recensioni e segnalazioni 4/2017
Romano Romano
I ragazzi di Caporetto
Nuova Argos, 2017
pp. 155 - euro 10,00
dalla Prefazione di Sergio Romano
dalla Prefazione di Sergio Romano
L’autore e protagonista di questo racconto autobiografico è mio padre. Nacque nel 1904, in una regione che era stata austriaca sino al 1866, e festeggiò il suo decimo compleanno otto giorni prima dell’ultimatum con cui l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Io sono nato nel 1929, dieci anni dopo la firma dei trattati di pace con cui terminò quel conflitto, e ho festeggiato il mio undicesimo compleanno poco più di un mese dopo l’intervento dell’Italia nella Seconda guerra mondiale. Fra le due guerre ve n’erano state, per gli italiani, altrettante: quella d’Etiopia e di Spagna. Per i ragazzi della mia generazione, quindi, la guerra è stata una continua musica di fondo. Di quella combattuta fra il 1915 e il 1918, in particolare, ci parlavano i nonni, i padri, gli zii, gli amici di famiglia, gli incontri di viaggio, i mutilati, ancora frequenti nelle strade, e tutti coloro che continuavano a portare sul bavero della giacca i nastrini delle loro medaglie o il distintivo delle associazioni create dai reduci dopo la fine delle ostilità. Ne parlavano anche i monumenti ai caduti, le vie intitolate agli eroi, le grandi targhe di marmo negli edifici pubblici dove erano scolpiti i nomi di coloro che in quelle istituzioni avevano lavorato prima di partire per il fronte e ‘morire per la patria’ […] Ci esortavano a ricordare l’evento bellico, infine, la festa della vittoria (il 4 novembre), le parate militari, i manuali scolastici […] Nel racconto della sua avventura mio padre parla di suo padre, tenente della Territoriale, e dello zio astronomo, tenente del Genio telegrafisti, dall’inizio alla fine del conflitto […] Quando uscimmo dall’incubo della Seconda deflagrazione mondiale, molti italiani constatarono che parlare della guerra sarebbe stato da allora, nel Paese, terribilmente difficile […] La nuova classe politica ne fu consapevole e cercò di salvare dal naufragio la storia nazionale prima del fascismo […] Ma il tentativo si scontrava con una nuova generazione di storici, più animati dal desiderio di demolire polemicamente la versione patriottica di quella storia che di rivedere gli eventi con minore enfasi e maggiore equanimità. Assunse importanza, in quella prospettiva, soprattutto ciò che metteva in evidenza gli errori del governo, della diplomazia, dei comandi; e la descrizione delle sconfitte divenne più gratificante e redditizia di quella delle vittorie. Dal conformismo della retorica patriottica passammo al conformismo della retorica anti-patriottica […] I moti studenteschi furono poi una rivolta contro i padri e quindi contro la patria. I vecchi professori e maestri stavano andando in pensione; i nuovi avrebbero insegnato una contro-storia in cui la rotta di Caporetto, per esempio, sarebbe stata più importante della resistenza sul Piave e del contrattacco di Vittorio Veneto. A me questa nuova tendenza non piacque […] Dai libri e dalle lezioni di quei nuovi maestri trasudava la convinzione che la loro generazione possedesse la chiave della verità e avesse il diritto di condannare quelle precedenti. Non avevo alcuna intenzione di difendere le tesi nazionaliste e di avallare le molte bugie contenute nella storia ufficiale della Grande Guerra. So che ogni generazione ha il diritto di studiare il passato con la sua sensibilità e i suoi interessi. Ma il nuovo conformismo mi sembrava persino peggiore del vecchio. Si avvicinava il sessantesimo anniversario di Caporetto e io avevo la fortuna di conoscere bene una persona che aveva un proprio ricordo di ciò che era accaduto in quelle drammatiche giornate. Lo persuasi a registrare il racconto della sua avventura. Quello che il lettore troverà nelle pagine di questo libro è solo il frammento di un grande quadro in cui, come spesso accade nella storia, vi è una combinazione di gloria e d’infamia, di coraggio e di codardia, di nobiltà e di miseria. Ma questo frammento ha almeno il merito di essere autentico.
