recensioni e segnalazioni 1/2015
Jason Webster
The Spy with 29 names.
The story of the Second World War’s most audacious double agent Chatto & Windus, 2014 pp. 322 - £ 16,99
di Lasthero
The story of the Second World War’s most audacious double agent Chatto & Windus, 2014 pp. 322 - £ 16,99
di Lasthero
‘Alaric’, ‘Garbo’, ‘il poeta indiano straccione’, ‘senhor Carvalho’, ‘il nazionalista gallese’, ‘il marinaio greco’: sono alcuni dei nomi partoriti dalla fantasia di Juan Puyol, una delle più grandi ‘spie’ di tutti i tempi. La sua storia, innervata nel corso della Seconda guerra mondiale, è raccontata da Jason Webster in modo così vivido che, a tratti, un lettore sensibile potrebbe sentire il desiderio di alzarsi in piedi per rendere omaggio al sacrificio dei combattenti caduti. Sensazioni e sentimenti suscitati in chi legge rispondono alla capacità dell’Autore di affondare le radici dell’opera nella verità storica: senza mai perdersi in un tedioso ‘conto delle baionette’, vengono sottolineati in modo elegante la supremazia di forze degli alleati durante lo sbarco di Normandia, la capacità di resistenza del popolo britannico, la fierezza delle truppe tedesche, le operazioni navali e terrestri (vere e finte) che costituiscono il prodromo del più grande sbarco militare della storia e dove Puyol dimostra tutto il suo genio. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il punto di forza del romanzo non è il ritmo incalzante ma, piuttosto, la coltre di fascino con cui l’autore avvolge il racconto e coinvolge il lettore, così che lo scorrere delle pagine sia interrotto solo dagli slanci di fantasia evocati dalla lettura stessa.
Puyol è ‘Alaric’, un agente segreto con base a Londra che lavora per l’Abwher; ha messo in piedi un’efficientissima rete d’informatori che i tedeschi chiamano ‘Arabal’, poi ribattezzata dagli inglesi ‘Arabel’, con un pizzico di anglofona malizia. Il flusso di comunicazioni ai tedeschi è intercettato a Bletchley Park; le informazioni sono importanti e provengono da un agente che invia messaggi dal cuore del Regno: il pericolo è serio. Ma ecco il colpo di scena: a una seconda lettura, le informazioni intercettate sono sì significative… ma false; a ben vedere non possono nemmeno essere state inviate dall’Inghilterra: troppo approssimativi i riferimenti, troppo ‘poco inglese’ il contenuto… Si tratta di una spia, al servizio dei tedeschi, che invia a Berlino informazioni sbagliate! Contrordine: non bisogna fermare ‘Alaric’, bisogna reclutarlo. Senza insospettire i tedeschi.
Puyol era spagnolo, nato nel 1912 da una famiglia benestante perseguitata dai rivoluzionari repubblicani; durante la guerra civile si era arruolato nelle loro fila con l’intenzione di disertare a favore dei nazionalisti ma, dopo la vittoria del Generalissimo, era stato maltrattato anche dai franchisti. Aveva così sviluppato un odio per tutte le ideologie e individuato l’Inghilterra come unica dimora di democrazia in Europa. Quando gli inglesi scoprirono chi era Puyol, rimasero impressionati: le sue fonti, ‘Stanley, il nazionalista gallese’, ‘il tesoriere’, ‘Dick il sudafricano’, ‘il tenente’, ‘l’amante’, ‘il parente’, tutta la sua rete d’informatori, ‘Arabel’ non era altro che sempre lui, Puyol! Un uomo solo che, da Lisbona, era riuscito a convincere i tedeschi di essere nel cuore dell’Inghilterra e di tenere in scacco quasi tutto l’apparato militare della Corona britannica. Tutto era frutto della sua straordinaria fantasia e della sua memoria inossidabile: ventinove nomi, ventinove storie, altrettante fonti d’informazione, mai una sbavatura, mai un sospetto. Puyol, peraltro, aveva già bussato all’Ambasciata britannica a Madrid e a Lisbona, ma non era stato preso in considerazione; inutile dire che quella prima, precipitosa valutazione fu rivista in fretta: ribattezzato ‘Garbo’ (per l’evidente capacità di recitare la parte), Puyol fu inviato a Londra e inserito dall’MI5 nell’operazione Fortitude, la vasta manovra di controinformazione destinata a ingannare i comandi tedeschi sul momento e sul punto d’approdo del programmato sbarco in Normandia.
