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GNOSIS 1/2006
Arabi liberali:
una via possibile?


articolo redazionale

La recente diffusione in rete di un’analisi statunitense sul mondo musulmano post 11 settembre offre lo spunto per una riflessione sull’Islam moderato. Numericamente maggioritaria, la componente musulmana liberale fatica tuttavia a trovare spazi di espressione, spesso monopolizzati dagli altisonanti proclami degli ulema radicali. Questa situazione, comunque, sta cambiando anche in Italia, dove è nato - su iniziativa di un gruppo di giornalisti magrebini da tempo residenti nel nostro Paese - un sito dedicato alla promozione di una nuova elite intellettuale araba.


da www.novatv.nl

Un senior policy analist della RAND Corporation, Angel Rabasa, esperto soprattutto di Islam politico, ha recentemente diffuso via Internet un documento nel quale ha analizzato, in maniera sintetica, un lavoro pubblicato dalla RAND alla fine di dicembre scorso, intitolato “Il mondo musulmano dopo l’11 settembre” (1) .
Lo scritto diffuso in rete era la relazione tenuta dal docente americano presso un ramo del Congresso degli Stati Uniti (2) .
Nel corso della relazione Rabasa ha in primo luogo distinto tra una parte, estremamente minoritaria, dell’Islam radicale e una parte, decisamente maggioritaria, dell’Islam moderato. Ma già a livello terminologico, egli ha ravvisato l’uso improprio che spesso si fa dei due termini, “radicale” o “moderato”, “senza passare attraverso un processo di valutazione critica che questi termini significano. In alcuni casi il termine radicale o militante è definito nei termini di supporto al terrorismo o di altre forme di violenza. Noi crediamo che questo sia un focus troppo stretto, in quanto c’è una larga parte dell’universo fondamentalista o di gruppi della Salafia che possono non praticare essi stessi la violenza, ma propagandare una ideologia che crea le condizioni per la violenza e che è sovversiva dei valori delle società democratiche”.
In pratica, ha osservato Rabasa, l’uso o la giustificazione della violenza per il raggiungimento di un obiettivo politico non è il solo elemento che separa l’Islam moderato da quello radicale.
All’interno di un largo spettro di posizioni, ciò che entra nell’analisi delle diverse correnti politiche è: quale forma di governo viene preferita (se cioè accettano una forma secolare di Governo o insistono nel volere l’applicazione della Shari’a); che tipo di orientamento legislativo viene privilegiato (se quindi accettano solo la Shari’a o valutano comunque la possibilità positiva che vi siano altre fonti del diritto); e quale sensibilità hanno nei confronti dei diritti delle donne e delle minoranze religiose (se cioè vi è una eguale partecipazione delle donne alla vita sociale e politica, se ne supportano l’educazione e l’avanzamento nelle strutture e organismi decisionali, se infine permettono la libertà di culto).
Poste come domande di fondo (marker issues), sulla base delle diverse posizioni assunte in ordine a queste, è possibile spalmare i vari gruppi, movimenti o perfino le singole persone, all’interno di una griglia che va dall’Islam moderato, che “invoca democrazia e tolleranza e rigetta la violenza come mezzo per raggiungere l’obiettivo politico e, all’altro capo della griglia, i radicali che si oppongono ai valori pluralisti e democratici e abbracciano la violenza”.
Ora, all’interno di questo range abbastanza ampio, quello che appare evidente è l’assoluta minoranza delle formazioni radicali nel mondo Islamico.
In Indonesia, il Partito esplicitamente islamico non ha superato il 20% dei consensi nelle elezioni di aprile, contro l’oltre 50% dei Partiti secolaristi. Nello stesso Pakistan, alle elezioni del 2002, l’MMA (Partito di coalizione islamica) ha raggiunto l’11% del voto nazionale, pur avendo avuto un largo seguito nelle due province al confine con l’Afghanistan.
Anche le recenti elezioni in Egitto, nonostante la buona affermazione dei Fratelli Musulmani, intorno al 20%, non modificano il dato generale.
Tuttavia, riprendendo il filo di Rabasa, il vero vantaggio di questi gruppi radicali, nei confronti dell’Islam moderato, è che “hanno sviluppato una estesa rete che abbraccia tutto il mondo musulmano e alcune volte lo supera pure. I musulmani moderati e liberali, sebbene siano la maggioranza in quasi tutti i Paesi, non hanno creato simili networks. I musulmani moderati si sentono esposti ed isolati. Le loro voci sono spesso contrastate in modo molto forte o addirittura messe a tacere. Perfino in Indonesia, il Paese con la più grande comunità musulmana nel mondo, dove l’Islam moderato è la norma, a partire dall’ultimo attacco terroristico a Bali, c’è stato nel corso dell’anno un fiume inarrestabile di violenze e minacce nei confronti delle Chiese cristiane, delle piccole sette dissidenti di musulmani, e delle organizzazioni di musulmani liberali”.
Questo aspetto della paura, da parte del mondo musulmano moderato e liberale, è un elemento da non sottovalutare in quella “battaglia delle idee”, che è poi l’unica strada che veramente può far vincere la guerra di lungo periodo contro il terrorismo.
Spesso, infatti, si accusano gli ulema che si definiscono moderati di non avere abbastanza forza nel condannare, non soltanto l’omicidio di innocenti o di altri musulmani, ma lo stesso atto terroristico. Dietro tanta ritrosia, però, sovente c’è il timore che venga minata l’idea stessa di jihad che, comunque, appartiene alla cultura islamica e non può essere condannata tout court.
Pertanto, l’area nella quale devono potersi muovere è, da una parte, la difesa dei principi islamici nella continuazione della tradizione, pena l’accusa di tradimento, dall’altra, la capacità di condannare il terrorismo in quanto tale.


