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GNOSIS 2/2012
Il FORUM
Gli estremismi scendono ‘in campo’


a cura di Emanuela C. DEL RE


Foto Ansa
Il rischio che deriva dal fenomeno dell'estremismo, per la sicurezza nazionale ed europea, non deve essere sottovalutato. La strage dei 77 giovani in Norvegia, per mano dell'auto-dichiaratosi estremista di destra Andres Behring Breivik, e la sparatoria, per mano di Arid Uka, giovane di origine kosovara ispirato ai princìpi radicali Jihadisti, avvenuta all'interno di un autobus nell'aeroporto di Francoforte, in cui hanno perso la vita due militari americani, sottolineano che il rischio non deriva solo da gruppi ma anche da attori isolati.
I gruppi terroristici ed estremisti hanno una presenza ‘online’ significativa e Internet viene usato non solo per scopi propagandistici ma anche per dare istruzioni, reclutare, dislocare i membri di gruppi in aree specifiche, raccoglier fondi, cooperare con altre organizzazioni, pianificare e coordinare attacchi, così come lo stesso Europol afferma nei suoi ultimi rapporti.
Caratteristiche, origini, sviluppi, cambiamenti, in particolare dell'estremismo di destra, che sembra negli ultimi anni essersi affermato maggiormente, saranno analizzati nel forum da Andrea Mammone, noto esperto di estremismi di destra e docente di Storia dell'Europa presso la University of London.
Cecilia Malmström, Commissario per gli 'Affari Interni' della Commissione Europea, ha affermato, infatti, che la radicalizzazione, che si trasforma poi in estremismo violento, nonché gli estremisti che agiscono da soli, costituiscono un grave rischio per i cittadini europei. Secondo la Malmström bisogna incrementare gli sforzi per prevenire l'estremismo violento concentrandosi sull'identificazione degli individui a rischio di radicalizzazione. Come risposta a questa esigenza, la Commissione Europea ha lanciato la Rete europea per la sensibilizzazione alla radicalizzazione (RAN), di cui parlerà più avanti in maniera estesa Michele Cercone, portavoce della Malmström.
Ma la questione è ancora più ampia e presenta aspetti complessi. Alcuni Paesi europei – come spiegherà più avanti Enzo Maria Le Fevre Cervini, Direttore del Centro di Budapest per la Prevenzione internazionale dei Genocidi e delle Atrocità di Massa – accolgono, ora, nei loro Parlamenti dei partiti dichiaratamente estremisti. Ci si deve interrogare sulle conseguenze, su come l'Europa dei 27 – impegnata nel dibattito e nell'elaborazione di strategie sul proprio destino economico e finanziario per contrastare la crisi – vedrà delinearsi il proprio panorama sociale, sia sul piano nazionale che su quello dell'Unione. Il panorama sociale europeo, peraltro, presenta caratteristiche trasversali, per quanto riguarda l'estremismo, che emergono non soltanto a seguito di fatti sanguinosi ma, anche, nei contesti aggregativi per eccellenza, come le tifoserie. Non a caso gli Europei di calcio hanno fortemente allarmato le Polizie di Ucraina e Polonia nonché quelle europee. Non a caso, le Olimpiadi di Londra, recentemente conclusesi, hanno rappresentato, per quanto riguarda gli estremismi, un evento ad alto rischio tanto da aver spinto Rob Wainwright, Direttore di Europol, ad esortare le Istituzioni di sicurezza dei Paesi membri affinchè monitorassero, preventivamente, ogni attività sospetta così da evitare possibili incidenti. Per l’occasione aveva, inoltre, affermato che l'Intelligence dovrebbe essere condivisa tra le Agenzie e che l'informazione che deriva dalle Fonti Aperte dovrebbe essere tenuta in ben maggiore considerazione. La questione della connessione tra tifo calcistico ed estremismo viene esplorata, nel forum, dall’avvocato Stefano D'Auria, esperto di estremismi politici.
Estremismi e tifo ideologizzato e violento, questo emerge dal forum, sono fenomeni importanti, trasversali in tutta Europa, ancor più rischiosi in quanto non si annidano solo nelle fasce considerate a rischio e non seguono più percorsi ormai noti e, quindi, devono essere monitorati con estrema attenzione. La domanda che emerge prepotentemente, però, è come mai forme di aggregazione con le loro dottrine costituiscano un'attrattiva tanto potente per molti individui e gruppi. A questo bisogna davvero trovare risposta.



