recensioni e segnalazioni 2/2020
Gastone Breccia
Missione fallita
La sconfitta dell’Occidente in Afghanistan
il Mulino, 2020
pp. 176 - euro 15,00
di Franz
Il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti attaccarono l’Emirato islamico dell’Afghanistan, responsabile di aver ospitato e protetto al-Qaida e il suo capo Osama bin Laden, artefice dell’attacco alle Twin Towers. Il 29 febbraio 2020 a Doha (Qatar), gli Stati Uniti e i talebani hanno firmato un accordo di pace che potrebbe portare al ritiro delle truppe occidentali (rectius americane) entro 14 mesi. Le dichiarazioni ufficiali – dopo un conflitto protrattosi per 19 anni – vogliono solo mascherare la cruda realtà di una cocente sconfitta, di una missione fallita. Non solo i talebani non sono stati piegati, ma gli Usa (e i loro alleati) hanno perso gran parte della loro credibilità militare e politica. Le operazioni, infatti, da tempo non sono di pacificazione ma – in un quadro irrimediabilmente compromesso – dirette a seminare il caos, per lasciare una situazione ingovernabile a chi verrà dopo, che non sarà un amico. Breccia accompagna il lettore nel lungo viaggio che va dall’inizio di questo travagliato intervento all’addio a Kabul. E lo fa, come sempre, con voce chiara, asciutta e da testimone che soppesa il significato di ogni parola. Tornano qui alla mente le parole di Peter Hopkirk, che in Il Grande Gioco (1990) scriveva: «Se nel dicembre 1979 i russi si fossero ricordati le infelici esperienze britanniche del 1842 in Afghanistan, in circostanze tutto sommato simili, forse non sarebbero caduti nella stessa terribile trappola e avrebbero risparmiato così la vita di quindicimila ragazzi, per tacere delle innumerevoli vittime afghane innocenti. Mosca ha scoperto troppo tardi che gli afghani erano un nemico imbattibile». Se gli americani – possiamo aggiungere ora – avessero riflettuto su quanto accaduto sia ai britannici che ai russi, forse non si sarebbero calati nella «tomba degli imperi» per giungere a questo punto di grande imbarazzo dopo migliaia di morti. E poi cosa sarà di quel territorio ancora selvaggio, povero, dove ogni uomo è un guerriero astioso, che ha in odio tutto ciò che è straniero, a partire dai membri di una tribù diversa dalla sua? La risposta è affidata alla volontà di Allah!
Lorenzo Cadeddu – Paolo Gaspari
Lo spionaggio italiano nel 1918
Gaspari editore, 2019
pp. 96 - euro 22,00
di Virgilio Ilari
Le battaglie si vincono sul terreno, ma se si dispone di informazioni sul nemico è più semplice elaborare un piano dal quale risulti amplificato il punto di applicazione degli sforzi da esercitare e le forze e i mezzi da impiegare. Durante la Grande Guerra le unità che si fronteggiavano distavano meno di cento metri, ma dopo Caporetto le cose cambiarono: le due linee erano separate da un corso d’acqua ampio e sassoso, che in alcuni tratti raggiungeva i duemila metri. In questa situazione l’osservazione non era più sufficiente ad acquisire segnali sul nemico immediato. Il colonnello Ercole Smaniotto, Capo Ufficio Informazioni della Terza Armata, già durante il ripiegamento immaginò di lasciare alcuni ufficiali per ricercare e trasmettere informazioni sul nemico. L’idea era buona ma doveva essere meglio sviluppata. Nella sede di Villa Stuky, a Mogliano Veneto, l’ufficiale pensò di inviare oltre Piave degli ufficiali che raccogliessero notizie, da trasmettere poi a mezzo di piccioni viaggiatori. Per raggiungere i luoghi dovevano essere impiegati velivoli / idrovolanti, Mas della Regia Marina e paracadute. La scelta degli agenti? Tutti friulani e del Veneto orientale, cioè residenti sin dal tempo di pace nelle zone occupate dagli austro-ungarici. Perché questo? Il coraggio non era in discussione (chi si dava disponibile rischiava la forca) ma la conoscenza dei luoghi, delle strutture e dei concittadini che potevano essere utili alla causa era un’esigenza inderogabile. Le battaglie del Solstizio e di Vittorio Veneto vennero così combattute disponendo di molti elementi sull’avversario.
