recensioni e segnalazioni 3/2017
Robert Payne
Zero
The Story of Terrorism Converpage, 2011
(I ed. Wingate, 1951) pp. 286 - euro 24,59
di Claudio Ciani
The Story of Terrorism Converpage, 2011
(I ed. Wingate, 1951) pp. 286 - euro 24,59
di Claudio Ciani
Pubblicato oltre sessant’anni fa, ma sempre attuale per comprendere le cause ‘metapolitiche’ del fenomeno terroristico, Robert Payne ha costruito un vero e proprio incubo da lui definito Mostro Necaev (è questo il titolo del primo capitolo), un leitmotiv attraverso il quale egli spiega la natura e gli scopi del moderno terrorismo e la sua connessione con il nichilismo (denominato «zero»). Sergej Necaev (1847-1882) era il rivoluzionario russo che, ispirato alle idee di Michail Bakunin, quasi certamente elaborò il Catechismo del Rivoluzionario (1869), breve testo anonimo che influenzò direttamente non solo Lenin, Stalin e Trotsky ma anche Hitler e che, insieme al romanzo Che fare? di Nikolaj Cernyševskij è stato annoverato tra il «patrimonio stabile della rivoluzione russa», e dunque, come afferma Alain Besançon, una delle scaturigini del leninismo. I precetti dello scisma leninista, infatti, erano già contenuti nella catechesi nichilista che si fondava su due capisaldi: il rivoluzionario di professione («Il rivoluzionario è un uomo perduto in partenza. Non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, proprietà, non ha neppure un nome. Un unico interesse lo assorbe e ne esclude ogni altro, un unico pensiero, un’unica passione: la rivoluzione», p. 7) e l’organizzazione (necaevšcina) che, «sognata» da Necaev, si materializzerà nel partito bolscevico, plasmando in seguito il Comintern e il Cominform dell’era sovietica. Per Necaev l’obiettivo del rivoluzionario era la «distruzione terribile, totale, generale e spietata» (p. 13) delle istituzioni statali esistenti per favorire il ritorno a un originario barbarico primitivismo; una vera e propria «scienza della distruzione» (p. 8) da cui deriverà il piacere intellettuale della violenza, in senso ponerologico, così come, in Francia, era stato reclamato da Blanc, Blanqui, Proudhon e, più tardi, da Sorel. Egli si era fatto «il monaco crudele di una rivoluzione disperata» perché, come stigmatizzò Bakunin, si era «incapricciato del sistema di Loyola e di Machiavelli, dei quali il primo si proponeva di ridurre in schiavitù l’umanità intera, mentre il secondo cercava di creare uno Stato potente» che conduce, inevitabilmente, alla «schiavitù del popolo». Nel secondo capitolo Payne analizza la «natura della mente nichilista», descritta come il prodotto finale di un lungo sviluppo storico che s’inizia con la figura dell’eroe romantico, tormentato dinanzi all’incedere della società industriale, dove «l’immaginazione non ha posto e tutto è calcolato con leggi matematiche» (p. 44). La fisionomia del terrorista-nichilista per Payne è quella che Dostoevskij illustra nei Demoni, non solo in rapporto al tema della violenza, ma soprattutto rispetto al tema della finzione. La figura del nichilista si presenta ancora con il gesuita Leo Naphta, uno dei personaggi della Montagna incantata di Thomas Mann, per il quale occorre «incutere il terrore nel mondo per salvare il mondo» (p. 54), e con Chang Hsien-chung (1606-1647) che, alla fine della dinastia Ming, conquistò la ricca provincia del Sichuan massacrando centinaia di migliaia di persone. Nel capitolo Hitler e Necaev, Payne enfatizza all’eccesso il raffronto, fortemente influenzato dal libro di Hermann Rauschning, The Voice of Destruction (1940). Hitler dimostra che la volontà umana può essere annichilita attraverso il terrore, che l’uomo può essere ridotto a cosa insignificante attraverso gli strumenti del terrore spirituale e del terrore fisico: il giuramento di lealtà sarà uno dei suoi principali strumenti di terrore. Hitler manipola la paura delle folle allo scopo della totale disintegrazione dell’individuo, lo stesso fine alla base dei campi di concentramento dove l’individuo subiva un processo di espiazione sacrificale. Il terrore – continua Payne – può essere reso travolgente e irrefrenabile ma è