Andrea MAMMONE


La riorganizzazione degli estremismi e la ‘crociata’ per l'Europa


Alcuni eventi accaduti di recente in Europa sembrano riportarci agli anni bui tra le due guerre mondiali, oppure, almeno in parte, ai periodi "in bianco e nero" di forte contrapposizione tra le diverse visioni del mondo durante la Guerra Fredda, con le relative insorgenze di radicalismi contrapposti sia di sinistra sia di destra (per ragioni di interessi di studio e di attualità politica, oltre che di spazio, mi limiterò ad analizzare, qui, gli estremismi di destra). Ad esempio, il movimento neonazista Alba Dorata è entrato nel Parlamento greco con una piattaforma elettorale che attrae cittadini disillusi dai partiti politici tradizionali e preoccupati dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dalla riduzione di tutte le spese pubbliche e sulla base di una retorica incentrata su una forte critica alla Germania, all'Unione Europea e contro gli immigrati.Immediatamente dopo le elezioni il leader Nikolaos Michaloliakos ha minacciato i "traditori" della nazione e ha questionato il debito da pagare agli investitori stranieri. Allo stesso tempo, il movimento estremista continuava una politica di ronde composte da giovani in caschi e felpe nere con il fine di garantire una sorta di pulizia etnica per le strade di Atene.
Qualche tempo prima, lontano dal Mediterraneo, e in particolare nella multiculturale e accogliente Olanda, uno dei promotori delle politiche di austerità europee come il primo ministro Mark Rutte era costretto a dimettersi perché uno dei suoi maggiori alleati in Parlamento, il leader del partito di destra anti-Islam and anti-UE, Geert Wilders, aveva completamente rigettato il piano economico a suo dire imposto dalle élites europee. Questo era in contrasto con gli interessi dei cittadini olandesi (e sicuramente dei suoi stessi elettori): "non vogliamo che i nostri pensionati soffrano per le scelte dei dittatori di Bruxelles". In alcuni settori della politica europea questo è stato percepito come una sorta di fulmine a ciel sereno, mentre in realtà era, ed è, completamente in linea con l'ideologia promossa dai partiti di destra estrema che, ormai, caratterizzano il landscape dell'intero continente europeo. Infatti, la "lotta" non è solo nazionale ma è anche per una fratellanza, pura e di destra, transnazionale e, sotto alcuni punti di vista, paneuropea.
È questa la proiezione di un concetto di comunità molto chiuso, che esclude il diverso, sia esso il migrante straniero o il cittadino non-nazionale o il nemico interno/esterno che non condivide l'idea promossa da tali partiti. In sostanza si tratta di una identità comune, anche attraverso le frontiere, basata, da un lato, su una solidarietà razziale e, dall'altro, su una comunanza ideologica. Assistiamo, a mio avviso, a una contemporarizzazione di un certo neofascismo classico e tradizionale - ad un suo adattamento a un mondo nuovo, post-industriale e globale, e ai suoi bisogni e contraddizioni -, o, a voler utilizzare l'analisi dell'antropologo americano Douglas Holmes, alla riattivazione di un numero di latenti integralist sensibilities da sempre esistenti nella storia della politica e sociale europea.

.… non si tratta di un fenomeno nuovo … La ‘battaglia’ è molto più ampia e coinvolge il destino dell'Unione Europea


