Stephen Alford
The Watchers
A Secret History of the Reign of Elizabeth I Penguin books, 2013
Elisabetta I (1533-1603), figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, fu regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558 fino alla morte. Nel lungo regno seppe stabilizzare la situazione economica, respingere invasioni, evitare guerre civili, assicurando una straordinaria fioritura artistica e culturale del Paese. La politica di forte sostegno alla Chiesa d’Inghilterra fu all’origine di forti tensioni e di numerose congiure per eliminarla. L’età di Elisabetta, dunque, fu anche un’epoca travagliata e di grandi incertezze. Assediata da nemici interni ed esterni, la regina governava nella consapevolezza della precarietà della corona. Motivo di altre apprensioni era l’ostinato rifiuto a contrarre matrimonio e designare un successore, legando così la stabilità del regno alla sua fisica sopravvivenza. Tra le numerose cospirazioni, si ricordano: la Ribellione settentrionale del 1569 che, fomentata dal duca di Norfolk e dai conti di Westmorland e di Northumberland, fu sostenuta da Pio V che scomunicò la regina e la depose con bolla papale; la congiura Ridolfi, ordita nel 1570 da Roberto di Paguzzo Ridolfi, esponente di una nobile famiglia fiorentina; il complotto di Throckmorton, il cui artefice (Francis Throckmorton), arrestato nel 1583, confessò l’esistenza di un piano per l’invasione dell’Inghilterra, il rovesciamento della monarchia, la liberazione di Maria di Scozia e il ripristino dell’autorità papale. Ai complotti fa da sfondo proprio la figura della cattolica Maria Stuarda: ex regina degli scozzesi, rifugiatasi in Inghilterra dopo la sua abdicazione forzata nel 1568, Maria non poté resistere al pericoloso fascino del gioco di pretendente al trono. Un’aspirazione che venne meno solo con la sua esecuzione, avvenuta nel 1587.
All’insaputa di Maria, infatti, a Londra stava prendendo forma un ennesimo piano per sostituirla a Elisabetta, al centro del quale vi era il giovane gentiluomo Anthony Babington. Poiché per l’intera operazione era necessaria l’approvazione dell’interessata, le furono inviati dei messaggi in codice, ma il corriere non esitò a consegnare le comunicazioni crittografate a sir Francis Walsingham, di cui si dirà in seguito. Decifrate le lettere, fu facile dimostrare che la sovrana, informata dell’intrigo, si era espressa per la sua attuazione, e così Babington e sei cospiratori precedettero Maria Stuarda sul patibolo.
Tra i sovversivi erano considerati anche gli esuli cattolici inglesi rifugiatisi sul continente dopo l’ascesa al trono di Elisabetta. Il fatto più tragico, posteriore all’esecuzione di Maria, fu proprio la persecuzione di sacerdoti cattolici, un accanimento che fece da preludio al contrasto fra Elisabetta e la Spagna. I giovani sacerdoti venivano formati nei seminari inglesi di Douai (odierno capoluogo culturale delle Fiandre) e di Roma, sotto la supervisione di un leader morale e spirituale qual era il futuro cardinale William Allen, ardente cattolico e raffinato polemista, votato a riportare i connazionali all'obbedienza di Roma. Una volta istruiti, i sacerdoti tornavano in Inghilterra, permeati, generalmente, di spirito puramente pastorale. Invece, furono trattati come traditori.
Fallito ogni tentativo di ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra grazie all’azione dei missionari, Allen ragionò politicamente, unendosi a Filippo II di Spagna per un’invasione dell’isola e incitando gli inglesi a ribellarsi. Nel 1588 l’Armada finalmente si mosse, ma la flotta fu dispersa dalle tempeste oltre che dai nemici. Ebbe inizio una guerra lunga e dispendiosa, segnata da molte spedizioni navali dagli scarsi esiti, a fronte di una marina, quella inglese, ormai passata a una fase offensiva e non solo difensiva. Ma è necessario fare un passo indietro. Per contrapporsi alle minacce di cui s’è detto, il governo elisabettiano aveva avviato un’inesorabile politica di controterrorismo. Le leggi che punivano il tradimento erano state estese non solo a chi ponesse in discussione il diritto della sovrana a governare, ma anche ai sacerdoti missionari e a coloro che li accogliessero. La tort ura non era permessa dal diritto comune, ma furono invocati i poteri speciali per giustificarne l’uso regolare al fine di cavare informazioni dai sospetti.