destinato a fallire quando produce apatia (p. 139). Il testo si conclude con un opportuno richiamo al grande filosofo russo Vladimir Soloviev che aveva profetizzato l’avvento del Mostro Necaev nella figura dell’Anticristo: entrambi nascondono completamente la propria rabbia nichilistica, non sembrando affatto ciò che realmente sono. E l’accostamento alla figura dell’Anticristo, in quest’ottica, non può che rafforzare la derivazione, proposta da Payne, del nome Necaev dal russo nyet, che significa «no»: perciò, egli è «colui che nega». A ben considerare, sussiste più di un’analogia tra i rivoluzionari russi di fine Ottocento, «questi uomini selvaggi e brutali fino alla crudeltà» che «hanno una natura fresca, forte, incontaminata e inesausta, e di conseguenza suscettibile di essere influenzata da una propaganda viva, se con una propaganda veramente viva e non dottrinale si osa avvicinarli e vi si riesce» (lettera del 2 giugno 1870 di Bakunin a Necaev), e quella definita da Olivier Roy la «generazione Isis». Un elemento sostanziale li accomuna: il nichilismo. Non è l’islam che si sta radicalizzando, bensì il nichilismo che si sta islamizzando: il nostro vero nemico è il nichilismo. Il terrorismo è l’apice del nichilismo: il vuoto assoluto di chi uccide e distrugge senza nulla creare; esso è l’emblema della nostra epoca e della vacuità che strutturalmente la contraddistingue.
Noel Malcolm
Agenti dell’impero
Cavalieri, corsari, gesuiti e spie nel Mediterraneo del Cinquecento
Hoepli, 2016
pp. XXVI, 578 - euro 33,92
di Adriano Europa
di Adriano Europa
Il volume affronta il tema delle reti di relazioni, occulte e palesi, tra l’impero ottomano e le singole potenze occidentali nel corso del XVI secolo, utilizzando il punto di vista e le storie individuali di alcuni esponenti di due famiglie albanesi cristiane tra loro imparentate, i Bruni e i Bruti, legate alla Sublime Porta per legami affettivi e interessi commerciali, ma accomunate dalla fedeltà a Venezia, uno degli attori chiave nel mondo Mediterraneo dell’epoca. Seguendo le tracce che gli esponenti di tali famiglie hanno lasciato, e che riemergono come preziosi reperti dalla memoria europea di quel tempo incandescente, sfilano i grandi accadimenti che hanno segnato svolte fondamentali per la vita dei popoli e delle civiltà che si confrontavano nel Mediterraneo centro-orientale. Si ha, così, il privilegio di essere a bordo dell’ammiraglia papale della Lega occidentale – che uscirà vittoriosa dalla battaglia di Lepanto del 1573 contro gli ottomani – e di gettare uno sguardo profondo sulle dinamiche che caratterizzavano il potere all’interno della corte del sultano. Inoltre, si assiste all’eterna declinazione dell’adagio secondo il quale il nemico del mio nemico è un mio amico e al ruolo giocato dalle potenze europee con l’avversario ottomano che trova appoggi indiretti, ma considerevoli, nell’Inghilterra di Elisabetta quando questa si deve confrontare con la Spagna di Filippo II. Emerge la vitale esigenza di acquisire informazioni per potersi preparare alle future mosse non solo di coloro che formalmente sono dei nemici ma anche di quanti sono apparentemente amici, se non veri e propri alleati. Gli agenti segreti giocano un ruolo importante per la stessa sopravvivenza delle entità statali che hanno il compito di tutelare. Con riferimento allo scontro che ebbe il suo culmine a Lepanto, l’autore rileva che «le informazioni segrete sul nemico erano il bene più prezioso in una campagna come quella ed entrambe le parti fecero di tutto per ottenerle». Lo spionaggio di allora, come quello odierno, utilizzava identità e attività di copertura per svolgere la missione che gli era stata affidata. Analogamente, il tipo d’informazioni richieste e trasmesse alla fine del XVI secolo non appare molto diverso da quello di oggi: «anche se i governi si potevano basare sulle notizie riferite dai propri diplomatici, disporre di resoconti diversi degli stessi eventi presentava alcuni vantaggi, specialmente quando si trattava di voci più che di fatti accertati». La lettura scorre veloce sostenuta dal tumultuoso