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editoriale 4/2021

Con questo numero Gnosis conclude il percorso critico sulla Geopolitica, così come organizzato da Edoardo Boria e Matteo Marconi, completando il mosaico di conoscenze e di riflessioni iniziato sui temi conflitto e scala, proseguito con spazio e territorio per approdare a immaginario e attore geopolitico, l’Itaca di un viaggio odisseo tra mille avventure intellettuali che sigilla la mappa dell’analista che geopolitico voglia sentirsi.
Dopo il tradizionale incontro con Sergio Romano, che si interroga sul futuro della Germania e dell’Europa nel dopo Merkel, soggetto, tra l’altro, di un suo saggio di recente pubblicazione, si snoda la trama stretta della Geopolitica. Inaugura Edoardo Boria che ribadisce l’ambizione di sistematizzare i fondamenti concettuali, metodologici e semantici della materia, senza pretendere di fondare un modello formalizzato e rigido. In tal modo offre dell’immaginario e dell’attore non solo una felice sintesi ma anche un innesco di sensibilità nuova e un percorso con numerose biforcazioni e intrecci, con l’entusiasmo di una ricerca mai sazia di interrogativi. In questo percorso accidentato, tra ibridazioni intellettuali e incerti orizzonti di scenari in fieri, Marcello Tanca coglie nelle opere di Paul Vidal de la Blache, padre della Geografia francese, da una parte, la rara suggestione della patria quale continuità tra “suolo e abitanti”, che “anticipa i regimi e vi sopravvive”, dall’altra, una crescente coscienza politica che, alla sua morte, verrà dispersa dagli epigoni; Alessandro Colombo dello storico istituzionalista Otto Hintze valorizza la dimensione dello spazio e la capacità di interpretare l’evoluzione della politica internazionale verso la Weltpolitik, analizzando i suoi due diversi tipi geopolitici individuati su base spaziale: inglese e americano, il primo, e continentale, l’altro; Dario Citati illumina il fitto ordito della questione ebraica, analizzando l’ottica del sionismo revisionista di Vladimir Ze’ev Jabotinsky che, invano, ha cercato di fare del Giordano il diapason dello spartito ambizioso dell’Eretz Yisrael, cogliendone limiti e residuali opportunità; Andrea Perrone illustra il febbrile laboratorio triestino del secolo scorso che, grazie anche al carisma scientifico di Ernesto Massi, seppe qualificare la coscienza geografica nazionale, assegnando al Mare Nostrum, «creazione pervicace dell’uomo mediterraneo», una matrice che «non è geografica, è geopolitica»; e Aldo Ferrari orienta sui complessi e attuali effetti dell’eurasismo sul sistema russo, di cui è simbolica figura Lev Gumilëv, sino al progetto della Grande Eurasia nel cui contesto Mosca, sempre meno attratta dall’Occidente, sceglie nuove rotte multipolari, in uno spazio, dalla Cina alla Turchia, in cui si mobilitano nuove forze della Storia. Emidio Diodato coglie le contaminazioni interdisciplinari nella teoria dei sistemi-mondo di Immanuel Wallerstein, che dalla macro-sociologia e dalla storia internazionale trae spunti per meglio valorizzare il ruolo del territorio quale elemento intrinseco delle potenziali e trasversali conflittualità dal centro alla periferia e viceversa.
Lo sguardo si amplia, i concetti politico-spaziali si aprono ad ambiti diversi, non solo Geografia fisica e politica, ma anche quella di religioni, comunità e culture. Il mondo islamico diviene così indispensabile strumento di ricerca e analisi e in questa cornice si inscrivono gli articoli di Antonino Pellitteri sul pensiero di Michel ‘Aflaq che nella «unità araba vede l’ideale di cambiamenti radicali»; di Rodolfo Ragionieri sul progetto proposto da al-Qaradawi, punto di riferimento per l’opinione pubblica panaraba, fondato sull’unità della umma, sulla moderata riforma nel dar al-Islam e sulla riaffermazione dell’identità arabo-islamica e di Raffaele Mauriello sulla figura di al-Sadr e sull’esperienza degli sciiti del Libano, che apre alla suggestione di uno sciismo, non solo duodecimano, meno diviso e più accogliente verso la galassia che lo compone. Infine, tra i temi di maggiore attrattiva che hanno illuminato il periodo a cavallo del nuovo millennio, Gabriele Natalizia propone un contributo critico e più aderente alla lettura di Samuel Huntington sul ruolo delle civiltà come macrocontenitori per gli Stati e sulla rinascita delle religioni quale fattore critico nei rapporti con l’Occidente; Francesco Brunello Zanitti esamina, attraverso la “Dottrina Gujral”, lo sforzo teorico indiano di interpretare e gestire le criticità di un’area strategica dell’Asia meridionale che, oggi come allora, tra Pakistan e Bangladesh, dimostra tutta la sua instabilità; Isabella Consolati, espone la monumentale struttura dell’Erdkunde di Carl Ritter, rinvenendo le nuove prospettive di uno spazio abitato e cogliendo l’intreccio che il movimento storico segna sulla carta del mondo tra “individualizzazione regionale” e “crescenti interconnessioni”; Marcello Tanca, riprende il filo dell’articolo precedente e lo annoda ai processi intellettuali che rilanciarono la Geopolitica francese in modo competitivo nel panorama internazionale, grazie al genio di Yves Lacoste, capace di aggregare le più sensibili intelligenze intorno alla rivista «Hérodote» e in tal modo dare valore scientifico all’analisi dei rapporti tra decisioni politiche e configurazioni geografiche; Lorenzo Mesini condivide tutta la modernità e l’acutezza geopolitica di Henry Kissinger, che nel nuovo ordine di un mondo interdipendente sostiene l’ipotesi della indispensabile collaborazione tra Stati Uniti e Cina. In chiusura, Leonardo Parisi coglie gli aspetti di novità nella cosiddetta geopolitica dei vaccini che sono oggi strumenti di soft power come già sperimentato da Russia, Turchia e Cina in Medio Oriente, Nord Africa e finanche Sud America.

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