La pena capitale per i traditori prevedeva che fossero impiccati, liberati dal cappio mentre erano ancora in vita, castrati, sventrati e smembrati. Un supplizio orribile, ma prima dell’illuminato trattato Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria è bene ricordare – e non certo per giustificare simili aberrazioni – che ancora nel 1630, a Milano, Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza, i pretesi ‘untori’ della manzoniana Storia della colonna infame, furono giustiziati con metodi non meno cruenti. Oltre 100 sacerdoti cattolici subirono questa sorte. Prima che i nemici della monarchia potessero subire i rigori della legge, era però necessario individuarli e catturarli. Per riuscire in questa azione il governo diede avvio alla creazione di una rete di agenti, informatori e provocatori, i watchers, le cui attività costituiscono l’argomento del seducente e documentato libro di Stephen Alford, storico di professione.
L’autore dedica ampio spazio anche a sir Francis Walsingham, diplomatico, consigliere e segretario della regina, la cui mentalità machiavellica e l’integrità assoluta nella vita privata furono pari all’assoluta mancanza di ritegno morale nella sua qualità di Capo del Servizio segreto elisabettiano. Walsingham seppe unire all’elevato livello di abilità politica degli uomini di Stato del Rinascimento italiano una moderna concezione dell’uso di un sistema informativo, penetrando con propri uomini le organizzazioni avversarie. Ancora nel 1568 scriveva: «c’è meno pericolo nel temere troppo che troppo poco».
Alford non pretende di offrire uno studio completo delle operazioni di spionaggio dell’epoca, talune solo tratteggiate, ma i suoi resoconti sul disvelamento delle cospirazioni Throckmorton e Babington sono avvincenti e gettano nuova luce sull’opera di coloro che le sventarono. Le spie erano reclutate in base a specifici requisiti e pagate ‘a produzione’, metodo che, in quel contesto, era destinato a produrre fatalmente notizie allarmistiche o brutalmente distorte. Vi erano anche figure di rilievo, come Thomas Phelippes, linguista, matematico, esperto crittografo e braccio destro di Walsingham. Taluni dei sacerdoti cattolici catturati, dopo essere stati adeguatamente ‘persuasi’, venivano rinviati ai loro datori di lavoro come ‘agenti doppi’: Anthony Munday, ad esempio, fu autore di una testimonianza oculare della vita nel Collegio inglese di Roma e divenne, in seguito, collaboratore di Shakespeare.
Per la maggior parte, gli informatori erano personaggi la cui carriera iniziava e si concludeva in carcere. Gli stessi fiduciari di Walsingham, una volta inviati all’estero, a volte venivano catturati e rispediti in Inghilterra per condurvi attività informativa; ancora arrestati, erano nuovamente utilizzati contro i loro mandanti. A molti, spesso, era poco chiaro per chi realmente stessero lavorando.
Alford evoca con chiarezza questo torbido mondo di codici, cifrari, lettere intercettate, travestimenti e falsificazioni. Tra i più malvagi doppio-giochisti del tempo figura il cospiratore cattolico Gilbert Gifford, e Walsingham lo additò pubblicamente come traditore, al solo scopo di assicurargli la copertura per attività da svolgere in suo favore.
Anche i tranelli erano frequenti, ma non sempre si concludevano come ci si sarebbe attesi. William Parry, ad esempio, era un informatore di Lord Burghley, tesoriere di Elisabetta. Dopo aver coinvolto un cattolico in un complotto contro la sovrana ricorrendo all’inganno, fu a sua volta accusato di essere un congiurato e venne giustiziato.
L’Autore affida alla sensibilità del lettore l’opportunità di cogliere eventuali analogie con i Servizi odierni. Da allora, infatti, non sembra sia cambiato molto. Come gli agenti di Elisabetta, anche quelli attuali continuano a sorvegliare i personaggi sospetti, a intercettarne le comunicazioni, a infiltrare le loro basi e a reclutare in formatori. Ma se le tecniche, le procedure e le dottrine sono state oggetto di costante aggiornamento, è utile sottolineare che i paesi democratici hanno saputo via via disciplinare, con leggi rigorose e stringenti controlli, i compiti e l’operato dei Servizi d’intelligence.
The Watchers ricorda – concludendo – che lo spionaggio potrebbe anche annoverarsi tra le cose sconvenienti, cui però il Principe, come aveva già scritto Machiavelli nel 1513, deve a volte fare ricorso per il bene dello Stato.
