recensioni e segnalazioni 2/2017
Francesco Antinucci
Il potere della cucina
Storie di cuochi, re e cardinali Laterza, 2016 pp. 160 - euro 20,00
di Corito
Storie di cuochi, re e cardinali Laterza, 2016 pp. 160 - euro 20,00
di Corito
Se è corretta l’affermazione di Luciano Manicardi, che «ben al di là del semplice nutrirsi, per l’uomo l’atto del mangiare investe tutti gli ambiti dell’esistenza», è ancor più fondata la possibilità di considerare questo saggio un pretesto per mostrare i ‘giochi’ di cultura e di potere intorno ai ‘fuochi’ di tre cuochi celebri, rappresentativi di altrettante epoche: Umanesimo, Rinascimento e Barocco. L’autore coglie così l’opportunità di soffermarsi sulle elaborate preparazioni di Maestro Martino che, al servizio del cardinale Ludovico Trevisan, trae la soddisfazione di vedere la raccolta delle proprie ricette inserita nel trattato Il piacere onesto e la buona tavola di Bartolomeo Platina – primo prefetto della Biblioteca Vaticana – sostenitore della legittimità della cucina «dopo secoli di condanna al girone della golosità». L’attenzione si sposta poi su Bartolomeo Scappi che, al servizio di tre cardinali e due papi, ha l’onore di predisporre un menù per Carlo V – sul cui impero, si diceva, non tramontasse mai il sole – e negli ultimi anni, quando il suo datore di lavoro è Pio V – autore di leggi severissime contro ogni forma di lusso, gioco e sperpero – giunge quasi al punto di rinunciare alla cucina. Scrive allora «un manuale che mira a essere il punto di riferimento della disciplina culinaria» che include anche il pranzo, mai realizzato ma definito con scrupolo, per la seconda incoronazione di Pio V. L’ultimo grande chef descritto è François Vatel, ideatore della nouvelle cuisine, l’arte di «esaltare il gusto naturale delle diverse pietanze», che lavora per Nicolas Fouquet all’epoca del re Sole. Proprio per il sovrano allestisce un banchetto sontuoso e il successo è tale che, per l’invidia, Luigi XIV lo fa arrestare. Fuggito in Inghilterra, rientra in Francia con un nuovo padrone, Luigi II di Borbone, per il quale deve organizzare una sorta di dimostrazione delle proprie competenze. L’ospite è ancora una volta Luigi XIV che il Borbone vorrebbe convincere per farsi nominare nuovamente comandante dell’esercito. Vatel sente a tal punto la responsabilità dell’evento che, temendo di fallire, si uccide. Antinucci, mescolando sapere e sapori, ripercorre passaggi significativi della storiografia moderna e disegna uno scenario di largo respiro, senza trascurare i dettagli psicologici che tratteggiano personaggi di rilievo e momenti centrali delle vicissitudini umane che si snodano lungo tre secoli. Il tutto amalgamando con ricette semplici e talvolta curiose, fino a strabiliare i lettori riportando i particolari dei «dodici servizi, cinque di credenza – piatti non caldi di cucina – e sette di cucina, per un totale di 221 pietanze diverse, del menù per Sua Maestà Cesarea».
Manlio Graziano
Frontiere
Il Mulino, Bologna 2017
pp. 166 - euro 13,00
di Koikè
di Koikè
Manlio Graziano, per dare contenuto alle proprie riflessioni, sceglie una parola dal gusto ‘eroico’, un lemma che ha dato significato al cammino dei popoli sin dalle prime aggregazioni umane. Questa parola evoca timori, se intesa come elemento di protezione, e auspici di libertà se assunta in senso dinamico. Sulle frontiere – anche quelle dello spirito – si è giocato il progresso della storia. La lingua latina ci aiuta a parlare di frontiere e pensarle in modo corretto: limes, confine che segna separatezza e limen, soglia osmotica che consente relazioni e scambi. Su questa necessaria precisazione, l’autore svolge considerazioni di strettissima attualità, basate su evidenze geopolitiche di straordinaria portata. Il punto di partenza dell’analisi è lo sgretolamento dell’assetto bipolare del mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Quel fatto storico fece presagire l’avvento di una lenta rivoluzione globale che avrebbe potuto abbattere altri confini, facilitando la liberazione dei mercati e una rinascita di politiche unitarie e confortevoli per le aspirazioni di pace tra popoli. Ciò che è invece accaduto pare procedere nella direzione opposta. Si assiste a una rivalutazione dei ‘limiti’, declinati politicamente per segnare diversità e peculiarità da proteggere o da esaltare; un ritorno alle sovranità, in numerose parti del globo, portatrici di antiche rivendicazioni a forte impatto sociale e identitario.