foto ansa

Sicuramente la strada non è assolutamente facile ed è irta di ostacoli. Spesso, infatti, vengono messi a tacere quanti, nel mondo islamico, alzano la voce contro l’utilizzo della violenza come mezzo politico o contro l’uso improprio di leggi islamiche, per ambiti che dovrebbero essere competenza di una cultura sociale e giuridica di tipo secolare. Inoltre, questi musulmani “democratici” hanno il timore di vedersi poi accomunati agli “infedeli” occidentali, quasi fossero le quinte colonne di “ebrei e crociati”.
Tutto questo deve portarci a riflettere e ad ammirare quanti, senza rinnegare le proprie radici e la propria storia, hanno “passato il Rubicone” della paura.


da www.metransparent.com

Tra questi, proprio in Italia, un gruppo di giornalisti di origine magrebina che lavorano nel nostro Paese ormai da anni e che, con una interessante iniziativa hanno costituito un sito internet, Arabiliberali.it, volto a promuovere “una nuova élite intelletuale araba”. In particolare, vanno segnalati un giornalista marocchino di Rai-Med ed una collaboratrice italo-marocchina de Il Foglio e di Radio Radicale che hanno l’ambizione dichiarata di informare “l’opinione pubblica italiana dell’esistenza delle sempre più numerose voci liberali in Medio Oriente – che l’Occidente ancora ignora – e delle loro battaglie contro gli estremisti religiosi. Arabiliberali.it ha anche lo scopo di aiutare gli intellettuali nel mondo arabo a poter esprimere le proprie opinioni, come canale alternativo di comunicazione, per superare le restrizioni sulla libertà di stampa vigenti in gran parte dei Paesi arabi”.
L’aspetto che maggiormente attira l’attenzione è il fatto che, proprio a fronte del citato network integralista, di cui parlava Rabasa, si stia cercando di creare un network alternativo, liberale o moderato, capace di dare voce e/o parlare a quanti, attanagliati tra la paura e il disinteresse, pur essendo contrari all’uso della violenza come mezzo politico e pur appartenendo alla vasta gamma dei “non integralisti”, hanno lasciato, di fatto, campo libero alle “voci urlanti” di Shaykh oltranzisti.


