recensioni e segnalazioni 1/2021
Giacomo Pacini
La spia intoccabile.
Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati Einaudi, 2021 pp. 265 - €28,00 di Jordanus
Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati Einaudi, 2021 pp. 265 - €28,00 di Jordanus
Nome in codice “Zaf”, come Zafferano. Perché Federico Umberto D’Amato al lavoro da poliziotto all’Ufficio Affari Riservati (Uar) univa la passione per il tempo lungo della tavola, strumento principe di ogni agente per entrare in mondi di umanità e acquisire informazioni. Di lui è stato detto che «sapeva quasi tutto di tutti e quello che non sapeva, tutti pensavano che lo sapesse». Per questo in molti lo temevano. Classe 1919, dopo la sua morte (1996) al quartiere generale della Nato di Bruxelles gli è stata intitolata una delle sale più prestigiose. Dirigente e poi Capo dell’Uar dal 1971 al 1974, la sua storia si può dipanare anche grazie ad appunti autobiografici che egli stava scrivendo, pochi mesi prima della fine, per un libro che si sarebbe dovuto intitolare Memorie di un questore a riposo. L’inizio della sua carriera si colloca dopo l’8 settembre 1943, quando si schierò dalla parte degli Alleati divenendo uno dei funzionari di collegamento fra la polizia italiana e i Servizi americani. Nel giugno 1944 James Jesus Angleton gli affidò una missione nella Repubblica di Salò, in esito alla quale l’Oss entrò in possesso dell’archivio dell’Ovra, e si distinse poi in altre operazioni finalizzate allo smantellamento della rete dell’Abwehr ancora attiva a Roma. E di carte la “spia intoccabile” ne lesse e mise da parte tante in quell’ufficio definito «la mia polveriera» anche perché, scrisse a un giornalista, «gli scheletri nell’armadio ce li hanno tutti» ma «questa non è una ragione per andarli a spifferare a sproposito e quando non richiesto da ragioni di giustizia». In un suo libro, in cui raccontava “attovagliati” i personaggi famosi che aveva incrociato, annotava: «Ogni buon agente segreto, insieme al cifrario e al mini-registratore, ha sempre un taccuino con i buoni indirizzi di forchette nel suo Paese e all’estero». Con lo pseudonimo di Gault & Millau, poi di Federico Godio (cognome della madre), divenne nel 1977 curatore della rubrica di cucina pubblicata da «L’Espresso» e l’anno dopo gli fu affidata la direzione della Guida ai ristoranti italiani, che curò fino al 1995. Fra dossier e menù il suo modus operandi era «osservare l’avversario dalle posizioni a lui più vicine» per prenderne le misure. In una lettera al ministro dell’Interno dell’estate 1981, scrisse che per un uomo di intelligence è «inevitabile» avere rapporti, a fini informativi, con gli ambienti più disparati. «Per i suoi detrattori – scrive Pacini – è stato una sorta di anima nera della Repubblica, della quale avrebbe custodito i più inconfessabili misteri; per i suoi estimatori, invece, è stato il più geniale uomo di intelligence che l’Italia abbia mai avuto, maestro nell’arte dello spionaggio».
Michael Sfaradi
Mossad. Una notte a Teheran La nave di Teseo, 2020 pp. 544 - euro 20,00 di Jordanus
Mossad. Una notte a Teheran La nave di Teseo, 2020 pp. 544 - euro 20,00 di Jordanus
«Sentinella, quanto resta della notte?». Il brano di Isaia (21,11) è il cuore della profezia sulla caduta di Babilonia ma è anche la quinta di queste pagine che raccontano come potrebbe essersi svolta una delle operazioni più riuscite nella storia dello spionaggio. Perché «se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo», recita il Talmud. Il 30 aprile 2018 il Premier Benjamin Netanyahu mostrò in diretta televisiva parte dell’archivio segreto sul nucleare iraniano che il Mossad aveva trafugato a Teheran. In una notte erano stati sottratti oltre 55.000 documenti, la prova che l’Iran stava cercando ancora di creare l’atomica. Il direttore del Mossad citava le Scritture e per questo si era guadagnato il soprannome di Messia. In Iran la rete di infiltrati era di dodici operatori. Il Mossad aveva un Messia e dodici Apostoli a sparigliare le carte degli Ayatollah. “Apostolo 04”, al secolo Ilan Ghorbani, è un agente che sa stare in teatro. Gli occhi di Magdala sono con lui. Anche gli ordini del Memuneh sono chiari. Il suo capo di un tempo diceva: «Rifornisci i tuoi agenti di tutto quello che chiedono senza fare domande e se non ci sono comunicazioni significa che va tutto bene». In meno di sette ore, nei magazzini di un quartiere commerciale di Teheran, gli agenti devono disattivare allarmi, aprire casseforti e tagliare la corda con i faldoni in bisaccia. L’azione è una scelta e ha sempre due facce. Ilan lo sa. «Cosa era meglio: l’Iran con in mano la bomba e il potenziale per non far più dormire una notte tranquilla a Israele per l’eternità o un gran casino che avrebbe ridisegnato il Medio Oriente con le lacrime e il sangue? La scelta doveva essere politica, lui era solo un agente che proponeva, e poi, quando le decisioni erano prese, obbediva agli ordini».