Il pensiero di Graziano restituisce esempi e approfondisce partitamente ogni singola evidenza, componendo un mosaico denso di dimensioni non solo di respiro politico ma anche culturale e religioso che connotano il problema – perché di problema si tratta! – di criticità tutte da esplorare. Le nuove linee di faglia pongono nuovi quesiti, nuove riflessioni e potenzialmente fanno tornare vecchie paure. Una sorta di percorso ‘vichiano’ la cui deriva è tutta da decifrare. Questa lettura affascina – non solo per l’acutezza e l’originalità di trattazione – ma anche perché stimola l’esercizio dell’intelligere un complesso di eventi che probabilmente ritoccheranno i criteri d’impostazione dell’etica politica, al netto di errori possibili e di occasioni perdute. «Le frontiere sono uno tra i tanti oggetti politici: hanno un carattere pluridimensionale e multifunzionale e la loro impronta politica, giuridica, sociale, morale e anche psicologica unita nel tempo e nello spazio».
Fabio Dei
Terrore suicida
Religione, politica e violenza nelle culture del martirio Donzelli, 2016 pp. 173 - euro 18,00
di Arin Aied
Religione, politica e violenza nelle culture del martirio Donzelli, 2016 pp. 173 - euro 18,00
di Arin Aied
Il tema del martirio suicida possiede connotati multidisciplinari e complessi − oggi al centro di una copiosa indagine accademica − che il punto di vista antropologico, espresso in questo studio, riesce a cogliere, ponendosi come interprete di una nuova possibilità di intendere i motivi del martirio violento e degli ideali della politica del massacro, in cui si fondono i destini mortali di carnefici e di vittime, riportati in primo piano nella loro cruda materialità; e diventando strumento di comprensione di quel terrorismo, vertiginosamente assetato di ufficialità, che atterrisce ed è figlio straordinariamente spietato delle lunghe guerre asiatiche che hanno contagiato l’Occidente, pervadendone la quotidianità. Il testo costringe a fare i conti con l’intangibilità di termini quali civiltà, barbarie, moderno, primitivo, «con le classificazioni di purezza e impurità, con le forme di habitus, con le concezioni più profonde e incorporate del bene e del male». Rappresenta un invito a comprendere «dall’interno» le forme con cui prende vita la cultura della violenza: «come aveva già capito Primo Levi non serve a nulla [...] parlarne come ‘orde barbariche’ o di soggetti disumani. Ma ciò non significa che non le condanniamo, che potremmo non essere profondamente oltraggiati da quegli atti e da quella cultura». L’autore riesce a orientare il lettore nella complessità emotiva e razionale del terrore suicida, offrendo informazioni ‘formanti’ attraverso una sintesi felice di riflessioni e valutazioni su coloro «che decidono − spontaneamente e volontariamente, per quanto ne sappiamo, almeno nella maggioranza dei casi − di sacrificare la propria vita per una causa che ritengono superiore, uccidendo con questo stesso atto il maggior numero possibile di ‘nemici’».
In tal modo, anche attraverso l’aggiunta di una considerevole bibliografia, si coglie che «comprendere significa conoscere i contesti, ricostruire le cornici esperienziali e culturali che − sole − danno significato alle azioni e ai discorsi degli attori sociali. Ma è altra cosa rispetto al riconoscere responsabilità individuali nel compiere il bene e il male: queste si possono e si devono individuare, proprio in base al principio del non poter restare neutrali».