A dire il vero non si tratta neanche di un fenomeno nuovo, la supposta risorgenza elettorale della destra di frequente sbandierata da molti mass media: essa è chiara, e spesso costante, dalla fine degli anni ottanta e inizio degli anni novanta ad oggi ed è, al tempo stesso, anche legata ai cambiamenti socio-economici e geopolitici occorsi in Europa occidentale negli ultimi decenni.
L'impatto della globalizzazione dei consumi e delle culture e la presenza, consistente in alcuni casi, di ampi flussi migratori, contribuisce a una ridefinizione, se non perdita, di parte delle identità nazionali. Questo naturalmente cambia le "facce" e "colori" delle società contemporanee. Non è un caso che studi, pubblicati, tra gli altri, anche dall'American Sociological Review, e vari sondaggi dell'Eurobarometro mostrino come, dal 1988 al 2000, ci sia una crescita di un diffuso sentimento anti-stranieri e come, questo sentimento, sia maggiore nei Paesi dove è più ampia la presenza di una popolazione non-nazionale e di minoranze etniche. Tale approccio anti-immigrati cresce dove più forte è il supporto ai partiti di estrema destra i quali mobilitano, radicalizzano e politicizzano tali temi in difesa di una indentità che è nazionale, ma che può essere anche europea, purché sia bianca (white-only).
Un esempio recentissimo di tale politica viene offerto dalle elezioni francesi. "La battaglia per la Francia è appena iniziata" dichiarava una trionfante Marine Le Pen dopo l'impressionante score ottenuto al primo turno delle presidenziali. Aggiungendo che il suo partito, il Front National, avrebbe difeso "l'identità francese". La "battaglia", tuttavia, è, come suggerito in precedenza, molto più ampia e coinvolge il destino dell'Unione Europea e delle stesse relazioni internazionali. In un'era caratterizzata da incertezza economica, politiche di austerità e da una percepita ingerenza dei mercati internazionali, della politica tedesca e della Banca Centrale Europea nella vita di molte nazioni, la possibilità è che si assista al rafforzamento, in alcuni settori dell'elettorato dei singoli Stati, di ultra-nazionalismi e alla crescita di forze estremiste in grado di collaborare attraverso le frontiere.
Nonostante la questione sia stata fondamentalmente tenuta ai margini del discorso politico e di parte della stessa accademia, dopo l'insorgenza del radicalismo islamico, non sorprende, infatti, come fin dagli anni novanta si assista a una competizione etnica dal basso, che interessa gli strati di popolazione che si considerano ai margini della società, dei cicli produttivi e agli ultimi gradini della scala sociale. Sono questi i cittadini (nazionali) percepiti come gli sconfitti della globalizzazione e dell'europeizzazione, ma che rappresentano quella parte dell'elettorato che maggiormente compete con le minoranze etniche nel contesto di un mercato del lavoro sempre più ristretto e nel quale pensano di pagare, e spesso effettivamente pagano, il prezzo più alto se rapportati a quegli stranieri, o "diversi", spesso percepiti - dal nazifascismo razzista in poi - come le cause di tanti mali: dalla perdita di identità alla criminalità, dal degrado alla caduta dei valori tradizionali, per non parlare della disoccupazione.
Anche in questo caso infatti, gli studi dimostrano come, nella recente storia europea, l'immigrato passi da "forza lavoro" necessaria, a "problema sociale" e questione politica che divide gli schieramenti e, a volte, attraversa gli stessi con diverse sensibilità, mentre i sentimenti di "discriminazione" e "ostilità" (e quindi, il potenziale supporto per forze estremiste di destra) crescono tra i settori più "vulnerabili" della nazione proprio in concomitanza con i periodi di declino economico. In tale contesto, la destra estrema tenta di offrire una visione diversa del concetto di comunità, molto più esclusivista, naturalmente nazionale ("i veri figli della terra dei padri"), e in molti casi, genuinamente europea (soprattutto nel senso di supremazia di una specifica forma di civilizzazione bianca e autoctona), mentre i legami transnazionali e la conseguente socializzazione che ne deriva attraverso manifestazioni e marce comuni, Internet, la musica identitaria, le curve degli stadi (che come ben sappiamo oltre alla violenza prodotta sono spesso controllate da gruppi neofascisti e neonazisti che si scambiano informazioni e strategie tra i diversi stati nazionali), ne fanno un attore politico e sociale che va ben al di là degli angusti confini nazionali - e che offre una visione e una prospettiva paneuropea, e i legami con l'Europa orientale, e le sue forze xenofobe, paramilitari e neonaziste, ne aumenteranno la forza.

..… sebbene non ci troviamo, dunque, davanti a temi particolarmente nuovi, né al pericolo di insorgenze dittatoriali, tutto questo rappresenta un ulteriore test per le moderne democrazie liberali. Osserviamo essenzialmente come sia in atto una riorganizzazione ……


