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punto di vista 3/2014

punto di vista di Franco Frattini biografia

L’Europa forza propulsiva per lo sviluppo del Mediterraneo
La Regione mediterranea è, oggi più che mai, una regione di assoluta priorità strategica, sia economica, sia per tutti gli aspetti relativi allo sviluppo, alla sicurezza, alla stabilità e alla prosperità.
L’Europa deve considerare il Mediterraneo in cima alla lista delle priorità della sua azione internazionale: dovrebbe essere finito il tempo in cui gli europei guardano esclusivamente all’alleato americano perché risolva i problemi in casa nostra, nel nostro mare, nel nostro vicinato, ma sfortunatamente così non è. L’Europa non ha saputo, non ha potuto assumere quel ruolo di leadership mediterranea che la storia ma anche i suoi attuali interessi economici e politici le assegnano. Forse è mancata anche la volontà politica.
Se guardiamo le grandi crisi che attraversano la Regione mediterranea, notiamo – e con tristezza lo sottolineo da europeista convinto – che l’Europa non c’è; ci sono talvolta alcuni paesi europei ma l’Europa, in quanto tale, non ha avuto e non ha vera leadership sul piano politico ancor più che economico e, sotto il profilo altrettanto importante dell’incentivazione, dell’incoraggiamento al dialogo tra le culture, le religioni e le civiltà.
Se consideriamo le crisi di più accentuata gravità, non si può non iniziare dalla Siria, una tragedia che dura ormai da oltre due anni e mezzo: una tragedia in cui le Nazioni Unite, gli Stati Uniti d’America, l’Europa, gli altri attori internazionali (tra cui non possiamo dimenticare Iran, Russia e Turchia) non hanno trovato una via per la pace, una via per la cessazione delle violenze, una via per affrontare il problema di come soccorrere oltre un milione e mezzo di rifugiati. Tutto questo non è stato fatto. Ci siamo divisi, noi europei tra noi; con gli Stati Uniti d’America non si è trovata un’intesa che certamente avrebbe aperto la strada a prospettive migliori; con la Federazione Russa, malgrado l’importante dossier, che abbiamo affrontato con successo, dello smaltimento delle armi chimiche, non abbiamo maturato una visione comune sul come creare le condizioni migliori, senza fare la guerra, per una transizione pacifica dal regime di Assad a un governo di unità nazionale siriana.
Abbiamo assistito al moltiplicarsi dei gruppi di miliziani sempre più apertamente legati al jihadismo che hanno ottenuto e ottengono sostegni finanziari da paesi arabi, e che sono sicuramente tali da occupare, al posto del regime, la terra siriana con un regime altrettanto totalitario e altrettanto sanguinario: quello dominato da Al Qaeda e dai terroristi.
Se poi pensiamo a quale crisi di credibilità abbia attraversato, proprio sulla vicenda siriana, il sistema delle Nazioni Unite, incapace di condurre i negoziati, nonostante i tre validi inviati speciali – ma chiaramente inidonei da soli ad affrontare il problema – ebbene comprendiamo quanto l’intera governance mondiale sia stata debole.
E un attore che, da italiano e da europeo avrei voluto, l’Europa, non c’è stata, neppure nel prendersi cura delle migliaia e migliaia di rifugiati siriani (con le lodevoli eccezioni svedese e italiana). Anche qui il sistema europeo è apparso ed è molto lontano. Guardando a est troviamo il grande Egitto, che ha attraversato vicende turbolente e, dalla caduta del regime trentennale di Mubarak, ha visto il fallimento dell’Islam politico rappresentato dal Presidente Morsi, deposto con la forza della piazza dall’esercito e dal suo capo, il generale Al-Sisi che poi è stato eletto con un risultato schiacciante (anch’esso fortemente legittimato dalla volontà popolare) nuovo Presidente.
Riguardo all’Egitto, agli europei che si sono affrettati a puntare il dito contro il generale Al-Sisi dovremmo ricordare che l’interesse dell’Europa avrebbe dovuto essere quello di seguire, di accompagnare, di incoraggiare una transizione democraticamente possibile, senza – come spesso si fa – puntare il dito contro questo o quel leader con la pretesa di esportare il nostro modello di democrazia.
La Russia è stata abile a stringere rapide alleanze con il nuovo Presidente e, oggi, non possiamo ignorare che lo sforzo di Al-Sisi e del suo governo sarà quello di riportare il Paese alla normalità della vita quotidiana; una ripresa economica che con Morsi non c’è stata; la ricerca del contrasto a quei movimenti estremisti che, dai fratelli musulmani fino alle forze salafite, sono contrarie a una stabilizzazione democratica, come credo, invece, sia interesse non solo dell’Europa ma anzitutto dell’Egitto. Più a ovest, ricordiamo il caso esemplare di un’azione militare vincente – parlo della Libia – dove la Nato e i suoi alleati arabi hanno difeso e salvato migliaia e migliaia di vite umane dalla violenza del regime di Gheddafi, ma è stata una vittoria militare cui poi è seguita una sconfitta politica, una sconfitta nel dare stabilità, nel creare condizioni per far nascere lo Stato libico (che con Gheddafi non esisteva nel senso che noi intendiamo), nel creare amministrazioni pubbliche funzionanti, formare, addestrare un esercito che potesse rimpiazzare le milizie senza capi e obiettivi, se non quello della stabilità.