J. Chiffoleau – É. Hubert – R. Mucciarelli (a cura di)
La necessità del segreto.
Indagini sullo spazio politico nell’Italia medievale ed oltre Viella, 2018 pp. 384 - euro 34,00 di Franz
Indagini sullo spazio politico nell’Italia medievale ed oltre Viella, 2018 pp. 384 - euro 34,00 di Franz
Il volume raccoglie gli esiti di un seminario internazionale dedicato a Il segreto e lo spazio politico tenutosi a Siena nel giugno 2017. Individuando nell’uso del secretum una leva fondamentale nella costruzione del soggetto / suddito e dello spazio politico, ne sono stati indagati nervature, regole e processi di legittimazione per comprendere le trasformazioni della società e dei rapporti di potere alla fine del Medioevo. Le frontiere dell’indagine sono state collocate oltre che sulle istituzioni, sui luoghi e sulle procedure formali della politica, nel viluppo di strategie, comportamenti, rapporti di forza e reti di relazione che strutturano la vita quotidiana nei campi sociali e nelle pratiche legittimate. Una sfida giocata nello scenario dei poteri statuali basso medievali, assumendo come orizzonte l’Italia delle città-Stato, e considerando il peso esercitato dalla Chiesa di Roma e dalla sua administratio sugli sviluppi ideologici e costituzionali dei governi cittadini e della società tardo medievale. Due utilissime aperture hanno consentito ai relatori di spingersi più avanti: la Cina del X e XI secolo e la monarchia cristiana etiope di fine XVII secolo.
Maria Giuseppina Muzzarelli (a cura di)
Riferire all’autorità.
Denuncia e delazione tra Medioevo ed Età moderna Viella, 2020 pp. 299 - euro 32,00 di Jordanus
Denuncia e delazione tra Medioevo ed Età moderna Viella, 2020 pp. 299 - euro 32,00 di Jordanus
Denontie secrete contro chi occulterà gratie et officii o colluderà per nasconder la vera rendita d’essi, si legge sulla pietra della Bocca di Leone del Palazzo del Doge, a Venezia. Ma quale limen separa la denuncia dalla delazione? Denunciare può essere una forma di collaborazione per aiutare il decisore politico e la convivenza civile ma anche un comportamento che semina ombre e sospetti. Il delator è l’explorator o speculator, che riferisce quanto ha visto, mentre a ricoprire la carica di Dominus spiarum erano persone di elevato profilo sociale e culturale. Alla fine del Duecento a Bologna si creò una struttura strategica, l’Officium spiarum, mentre nelle città umbre la denuncia anonima (Et sit secretum) attraversava l’area dei damna data, gli illeciti a danno delle proprietà altrui. Gli ufficiali erano boni homines, uno per ciascuna delle porte della città, e custodes celati erano previsti nello Statuto di Montegabbione (1485), tenuti a denunciare maleficia ricevendone in cambio il quarto di ogni pena pecuniaria. Dopo il Liber falsariorum e le “polizze” gettate nelle finestre dell’inquisitore, vanno in scena le delazioni nel mondo dell’industria veneziana tra XIV e XVI secolo, con l’accusador e la protezione dei segreti delle foglie d’oro o delle ceneri di soda e allume catino, fondamentale nella composizione del vetro di Murano. Fino all’Antapodosis di Liutprando e a Machiavelli, che nel resoconto sull’ordinamento politico di Lucca, nel 1520, descrive tre segretari il cui “offizio” è «come diremo noi, spie, o con più onesto nome, guardie dello Stato». In fondo, il corvus loquax delle Metamorfosi di Ovidio adempie solo il suo incarico.