da www.gamla.org.il

Così, nelle intenzioni degli autori, vi è quella di costituire una cinghia di trasmissione tra il mondo arabo, con tutte le sue problematiche ma anche con tutta la sua ricchezza – fatta di discussioni, dialogo e riflessione – e il mondo occidentale, italiano in particolare.
In questo modo fanno entrare dentro casa nostra il dibattito interno al Medio Oriente e al campo arabo-riformista in particolare, permettendoci di conoscere, apprezzare e sostenere quanti, tra mille difficoltà, oppressi dal timore di un risveglio islamico di marca integralista e compressi da regimi spesso illiberali, anche se filo-occidentali, lottano per delle profonde riforme interne allo stesso mondo arabo-musulmano.
La qualità del sito è data dal fatto che molti articoli, tradotti dall’arabo, dall’inglese e dal francese, sono apparsi sulle maggiori testate mediorientali, oltre ad accogliere scritti redatti appositamente per il portale.
Tra i tanti, molti dei quali di notevole interesse, ha colpito l’intervista concessa da Shaker al-Nabulsi ad Arabiliberali.it, scrittore giordano attualmente residente negli Stati Uniti che, ad ottobre dello scorso anno, si è reso protagonista di una petizione presentata alle Nazioni Unite (3) .
Nel corso dell’intervista Al-Nabulsi ha definito figure come quelle di Al-Qaradhawi un “clero del massacro”, ed ha valutato l’idea della petizione alle Nazioni Unite come un tentativo per cercare di “fermare loro e le loro fatwe psicotiche”. Ma la cosa sicuramente interessante è stato il fatto che, dopo aver lanciato il sasso nello stagno, Al-Nabulsi ha avuto l’appoggio di migliaia di scrittori, uomini d’affari, medici e uomini di cultura di tutto il mondo arabo, particolarmente dai Paesi del Golfo e dall’Iraq.
Le critiche, invece, che gli sono state rivolte, più che entrare nel merito della fatwa all’origine della petizione, sono entrate nel merito del “metodo” utilizzato da Al-Nabulsi.
Così ad esempio, ricordandogli che “i panni sporchi si lavano in casa”, che aveva dato “un’immagine sbagliata dell’Islam” e che era andato a toccare alcune “icone sacre” dell’Islam. Il filo della critica è continuato, poi, volendo sapere perché non avesse parlato del “terrorismo americano in Iraq o di quello ebraico nei Territori palestinesi”.
Ma giova evidenziare il fatto che, in ordine alla fatwa di Al-Qaradhawi, nessuno ha avuto da obiettare alle rimostranze di Al-Nabulsi.
L’analisi di questa intervista permette di cogliere come, ancora una volta, il predominio della cultura “quietista”, tipicamente islamico/ sunnita, nei confronti del potere politico/religioso, quasi inibisca quelle forze che avessero voglia di dire “no” ad un sistema, di cui non condividono talune istanze. Il motivo risiede nel fatto che il sistema “politico/religioso” non può essere criticato senza venir tacciati di “tradimento dell’Islam”.
Per assurdo, quindi, nel mondo islamico odierno sarebbe necessario lo stesso salto che Maududi e Qutb (padri del moderno terrorismo islamico), ahimè hanno fatto fare alla cultura islamica - strumentalizzando la religione e dichiarando possibile definire “takfir”, “apostata”, anche un musulmano - rompendo cioè quel quietismo politico che, da sempre, aveva messo al riparo i Governi islamici (4) .
La situazione odierna infatti, in nome del medesimo quietismo, vede negato a un musulmano qualsiasi il poter criticare “un religioso” islamico, senza correre il rischio di essere definito empio egli stesso.
Incamminandosi, pertanto, sul versante opposto all’integralismo religioso, i musulmani liberali che critichino ulema e giurisperiti corrono gli stessi rischi - che hanno portato Qutb alla morte - almeno fino a quando nel mondo islamico non verrà spezzata questa “cortina di ferro” saldamente in mano agli esperti di diritto islamico e non sarà data medesima dignità al dissenso, anche in ambito religioso.


(1) La RAND Corporation, organizzazione di ricerca no-profit, ha molti dei suoi associati che collaborano con Commissioni legaslative americane, sia a livello locale, che statale o federale, o ancora con Enti non-governativi. Le opinioni dei singoli rappresentanti non impegnano, peraltro, la RAND in quanto tale, né tanto meno sono espressione di enti governativi americani.
(2) Era il Comitato sul Terrorismo, Committee on Armed Services Defense Review Terrorism and Radical Islam Gap Panel , della House of Representatives.
(3) Insieme all’intellettuale tunisino Lafif Lahdhar e all’ex ministro iracheno Jawad Haschem, Al-Nabulsi ha chiesto, infatti, di perseguire non solo le organizzazioni terroristiche o i suoi aderenti ma anche gli esponenti religiosi che, con i loro discorsi, incitano la popolazione a compiere attentati. All’origine della richiesta, la fatwa (parere legale religioso) espressa a settembre dello scorso anno dallo “Sceicco predicatore” Yousef Al-Qaradhawi - una delle figure più autorevoli del mondo sunnita oltre ad essere uno dei leader spirituali dei Fratelli Musulmani - con la quale si permetteva il rapimento e l’uccisione di civili , oltre che di militari americani, con lo scopo di far fuggire l’esercito alleato dall’Iraq. Inoltre la diffusione di tale fatwa è stata massima in quanto, lo sceicco egiziano che risiede in Qatar, ha espresso tali considerazioni dalle antenne di Al Jazeera dove cura, con cadenza regolare, una rubrica religiosa che ha, tra l’altro, un altissimo indice di ascolto.
(4) Perché sarebbe stato empio, lui sì, chi avesse attentato alla vita del Sovrano senza una espressa fatwa religiosa.

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