Parte dell’esito del lavoro di Puyol ce lo insegna la storia, con le temutissime Panzer Division tenute prudenzialmente di riserva nei pressi di Calais, in attesa di uno sbarco (e poi di una seconda ondata) che non arrivò mai; l’opposizione delle truppe tedesche in Normandia fu, rispetto alle potenzialità della Wehrmacht, debole e mal pianificata, le truppe alleate in meno di un mese sbarcarono e iniziarono a filare verso Parigi. Quello che molti non sanno, ma che questo libro svela, è che furono ancora le informazioni, false, del solo Puyol, a far pendere in favore degli alleati le sorti della battaglia che segnò la svolta dell’ultimo conflitto mondiale.
Le operazioni Fortitude e Bodyguard misero in atto una fitta serie di diversivi per disorientare le capacità di difesa tedesche: molta letteratura ha indugiato sulle famose ‘divisioni corazzate di cartapesta’, agli ordini del Generale Patton, che avrebbero distolto l’attenzione di Rommel dalla minaccia vera in arrivo sulle coste della Normandia. Quasi tutte queste azioni diversive, però, furono derubricate dall’intelligence tedesca a sotterfugi da operetta.
L’unica manovra la cui spettacolare riuscita condizionò l’esito del conflitto fu proprio quella suffragata dalle informazioni di ‘Garbo’. Perfino a sbarco avvenuto, le migliori divisioni tedesche furono trattenute dal contrastare le truppe alleate perché ‘Garbo’ (‘Alaric’ a Berlino) spiegava all’Oberkommando di rimanere in attesa di altre 25 divisioni (forse quelle di cartapesta) prossime a lanciare la ‘vera’ offensiva, ben più temibile della prima. Inutile dire che l’unica offensiva da temere era proprio quella iniziata il D-Day, addì 6 giugno ’44. Altre non ve ne furono e non ve ne potevano essere. ‘Alaric’ fu insignito della Croce di Ferro per i grandi servigi resi al Reich e ‘Garbo’ fu insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servigi resi alla Corona: una vicenda più prossima alla fantasia che alla realtà; una storia che, diversamente da tante altre, occorre solo raccontare, non romanzare per interessare il lettore.
Ma come ha fatto Puyol a maturare un credito e una fiducia così inossidabili da far pendere tutta la Germania dalle sue labbra, a volte anche a dispetto del buon senso? È qui che Webster scrive le pagine più belle del libro, mettendo in luce una capacità di descrivere i dettagli che può ricordare la narrativa di Tomasi di Lampedusa: l’accuratezza e la precisione di ‘Garbo’ erano straordinarie. La sua capacità di recitare, di improvvisare e di mettersi nei panni dei suoi interlocutori era fuori dal comune. La sua visione d’insieme era lucidissima. Si era costruito margini di manovra amplissimi grazie alla sua, inesistente, rete d’informatori sparsi per il mondo: incrociava la provenienza delle sue informazioni in maniera imprevedibilmente convincente. Per acquisire la fiducia dei tedeschi più sospettosi commetteva errori o dava in ritardo notizie vere: così che fossero sempre confermate, ma inutili; quindi, per giustificarsi, usava le scuse più banali, facendo finta di rimanere spiazzato al momento delle rimostranze. La sua genialità, vestita con gli abiti dimessi, ma comodi, della semplicità, insieme al suo talento da attore convincevano a tal punto i tedeschi che questi iniziarono a privilegiare la sua parola rispetto all’evidenza.
Originale e intenso l’epilogo, sottotitolato What if? E cioè, cosa sarebbe successo se ‘Garbo’ non fosse mai esistito? In primo luogo, il fatto che ‘Garbo’ sia esistito è dovuto essenzialmente a serendipity: un insieme di circostanze fortuite che portano la persona giusta al posto giusto, nel momento in cui serve di più. Ove non fosse accaduto, con ogni probabilità lo sbarco in Normandia sarebbe stato un fallimento; plausibilmente, anni dopo, la Germania avrebbe perso ugualmente la guerra, ma a che prezzo per l’Europa? L’Armata Rossa premeva sui confini orientali: una volta fiaccata la resistenza tedesca, senza una presenza alleata sul fronte occidentale, si sarebbe fermata a Berlino o avrebbe tirato dritto per Parigi, ipotecando così la libertà di mezza Europa? Un gioco «d’intelletto», come lo definisce Webster, «che si spinge nei regni della speculazione estrema […] ma è un gioco divertente».
