recensioni e segnalazioni 3/2016
John Maynard Keynes
Le conseguenze economiche della pace
Adelphi, 2007
pp. 233 - euro 22,00
di Noeda
di Noeda
Il trattato di Versailles, stipulato nell’ambito della Conferenza di Parigi (1919-1920), è uno degli accordi di pace che pose ufficialmente fine alla Prima guerra mondiale, il più imponente ‘tritacarne’ che avesse coinvolto l’umanità sino ad allora. Esso sancì la nascita della Società delle Nazioni, il cui scopo principale era d’inaugurare una nuova era di stabilità bilanciata, fondata sulla concertazione politica e l’autodeterminazione dei popoli. Il profondo respiro che animò quegli accordi si dimostrò una chimera quando, circa vent’anni più tardi, l’Europa divenne il focolaio del Secondo conflitto mondiale. Questo libro racconta l’esperienza vissuta da Keynes nelle ultime settimane di lavoro ai tavoli di Versailles dove, in qualità di rappresentante del ministero del Tesoro della Corona britannica, s’era opposto alle traiettorie politiche privilegiate dai maggiorenti occidentali che basavano le scelte di ricomposizione geostrategica esclusivamente sui concetti di ‘frontiera’ e di ‘sovranità’. Da grande economista, la cui visione avrebbe rivoluzionato il pensiero macroeconomico dell’era contemporanea, contrastò accanitamente e appassionatamente la convinzione secondo cui la Grande Guerra appena spentasi avrebbe posto fine a tutte le guerre. Più precisamente, e con lungimiranza quasi profetica, tentò di convincere i vincitori che le draconiane riparazioni imposte alla Germania avrebbero riportato il Continente – nell’arco di pochi decenni – sul baratro di un nuovo drammatico conflitto, causato dall’inasprirsi incontrollato del pauperismo con il conseguente vanificarsi del nuovo ordine sociale auspicato. Il pensiero di Keynes rimase inascoltato, prevalendo il criterio del primato di una politica miope e frettolosa, incapace di riporre fiducia nella predittività ragionata del nostro autore che, sconfortato dalla sordità dei governanti d’allora, decise di rimettere il proprio mandato nelle mani di David Lloyd Gorge – rappresentante inglese a Versailles – il 7 giugno 1919. Nella circostanza, e poco prima di porre mano a questo testo, valutando l’atteggiamento di Georges Benjamin Clemenceau – Primo ministro francese, tra i più rigidi sostenitori della linea dura contro la Germania sconfitta – ebbe a chiosare: «Questa è la politica di un vecchio, le cui più vivide impressioni e la cui fervida immaginazione sono del passato e non del futuro. Egli vede solo Francia e Germania, non l’umanità e la civiltà europea verso un nuovo ordine di cose». A distanza di nove decenni, il lavoro di Keynes, puntuale e rigoroso, costituisce ancora una lezione ineludibile di politica economica e sociale. La legittimità delle sanzioni imposte ai vinti e l’amministrazione degli equilibri di qualsiasi dopoguerra costituiscono i fattori determinanti e vincolanti di ogni onesto sforzo per assicurare pace e prosperità durature. Il lucido diario di uno dei maggiori economisti del pianeta suona come un monito, affinché le pacate ma inesorabili denunce contenutevi possano evitare il ripetersi di concatenate scelte suicide, in specie nei vortici della globalizzazione. Un testo dall’attualità tematica sconcertante e declinato con prosa asciutta, tagliente, giustamente assertiva. Un libro che, avversato per lunghi anni dopo la sua uscita, è divenuto una leggenda e dovrebbe ispirare l’operato di ogni organismo sopranazionale, così come alimentare il lavoro degli analisti contemporanei impegnati a definire scenari post bellici.
Michael V. Hayden
Playing to the Edge
Penguin Press, 2016
pp. 464 - euro 27,73
di Myagi
di Myagi
Gli autori del volume, ricco di comparazioni e richiami storici, hanno vinto una bella scommessa. Sono riusciti a centrare il cuore dei tanti ‘perché’ che animano il cittadino occidentale davanti alla realtà apparente dell’Isis; questo califfato fluido che ha mutato e potenziato il jihad in molti scacchieri del mondo. La linea maestra delle riflessioni proposte è scolpita nella prima pagina: «Voi dite che la buona causa santifica persino la guerra? E io vi dico: la buona guerra santifica ogni causa» (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1885). Una proposizione calzante.