È chiaro, per esempio, che quello che Wilders ha fatto (e detto) in Olanda non ha nulla di sorprendente o prettamente "olandese". È radicato nella tendenza della destra estrema di rigettare, da sempre, la struttura istituzionale europea e comunitaria. Il richiamo è, invece, a un Europa differente - l'Europa delle nazioni, delle patrie, e dei popoli. Ci sono, in tal senso, molti tentativi, spesso underground, di riorganizzazione attraverso associazioni internazionali (e pro-europee). Tra i tanti casi da menzionare, il 25 e il 26 febbraio 2012, si sono svolti a Roma i lavori di un coordinamento europeo chiamato "L'Europa appartiene a noi" con la partecipazione di militanti italiani e di gruppi di Belgio, Francia e Grecia, in vista di una "futura cooperazione, non solo ideale ma reale e concreta, per un'Europa libera, forte e solidarista", e che sia in grado di attirare altri attivisti e movimenti. Il 31 marzo, invece, il movimento di destra estrema, e visceralmente anti-Islam, English Defence League, ha radunato in Danimarca qualche centinaio di attivisti (ma il meeting era preceduto da polemiche e da un grande dispiegamento di polizia e forze antifasciste) di simili leghe europee preoccupate per il declino della civilizzazione occidentale e per l'impossibilità di "difendere le libere nazioni". Sarà interessante, in questo contesto, vedere se tale organizzazione porterà a promuovere una sorta di guerra tra le religioni. Il passaggio nella retorica di queste leghe, dal nazionalismo cripto-fascista alle differenze religiose (e culturali) tra Europa e Islam, è abbastanza ingegnoso.
Tuttavia occorre domandarsi, ancora una volta, se sono queste delle grandi novità nel panorama della destra. Per uno storico di questi movimenti le dinamiche appena descritte sono, forse, poco sorprendenti. Fin dagli anni cinquanta la destra europea moderna ha tentato, anche con alcune delle sue correnti più importanti, di teorizzare una visione pan-nazionale e pan-europea dell'ideologia fascista e varie sono state le associazioni e i network creati a tal proposito - e questi spiegano, a mio avviso, la collaborazione internazionale e il "transnazionalismo" di destra dei giorni nostri. Da un altro lato, alcuni gruppi ultracattolici sono stati tradizionalmente collegati al radicalismo di destra o alle sue più recenti connotazioni violente, in particolare in funzione anti-musulmani.
Sebbene non ci troviamo, dunque, davanti a temi particolarmente nuovi, né al pericolo di insorgenze dittatoriali, tutto questo rappresenta un ulteriore test per le moderne democrazie liberali. Osserviamo, essenzialmente, come sia in atto una riorganizzazione di forze neofasciste e neonaziste che va al di la dei partiti più conosciuti e strutturati come il Front National, Forza Nuova o il British National Party. La paura dell'”Islam” può aumentare l'appeal di tali gruppi, e di quelli nuovi, e creare ulteriori possibilità elettorali all'interno delle società contemporanee. Al momento, per esempio, sta contribuendo a creare legami con movimenti estremisti o ultra-conservatori anti-Jiahd presenti in Nord America e in Australia.
L'English Defence League ha un'organizzazione di supporto negli USA (l'American Defense League), ma ha avuto forti contatti anche con la Jewish Defence League attiva in Canada (quest'ultimo caso è piuttosto curioso visto che il connubbio tra estremismo di destra e ultracattolicesimo e la presenza dell'Islam radicale, possono generare un crescente trend di antisemitismo).
Come reagiranno le élites europee, ma anche l'amministrazione americana, a questi fenomeni di riorganizzazione e alla loro "crociata" per l'Europa? Il radicalismo è sicuramente, una questione non ancora propriamente tenuta in debita considerazione in questo periodo di recessione economica, ma rischia anche di complicare le relazioni con parte del mondo arabo (per la sua carica anti-Islam).

...Questi estremisti di destra conquisteranno supporto elettorale e attrarranno nuovi simpatizzanti in molte aree europee e questo avverrà probabilmente proprio perché adottano un'agenda politica fatta di critiche al capitalismo, alla liberalizzazione, alla globalizzazione e alle politiche europee nei confronti della crisi economica e di Nazioni come la Grecia...