flusso di informazioni, fors’anche troppo dettagliato, che propone anche le indicazioni minori su piani, pensieri e azioni che non hanno ricevuto successiva attenzione. Una riproduzione minuziosa che impegna non poco nel seguire la concatenazione degli eventi e che induce distinti livelli d’approccio: quello dello storico di professione, ispirato alla precisione di un cesellatore ovvero quello del lettore appassionato di storia e specie di quella che, dipanandosi oltre lo schermo degli avvenimenti ufficiali, è destinata a rimanere, in gran parte, nell’ombra. Si tratta di un documentario e non di un film, una narrazione che propone ipotesi di collegamento tra avvenimenti ed esseri umani dei quali, però, non vi è quasi traccia del tessuto emotivo, capace di rivelarne le motivazioni. Con una suggestione: i protagonisti della storia si succedono e si accavallano simili, a volte indistinguibili: è la lezione di Garcia Marquez e del suo capolavoro Cent’anni di solitudine che s’incarna e si fa storia. Guardare al fascio delle vite dei membri di due famiglie che si sono incrociate in epoca remota determina una vertigine perché la memoria tende a dissolvere e ad attutire le differenze. Il rivolgimento tumultuoso delle stagioni spinge tutte le esistenze nello stesso lago del tempo rendendo difficile distinguere il prima e il dopo, alla maniera dei diversi corsi d’acqua che hanno contribuito a comporre una medesima storia.
Mark Riebling
Le spie del Vaticano
La guerra segreta di Pio XII contro Hitler
Mondadori, 2016
pp. 384 - euro 25,00
di Kitano
di Kitano
La storia dello spionaggio nazista in Vaticano, prima e durante la Seconda guerra mondiale, è ben documentata, almeno a confronto con ciò che si conosce sull’operato dei Servizi segreti di altri paesi. I nazionalsocialisti tedeschi e una parte del fascismo consideravano la Chiesa cattolica un nemico da estirpare e il papa era, per loro, il vertice di quel ‘cattolicesimo politico’ che poteva coinvolgere pericolosamente le coscienze, ostacolando il sogno imperialista e le nuove dottrine sociali da imporre con la violenza. Era preda ambita, per le strutture d’intelligence naziste, la corrispondenza tra vescovi e Vaticano, proprio al fine di scovare sacche di dissenso e resistenza al nuovo corso che il Reich voleva dare alle sorti dell’Europa e del mondo occidentale. La Chiesa non rimase inerte e, a sua volta, concepì e pianificò segretamente un sistema di opposizione alla politica espansionistica del nazifascismo, contando sul radicale appoggio di personalità del mondo intellettuale e di prelati affidabili, per fede primigenia e per tempra. Un lavoro sottile e discreto, gestito con determinazione e lungimiranza da Pio XII Pacelli, che seppe cogliere e coltivare rapporti sotterranei perfino con settori dello stesso spionaggio militare germanico rappresentato dall’ammiraglio Canaris, fortemente dubbiosi e preoccupati della deriva criminale ed eversiva di Hitler. Il libro racconta con dovizia di particolari inediti questa storia sommersa che, per molti anni, ha proposto la figura di Pacelli come ibrida, se non accondiscendente, nei confronti delle turpitudini della Shoah. Il suo silenzio, invece, fu una coltre sotto la quale egli seppe stendere i fili di una lotta sotterranea e feconda, una strategia ardua ma ben definita negli scopi da conseguire; tutto grazie a una rete di fedeli cattolici tedeschi e di contatti con gli Alleati, anche per garantire alla Germania un trattamento meno umiliante di quello inflittole dopo il Primo conflitto mondiale nel trattato di Versailles, genesi del grande caos di Weimar che portò al nazismo. Mark Riebling descrive e valuta vicende e personaggi spesso trascurati da una storiografia orientata, recuperando una dimensione sconosciuta o quantomeno sottostimata di anni ‘orribili’, in cui attori anonimi hanno inteso porre ostacoli a una sciagura dalle proporzioni epocali. Il volume si basa su una scrupolosa ricerca che lascia emergere il coraggio, l’intelligenza e il sacrificio di persone che hanno saputo innalzare un indelebile controcanto a una trama folle e disumana.