Amedeo Feniello
I nemici degli Italiani
Editori Laterza, 2020
pp. 113 - euro 12,00
di Franz
Per secoli dalla terra e dal mare i nemici sono arrivati in Italia: Cartaginesi, Vandali, Unni, Arabi, Normanni, Turchi, Spagnoli, Austriaci... un catalogo che pare infinito. Ogni epoca ha avuto il suo, di nemico, pronto a invadere il Paese, conquistarlo, razziarlo, opprimerlo per poi insediarcisi e sfruttarne le ricchezze e bellezze. E in effetti quando arriva il barbaro di turno, un mondo finisce e un altro inizia, senza soluzione di continuità. Poi, bisogna aspettare: che i barbari si amalgamino con gli altri e comincino, anche loro, a temere nuovi stranieri. Insomma ci sono nemici che vanno e altri che vengono, in un susseguirsi secolare dove, ogni volta, il tempo passa e la storia si sedimenta, la paura diventa oblio e ciascuno degli antichi invasori si ritrova a temerne di nuovi, contro le proprie tradizioni e la propria identità. Se si vuole «trarre una morale da tutto questo andirivieni – conclude l’autore di questo avvincente volume – è che, di esso, qualcosa è rimasto impigliato in tutti noi Italiani. La forma di uno zigomo, il colore degli occhi o della pelle, la lunghezza di un femore, le mille e mille parole, i gesti, le abitudini, il carattere». «Abbiamo aspettato i barbari tante di quelle volte che, alla fin fine, i barbari eravamo noi».
Anthony Horowitz
Forever and a Day
With original material by Ian Fleming Penguin Random House, 2018 pp. 304 - £ 8,99 di Paolo Bertinetti
With original material by Ian Fleming Penguin Random House, 2018 pp. 304 - £ 8,99 di Paolo Bertinetti
Anthony Horowitz è il nono tra gli scrittori che gli eredi di Ian Fleming hanno incaricato di scrivere nuove avventure di James Bond. A lui è dovuto Forever and a Day, il romanzo che racconta la prima missione di 007. Si apprende subito che l’agente è morto. Ma non si tratta di lui, bensì di un collega trovato cadavere a Marsiglia dove stava svolgendo una missione dai contorni incerti. Bond è chiamato a sostituirlo, ereditandone il numero in codice, e a vendicarlo. Anche questa volta c’è una donna affascinante da sedurre, Madame Sixtine, ex agente segreto durante la guerra, che ora lavora in proprio. Bond la sospetta, ma invece sarà lei ad aiutarlo a risolvere il mistero. Horowitz, che ha preso spunto da materiale di Fleming destinato a una serie televisiva mai realizzata, nel raccontare i particolari di scontri e agguati è abile e puntuale. La sua, però, è una prosa più ricca di quella di Fleming, più letteraria ma non meno avvincente. Per un aspetto, tuttavia, Horowitz si differenzia nettamente da lui: nel finale, infatti, Bond interpreta la sua licenza di uccidere in base alle ragioni del cuore e non della ragion di Stato.
Marco Rovinello
Fra servitù e servizio
Storia della leva in Italia dall’Unità alla Grande guerra Viella, 2020 pp. 823 - euro 60,00 di Giuseppe Della Torre
Storia della leva in Italia dall’Unità alla Grande guerra Viella, 2020 pp. 823 - euro 60,00 di Giuseppe Della Torre
Marco Rovinello si occupa da tempo di storia del servizio di leva nell’Italia liberale. In questo libro, arricchito di una ampia bibliografia, trovano spazio temi che accompagnarono l’introduzione della coscrizione obbligatoria negli Stati preunitari e poi nel Regno d’Italia. Rammento, ad esempio, l’entità dei contingenti di leva rispetto ai professionisti; i meccanismi di reclutamento, non sempre irreprensibili; le forme di renitenza ‘borghese’ (cambio di numero, liberazioni e surrogazioni) e quelle ‘popolari’ (simulazioni, menomazioni, mancata risposta alla chiamata e diserzione). Da ricordare poi la vita di caserma: le istruzioni e i servizi, il vitto e il vestiario, la sanità, l’analfabetismo e le scuole di lettura e scrittura ecc. Nella stesura del volume è stato utilizzato l’apparato delle Relazioni Torre predisposte dalla Direzione delle leve del ministero della Guerra e redatte per trent’anni da Federico Torre, «l’alto generale delle statistiche militari» (E. De Amicis), che tanto rilievo assunsero all’epoca nella storia militare e di recente anche in quella economica e sociale. Il lavoro di Rovinello, che pare vicino alla scuola ‘sociale’, è da valutare anche alla luce della scuola ‘militare-istituzionale’.