla anche con gli Struscia. Il suo pensiero corre alla Milano fredda che aveva giurato di non vedere mai più. Avrebbe voluto cancellarla quella città. Avrebbe voluto che Bari fosse la nuova Milano, i traffici che si annodano, i soldi che piovono ma non più da quel cielo plumbeo. Avrebbe voluto la sua Milano sotto il sole barese, i suoi compagni non questi ragazzi che avrebbe preso a calci, se non fosse l’ago di un sottile equilibrio. Di una vaga speranza.
Rimpiangeva la sua voce lenta nelle riunioni quando a Bari c’erano capi veri e non rampolli viziati e banditelli cui mettevano una pistola in mano.
Avevano ragione i calabresi che storcevano il naso quando passavano i baresi?
Avevano ragione i salentini che si sentivano gli unici mafiosi, disciplinati come soldatini e tutti stretti intorno ai capi che guidavano la rotta, senza troppe voci che si confondono e fanno una Babele.
Lui, però, vuole Bari.
Vuole far finire quella sarabanda di morti, anche innocenti. Vuole mettere il tappo a quei giornali che gridano ogni giorno contro la mafia, a ragione, maledizione. A ragione perché spesso si spara senza pensare, senza parlare.
Senza guardare oltre.
Poi… c’era quel fatto del Montenegro.
“Salvo, finalmente!”
“Quanti anni, Teodor”
“Passano, sono passati. Ho fatto una lunga vacanza, ma ora voglio lavorare. Mi sono riposato abbastanza.Mo’ non mi fottono più”
“Non sei cambiato. Ti trovo bene. Anche i miei ti mandano i saluti e vogliono vederti presto. Pensa, anche mio nonno, che a sentir parlare d’italiani gli s’accappona la pelle ancora ora… Sai, la sua famiglia era contro il monopolio italiano, tanti anni fa…”
“Quella storia mi fa ridere ancora ora… gli italiani che comandavano i tabacchi del Montenegro contro di voi… il mondo si è girato, poi.”
“O forse no. Ancora voi italiani avete fatto i soldi con il nostro tabacco, solo non più con l’avallo del re….”
“Eh, bella storia, quella. L’Italia che regge il monopolio montenegrino…cent’anni fa… però la gente si ribellava..”
“quella che non lavorava nel monopolio, che avrebbe voluto produrre e vendere i tabacchi per conto proprio, che non si sentiva privilegiata, fortunata…”
“Beh, poi c’è stata democrazia, perchè le sigarette in Montenegro poi le hanno fatte tutti”
“si, ma ora la situazione è più interessante…”
“Mi dicevi che…“
“Si, ti dicevo che ora siamo indipendenti… possiamo avere quei porti franchi… possiamo essere un porto franco … se siete pronti. Ma sento che voi avete beghe, molti degli amici sono in carcere, gli altri s’ammazzano, nessuno più guarda al mare, nessuno ci guarda come prima…”
“E voi invece guardate alla Grecia e all’Albania. State a fare affari con tutti, cinesi, colombiani chi altro?”
“I cinesi sono ovunque. Anche da noi. Sempre di più. Crescono come funghi ma non sono come voi. Sembrano piccoli industriali, tutti. Con voi ci sentivamo a casa…”
“Teodor, che ti devo dire? Dammi un po’ di tempo. Poco.”
“Poco. Non ho molto da aspettare.”
“Cornuti Capra e Struscia!”
“Che dici?”
“Niente, pensavo alla mia Bari”.