Bene, anche in tutto questo, abbiamo chiesto all’America di aiutarci, lasciando a noi la leadership ma l’Europa ha mancato, come noi italiani dopo il 2012, come gli altri paesi europei, come le Nazioni Unite.
Oggi noi abbiamo la prospettiva concreta di una partizione della Libia, attraverso il controllo delle milizie sulle varie regioni; è già una realtà la lotta senza quartiere tra le milizie del generale Haftar e i gruppi jihadisti che controllano alcune province libiche.
L’esito è del tutto imprevedibile, anche se ritengo che l’elezione del generale Al-Sisi, in Egitto, possa rafforzare le probabilità che le truppe miliziane di Haftar ottengano qualche risultato nel contrasto al jihadismo. Non è ciò che noi avremmo sperato, non è quel processo di consolidamento democratico, quel percorso che dall’assemblea nazionale porta alla costituzione di un governo stabile: questo non è accaduto e non sta accadendo.
Per il Mediterraneo occorre un’Europa che sia forza propulsiva, che affronti finalmente i temi che il partenariato euro-mediterraneo e poi l’unione mediterranea non hanno neanche affrontato, non dico risolto.
È opportuno che l’Europa, dal momento che questa è la nostra regione, il nostro vicinato e – contando indubbiamente sul sostegno ma non sulla ‘guida americana’ – s’impegni di più nell’addestramento, s’impegni di più nel sostegno economico, non nell’aiuto assistenziale, s’impegni di più nella valorizzazione di quel patrimonio umano, straordinario, rappresentato da milioni di ragazze e ragazzi che vivono nei paesi della riva sud del Mediterraneo, che sono beneducati e viaggiano sulla rete internet ma che, al tempo stesso, sono frustrati e disperati per la mancanza di lavoro e di prospettive per il loro futuro.
Investiamo nell’educazione, nella formazione, non chiudiamo le nostre frontiere come qualcuno vorrebbe, lavoriamo per una prospettiva euro-mediterranea sull’immigrazione, sullo sviluppo sostenibile, sull’attenuazione delle barriere doganali che bloccano milioni e milioni di euro di prodotti.
Tanti paesi rimarranno altrimenti nella pericolosa condizione di non poter più sfruttare al meglio le loro aree coltivabili, tanto da doverle vendere a paesi terzi che, però, terrebbero solo per sé il prodotto di quelle coltivazioni.
Queste prospettive vedono la sicurezza come fattore chiave per lavorare alla stabilizzazione del Mediterraneo, perché non vorremmo immaginare che centinaia o migliaia di jihadisti combattenti in Siria, una volta (ci auguriamo presto) che il Paese sarà avviato alla normalizzazione, tornino per colpire nella nostra Europa; ma non possiamo escluderlo.
Non possiamo lasciare sguarnito quell’arco del terrore che si estende dallo Yemen fino al Sahel, all’Africa orientale; non possiamo ignorare che quell’arco del terrore si spinge dalla Somalia al Mali, fino al sud della Libia e all’Algeria meridionale e che il pericolo terrorista è vicino a casa nostra. Non è qualcosa di cui ci possiamo disinteressare.
Non vorrei che, per non aver previsto o per non aver veduto quello che sarebbe potuto succedere, noi fossimo un domani chiamati a intervenire con una missione simile a quella dell’Afghanistan, ma questa volta con la forza, per impedire che un nuovo Afghanistan si stabilisca ai confini del nostro Mediterraneo.
Ecco, queste sono problematiche che ci riguardano: problematiche che riguardano il mondo arabo, la capacità di avere relazioni che superino quelle della mera convenienza di commerci e di investimenti dei paesi del Golfo verso l’Europa, ma che vadano verso un partenariato strategico per una visione comune. Aiutiamo partner affidabili a diventare attori di sicurezza nelle regioni dove non possiamo essere sempre e comunque con le nostre forze. Ci vuole volontà politica, ci vogliono leadership politiche che non ho visto – lo dico con tristezza – leadership politiche che dovrebbero ormai comprendere come il futuro dell’alleanza atlantica, il futuro dell’Europa, il futuro della collaborazione tra l’Europa e il mondo arabo passano dal futuro di prosperità, di sicurezza e di sviluppo per il Mediterraneo.

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