Personaggi – benedetti e sorretti concretamente dal Vicario di Cristo – che si mossero secondo i criteri di una pericolosissima spy story e che nulla hanno da invidiare alle invenzioni dei più grandi narratori di genere, con interessantissimi particolari sulle tecniche di comunicazione della rete informativa e controinformativa stesa e gestita in tutta Europa dai gesuiti più fidati di papa Pacelli, sino a dare cenno del suo cripto assenso all’eventuale eliminazione fisica di Adolf Hitler, facendo ricorso a sofisticati passaggi interpretativi della dottrina cattolica sul ‘regicidio necessario’. L’autore spalanca le porte millenarie del Vaticano e degli archivi tedeschi, facendo luce su fatti non abbastanza noti e interpretati della nostra storia recente, mutando l’ottica con cui, sinora, si è guardato a Pio XII e al suo pontificato.
Sergio Valzania
Guerra sotto il mare
Il fronte subacqueo nella Guerra Fredda. 1945-1991
Mondadori, 2016
pp. 255 - euro 22,00
di Speusippo
di Speusippo
«Con i sottomarini, non vi saranno più battaglie e le navi da guerra non saranno più necessarie. E poiché si continuano a inventare strumenti di guerra sempre più perfezionati e micidiali, la guerra stessa diventerà impossibile» (Jules Verne 1828-1905). Al termine della Seconda guerra mondiale, i nuovi equilibri internazionali poggiano su blocchi contrapposti che, nella competizione per la supremazia, adottano modelli di deterrenza basati sull’esercizio muscolare di potenza militare. È la Guerra fredda, conflitto politico-ideologico latente e permanente, che innesca partite a rilancio continuo, con espressioni di forza che impongono immani sforzi bellici, in un confronto platonico che, sino al 1991, corre sul filo di pericolose e imprevedibili spiralizzazioni. In tale cornice, l’approccio proposto da Sergio Valzania offre un’originale e interessante lettura di quella fase storica: è la competizione per il presidio dei mari e per il predominio delle loro profondità, per mezzo di poderose flotte di sommergibili che pattugliano le rotte oceaniche, controllano le attività del nemico e, se necessario, possono colpire velocemente e sparire, inabissandosi. L’importanza strategica dell’utilizzo dei sottomarini è sostenuta da imponenti investimenti ingegneristici e dallo sviluppo di nuovi materiali, dall’applicazione della propulsione nucleare e dalle dotazioni d’armamento, affiancando alla capacità offensiva dei siluri quella di missili da crociera. L’autore scorre gli oltre quarant’anni di vicende storiche con estrema cura dei riferimenti, tracciando le fasi evolutive e le dinamiche politiche la cui retro-struttura poggiava ancora su intense attività spionistiche, al fine di rendere sempre più efficienti, imprevedibili e micidiali le imprese dei ‘mostri degli abissi’. E non dimentica, se pure fu solo conflitto ideologico, che le vittime furono numerose, spesso a causa di guasti, imprevisti, sottovalutazioni o errori umani, con un ricordo agli equipaggi dei sottomarini statunitensi Thresher e Scorpion e di quelli russi K-129 e Kursk. In fondo, la narrazione è un tributo al fascino esercitato dalle sinuose forme di quelle invisibili e potenti macchine che giocarono da protagoniste nella battaglia del gigantismo subacqueo per «la pace del terrore atomico».
Tutto torna, proprio come sosteneva Jules Verne.
Frank Close
Vita divisa
Storia di Bruno Pontecorvo, fisico o spia
Einaudi, 2016
pp. 423 - euro 35,00
di Noeda
di Noeda
«A Harwel, una cittadina presso Oxford, in passato nota come centro commerciale, uno dei padri fondatori dell’era atomica festeggiava l’anno nuovo con la sua famiglia.
Bruno Pontecorvo aveva trentasei anni. Sedici anni prima, ancora studente di fisica, aveva contribuito alla scoperta che avrebbe inaugurato un ‘nuovo’ mondo di reattori nucleari e ordigni atomici». Con queste parole, inserite nel prologo, Frank Close centra il tema del lavoro svolto e inizia a definire gli elementi su cui ha basato la ricerca di una verità lontana e inquietante, che nei decenni si è vestita solo di congetture.