I quattro capitoli in cui si declina il testo rimangono coerentemente ancorati al quesito e accompagnano il lettore alla comprensione dello svolgimento delle considerazioni conclusive, ardue e coinvolgenti. Il rumore di fondo che guida il ragionamento è il dubbio che l’asimmetrico sviluppo di violenza in corso possa nascondere il tentativo di Daesh di dimostrare ai musulmani sunniti che il vero nemico siamo noi ‘crociati’ e non che ci si trovi solo davanti a una ripresa della ‘guerra santa’, ad alta intensità. Questa versione implica drammaticamente la responsabilità delle Potenze occidentali e viene presentata attraverso la lucida analisi delle più recenti vicende terroristiche che hanno segnato gli scacchieri caldi del mondo, passando per le risposte muscolari di Stati Uniti, Russia e Francia. Sono risposte che il ragionamento degli autori offre come scelte tatticamente scontate ma, forse, culturalmente e politicamente immature (idiozia?).
Si tratta di una rappresentazione scomoda e allarmante che tira in ballo l’intera consistenza e impotenza del repertorio di contrasto disponibile da parte dell’Occidente: misure d’intelligence, diplomazia ondivaga, configurazioni militari ad hoc, strategie di dialogo, azioni d’influenza e contronarrativa. Un pacchetto di soluzioni in linea con l’ortodossia di maniera che la minaccia in campo rischia di far apparire desueto e inadeguato, non foss’altro per i costi da sostenere e per una miopia prospettica che rende difficile disegnare lo scenario in cui anche le armi dei nuovi martiri torneranno a tacere. Immaginare i quartieri della futura geopolitica risulta, dunque, un esercizio impervio. Ed è nel capitolo delle conclusioni che l’elaborato offre al lettore l’epilogo del ragionamento adottato.
I fuochi di guerra accesi negli ultimi anni dai combattenti del rinnovato radicalismo non sono il frutto di uno scontro tra civiltà, non rappresentano il riacutizzarsi di una mai sopita antitesi tra religioni ovvero la dimostrazione dell’incessante tendenza al settarismo dell’Islam, dilaniato da oltre 1.200 anni da scismi, eresie e apostasie di matrice teologica. Quello che abbiamo di fronte è il risultato delle azioni di un’organizzazione criminale autoreferenziatasi – forse anche eterodiretta – che opera su basi metareligiose, sorrette da inconfessabili interessi, riconducibili ad altri soggetti della politica mondiale.
Il testo ha il pregio di trarre spunto dalla crudezza della cronaca e, al contempo, di sviluppare un’interessante teoria sui possibili errori nella lotta contro l’oscurantismo islamista. È lettura che stimola, come poche, la capacità di interpretazione del presente, per evitare pericolosi e acritici luoghi comuni che potrebbero falsare l’onestà interpretativa delle nuove generazioni, chiamate a confrontarsi con una sfida epocale.
Mario Caligiuri (a cura di)
Intelligence e scienze umane.