A Secret History of the Reign of Elizabeth I Penguin books, 2013
Elisabetta I (1533-1603), figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, fu regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558 fino alla morte. Nel lungo regno seppe stabilizzare la situazione economica, respingere invasioni, evitare guerre civili, assicurando una straordinaria fioritura artistica e culturale del Paese. La politica di forte sostegno alla Chiesa d’Inghilterra fu all’origine di forti tensioni e di numerose congiure per eliminarla. L’età di Elisabetta, dunque, fu anche un’epoca travagliata e di grandi incertezze. Assediata da nemici interni ed esterni, la regina governava nella consapevolezza della precarietà della corona. Motivo di altre apprensioni era l’ostinato rifiuto a contrarre matrimonio e designare un successore, legando così la stabilità del regno alla sua fisica sopravvivenza. Tra le numerose cospirazioni, si ricordano: la Ribellione settentrionale del 1569 che, fomentata dal duca di Norfolk e dai conti di Westmorland e di Northumberland, fu sostenuta da Pio V che scomunicò la regina e la depose con bolla papale; la congiura Ridolfi, ordita nel 1570 da Roberto di Paguzzo Ridolfi, esponente di una nobile famiglia fiorentina; il complotto di Throckmorton, il cui artefice (Francis Throckmorton), arrestato nel 1583, confessò l’esistenza di un piano per l’invasione dell’Inghilterra, il rovesciamento della monarchia, la liberazione di Maria di Scozia e il ripristino dell’autorità papale. Ai complotti fa da sfondo proprio la figura della cattolica Maria Stuarda: ex regina degli scozzesi, rifugiatasi in Inghilterra dopo la sua abdicazione forzata nel 1568, Maria non poté resistere al pericoloso fascino del gioco di pretendente al trono. Un’aspirazione che venne meno solo con la sua esecuzione, avvenuta nel 1587.
All’insaputa di Maria, infatti, a Londra stava prendendo forma un ennesimo piano per sostituirla a Elisabetta, al centro del quale vi era il giovane gentiluomo Anthony Babington. Poiché per l’intera operazione era necessaria l’approvazione dell’interessata, le furono inviati dei messaggi in codice, ma il corriere non esitò a consegnare le comunicazioni crittografate a sir Francis Walsingham, di cui si dirà in seguito. Decifrate le lettere, fu facile dimostrare che la sovrana, informata dell’intrigo, si era espressa per la sua attuazione, e così Babington e sei cospiratori precedettero Maria Stuarda sul patibolo.
Tra i sovversivi erano considerati anche gli esuli cattolici inglesi rifugiatisi sul continente dopo l’ascesa al trono di Elisabetta. Il fatto più tragico, posteriore all’esecuzione di Maria, fu proprio la persecuzione di sacerdoti cattolici, un accanimento che fece da preludio al contrasto fra Elisabetta e la Spagna. I giovani sacerdoti venivano formati nei seminari inglesi di Douai (odierno capoluogo culturale delle Fiandre) e di Roma, sotto la supervisione di un leader morale e spirituale qual era il futuro cardinale William Allen, ardente cattolico e raffinato polemista, votato a riportare i connazionali all'obbedienza di Roma. Una volta istruiti, i sacerdoti tornavano in Inghilterra, permeati, generalmente, di spirito puramente pastorale. Invece, furono trattati come traditori.
Fallito ogni tentativo di ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra grazie all’azione dei missionari, Allen ragionò politicamente, unendosi a Filippo II di Spagna per un’invasione dell’isola e incitando gli inglesi a ribellarsi. Nel 1588 l’Armada finalmente si mosse, ma la flotta fu dispersa dalle tempeste oltre che dai nemici. Ebbe inizio una guerra lunga e dispendiosa, segnata da molte spedizioni navali dagli scarsi esiti, a fronte di una marina, quella inglese, ormai passata a una fase offensiva e non solo difensiva. Ma è necessario fare un passo indietro. Per contrapporsi alle minacce di cui s’è detto, il governo elisabettiano aveva avviato un’inesorabile politica di controterrorismo. Le leggi che punivano il tradimento erano state estese non solo a chi ponesse in discussione il diritto della sovrana a governare, ma anche ai sacerdoti missionari e a coloro che li accogliessero. La tort ura non era permessa dal diritto comune, ma furono invocati i poteri speciali per giustificarne l’uso regolare al fine di cavare informazioni dai sospetti.