“Ciao Paolino! Che novità? Se ci vediamo tanto spesso cresce la barba anche a me”
“Chissà chi ha inventato barba finta…ma se lo becco…”
“Hai qualcosa? Ogni volta che ti vedo non so se rallegrarmi o incominciare a grattare il capo”
“No. Non rallegrarti. Ho notizie che Salvo si sta dando da fare”
“Qualcosa si percepisce, non nettamente…”
“Ha preso per le orecchie i Capra e gli Struscia e li sta facendo discutere ad un tavolino”
“Dove?”
“Non è questo il problema, anche perché come si fa a stargli dietro? E’ un pullulare di affiliati. Sembra conduca una vita normale, ma quando t’avvicini c’è una rete impenetrabile, sabbie mobili, per tutti. Non si fida, di nessuno.”
“Una sorta di attesa l’abbiamo percepita anche noi. Non eravamo sicuri, però, fosse opera di Salvo.”
“Vuole andare in Montenegro o in Grecia.”
“E’ quello che temiamo… Sicuri? Noi abbiamo sentito che c’è una sosta, un’attesa, un richiamo antico alla vecchia mafia di Bari. Parlerò domani con la Procura. L’indagine è ormai conclusa. Possiamo affrettare, ma non so bene quanto si riesca a farlo”
“Gli elementi sono tanti! Certo, trasformarli in un provvedimento richiede tempo.”
“Non per il dottore…”
“Forse se non fosse stato scarcerato! Non sarebbe dovuto uscire, ma ormai ci stiamo facendo l’abitudine”
“Perché”
“Perché a Napoli ormai è una carneficina… Pezzi da novanta sono usciti per decorrenza di termine e si sono volatilizzati! Almeno qui è diverso…Ma pensiamo a noi. Se ho altre indicazioni te le faccio avere..”
“A qualsiasi ora… eh.. grazie…”
“Da segnare sull’agenda. Ringraziamenti del grande poliziotto, vale una medaglia..”
“Una curiosità… se puoi. Ma il tuo lavoro è rompere l’anima … a me?”
“Mi appello al segreto di Stato”

“Zio Salvo, che avete?”
“Fretta, Tonino, fretta. Qui si muove il vento. I poliziotti sono lenti, ma si muovono. Li sento. Come cani sulla preda. Come pescatori che non possono rientrare a casa senza pesce. Loro stendono la rete, che a poco a poco copre tutto il porto. Devo uscire prima. I giornali già urlano. Quando buttano voce c’è sempre tempesta in arrivo. Sono come i gabbiani. Quando si poggiano a terra ci sono resti, rifiuti, da mangiare. Siamo noi, i rifiuti, per loro. Già incominciano a girarmi intorno.”
“E’ quasi pronto tutto…”
“Devo sistemare ancora qualcosa…”
“Capra e Struscia?”
“No. Non solo. Ho bisogno di pace per evitare la guerra da noi. Anche qui, al quartiere c’è gente che ha fretta. Che mi vuole bene, ma mi vorrebbe più bene dietro le sbarre, sino a invecchiare, magari a morire. C’è urgenza di presente. Anche i nostri hanno smesso di guardare avanti. Vedi, Capra e Struscia non hanno torto. Sono condannati a farsi guerra. Hanno armato una battaglia che non finisce più. Hanno seminato odio e vendetta, che cosa possono ottenere? Quanti di quelli che sparano sono della famiglia? Quanti hanno vissuto la stagione d’oro? E’ un mito, per loro. Soldi, donne, ville, vacanze, magari qualche segno di rispetto. Ma non hanno vissuto quei tempi d’oro. Che oro non era, anche se pure per me, che me li sono sudati, oggi sembrano dorati. Tutti i grandi sono dentro, e quando escono? Mah. Ora ci sono i bambini. I ragazzi che ci hanno preso per una giostra e non vogliono scendere a metà corsa, perché per loro la vita è quel girare tondo. Basta girare, poi se cadi o stai a cavallo non importa. Così è. Ora Capra e Struscia possono anche decidere di smettere un poco, magari per darsi da fare, tutti insieme, appresso ai nuovi affari. Magari si sta più stretti, ma si siedono tutti a tavola. Appalti, estorsioni, rapine e soprattutto droga e sigarette. Tutto. Perché noi pugliesi possiamo fare tutto. Ma i compari sono liberi? Sei sicuro che quei giovanotti che si sono presi abbiano voglia di smettere? E se finisce il gioco, quale possibilità hanno loro di vincere, foss’anche il premio di consolazione? Li hai visti? Partono a fare puntate senza sapere nemmeno chi e come uccidere. Poi s’ammazzano passanti, bambini e chiunque sta in mezzo. Arrivano gli sbirri incazzati e mirano ai soldi, ai nostri soldi, controllano gli appalti, ci mettono telecamere e microfoni ovunque, pure nel bagno. I nemici dei Capra e degli Struscia sono proprio gli aiuti che si sono presi.”