Arrigo Petacco
Nazisti in fuga
Intrighi spionistici, tesori nascosti, vendette e tradimenti all’ombra dell’Olocausto Arnoldo Mondadori, 2014 pp. 179 - euro 19,00
di Corito
Intrighi spionistici, tesori nascosti, vendette e tradimenti all’ombra dell’Olocausto Arnoldo Mondadori, 2014 pp. 179 - euro 19,00
di Corito
L’avvincente volume che propone ai lettori Arrigo Petacco – giornalista e storico, noto al grande pubblico – ricostruisce la fuga dei principali criminali nazisti dopo il crollo della Germania alla fine della Seconda guerra mondiale.
Se Hitler era disposto a combattere sino alla morte e all’apocalisse finale, numerosi tra gerarchi, finanzieri e industriali non erano convinti di tale opzione e, già dalla sconfitta di El Alamein o dal disastro di Stalingrado, avevano iniziato a prepararsi una via di fuga, predisponendosi per l’operazione Odessa, alimentata da grandi mezzi finanziari trasferiti all’estero e da vari flussi di Nazi Gold. Genova divenne il fulcro dell’organizzazione ‘salvanazisti’, «l’ultima tappa europea della Ratline (il termine, in gergo marinaresco, indica la scala di corda che giunge alla sommità dell’albero maestro: l’ultimo rifugio sicuro quando la nave affonda) percorsa dai naufraghi del Terzo Reich protagonisti del genocidio razzista» che, muniti di visti d’ingresso – presuntivamente ottenuti anche grazie ad aiuti di Caritas e Croce Rossa Internazionale – stavano per emigrare in America meridionale, soprattutto nell’ospitale Argentina.
L’Autore ricostruisce meticolosamente, con i dati analitici tipici di un’inchiesta e la trama coinvolgente degna di una spy story, l’intera vicenda ricordando che forse migliaia di criminali nazisti, tra il 1946 e il 1949, salparono dal porto ligure per avviarsi a una nuova e tranquilla esistenza.
Petacco rammenta anche le ‘leggende politiche’ sorte intorno alla sopravvivenza di Hitler e di Bormann, nonché i passaggi rocamboleschi della cattura dei più spietati criminali di guerra (tra essi, Klaus Barbie ed Erich Priebke, Adolf Eichmann e Josef Mengele), chiudendo con un monito morale ai lettori che deve far riflettere: nessun capo nazista, anche tra coloro che sono stati scoperti e processati, ha mai chiesto perdono! E ancora oggi, secondo un sondaggio, risulta che oltre un quarto della popolazione mondiale nutra pregiudizi verso gli ebrei: la situazione è complessa ed è difficile immaginare una soluzione capace di eliminare questo ‘virus’, ma è proprio su ciò che tutti dovremmo soffermarci, ebrei e non ebrei.
Gianluca Falanga
Spie dall'Est
L’Italia nelle carte segrete della Stasi Carocci, 2014 pp. 288 - euro 19,00
di Saigo
L’Italia nelle carte segrete della Stasi Carocci, 2014 pp. 288 - euro 19,00
di Saigo
Per decenni, dal termine della Seconda guerra mondiale, la Germania comunista, nell’orbita dell’Unione Sovietica, ha osservato l’Italia e le sue fragili Istituzioni democratiche, concentrandosi su ogni aspetto del nostro Paese, divenuto progressivamente l’arena dello spionaggio internazionale. La cortina di ferro distesa in Europa all’insorgere della Guerra fredda aveva riservato all’Italia un ruolo importante nei delicati equilibri incentrati sullo scacchiere mediterraneo, attivando sul nostro territorio un sofisticato gioco di interessi e di spie. Uno scenario nel quale la Stasi – come veniva chiamato l’efficientissimo Ministero per la sicurezza dello Stato della Germania orientale – operò a lungo e pervasivamente, secondo le logiche del blocco sovietico, impegnato ad assicurarsi il dominio del mondo occidentale.
In questo volume, che ha il pregio del documento storico, Gianluca Falanga descrive le linee strategiche, gli obiettivi e le procedure di lavoro della macchina spionistica tedesco-orientale, messa in campo nei confronti anche del nostro assetto socio-politico.