Una disciplina accademica per il XXI secolo Rubettino, 2016 pp. 164 - euro 15,00
di Mariateresa Gammone
Una disciplina accademica per il XXI secolo Rubettino, 2016 pp. 164 - euro 15,00
di Mariateresa Gammone
Il volume presenta temi trattati da alcuni dei maggiori studiosi dell’intelligence e pone il problema del suo insegnamento nelle università. Il quadro d’insieme è complesso: tra gli altri, Giuseppe Spadafora evoca Dewey e la pedagogia della democrazia che, purtroppo, rimane «soltanto un’ipotesi». Virgilio Ilari, trattando di storia e di intelligence, sottolinea che c’è «un mare di letteratura dietrologica». Carlo Mosca sostiene che ancora molto nell’intelligence è in discussione in punto di diritto. Giorgio Galli analizza i rapporti tra democrazia e intelligence, e ribadisce le sue note tesi sulla rilevanza dei fenomeni occulti. Umberto Gori si sofferma su intelligence e relazioni internazionali, rimarcando la caoticità e l’instabilità del sistema internazionale. Pino Arlacchi pone in luce le capacità previsionali dell’intelligence e dell’accademia, sostenendo che non sono adeguatamente sfruttate. Francesco Sidoti evidenzia quanti errori abbiano costellato la storia dell’investigazione, con tanti innocenti in carcere e tanti colpevoli in libertà (secondo molti, questi sarebbero i temi principali della crisi italiana, sotto il profilo dell’investigazione criminale). Nella prefazione, Mario Caligiuri sottolinea che viviamo in una società dell’informazione che è anche società della disinformazione. Pur se per certi versi scoraggiante, questa rassegna costituisce la base per proporre il riconoscimento dell’intelligence come disciplina accademica. Non è una proposta indecente perché, se l’intelligence ha i suoi problemi, anche l’università non ne è immune, così come ricordato attraverso il richiamo al volume di Roberto Perotti, L’università truccata (Einaudi 2008). La crescita del nostro Paese ha bisogno dell’università perché, pur in una fase di profonda trasformazione, essa occupa tuttora posizioni fondamentali, che detiene da secoli, nella ricerca e nella formazione. Con un’ardita innovazione, tanti atenei sono stati ufficialmente visitati dalla nuova gestione dei vertici dell’intelligence: c’è dunque uno spazio importante da riconsiderare e da costruire, auspicando che ciò avvenga nell’interesse sia dell’intelligence sia dell’università.
Frederick Forsyth
L’outsider.
Il romanzo della mia vita Mondadori, 2015
pp. 331 - euro 22,00
di Masao
Il romanzo della mia vita Mondadori, 2015
pp. 331 - euro 22,00
di Masao
La penna è la stessa di quando tratteggia i suoi personaggi impossibili ma ben piantati nei meandri della storia contemporanea. Gli stessi personaggi che hanno segnato le fortune della letteratura di spionaggio, creando scenari d’azione e speculando sulle dimensioni più nascoste dello spirito umano. Questa volta Forsyth capovolge le carte in tavola e, senza tradire il proprio personale stile, rivolge su se stesso le luci del racconto, scegliendo la via dello zibaldone. Racconta la sua vita romanzesca che sembra tratta dalla sintesi perfetta delle sue opere e dalla personalità complessa dei suoi beniamini immaginari. Nel corso della propria esistenza lo scrittore è riuscito a sfuggire a un trafficante d’armi ad Amburgo, è stato mitragliato da un Mig durante gli anni della guerra civile nigeriana, è stato arrestato dalla Stasi e ospitato dagli israeliani, fino a confrontarsi con esponenti dell’Irish Republican Army e della polizia segreta cecoslovacca. Una vita spregiudicata e pericolosa, in parte al servizio di Sua Maestà britannica in parte fedele alla musa che lo ha sempre guidato: l’avventura. La storia che oggi ci racconta è il diario delle avventure di un outsider di razza che, non più in tenera età e dopo aver raggiunto la fama di prestigioso scrittore e giornalista investigativo, sceglie di offrirci un’autobiografia non distante dal parabolico mondo che ha immortalato in Dossier Odessa, I mastini della guerra, Il Cobra. Dai racconti e dai ricordi inanellati in questa fatica emerge la cifra dell’uomo e dell’artista. A 76 anni si risolve a una piacevole introspezione che ha il sapore del successo e la disincantata ammissione di aver avuto molto dalla vita, di averla sfidata e raccontata con fantasia e impegno artistico. Forsyth, che è stato una vera spia e tra i migliori ‘architetti’ di spy-story degli ultimi decenni, conferma in questa circostanza editoriale il suo metodo espressivo personalissimo, ovvero di scrivere i romanzi con tratto giornalistico e con particolare attenzione per la dimensione internazionale delle trame. Due caratteristiche in grado di sollecitare riflessioni e considerazioni pertinenti allo scorrere degli eventi geopolitici, sui quali ha saputo innestare il temperamento, il travaglio, l’entusiasmo, le follie dei suoi personaggi. Questo libro si legge tutto d’un fiato e sa suscitare l’invidia di chi sceglie le pantofole e una comoda poltrona ma, non è certamente il canto del cigno di un genio del racconto.
Adrian O' Sullivan
Nazi Secret Warfare in Occupied Persia (Iran).