dalla rivista Il Finanziere

“La vedete male, zio Salvo”
“Non è finita. Perché quando li metti dentro, questi ragazzi, loro lo sai cosa fanno in carcere? Vivono di quegli attimi che hanno vissuto, senza rendersi conto che l’aria cambia. Può cambiare. Sono come quei soldati che non capiscono quando la guerra è finita, e si mettono a sparare contro chiunque. Questi quando escono vogliono quello che hanno sognato e si convincono che la guerra non finisce. Hai capito come siamo?”
“Devono fare un poco di pulizia, i compari nostri”
“E’ tardi. Perché a fronte di uno di loro ce ne sono centinaia di questi giovani. Anche le nostre famiglie hanno solo giovani. Ora portano il nome ma al primo errore, gli amici si mangiano anche il nome, te lo dico io”
“Noi siamo fuori…”
“Non del tutto. Quel cornuto di mio fratello non ha gli attributi necessari. Non è riuscito a tenerci fuori dall’ammuina. Anche io, che posso fare? Qualche sfoglia, qualche parola dal carcere, che è la chiesa dei camorristi di Puglia. Ma non basta.
Lascerei a Maurizio lo scettro. Ma Maurizio sta morendo…lo sai?”
“Me lo ha detto”
“Cornuta la vita. Lui si che poteva… Lui mi ha battezzato, era giovane ma con la testa sulle spalle. Aveva i migliori scafi, era il terrore dell’acqua. Ogni cosa, poteva fare. Ogni cosa. Mo’ tiene a morte dentro. Vuole fare,ma quando si sa che è più di là che di qua, chi lo segue? Lo seguono al funerale. Gli altri, gli altri non sono buoni. Anche il quartiere ha teste calde che bruceranno i vicoli. Per questo non posso, non devo tornare dentro…”
“Ormai è pronta la barca. Pochi giorni e…”
“Non ci torno più, qui. Non mi vedono più. Perché non ci torno dentro. Hanno fatto la fesseria di lasciarmi andare e ora non mi vedono più.”

Quando i poliziotti entrano nella sua casa, ancora rappresa di chiuso, Salvo ha gli occhi stretti di sonno. Non parla. Chiuso nel mostro di silenzio che divora l’anima. Le ali spezzate della speranza volteggiano verso il carcere, lontano dalla riva albanese che l’attende invano.
Il fratello osserva la scena da un finestrino del suo nascondiglio, arrampicato sopra le cantine del palazzo di fronte. Pensa che sia finita anche per lui.
Potrebbe prendere lui la barca per l’Albania che attende alla banchina di Mola. Ma di là dal mare non vogliono un nome. Vogliono le idee, che rendono capo un mafioso. Se lo capissero, i rampolli che si guerreggiano smetterebbero di giocare alla morte.

L’archivista tira fuori dalla cassaforte i suoi fascicoli con le croci rosse e le cartelle strette sino a scoppiare. Poi brinda per la cattura di don Salvo con i colleghi più giovani che ridono e si scambiano battute. Hanno la pistola dietro la schiena, con la fondina ad estrazione rapida. Bari è un far west, in questi tempi. Forse finirà la guerra. Forse finiranno i Capra e gli Struscia.
Incrocia lo sguardo del suo capo, che di tanto in tanto fissa la pila dei suoi faldoni, attraverso l’opaco specchio del suo bicchiere. Capra o Struscia?
C’è chi giura che quando la centrale ha dato l’allarme il capo e l’archivista fossero già vicini alla montagne di carte, con le schegge del brindisi tra le labbra di un sorriso spezzato.
Da qualche altra parte, “Paolino” decreta “agli atti, per ora” sull’ultimo foglio dell’ennesimo fascicolo.



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