Marcello Flores
Il secolo dei tradimenti
Da Matha Hari a Snowden
1914-2014 Il Mulino, Bologna 2017 pp. 323 - euro 24,00
di Takuro
Da Matha Hari a Snowden
1914-2014 Il Mulino, Bologna 2017 pp. 323 - euro 24,00
di Takuro
Il significato di ‘tradire’, letteralmente dal latino, è ‘consegnare’; qualcuno, qualcosa ... anche un’idea. La consegna a un avversario di ciò che si deve custodire, per obbligo morale o giuridico, assume dunque la forza di un disvalore, tanto più riprovevole quanto più danno arreca alla comunità di appartenenza. Questa semplificazione, al di fuori di sofisticatezze semantiche, consente di tenere il filo di lettura del lavoro di Marcello Flores, ricercatore e saggista – che affronta i tradimenti più significativi che hanno seguito l’evoluzione del XX secolo sul sentiero più complesso e drammatico documentato dalla storia moderna. La rappresentazione – che ha la forza impattante del romanzo – parte dalle ostilità delle ‘patrie’ contrapposte, passando agli anni Venti, alle turbolenze belliche della Prima e Seconda guerra mondiale sino alla contrapposizione tra blocchi della Guerra fredda, e poi agli ultimi singulti spionistici dell’attuale fase di globalizzazione. Un esame puntuale e accurato di eventi, spesso conosciuti o sottovalutati, da cui emerge un’importante valutazione: è difficile definire oggettivamente un traditore. L’accusa che possiamo rivolgergli, o la difesa che possiamo concedergli, rispondono a criteri soggettivi e al modo in cui ci poniamo nel complesso delle relazioni di fedeltà e lealtà. Ogni fatto, ogni circostanza ritenuti necessari allo svolgimento del tema sono sviscerati con vigore critico ad alta risonanza dialettica, capace di rivalutare alcuni pezzi di storia per apprezzare il respiro dei grandi avvenimenti del Novecento nel suo insieme. È un metodo assolutamente apprezzabile, anche perché impegna il lettore a pensare il futuro del mondo. I tradimenti analizzati in questo volume appassionano i cultori d’intelligence e spionaggio che potranno inquadrare più compiutamente le segrete manovre dei più celebri Servizi segreti nel magmatico evolversi dell’epoca considerata.
Il testo offre un duplice vantaggio: quello dell’arricchimento storico-culturale, coniugato al fascino delle spy-stories; due mondi rappresentati spesso disgiuntamente, mentre invece sono fortemente e necessariamente correlati.
Su questo punto, l’autore ci ricorda: «L’epoca del tradimento, la sua storia legata alla fedeltà allo Stato e alla Nazione, al sovrano e alla Patria, con il nuovo millennio sembra dissolversi e lasciare spazio a un mondo in cui l’uso del termine tradimento si amplia a dismisura nei confronti di ogni comportamento ritenuto inaccettabile o sgradevole, concentrandosi sempre più soprattutto all’interno della sfera privata o, in quella pubblica, come insulto e accusa generica».
Il testo merita una lettura per capitoli, non tutta d’un fiato. È il modo migliore, e il più saggio, per trarne arricchimento civico.
Paulo Coelho
La spia
La nave di Teseo, 2016
pp. 196 - euro 17,00
di Corito
di Corito
Lo pseudonimo Mata Hari rimanda immediatamente l’immaginario collettivo alla femme fatale, protagonista degli anni a cavallo della Prima guerra mondiale. Proprio tale notorietà, forse, ha spinto Paulo Coelho ad approfondire i risvolti psicologici più significativi di una femminista ante litteram che, in nome della propria indipendenza, ha sfidato uomini, nazioni e pregiudizi sociali. Nel volume, l’autore raffigura Margaretha Geertruida Zelle (questo il suo vero nome) attraverso la sua ultima missiva – quella scritta poco prima di conoscere l’esito del processo per spionaggio a suo carico – confessione e insieme narrazione lungo il cammino tortuoso della sua breve vita.
Il racconto si apre con alcuni passi dell’articolo scritto da Anton Fisherman con Henry Wales per l’«International News Service» del 15 ottobre 1917, che ripercorrono gli ultimi momenti della donna nella prigione di Saint-Lazare, a Parigi. La storia prende forma e, dal bianco e nero della scuola olandese, si dipana il racconto della vita di un personaggio straordinario che, come una fenice, ha saputo rinascere dalle proprie ceneri e prendere il volo verso un’esistenza ricca di avventure, di successo ma anche... di invidie e gelosie che, purtroppo, l’hanno spinta incontro a una fine tragica e forse insensata. Il pregio del volume risiede proprio nella profonda analisi che Coelho dedica alla donna che non ha mai rinunciato ai propri princìpi e che ha cercato con determinazione – anche attraverso mezzi discutibili e metodi non esattamente ortodossi – di piegare il mondo ai suoi piedi. L’obiettivo della vita di Mata Hari è sempre stato quello di essere ‘una donna libera’ e l’autore le fa dire: «non ho inseguito l’amore, che pure è arrivato e se ne è andato – e a causa del quale ho compiuto gesti che ora rinnego – ma ho viaggiato fin dove ero chiamata». Anche la sua condanna, in fondo, non è solo il risultato di un’accusa, può darsi ingiusta, di spionaggio: i detrattori «hanno voluto incriminarla anche per aver osato sfidare le consuetudini puritane, risultato imperdonabile ai loro occhi», ovvero «soltanto perché dovevano distrarre il popolo» nel momento tremendo della guerra. La forza interiore e il coraggio di questa donna controversa, d’altra parte, sono così potenti da permetterle di dire al plotone d’esecuzione, con serena indifferenza: «Sono pronta».