The Failure of the German Intelligence Services, 1939-45 Palgrave Macmillan, Basingstoke (UK), 2014 pp. 286 - euro 57,95
Espionage and Counterintelligence in Occupied Persia (Iran).
The Success of the Allied Secret Services, 1941-45 Palgrave Macmillan, Basingstoke (UK), 2015 pp. 293 - euro 89
di Maria Gabriella Pasqualini
The Failure of the German Intelligence Services, 1939-45 Palgrave Macmillan, Basingstoke (UK), 2014 pp. 286 - euro 57,95
Espionage and Counterintelligence in Occupied Persia (Iran).
The Success of the Allied Secret Services, 1941-45 Palgrave Macmillan, Basingstoke (UK), 2015 pp. 293 - euro 89
di Maria Gabriella Pasqualini
Questi due volumi, tra loro strettamente connessi, sono frutto di una seria ricerca storica su documenti originali, frutto di un autore che ha per lungo tempo lavorato nel settore linguistico dell’intelligence. Si tratta di una ricerca pionieristica nel campo dell’azione dei Servizi informativi nazisti in Iran e del controspionaggio alleato. Sei anni di ricerche in archivi tedeschi, inglesi e americani hanno permesso all’autore di far luce su un argomento ancora poco noto agli studiosi: come e perché i nazisti fallirono in quel territorio estremamente importante per l‘andamento della guerra contro l’Unione Sovietica. Volumi densi di notizie e analisi lucide. Perché i tedeschi hanno fallito? Nell’ambito dei Servizi nazisti ci furono pressioni da Berlino, senza una reale conoscenza delle questioni sul territorio; rivalità fra i Servizi stessi... mentre gli anglo-americani, con operazioni concordate e coese (nonostante non sempre fossero in accordo), e l’appoggio della dinastia Pahlavi, riuscirono a prevalere sul nemico. I volumi narrano di singole operazioni, di spie, di agenti doppi, di lanci di paracadutisti, d’intrighi complessi, di forze di sicurezza alleate che garantivano linee di comunicazione, oleodotti e la via dei rifornimenti che dovevano giungere all’Unione Sovietica attraverso quello che è conosciuto storicamente come ‘il corridoio persiano’. La vicinanza di Shah Reza Khabir Pahlavi al Reich gli costò il trono nel settembre 1941. Il figlio, Mohammad Reza Shah Pahlavi, prese il potere giovanissimo sotto la longa manus degli inglesi che con gli Stati Uniti riuscirono così dal 1941 a contrastare con efficacia il pericolo nazista in quel settore strategico regionale. Una narrazione storica che si legge come un romanzo, pur nella sua correttezza scientifica. I volumi di O’Sullivan riempiono senza dubbio una lacuna negli studi sull’intelligence relativa a quel periodo storico in Iran.
Alessandra Necci
Il diavolo zoppo e il suo compare
Marsilio, 2015
pp. 662 - euro 19,00
di Itao
di Itao
I lettori di questo libro, voltata l’ultima pagina, avranno una certa difficoltà a definirlo e inquadrarlo nella poliedrica gamma dei generi letterari. L’autrice, infatti, nel suo pregevole lavoro riesce a fondere, con il tratto avvolgente dello stile romanzesco, l’antropologia con la storia e quest’ultima con la psicologia. Il testo, con le sue densissime 600 pagine, si incentra sulle figure di due uomini celebri quanto enigmatici: Charles-Maurice de Talleyrand e Joseph Fouché, vissuti in Francia a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Il primo, ministro degli Esteri di Napoleone, l’altro, ministro della Polizia dello stesso Direttorio imperiale. Due personaggi scaltri, subdoli e grandi manipolatori che incarnano perfettamente il paradigma dell’opportunismo politico, quale strumento primario di conduzione delle alte strategie di governo, in un’epoca dove la priorità assoluta era il ‘potere delle corone’ e non il bene delle masse. Un’epoca di straordinaria importanza per tracciare i futuri del continente, quella tra l’Ancien Règime e la Restaurazione, rispetto alla quale i due personaggi hanno esercitato un protagonismo a dir poco funambolico, riuscendo a sopravvivere a monarchia, rivoluzione, terrore e ai mille travagli che l’Europa moderna andava vivendo. Furono attori di cambiamento, suggeritori di