Si tratta di un saggio che, nel ripercorrere la vita e i segreti irrisolti del ricercatore siciliano, compie significativi passi avanti, arricchendo la vasta letteratura tematica con affascinanti elementi di novità e ragionate ipotesi sulla doppia vita di Bruno Pontecorvo. Una doppiezza che si avviluppa e compenetra con il ‘mondo diviso’ del primo dopoguerra, dove competenze scientifiche di avanguardia e solide ideologie di riferimento hanno caratterizzato le scelte radicali di molti studiosi degli anni Cinquanta, impegnati all’insegna di ogni bandiera a realizzare scoperte che avrebbero cambiato il nostro modo di vivere.
Le informazioni sulle possibili attività spionistiche di Pontecorvo, fornite da Washington, vennero intercettate da Kim Philby nel luglio 1950. Da questo dato, l’autore avvia il suo lavoro, scavando ogni aspetto del genio enigmatico, forse intimamente devoto al sogno comunista. La meticolosa impostazione dell’autore ci porta a conoscere dati in possesso dell’intelligence americana e britannica sul ruolo presunto dello scienziato italiano quale possibile spia russa, capace di reggere per anni una vita sommersa sino alla sua sparizione e ricomparsa, dopo anni, in Unione Sovietica, superpotenza interessata a carpire i segreti della fissione nucleare.
L’impegno certosino di Close assume un sicuro valore storico per gli innumerevoli contributi di novità anche se – e ciò non appaia una lacuna – lascia ancora aperto il cerchio dei dubbi e non fornisce la risposta finale sul ruolo di agente segreto di Pontecorvo. Allo stesso tempo, ha il merito di aver messo in riga i tasselli di un mistero che, alla fine dei conti, rimane tale. Non è mai stata prodotta alcuna prova certa sul passaggio di informazioni segrete da parte dello scienziato italiano a paesi ‘avversari’ e, se è stato una spia sovietica, ha svolto in maniera impeccabile il suo incarico.
G.C. Blangiardo - G. Gaiani - G. Valditara
Immigrazione
Tutto quello che dovremmo sapere
Aracne, 2016
pp. 88 - euro 10,00
L’immigrazione è una delle questioni cruciali nel mondo sviluppato. Quali sono i rischi e quali i vantaggi, quali i problemi che suscita e i falsi miti a essa collegati? Sul modello dell’antica Roma viene proposta una distinzione fra un’immigrazione utile e una che rischia di spaccare le nostre società. Il volume non si occupa solo di dati, ma fornisce anche soluzioni per governare un fenomeno che sarà sempre più decisivo per il destino delle generazioni presenti e future. Sul fronte dei flussi migratori illegali che caratterizzano l’Italia e l’Europa ai nostri giorni, l’analisi si spinge oltre gli aspetti legati all’emergenza umanitaria, valutandone il peso in termini di difesa e di sicurezza, evidenziando gli esempi di paesi che sono riusciti a contrastare efficacemente il fenomeno. Gli autori non evitano di sottrarsi al dibattito sui legami tra immigrazione illegale e terrorismo ma, senza generalizzazioni, evidenziano i rapporti degli organismi investigativi internazionali e le dichiarazioni che confermano il recente allarme di Europol e Frontex.
Sul tema dell’integrazione sono evidenziate le difficoltà legate alla ‘questione islamica’, con una ampia documentazione relativa agli aspetti demografici, arricchita con inchieste e sondaggi nelle comunità musulmane nei Paesi Ue che danno la misura del sostegno al jihad e della riluttanza ad accettare le leggi e i costumi europei. Il volume offre opzioni operative, quali i ‘respingimenti assistiti’, che consentirebbero di impiegare le forze navali per stroncare il giro d’affari criminali pur soccorrendo i migranti in mare e assicurando assistenza a minori soli e a chi avesse bisogno di cure. Infine, è sottolineato il principio in base al quale non può essere negato l’asilo a chi fugge realmente dalle guerre giungendo direttamente da stati in cui la sua vita è minacciata, cioè a chi raggiunge i campi profughi ai confini delle aree interessate dai conflitti, come previsto dal diritto internazionale