L’Autore, col tratto dello studioso che non indulge al fascino dei romanzi di settore o ai temi di una letteratura spesso approssimativa, offre al lettore dati concreti e articolate riflessioni, direttamente tratti dagli archivi della Germania unificata. Il lavoro è di sicuro pregio, poiché, per la prima volta, permette di ricostruire le reti spionistiche dispiegate dalla Ddr in Italia per ottenere informazioni, valutazioni e analisi prospettiche del nostro potenziale economico, tecnologico e militare nonché delle delicate dinamiche politiche nazionali, attestate sui cardini dell’atlantismo.
Emergono l’interessante fotografia di un’Italia dall’architettura instabile, sicuramente ancora traumatizzata dall’epilogo del Secondo conflitto mondiale e in cerca di una solida identità internazionale; l’imponente impianto della Stasi, organizzato secondo il classico modello del centralismo comunista. La lettura restituisce un’interessante focale per interpretare una recentissima pagina di storia nazionale e le ragioni che indussero un ‘nemico’ di quegli anni a interessarsi di noi attraverso un’accurata pianificazione d’intelligence.
Nigel Cawthorne
L’Enigma di un genio.
La storia vera di Alan Turing, il matematico inglese che decrittò il codice nazista Newton Compton, 2014
pp. 190 - euro 9,90
di Endo
La storia vera di Alan Turing, il matematico inglese che decrittò il codice nazista Newton Compton, 2014
pp. 190 - euro 9,90
di Endo
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale i Paesi belligeranti avviarono la conversione del loro potenziale industriale per sostenere lo sforzo bellico. Molti scienziati vennero precettati per contribuire alla ricerca, finalizzata a realizzare strumentazioni all’avanguardia e agevolare l’azione dei combattenti. Uno sforzo che, al netto del sangue versato, segnò l’evoluzione socio-economica del XX Secolo. In questo scenario si iscrive la vita di Alan Turing, giovane matematico inglese che, a capo di una squadra di scienziati, riuscì a decodificare il più complicato dei sistemi cifranti in uso ai tedeschi, il Codice Enigma, un sistema che consentiva allo Stato Maggiore germanico di diramare ordini al sicuro da ogni forma di decrittazione, infliggendo perdite elevatissime agli avversari in ogni scacchiere. Se il centro di crittoanalisi di Bletchley Park, creato dal Governo inglese nel 1940, non avesse seguito le intuizioni di Turing e non ne avesse sostenuto le ricerche, gli alleati non avrebbero potuto contare sull’invenzione più importante di quegli anni: la Macchina di Turing (Mdt), invenzione che mutò il corso della guerra. Cawthorne racconta questa impresa straordinaria, svelando i segreti della vicenda affascinante e drammatica di un uomo incapace di arrendersi dinanzi alle difficoltà e alle ottuse perplessità di gran parte del mondo accademico e militare inglese. Dotato di genio puro, al limite dell’autismo, sensibile e caparbio, amante della fatica e del rigore, timido e irruento nel sostenere le proprie idee, Turing lavorò prigioniero di un’intima sofferenza originata dall’introversione e dall’omosessualità, sino a cogliere un successo epocale.
Dopo i primi riconoscimenti post-bellici s’inabissò e, per la sua omosessualità, illegale nella Gran Bretagna dell’epoca, subì profonde umiliazioni che lo allontanarono dalla vita accademica e dalle relazioni sociali. Nel giugno 1954 morì misteriosamente per avvelenamento da cianuro di potassio. Nel settembre 2009, il Premier inglese decretò le scuse ufficiali del governo per il trattamento riservato a Turing e nel 2013 la Regina Elisabetta II gli accordò la grazia.
Mike Rossiter
La spia che cambiò il mondo.
Una storia vera Newton Compton, 2014 pp. 330 - euro 9,90
di Hiraga
Una storia vera Newton Compton, 2014 pp. 330 - euro 9,90
di Hiraga
Il libro di Mike Rossiter presenta un titolo apparentemente enfatico, eppure la storia narrata è vera. L’Autore ripercorre la vita di Klaus Fuchs, tedesco di tradizione socialdemocratica, naturalizzato inglese a seguito dell’avvento del nazismo. Un fisico teoretico, considerato il più grande ‘cervello’ dopo Albert Einstein, che entrò nel grande gioco della storia per aver fatto parte di una ristretta cerchia di scienziati angloamericani, padri dell’impiego nucleare a fini bellici. Il personaggio è descritto nella sua dimensione di uomo e scienziato, dibattuto tra la fedeltà ai propri ideali e l’adesione agli impegni di ricerca che avrebbero inaugurato l’era atomica.