Roberto Costantini
Una donna normale
Longanesi, 2020
pp. 480 - euro 19,90
di Jordanus
«Mi chiamo Aba Abate. Mio padre voleva che fossi sempre la prima, a cominciare dall’appello all’asilo. Quelli che mi amano sanno chi sono, ma non sanno cosa sono davvero. Quelli che lavorano con me sanno cosa sono, ma non chi sono». Aba è una donna che è moglie e madre, ma in teatro operativo è “Ice”, la spia che dà la caccia a un little boy prima che il terrorista muova dalle coste libiche per colpire Roma. Il professor Johnny Jazir conosce molti segreti. Beve uno scorpione nel bicchiere di sidro e coltiva un suo progetto di vendetta. Nero, come l’unico occhio che gli è rimasto sotto i Ray-Ban. Il fiuto dell’agente dell’Aisi dovrà andare oltre lo spettacolo del mago Marlow, come quella fune nera che un giorno fu legata alle caviglie, perché il nero si vede anche nel ghibli. Pietro Ferrara, nome in codice “Papa Doyle”, è un saggio che viene dal Raggruppamento operativo speciale: terrà la sua Aba lontana dal pozzo. Ne salverà altri e ci metterà la carne, dando l’ultima lezione di coerenza. Esiste «una scala del silenzio» e a volte si pagano prezzi alti. Ma la regola del bivio in discesa coi freni rotti non ammette ritardi: se conosci una delle due strade, prendila. Anche se sai che è pericolosa, è meglio di quella sconosciuta. La dottoressa Abate, cresciuta a sicurezza e prudenza, al momento cruciale saprà essere solo “Ice”. Come ha scelto di essere.
Joby Warrick
Triplo gioco.
La talpa di al-Qaida infiltrata nella CIA La nave di Teseo, 2019 pp. 412 - euro 20,00 di Jordanus
La talpa di al-Qaida infiltrata nella CIA La nave di Teseo, 2019 pp. 412 - euro 20,00 di Jordanus
Il 30 dicembre 2009, a Khost, base segreta della Cia in Afghanistan, la scacchiera ri-ribalta. Humam Khalil Abu-Mulal al-Balawi, medico giordano infiltratosi tra i vertici di al-Qaida, ha inviato report preziosi sui terroristi e ora giura di avere buone carte per arrivare al braccio destro di Osama bin Laden. Ma quando scende dall’auto si fa saltare con tredici chili di esplosivo, uccidendo sette uomini dell’intelligence con una bomba cucita da un pashtun, noto come il sarto di al-Qaida. «Quand’è che le mie parole assaggeranno il mio sangue?», ripeteva al-Balawi che da blogger invocava il jihad con lo pseudonimo di Abu Dujana al-Khurasani. Riesce a far credere di potersi infiltrare nei gruppi Taliban del Nord Waziristan, portandoli al cuore nero di Ayman al-Zawahiri, l’uomo che avrebbe dovuto curare. Ma la “fonte d’oro” faceva il triplo gioco. La ferita di Khost condurrà a duri colpi contro la rete terroristica. I bersagli saranno centrati. Fino a quel “Visuale su Geronimo”, con cui la voce dell’operativo confermerà la morte dello sceicco del Terrore. Queste pagine sono anche un ritratto degli agenti caduti. Fida Dawani e Rachel LaBonte avevano ripetuto ai mariti le parole delle donne spartane: «Torna con lo scudo o sopra lo scudo». Anche le loro storie sono tra le stelle di Langley.
Dov Alfon
Sarà una lunga notte
De Agostini, 2019
pp. 200 - euro 17,00
di Jordanus
È scattato il Codice Nero, urgenza immediata. C’è solo una notte per andare a dama, in una storia che cambia rapidamente scena tra Parigi, il Negev, Washington e Macao. All’aeroporto Charles de Gaulle scompare Yaniv Meidan, giovane israeliano sbarcato dal volo El Al 319 da Tel Aviv, responsabile marketing di un’azienda di software. Le videocamere di sorveglianza lo mostrano salire in ascensore in compagnia di una misteriosa bionda. Nella capitale francese arriva “per caso” il colonnello Zeev Abadi, capo dell’unità 8200 degli 007 israeliani. Dovrà giocare la sua partita portando a bordo anche il commissario Jules Leger, della Sûreté. Intanto un secondo israeliano di quello stesso volo è prelevato da un commando cinese. Nel centro di addestramento dell’intelligence israeliana insegnano a concentrarsi su non più di tre domande aperte alla volta. Ora più che mai serve efficacia e continuità. Al suo fianco Abadi ha Oriana, operativa priva di scrupoli. L’unica soluzione è andare nella tana del lupo. Del resto, il motto dell’unità 8200 è tratto dalla Scrittura, Ezechiele 33,6-16: «Ma se la sentinella vede venir la spada e non suona il corno, e il popolo non è stato avvertito; e se la spada viene e porta via qualcuno di loro, questi sarà portato via per la propria iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla sentinella». La lunga notte di Dov Alfon, ex agente segreto e già caporedattore di «Haaretz», è un thriller di adrenalina e spionaggio puro. Al cinese Ming, che mormora l’ultima regola del Libro di Qi: «Dei trentasei stratagemmi, la fuga è il migliore», si contrappone la lezione del colonnello Abadi: «Nella nostra professione per avere successo bisogna restare all’erta e diffidare di tutto ciò che sembra facile».