La loro retorica politica ricca di riferimenti alla sicurezza nazionale, all'appartenenza territoriale, alla difesa delle identità locali e della civilizzazione occidentale, all'immagine di una "Fortezza Europa" assaltata da banche e mercati cosi come dalle "forze" dell'immigrazione e da quelle inassimilabili dell'Islam, possono avere un potenziale successo in un periodo che, come richiamato all'inizio del saggio, non richiama certamente all'età dell'oro della storia recente del Vecchio Continente.
Una questione ulteriore dovrebbe tuttavia far riflettere il lettore attento: chi altri oggi sta offrendo una eventuale "difesa" delle tradizioni occidentali?
E quale sarebbe il nucleo indissolubile e irrinunciabile di tali tradizioni e valori? Occorrerebbe forse ribadire, a livello europeo, la centralità del tema della tolleranza soprattutto per garantire un più corretto funzionamento di società ormai irrimediabilmente multietniche, offrendo un modello più chiaro (e comune) di integrazione delle minoranze etniche (e, in alcuni casi, anche religiose), facendo comprendere quanto il concetto d'identità sia fluido e mutevole nel tempo, e, al tempo stesso, come la solidarità abbia costituito uno dei pilastri irrinunciabili nella costruzione della stessa Europa dopo le macerie del periodo bellico.




Enzo Maria LE FEVRE CERVINI


L’Europa e i crescenti estremismi


La crescente radicalizzazione dei fenomeni di razzismo e xenofobia in Europa è allarmante, stando ai rapporti della Commissione Europea contro il Razzismo e l'Intolleranza (ECRI) e dell'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA). Il fenomeno si accompagna alla crisi economica che colpisce il continente europeo ma è anche frutto di una trascuratezza politica ed educativa sulle politiche di prevenzione e tolleranza. In certi casi fenomeni di razzismo e xenofobia sono frutto di un incitamento all'odio che ha tra i promotori leader politici di partiti estremisti.
Nel corso degli ultimi anni i partiti estremisti, xenofobi e inneggianti alla discriminazione razziale hanno, via via, conquistato seggi nei Parlamenti nazionali e anche in sede europea. Un fenomeno che non ha riguardato solo i Paesi dell'Europa dell'Est, dove il fenomeno è sicuramente più conosciuto e vasto, ma anche Paesi scandinavi, di tradizione socialdemocratica, o Paesi del nord Europa dove da sempre la tolleranza era prerogativa nell'attività politica.
L'antieuropeismo, sintomo un tempo quasi marginale ed appartenente solo a partiti e gruppi con aspirazioni ultraconservatrici e secessioniste, ha trovato, come risultato di un'informazione spesso pretestuosa e poco informata, nuovi alleati e ha spinto intere fasce della popolazione europea a cercare, nelle figure politiche radicali, alleati di una progredita sintomatologia paranoica.
L'11 Settembre, non serve ribadirlo, ha creato le ideali condizioni per una "caccia alle streghe" anche in Europa. Malumori e scontenti, spesso sopiti da rigide regole di tolleranza e solidarietà sociale, così come da un generalizzato benessere, sono riemersi per via dei grandi attacchi terroristici di Londra e Madrid e di una sempre maggiore crisi dell'economia nazionale di tanti Paesi dell'Unione Europea. Si è costretti a ricordare il fenomeno, legato alla GrandeDepressione, che in Europa, tra il 1919 e il 1939, ha spinto gli elettori a prediligere partiti anti-sistema. La situazione oggi non è certo drammatica come allora, ma la guerra, seppur lontana e contro un nemico oscuro quale il terrorismo, c'è, la crisi economica pure, il prezzo del greggio, la discesa dei consumi e la crisi della politica e degli idealismi pure.
Spesso il fenomeno colpisce le fasce più deboli delle società, le più emarginate, e si evidenzia in quelle regioni dove, per incapacità della politica o per mero sciovinismo, i gruppi si scontrano nel nome di retorici luoghi comuni, spesso privi di fondamento, o per necessità che poco riguardano il vero senso del problema che li affligge.
Casi emblematici come quello dell'Ungheria, dove il partito filo-nazista Jobbik, ha conquistato numerosi seggi del Parlamento nel corso delle elezioni del 2009, inneggiando ad una campagna anti-Rom, quello inglese del British National Party, quello finlandese dei "True Finns" (Veri Finlandesi) o, non ultimo, quello greco di Alba Dorata, sono non più un campanello d'allarme ma la reale affermazione di un fenomeno sempre più comune nell'intero continente.
Questi partiti inneggiano non solo al nazionalismo e, in alcuni casi, all'autarchia, alla fuoriuscita dall'Unione Europea, senza meglio spiegare cosa succederebbe ma solo dando all'organizzazione regionale responsabilità di tutti i problemi economici che affliggono le casse nazionali e le industrie locali, ma spesso riversano negli extracomunitari, o nelle minoranze, l'odio necessario ad istigare le folle.
In questo contesto e per i fini sopraelencati proprio in Ungheria, all'inizio del 2012, esponenti di spicco del partito filo-nazista e antisemita Jobbik hanno bruciato la bandiera Europea. Forse non il primo atto di questo genere ma significativo per i tempi; l'Ungheria, infatti, era da poco diventata Presidente di turno dell'Unione. Da allora, ma, come è stato già evidenziato, anche nel corso della campagna elettorale, Jobbik ha incessantemente condotto una campagna antieuropea ai limiti della legalità. Illegale è invece, da poco, diventata la Guardia Ungherese, milizia creata dal partito che ha, spesso violentemente, condotto azioni razziste e xenofobe nei confronti della minoranza Rom ungherese, 10% della popolazione totale del paese, ed ebraica in tutto il Paese.
Tutto questo contrasta con i risultati del rapporto del 2010 del Political Capital Institute di Budapest, che ha creato l'indice DEREX (Demand for Right-Wing Extremism), in cui si evidenziava come l'estremismo in Europa stesse crescendo nell'Europa dell'Est e decrescendo nell'Europa Occidentale. Questo fenomeno era dato dal fatto che in quest'ultima parte del continente gli appelli dell'estrema destra erano principalmente basati sulla lotta all'immigrazione, un problema che raramente conduce la gente a rifiutare l'establishment politico: nell'est il pregiudizio e gli atteggiamenti anti-Rom si ponevano come fenomeni di una generale opposizione ai sistemi politici e ad un malessere sociale generale. Questa commistione era, ed è tutt'oggi, vista come una grande minaccia alla stabilità politica dei Paesi. Proprio stando ai dati rilevati dal DEREX, ad esempio, gli estremisti in Ungheria sono più che raddoppiati nel periodo che va dal 2003 al 2009, passando dal 10 al 21% della popolazione. E se il "caso ungherese" era visto come l'eccezione che conferma la regola, a partire dal 2010 il trend invece è stato simile in quasi tutti i paesi dell'Unione Europea e dell'Europa in generale.