trame, tessitori di vere e false alleanze, sofisticati lobbisti, nel segno della grandeur francese e del proprio tornaconto. Una sorta di semidei ellenici, dispensatori di vaticinii inesorabili e utilitaristici, sullo scenario di una ‘tragodia’ densa di rinnovamenti ma anche di atrocità. E l’atrocità perfetta che costituì il loro capolavoro fu la caduta di Bonaparte, senza disarticolare la centralità della Francia nel processo di ristrutturazione geopolitica del vecchio continente, lasciando spazio alle future diplomazie e alle logiche spartitorie che hanno guidato il corso della nostra storia più recente. La loro fu una vita di tradimenti, di voltafaccia e di prospettico cinismo, comportamenti amorali che solo per semplicità potremmo ricondurre alle categorie del pensiero di Machiavelli ma che, a ben considerare, risiedono nel profondo dell’animo umano, non foss’altro per spirito di sopravvivenza o rivalsa. Sin dall’antichità il tradimento costituisce una delle traiettorie della convivenza e della politica, cantata e aborrita da filosofi e tragediografi, ma solo con l’illuminismo questo ‘infame istituto’ si separa nettamente dall’etica per divenire un’accettata prassi, spesso mascherata da necessità contingente, per sostenere interessi vitali. Tra i protagonisti di questa deriva registriamo proprio Talleyrand e Fouché, due figure magnificamente dipinte dall’autrice e che, filtrate dal vaglio di una puntuta storiografia, finiscono col pagare pesantemente l’esame della posterità. Benché avvolti da un’aurea di fascino e di ammirazione essi rimangono giustamente interdetti dal novero dei grandi statisti. Abilità politica e alto senso dello Stato non sempre combaciano. L’opera della Necci costituisce un monito per i giorni nostri poiché la storia è destinata a ripetersi, riciclando criteri e costumanze immarcescibili.
Stefano Musco - Fabrizio R. Genovese
La scacchiera grigia.
Esegesi, pensiero e tecniche dello spionaggio Nuova Argos, 2016 pp. 192 - euro 10,00
di Alessandro La Ciura
Esegesi, pensiero e tecniche dello spionaggio Nuova Argos, 2016 pp. 192 - euro 10,00
di Alessandro La Ciura
Il terzo libretto della collana «Segreti» consolida la progettualità editoriale che vuole offrire al lettore, sia di nicchia o neofita, spunti di riflessione sui diversificati aspetti del mondo dell’intelligence, affrontando temi su cui esiste una apprezzata bibliografia ma secondo approcci per certi versi inediti. Ne è esempio il lavoro di Musco e Genovese, che ha il merito di ri-combinare le conoscenze, da una parte, dell’evoluzione storica della funzione d’intelligence e dall’altra, dell’apporto della scienza matematica e, più in generale, della tecnologia all’attività informativa, in una visione dinamica di confronto con l’Altro, che di volta in volta veste gli abiti del concorrente o del nemico. Altro da conoscere e superare, in una spirale di competizione che si declina nella prassi come su una scacchiera, figura simbolica richiamata dal titolo che, nella sua forza evocativa di intelligente gioco delle parti, semplifica l’agone conflittuale in cui è chiamato a cimentarsi l’a-gente segreto delle diverse epoche storiche. Il lettore è guidato tra i suoni e i silenzi di un’attività segreta che, se non ha fatto la storia ne ha comunque fluidificato i meccanismi, sfruttando le spinte innovative sui piani della geopolitica e della tecnologia. Intelligence che non smette mai di pensarsi e d’innovarsi, sempre ai confini tanto della geografia da proteggere quanto della conoscenza da avanzare, in un mondo segreto di sfide permanenti, di cifrari da inventare e da violare, di duelli psicologici in cui si penetra il labirinto delle scelte altrui, in cui s’anticipa la reazione in uno spazio simulato e creativo come nella teoria dei giochi, missili di algoritmi sull’intimo pensiero dell’avversario, sotto la stella delle conquiste militari o di quelle filosofiche e scientifiche, entrambi fondamentali per protendersi verso il futuro che dell’informazione è la vera Patria.