Michelangelo Iossa
007 operazione suono
Rogiosi Editore, 2020
pp. 367 - euro 16,00
di Jordanus
Vodka Martini “agitato, non mescolato”, Aston Martin, le diavolerie della sezione Q, donne affascinanti e ... un pentagramma operativo. Nella scena d’apertura del film Dr. No, una donna chiede il nome all’uomo che ha di fronte: «Bond. James Bond!». E parte un motivo che da quel momento avrebbe fatto storia: James Bond Theme, a cucire con sette note (anzi, 007 note), firmate da Monty Norman, la celebre saga dell’agente britannico. In queste pagine s’incontrano composizioni e personaggi unici: dal trombettista Derek Watkins a Tom Jones che, per Thunderball (1965), svenne nello studio di registrazione dopo l’ultima prova della sua canzone. Si racconta la performance di Shirley Bassey, Paul McCartney e Adele, passando per Tina Turner e Nancy Sinatra. E ancora Marvin Hamlisch e Bill Conti, i Duran Duran (unico quel 45 giri A View to a Kill, con copertina forata ed etichetta con Roger Moore), Madonna (Die Another Day), Tom Jones e Louis Amstrong, che concluse la carriera incidendo We Have All the Time in the World. Un lungo cammino in musica che ha accompagnato le gesta di Connery, Lazenby, Moore, Dalton, Brosnan e Craig. Con McCartney arrivano i galloni per questa strana e unica musica d’azione. È Live And Let Die (1973). Ma è stata Adele con Skyfall (2012) a ottenere il Golden Globe e l’Oscar per la migliore canzone originale. In realtà dalla Bassey e da quel suo acuto finale in Goldfinger (1964) in poi, a ogni uscita di un film di 007 ci si aspetta una canzone, come fosse un naturale product placement dei frames bondiani. Fino a Billie Eilish, coautrice e interprete del brano No Time to Die. Iossa presenta tre figure-simbolo della storia di Bond: Fleming, il compositore John Barry, mattatore del Bond Sound, e Monty Norman, che firma la prefazione di questo lavoro svelando il “segreto” del leggendario tema strumentale. Il libro è dedicato a Sean Connery.
Shamin Sarif
Athena Protocol
Longanesi, 2020
pp. 288 - euro 16,90
di Jordanus
«Mi chiedo se a volte il mondo non sembri migliore attraverso il cannocchiale di un fucile». Jessie Archer è un’agente dell’Athena Protocol, struttura d’élite che in tutto il mondo protegge donne abusate. È addestrata a stanare i signori della guerra che trafficano carne umana. Miserabili come Ahmed, che tiene in gabbia ragazze rapite, ma Jessie non consegna l’uomo alle Forze governative dell’Africa occidentale, lo uccide. Compromette l’organizzazione, perché per il resto del mondo Athena non esiste. «Una squadra è forte solo nella misura in cui ogni membro lo è», le ricorda la madre Li. Ora è fuori. La canzone che Amber fa partire dal suo vinile si intitola What a Difference a Day Makes. «Tu vuoi il controllo ma quando noi combattiamo, ci troviamo in un luogo oscuro», replica lei. Aiuterà ancora le sue compagne per sventare i piani di Gregory Pavlic, che uccide ragazze per estrarre organi in una clinica-mattatoio della Nuova Belgrado. «Guardo il sole dov’è ora e dove sarà tra un po’, e faccio la mia scelta», in un crescendo d’azione tra i segreti della bella Paulina e la doppia vita di Aleks. Dasha, salvata dall’inferno, sarà un’altra risorsa per Athena. La prossima missione porta in Pakistan.