Come mostra la mappa contenuta nell'indice DEREX 2010 le ideologie radicali sono principalmente presenti nei paesi in cui regimi autoritari o totalitari hanno avuto un grande ruolo nel plasmare la società nel corso del XX secolo.
La mappa non tiene conto delle elezioni che dal 2010 al 2012 hanno portato gruppi politici estremisti nei Parlamenti di alcuni paesi europei. Dall'anti-islamico Partij voor de Vrijheid (Pvv) di Geert Wilders in Olanda, al Fronte National (Fn) di Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie Le Pen, dal nazionalista Vlaams Belang (Interesse Fiammingo) al "True Finns" (Veri Finlandesi), sono numerosi e sempre più nazionalisti i Parlamenti nazionali. Le loro politiche inneggiano all'isolazionismo e incorporano non solo uno spirito anti-islamico, sempre più diffuso nel continente, ma ricalcano molti slogan contro gli ebrei tipici del periodo nazista. Molti tra questi partiti, assieme anche a partiti più moderati, hanno spinto i governi a permettere l'avvio di ronde di cittadini, talvolta anche armati, per garantire la sicurezza della popolazione.Inevitabilmente, in effetti, assieme alla crisi economica la microcriminalità è aumentata esponenzialmente e sebbene, stando anche ai recenti sondaggi e ai numeri dei Ministeri degli Interni dei vari paesi, forse quella che è aumentata è più la sensazione di insicurezza che il reale tasso di criminalità, la popolazione, spesso spinta dai media, è sempre più vittima del fenomeno paranoico del "nemico in casa".
Questo spiega, ma assolutamente non giustifica, anche fenomeni di follia come quello di Anders Breivik, il trentenne che ha ucciso settantasette persone, in maggior parte giovanissimi, nel 2011, in Norvegia proprio in nome della lotta all'Islam e al socialismo. Oppure, l'eclatante caso di Torino dove, alla fine dello scorso anno, una popolazione inferocita, per una denuncia di stupro rivelatasi poi falsa, ha dato alle fiamme un campo Rom, evento che per miracolo non si è trasformato in una strage.
La sintomatologia paranoica è, troppo spesso, esasperata dai media e dalla voglia di esaltare avvenimenti criminali che, forse troppo spesso ed in modo del tutto parziale, vengono attribuiti agli stranieri.