Ivano Dionigi
Il presente non basta
La lezione del latino Mondadori, 2016 pp. 112 - euro 16,00
La lezione del latino Mondadori, 2016 pp. 112 - euro 16,00
trascrizione del capitolo Tre domande
Come mai nell’era del web planetario e del maximum di mezzi di comunicazione, minima è la comprensione? Evidente il divorzio delle parole (verba) dalle cose (res): le une e le altre perseguono una sciagurata autonomia. Costruttori di una quotidiana Babele linguistica, nella quale una stessa parola rinvia a significati diversi e parole diverse vengono indirizzate verso un senso unico, viviamo nel bisogno e nell’attesa di una pentecoste laica che ci consenta di leggere il mondo e di capirci. Come mai per cento persone adulte che partecipano a un incontro politico vi sono mille giovani che accorrono alla lettura di Lucrezio, Seneca, Agostino? Verrebbe da dire che, in questo Paese, affetto da miopia è il legislatore e non il cittadino; che minati nella credibilità sono i classicisti e non i classici; che la scuola, sovrastata dalle tante ragioni del presente, ha smarrito la ragione del suo essere, vale a dire quella di capire, di intellegere, «cogliere (legere) ciò che sta dentro (intus) le cose». Come mai ci ostiniamo a credere che il presente si riduca alla novità e che la novità esaurisca la verità? Evochiamo e invochiamo da tempo e in ogni momento un Rinascimento dalle varie declinazioni – artistica, urbana, imprenditoriale – ma ignoriamo che qualunque Rinascimento ha rimosso il presente e non il passato: un passato che anzi va recuperato, riletto, rivissuto. Il Rinascimento non appartiene ai signori del presente, e senza il paradigma della memoria non si dà alcuna rinascita, ma solamente feticcio o utopia. Come gli interlocutori di Erasmo negli Antibarbari, che si interrogavano sulla decadenza del presente e sull’inferiorità rispetto ai padri, anche noi preferiamo individuare cause esterne, incolpando ora «le stelle», ora «la religione», ora «la vecchiezza del mondo». No, ammoniva Erasmo: «la colpa è degli uomini». A fronte della doxa rumorosa, della chiacchiera imperante e di una vera e propria anoressia del pensiero, urge imboccare la strada del rigore, abbassare il volume e dare il nome alle cose: illusi e urticati da troppe risposte e da troppo poche domande, da troppi perché causali e troppo pochi perché interrogativi. L’ars interrogandi è più rara e più difficile dell’ars respondendi, ma più risolutiva. Intento di queste pagine non è dimostrare, con Leibniz, che il latino è una «lingua durabilis in aeternitatem», bensì più semplicemente documentare e anche testimoniare la triplice dimensione – o meglio la triplice eredità – di cui il latino ci mette a parte: il primato della parola, la centralità del tempo, la nobiltà della politica.