La pena capitale per i traditori prevedeva che fossero impiccati, liberati dal cappio mentre erano ancora in vita, castrati, sventrati e smembrati. Un supplizio orribile, ma prima dell’illuminato trattato Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria è bene ricordare – e non certo per giustificare simili aberrazioni – che ancora nel 1630, a Milano, Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza, i pretesi ‘untori’ della manzoniana Storia della colonna infame, furono giustiziati con metodi non meno cruenti. Oltre 100 sacerdoti cattolici subirono questa sorte. Prima che i nemici della monarchia potessero subire i rigori della legge, era però necessario individuarli e catturarli. Per riuscire in questa azione il governo diede avvio alla creazione di una rete di agenti, informatori e provocatori, i watchers, le cui attività costituiscono l’argomento del seducente e documentato libro di Stephen Alford, storico di professione.
L’autore dedica ampio spazio anche a sir Francis Walsingham, diplomatico, consigliere e segretario della regina, la cui mentalità machiavellica e l’integrità assoluta nella vita privata furono pari all’assoluta mancanza di ritegno morale nella sua qualità di Capo del Servizio segreto elisabettiano. Walsingham seppe unire all’elevato livello di abilità politica degli uomini di Stato del Rinascimento italiano una moderna concezione dell’uso di un sistema informativo, penetrando con propri uomini le organizzazioni avversarie. Ancora nel 1568 scriveva: «c’è meno pericolo nel temere troppo che troppo poco».
Alford non pretende di offrire uno studio completo delle operazioni di spionaggio dell’epoca, talune solo tratteggiate, ma i suoi resoconti sul disvelamento delle cospirazioni Throckmorton e Babington sono avvincenti e gettano nuova luce sull’opera di coloro che le sventarono. Le spie erano reclutate in base a specifici requisiti e pagate ‘a produzione’, metodo che, in quel contesto, era destinato a produrre fatalmente notizie allarmistiche o brutalmente distorte. Vi erano anche figure di rilievo, come Thomas Phelippes, linguista, matematico, esperto crittografo e braccio destro di Walsingham. Taluni dei sacerdoti cattolici catturati, dopo essere stati adeguatamente ‘persuasi’, venivano rinviati ai loro datori di lavoro come ‘agenti doppi’: Anthony Munday, ad esempio, fu autore di una testimonianza oculare della vita nel Collegio inglese di Roma e divenne, in seguito, collaboratore di Shakespeare.
Per la maggior parte, gli informatori erano personaggi la cui carriera iniziava e si concludeva in carcere. Gli stessi fiduciari di Walsingham, una volta inviati all’estero, a volte venivano catturati e rispediti in Inghilterra per condurvi attività informativa; ancora arrestati, erano nuovamente utilizzati contro i loro mandanti. A molti, spesso, era poco chiaro per chi realmente stessero lavorando.
Alford evoca con chiarezza questo torbido mondo di codici, cifrari, lettere intercettate, travestimenti e falsificazioni. Tra i più malvagi doppio-giochisti del tempo figura il cospiratore cattolico Gilbert Gifford, e Walsingham lo additò pubblicamente come traditore, al solo scopo di assicurargli la copertura per attività da svolgere in suo favore.
Anche i tranelli erano frequenti, ma non sempre si concludevano come ci si sarebbe attesi. William Parry, ad esempio, era un informatore di Lord Burghley, tesoriere di Elisabetta. Dopo aver coinvolto un cattolico in un complotto contro la sovrana ricorrendo all’inganno, fu a sua volta accusato di essere un congiurato e venne giustiziato.
L’Autore affida alla sensibilità del lettore l’opportunità di cogliere eventuali analogie con i Servizi odierni. Da allora, infatti, non sembra sia cambiato molto. Come gli agenti di Elisabetta, anche quelli attuali continuano a sorvegliare i personaggi sospetti, a intercettarne le comunicazioni, a infiltrare le loro basi e a reclutare in formatori. Ma se le tecniche, le procedure e le dottrine sono state oggetto di costante aggiornamento, è utile sottolineare che i paesi democratici hanno saputo via via disciplinare, con leggi rigorose e stringenti controlli, i compiti e l’operato dei Servizi d’intelligence.
The Watchers ricorda – concludendo – che lo spionaggio potrebbe anche annoverarsi tra le cose sconvenienti, cui però il Principe, come aveva già scritto Machiavelli nel 1513, deve a volte fare ricorso per il bene dello Stato.