Sergio Romano
Guerre, debiti e democrazia
Breve storia da Bismarck a oggi
Laterza, 2017
pp. XXIII, 118 - euro 14,00
di Giuseppe Della Torre
di Giuseppe Della Torre
Il volume affronta il tema della sistemazione dei debiti eccessivi dall’Ottocento ai giorni nostri, episodio che assunse grande rilievo per la stretta interdipendenza delle economie. Le guerre ‘vinte e perse’ della Germania, la presenza di riparazioni – territoriali, in natura o monetarie – e la gestione dei conseguenti impegni ebbero esiti molto diversi sulle dinamiche macroeconomiche dei paesi coinvolti. Ad esempio, la sconfitta di Napoleone III nel 1870, con rilevanti indennità, secondo alcuni commentatori si tramutò in un danno per la Germania che pure aveva ricevuto le compensazioni francesi. Gli oneri imposti agli imperi centrali dopo il Primo conflitto mondiale fecero discutere molto per la loro entità (a questo proposito, si veda J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, 1919), e il dibattito che ne seguì portò a una politica radicalmente diversa alla fine del Secondo conflitto, con gli aiuti del Piano Marshall. L’analisi di Sergio Romano è preceduta dalla prefazione di Fabrizio Saccomanni, direttore generale emerito di Banca d’Italia, che tratta delle forme di gestione dei debiti pregressi, inclusa la loro cancellazione, partendo dalle civiltà del passato per giungere alle misure del secondo dopoguerra adottate dalle istituzioni sovranazionali per controllare le crisi finanziarie di alcuni stati. Le conclusioni del lavoro ruotano intorno al dissidio tra Germania e Grecia sulle modalità di gestione della crisi finanziaria ellenica. L’autore ricorda che la revisione degli accordi ha successo quando le autorità che gestiscono la politica economica del paese sono diverse da quelle che hanno innescato i movimenti e portato alla crisi, e l’attuale situazione della Grecia non soddisfa questa condizione. Sul fronte tedesco, l’autore recupera l’idea di Keynes del grande prestito internazionale per sanare posizioni paralizzanti, idea che assumerebbe oggi la forma della ‘mutualizzazione del debito’, ma che non trova consenziente la Germania.
Elisa Fiore Marochetti
La sicurezza dello Stato nell’Antico Egitto
Nuova Argos, 2017
pp. 144 - euro 10,00
di Alessandro La Ciura
di Alessandro La Ciura
Un volume dedicato alla sicurezza dello Stato nell’Antico Egitto è uno studio insolito. Elisa Fiore Marochetti ci accompagna con leggerezza narrativa attraverso codici etnografici studiati, verificati, decodificati con pazienza, ma ancora incompleti e non sempre facilmente contestualizzabili. È un itinerario complesso, quello proposto, perché non lineare è l’evoluzione della civiltà egizia, con arretramenti, evoluzioni, criticità irrisolte e sempre nuove scoperte archeologiche e antropologiche, e solo con la tecnologia moderna si svelano misteri e si suffragano ipotesi di lavoro. In tale multiforme contesto, la Fiore Marochetti esplora i primi embrioni dell’intelligence per spiccare dalle situazioni più critiche gli indizi anche deboli di un’attività informativa che tale tecnicamente possa essere definita. L’Egitto, quale potenza ultraregionale dell’epoca, persegue le direttrici strategiche che si rinvengono anche nella storia recente: espansionismo commerciale sostenuto da campagne belliche e forte controllo del territorio interno. Nel primo caso, si rinvengono qualità diplomatiche su cui un’altra opera di questa collana si è ampiamente soffermata; nel secondo, si rileva la progressiva sedimentazione burocratica del potere necessaria a evitare spinte sociali antagoniste, coup d’État diffusi anche all’epoca da parte delle lobby gregarie e infiltrazioni straniere, comunque capaci di destrutturare e ibridare. Pur se non a livello sistematico e specialistico, si colgono interessi all’intelligence nella rappresentazione del quotidiano militare, economico, burocratico ma anche letterario, come nell’Insegnamento di Ptahhotep, che invita alla prudenza e all’equilibrio nei rapporti relazionali e comunicazionali. Si comprende anche che la fallibilità della sicurezza è il primo sintomo dell’eclissi di una civiltà.
