Gnosis prosegue l’itinerario delineato dai curatori Edoardo Boria e Matteo Marconi tra le vene carsiche della Geopolitica, con la sicura vocazione a leggere i cambiamenti degli scenari mondiali e a intercettarne le sottese logiche e le possibili cifre interpretative. Anche il Punto di vista di Sergio Romano coglie del cambiamento in senso lato taluni aspetti, offrendo approfondimenti sullo scenario afgano, sulle motivazioni storiche e sull’evoluzione delle criticità ai cui esiti assistiamo ancora oggi.
Edoardo Boria, nell’offrire la visione ragionata e plurale dei concetti-chiave utili a comporre la “cassetta degli attrezzi” dell’analista geopolitico, dopo la diade “conflitto e scala”, elaborata nel numero precedente, presenta “spazio e territorio” quali strumenti operativi fondamentali dell’agire politico, di cui coglie le molteplici e complesse epifanie, più campo di forze che idea filosofica. Nella galleria di pensatori che hanno affrontato il tema e ne hanno tradotto le suggestioni nella prassi politica, Francesco Zampieri mette in risalto il contributo dell’ammiraglio americano Alfred Thayer Mahan, principale teorico del seapower e suggeritore dell’espansione imperialistica statunitense nel secolo scorso, soprattutto nelle aree caraibica e dell’Oceano Pacifico; Patricia Chiantera-Stutte analizza la controversa ma fondamentale figura di Friedrich Ratzel, padre della geografia politica moderna e del concetto del Lebensraum che, fondato sulla forza di una cultura superiore, ha legittimato il Kulturimperialismus alla base della politica estera e coloniale germanica, rivisitato e sfruttato ben oltre le intenzioni originarie dal nazismo; Nicola Bassoni legge la lezione di Karl Haushofer che, sulla scia di Ratzel, ha individuato nella Geopolitica un’“arma intellettuale” necessaria a restituire alla Germania – con progetti politici concreti – il suo ruolo di grande potenza dopo la catastrofe seguita al Primo conflitto mondiale; Carlo Galli coglie l’attualità delle suggestioni legate al Grossraum (grande spazio) di Carl Schmitt e alla sua Teoria del partigiano per rivedere anche gli scenari post Guerra fredda, della globalizzazione e del pluralismo spaziale dei centri politici; Giorgio Scotoni introduce alla scuola russa che, nonostante la Geopolitica fosse messa all’indice dal potere sovietico, seppe fornire validi contributi per ribaltare i codici eurocentrici e il paradigma petrino zarista a favore di una visione spaziale eurasiatica; Alessio Stilo valorizza l’apporto della polemologia del sociologo Gaston Bouthoul il quale, attraverso un approccio metodologico interdisciplinare, ha conferito carattere scientifico e credibilità pubblicistica all’analisi del fenomeno bellico; Matteo Bolocan Goldstein recupera la polarità gramsciana analitica e operativa sulla realtà effettuale in chiave dinamica per la lettura della struttura del mondo contemporaneo.
Le pagine della Rivista si fanno laboratorio e testimonianza: John Agnew fa luce sul cantiere aperto della “geopolitica critica” e su come le configurazioni geografiche e le ipotesi sul mondo incidano su politici ed esperti, sulla visione globale, le divisioni territoriali e le posizioni di un gruppo o di una nazione. In essa si intrecciano dimensioni socio-economiche, ideologiche e comunicazionali che contribuiscono all’elaborazione della politica estera e alla legittimazione popolare, e di questo ordito Davide Papotti traccia una mappa cronologica, così cogliendo le sottili tessiture in una medesima koine culturale di riferimento tra la geopolitica critica, la geografia sociale e il sempre più sfidante movimentismo politico, quale nuovo e promettente ambito di ricerca. Lo sguardo sugli scenari moderni di Claudio Minca attraversa le penombre irrisolte della geopolitica dell’eccezione su cui Giorgio Agamben ha affinato i suoi studi con un dirompente impatto sulle scienze sociali di lingua inglese – svelando le derive contraddittorie e paludose dell’arcanum imperii e la risacca di due forze opposte che, nell’eccezionalità, una istituisce la norma e l’altra la disattiva e la depone. Il riferimento all’esperienza di Guantánamo di Agamben apre all’attualità del tema del terrorismo islamista che Ugo Gaudino approfondisce, soprattutto rispetto alle logiche territoriali post statali del jihadismo (Isis e Al Qaeda), sperimentando le possibili evoluzioni della teoria schmittiana del partigiano.
Oggi l’Europa, e l’Italia in particolare, devono guardare alla Cina e all’Africa con cui il confronto dovrebbe essere più serrato e consapevole delle opportunità e dei rischi: con questa premessa, Giorgio Cuscito, nel presentare il profilo di Wang Huning – ideologo del Partito comunista cinese, da Jiang Zemin a Hu Jintao e soprattutto sino a Xi Jinping – disegna l’architettura geopolitica sinica e individua gli elementi basilari del modo in cui Pechino osserva la Cina e il resto del mondo.
Completano il numero i contributi di Alessandro Leto, che sottolinea la crescente centralità politica ed economica del Corno d’Africa “allargato” su cui si concentrano fattori critici quali migrazioni, terrorismo, catastrofi ambientali, competitività aggressiva di attori internazionali per l’accesso alle materie prime e le possibilità di controllo dei flussi marittimi intercontinentali che hanno un impatto sugli equilibri geopolitici globali. E uno spazio dedicato più direttamente all’intelligence: Antonio Teti ci conduce nei labirinti degli algoritmi che tracciano nuovi orizzonti all’ambizione di conoscere e inediti spazi allo spionaggio, come nel caso della Facial Recognition Technology; Marco Erriquez e Vittorio Marchis propongono suggestive riflessioni sulla disinformazione, dalle pagine opache del romanzo dell’avventuriero genovese del XVII secolo Gian Paolo Marana in cui si ripete il complesso gioco del vero nel falso, e viceversa, al modo delle turcherie, vezzo dell’imitazione ottomana dell’epoca, al cinguettio moderno dei tweet a frotta che ricordano come «troppa informazione corrisponde a nessuna informazione».
Nelle rubriche ormai tradizionali, che variamente riguardano l’arte e l’intelligence, per l’humour Melanton si sofferma anche sul “futuro” che è lo spazio dell’analisi e il fine ultimo dello spionaggio ben oltre la sua azione nel presente “improprio” e “contingente”.