Come mai nell’era del web planetario e del maximum di mezzi di comunicazione, minima è la comprensione? Evidente il divorzio delle parole (verba) dalle cose (res): le une e le altre perseguono una sciagurata autonomia. Costruttori di una quotidiana Babele linguistica, nella quale una stessa parola rinvia a significati diversi e parole diverse vengono indirizzate verso un senso unico, viviamo nel bisogno e nell’attesa di una pentecoste laica che ci consenta di leggere il mondo e di capirci. Come mai per cento persone adulte che partecipano a un incontro politico vi sono mille giovani che accorrono alla lettura di Lucrezio, Seneca, Agostino? Verrebbe da dire che, in questo Paese, affetto da miopia è il legislatore e non il cittadino; che minati nella credibilità sono i classicisti e non i classici; che la scuola, sovrastata dalle tante ragioni del presente, ha smarrito la ragione del suo essere, vale a dire quella di capire, di intellegere, «cogliere (legere) ciò che sta dentro (intus) le cose». Come mai ci ostiniamo a credere che il presente si riduca alla novità e che la novità esaurisca la verità? Evochiamo e invochiamo da tempo e in ogni momento un Rinascimento dalle varie declinazioni – artistica, urbana, imprenditoriale – ma ignoriamo che qualunque Rinascimento ha rimosso il presente e non il passato: un passato che anzi va recuperato, riletto, rivissuto. Il Rinascimento non appartiene ai signori del presente, e senza il paradigma della memoria non si dà alcuna rinascita, ma solamente feticcio o utopia. Come gli interlocutori di Erasmo negli Antibarbari, che si interrogavano sulla decadenza del presente e sull’inferiorità rispetto ai padri, anche noi preferiamo individuare cause esterne, incolpando ora «le stelle», ora «la religione», ora «la vecchiezza del mondo». No, ammoniva Erasmo: «la colpa è degli uomini». A fronte della doxa rumorosa, della chiacchiera imperante e di una vera e propria anoressia del pensiero, urge imboccare la strada del rigore, abbassare il volume e dare il nome alle cose: illusi e urticati da troppe risposte e da troppo poche domande, da troppi perché causali e troppo pochi perché interrogativi. L’ars interrogandi è più rara e più difficile dell’ars respondendi, ma più risolutiva. Intento di queste pagine non è dimostrare, con Leibniz, che il latino è una «lingua durabilis in aeternitatem», bensì più semplicemente documentare e anche testimoniare la triplice dimensione – o meglio la triplice eredità – di cui il latino ci mette a parte: il primato della parola, la centralità del tempo, la nobiltà della politica.
Federico Prizzi
Antropologi in guerra
La spedizione nazionalsocialista in Amazzonia NovAntico Editrice, 2017 pp. 312 - euro 35,00
La spedizione nazionalsocialista in Amazzonia NovAntico Editrice, 2017 pp. 312 - euro 35,00
Il volume è dedicato all’analisi delle motivazioni che spinsero il III Reich a intraprendere nel 1935 una spedizione nella foresta amazzonica, al confine con la Guyana francese. Una missione che sarà alla base del cosiddetto ‘Progetto Guyana’, ovvero del piano d’invasione della colonia francese presentato nel 1940 al Reichsführer SS Heinrich Himmler dall’antropologo e geografo tedesco Otto Schulz-Kampfhenkel. Lo studioso era stato per due anni a capo della spedizione etnografica nella foresta brasiliana e, durante la guerra, sarebbe stato responsabile del ‘Commando Dora’, unità speciale della Luftwaffe composta da antropologi, geografi, geologi e mineralogisti. Compito del gruppo era di studiare gli insediamenti indigeni e la morfologia dei terreni, anche mediante l’Imagery intelligence, per valutare, ad esempio, la fattibilità di un’offensiva mossa dalle forze anglo-americane dal Ciad contro i contingenti italo-tedeschi schierati nel territorio libico. Quell’area africana, infatti, è composta da regioni geomorfologiche diverse: la parte meridionale, in particolare, presenta evidenti analogie con il territorio amazzonico in quanto caratterizzata da un clima di tipo subequatoriale con due stagioni piovose e prevalenza di savana alberata, con tratti di foresta a galleria. Successivamente l’intelligence tedesca impiegherà il ‘Commando Dora’ anche sul fronte balcanico e russo per la predisposizione di mappe e lavori cartografici.
Federico Prizzi, ragionando sul contenuto del diario di Schulz-Kampfhenkel, descrive il ruolo fondamentale rivestito dagli antropologi nelle attività condotte in Sudamerica, sostenendo come quelle spedizioni s’inserissero in un disegno volto a garantire risorse e appoggi internazionali in previsione del possibile conflitto con gli anglo-americani. Il tutto attraverso un’intensa opera dell’intelligence che, come avviene ancora oggi, fa ricorso anche a ricerche di vario genere sul campo per mascherare la propria attività. Il saggio si completa con uno studio sull’esperienza scientifica di quella spedizione sia in America Latina che nel corso della Seconda guerra mondiale e rappresenta una godibile occasione per comprendere il ruolo che le ricerche antropologiche possono rivestire per i Servizi segreti di uno stato