La sua vita viene raccontata dal momento in cui Hitler conquistò il potere, costringendolo a riparare in Francia e poi nel Regno Unito dove continuò gli studi e l’intelligence cominciò a sospettarlo di contatti con i sovietici. Era la verità. Lo scienziato, infatti, mentre si trovava a capo del Dipartimento per le ricerche atomiche fu reclutato e a lungo manipolato dai sovietici, che da lui ottennero gli stati di avanzamento della costruzione della ‘bomba’.
Il racconto appassiona sia per le dinamiche rocambolesche di Fuchs sia per i risvolti delle investigazioni svolte nei suoi confronti dai servizi angloamericani, incapaci di provarne il tradimento.
L’uomo non fu mai una spia di professione ma seppe muoversi e pensare come se lo fosse, calibrando le sue condotte con sapienza e astuzia. Fu lui a dettare i tempi e le modalità di quella che può definirsi una delle operazioni di spionaggio più importante dell’era contemporanea. Un’operazione che consentì al Cremlino di sedersi al tavolo delle grandi potenze vantando un potere deterrente in grado di definire gli equilibri del pianeta attraverso la Guerra fredda. Nel 1949 Truman annunciò al mondo che i sovietici avevano fatto esplodere la loro prima bomba atomica, svelando il tradimento di Fuchs che fu arrestato l’anno seguente. Condannato, uscì dal carcere nel 1959 e ritornò nella Germania dell’Est dove morì nel 1988. Alla storia affidò queste parole: «Sono fiero di aver impedito la guerra nucleare e di aver dato ai russi il mezzo di opporsi con la stessa efficacia a eventuali attacchi della bomba H... ».
Fu questa la missione che scelse e portò a termine.
Pietrangelo Buttafuoco
Il feroce saracino.
La guerra dell’Islam, il califfo alle porte di Roma Bompiani, 2014 pp. 198 - euro 12,00
di Manno
La guerra dell’Islam, il califfo alle porte di Roma Bompiani, 2014 pp. 198 - euro 12,00
di Manno
Più che conoscerlo l’islam, Pietrangelo Buttafuoco – scrittore, giornalista – lo riconosce. In se stesso. Nella sua storia personale di ‘saracino’ se – da siciliano, già da ragazzo in gita scolastica – nella Cattedrale di Palermo ritrova i tratti musulmani di una moschea. La chiesa custodisce le spoglie di Federico II. È lo Svevo, il tedesco che volle farsi arabo per vivere in Sicilia. Lì, l’imperatore volle essere sepolto nudo, al modo dei mori: avvolto nei lini, col capo poggiato sulla nuda pietra. E con il catafalco indirizzato verso la Mecca. Il volume è il racconto di un vissuto, dalla memoria profonda del Mediterraneo all’attualità, dove la religione fondata da Maometto non è più percepita dall’Occidente per tramite dell’esotismo e il pittoresco del residuale ma nell’incombenza di uno spavento: nel completo capovolgimento di una dottrina di Misericordia ridotta alla mostruosa architettura del terrore. Il saggio, diviso per capitoletti, rifiuta lo schema dello scontro delle civiltà. Il Grande Gioco nel tracciato geopolitico attuale – i cui attori sono mimetizzati in una tragica rappresentazione di troppe maschere in commedia – riconduce alla catastrofe di un’unica civiltà. Non ci sono due campi contrapposti: la guerra è civile e globale. In Francia come in Siria, in Russia come in Cina, in Canada come in Oceania se è un australiano il terrorista orgoglioso di mostrare in un video il proprio bimbo mentre tiene per i capelli la testa appena mozzata a un uomo. Non c’è una guerra tra Oriente e Occidente. Il conflitto è metafisico. Il sacro fronteggia il nichilismo e l’istinto di morte degli assassini al seguito del Califfo combacia con la voluttà di suicidio delle società occidentali. Se solo il cristianesimo imparasse a conoscere se stesso ritroverebbe nell’islam l’altro raggio della stessa luce. E così viceversa.