Mario Liverani
Assiria
La preistoria dell’imperialismo
Laterza, 2017
pp. 384 - euro 22,00
di Enrico Silverio
di Enrico Silverio
Le ragioni dell’interesse del volume di Mario Liverani, per chi si occupa d’intelligence, sono insite negli intenti dichiarati nell’introduzione: da un lato, tracciare la visione dell’ideologia imperiale assira e, dall’altro, considerando quello assiro come il vero prototipo imperiale, fornire degli spunti comparativi per favorire la comprensione non solo di quel caso particolare ma anche degli analoghi fenomeni successivi. Sono indagati in sequenza tutti gli aspetti che in Assiria caratterizzavano l’imperialismo, inteso dall’autore nel senso di «ideologia imperiale»: dai suoi presupposti alle singole fasi della conquista nonché dell’organizzazione dei territori acquisiti e dei rapporti con le popolazioni debellate e i loro dèi. Il punto di partenza è costituito dalle motivazioni religiose dell’espansione, che coesistettero con quelle politico-economiche ma che ne dovettero essere sovraordinate: adempiere al mandato conferito dalla massima divinità del pantheon assiro, Aššur, consistente nel realizzare nel mondo l’ordine da lui voluto. Naturalmente, per questi fini era necessario acquisire informazioni e farle circolare attraverso una rete di comunicazione: proprio a questi temi essenziali, tanto nella pratica quanto nell’ideologia e nella propaganda, l’autore dedica due specifici capitoli. Quanto agli aspetti comparativi, quello assiro è giudicato il prototipo che, per molti aspetti, incide sino alla contemporaneità sugli imperi successivi, comunque formalmente denominati. Poiché oggi l’idea d’impero ha assunto un significato negativo e associato all’Oriente, quello assiro, secondo l’autore, appare ormai soprattutto quale prototipo di ogni «impero del male», compreso il moderno Califfato. Nei confronti di quest’ultimo, così come di quelli islamici del passato, non mancano infine stimolanti riflessioni.
Antonio Teti (a cura di)
Lavorare con i Big Data
La guida completa per il Data Scientist
Tecniche Nuove, 2017
pp. 606 - euro 59,90
L’inarrestabile produzione d’informazioni nel Cyberspazio, memorizzate all’interno dei Data Center, ha superato una dimensione giudicata inarrivabile fino a qualche decennio fa – nell’ordine degli Zettabyte, 1021 – determinando una forte preoccupazione soprattutto tra i responsabili IT delle aziende. Infatti, l’incessante fenomeno ha generato la difficoltà di poter utilizzare questo immenso oceano di dati (Big Data) per attività di ricerca, analisi ed elaborazione per conseguire una ‘conoscenza’ utile per i decisori. La trasformazione dei dati in ‘saggezza’, ad esempio, può consentire: a un istituto di credito di comprendere quale sia il contesto sociale più promettente per la promozione di un particolare fondo d’investimento; a un’azienda d’identificare più agevolmente un nuovo mercato di riferimento per i propri prodotti; ai governi d’individuare la provenienza di minacce che possano incidere sulla sicurezza nazionale. La risoluzione del problema non può prescindere dalla componente umana, ovvero dall’operato di un individuo in possesso di capacità ed esperienze riassumibili nella figura professionale del Data Scientist. Il libro, di particolare rilievo, è il primo, a livello europeo, a definire in modo chiaro quali competenze debba possedere uno scienziato dei dati: deve essere in grado di vagliare le informazioni che giungono dalle diverse fonti – prima di decidere quali possano essere giudicate utili – e d’incrociare preliminarmente i dati in suo possesso, provenienti in maggior misura dal Cyberspazio e, in particolare, dai social network e dai blog, dal web, dalle e-mail e dall’instant messaging. Sono molteplici le aree tecniche trattate nel testo: statistica, matematica, costruzione degli algoritmi, calcolo delle probabilità, digital processing, data mining, database management, data analysis, data conditioning, web semantic, management team analyst, business intelligence, open source intelligence, privacy e sicurezza dei dati e dei sistemi, tecniche di presentazione e comunicazione aziendale, fino all’analisi dei fabbisogni informativi dell’organizzazione.
Luca Falsini
Processo a Caporetto
I documenti inediti della disfatta
Donzelli, 2017
pp. XIV, 226 - euro 28,00
A cento anni di distanza, Caporetto non cessa di rappresentare la sconfitta militare più dolorosa ed emblematica della storia nazionale. L’attacco nella notte del 24 ottobre 1917, nella conca a ridosso di quel piccolo centro del Friuli, lasciò annichilito l’esercito italiano, che dopo i primi aspri combattimenti sbandò e fu costretto alla ritirata. Le divisioni nemiche avanzarono, nei quindici giorni successivi, occupando oltre ventimila chilometri di territorio, senza incontrare se non modeste resistenze. Undicimila furono i soldati italiani uccisi, trecentomila quelli fatti prigionieri; e un numero ancora maggiore di civili fu costretto a fuggire dai territori occupati. La rotta sconvolse l’intero paese. Come era potuto accadere un così immane disastro? Quali sottovalutazioni e impreparazioni lo avevano reso possibile? Il nuovo governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando, formatosi nei giorni successivi alla sconfitta, dovette istituire una Commissione d’inchiesta incaricata di valutare le responsabilità della disfatta. I documenti di quell’inchiesta si arricchiscono finalmente delle note e degli appunti personali dei componenti della Commissione e delle bozze preliminari di giudizi secretate e stralciate dalla relazione ufficiale, studiati nella loro integrità, grazie al ritrovamento di una copia completa, custodita tra le carte personali del segretario estensore dei verbali della Commissione.