.…… sebbene non si possa oggi parlare di rischi connessi alle categorie di crimini propri della Responsabilità di Proteggere, rimane evidente che il rischio di una radicalizzazione della violenza e della persecuzione verso alcune minoranze in Europa oggi è realistico...


Se globalmente si sta sempre di più affermando il principio che lega la sovranità alla responsabilità dello Stato di difendere i propri cittadini, da fenomeni quali il genocidio o i crimini di massa, e che vede i paesi dell'Unione Europea in prima linea per la sua attestazione come prassi consolidata, lo stesso non si può dire di quello che accade nelle politiche nazionali dei paesi dell'Unione. Sebbene non si possa oggi parlare di rischi connessi alle categorie di crimini propri della ‘responsabilità di proteggere’, rimane evidente che il rischio di una radicalizzazione della violenza e della persecuzione verso alcune minoranze in Europa oggi è realistico.
La responsabilità della politica c'è ed è legata alla mancanza di educazione civica nelle scuole, all'abbandono o riduzione di politiche di protezione delle minoranze, alla poca vigilanza sui fenomeni di estremismo e al reale abbandono di regole ferree che impediscano, sul nascere, fenomeni di razzismo o xenofobia.
Il fenomeno degli estremismi si lega anche a quello delle tifoserie calcistiche, gli hooligans, legati spesso alla politica radicale, di destra e sinistra, ai gruppi extraparlamentari. Una situazione diventata quasi ingestibile, perché i governi incontrano forti difficoltà e non sono ancora riusciti a gestire il problema. Gli Stati, inoltre, hanno un'altra responsabilità, quella, spesso espressa da esperti e organizzazioni internazionali, di non aver ratificato o di non ottemperare alle risoluzioni internazionali in materia di diritti umani e lotta al razzismo e alla xenofobia.



L'omofobia e le istanze anti-immigrazione appaiono come le più determinanti dello schema. Un fenomeno, quello della caccia agli omosessuali, sempre più presente nelle cronache europee.


.…… lo stesso Commissario europeo per la Giustizia, i diritti umani e la cittadinanza ha dovuto spesso, nel corso degli ultimi mesi, richiamare l'attenzione dei Paesi Membri all'applicazione delle regole comunitarie e alla creazione di nuove e più efficaci politiche di prevenzione al razzismo e alla xenofobia ….


In Europa due importanti meccanismi, ma non sono gli unici, sono stati creati per arginare il fenomeno del razzismo. La Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI) è un organo di monitoraggio del Consiglio d'Europa, specializzato nel contrasto ad ogni forma di razzismo, xenofobia, antisemitismo e intolleranza, in un'ottica di protezione dei diritti umani. Le attività dell'ECRI includono tutte le misure necessarie a combattere la violenza, la discriminazione ed il pregiudizio nei confronti di persone (o gruppi di persone), sulla base di presupposti razziali, linguistici, religiosi, nazionali o etnici.
La decisione di istituire l'ECRI è contenuta nella Dichiarazione di Vienna del 1993, adottata al termine del primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Consiglio d'Europa; il 13 giugno 2002 il Comitato dei Ministri ha adottato uno Statuto autonomo per l'ECRI consolidando, in questo modo, il suo ruolo di organo indipendente di monitoraggio dei diritti umani.
Uno dei cardini del programma di lavoro dell'ECRI è costituito dal suo approccio per Paese, mediante il quale la Commissione effettua un'analisi approfondita della situazione relativa al razzismo e all'intolleranza in ciascuno degli Stati membri del Consiglio d'Europa e formula suggerimenti e proposte su come affrontare i problemi individuati. L'approccio per Paese permette di prendere in esame allo stesso modo, e su un piede di parità, tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa. Tale lavoro di monitoraggio prevede l'elaborazione di rapporti, suddivisi in cicli di 4/5 anni, che analizzano ogni anno la situazione di 9/10 paesi. L'ECRI elabora delle raccomandazioni politiche indirizzate a tutti gli Stati membri. Tali raccomandazioni rappresentano delle linee-guida che i policy-makers sono invitati a seguire nella fase di elaborazione di politiche e strategie nazionali in vari ambiti.
I tagli nel settore delle politiche sociali, minori opportunità di lavoro e il conseguente aumento dell'intolleranza nei confronti dei gruppi di immigrati e delle minoranze storiche più antiche, rappresentano tendenze preoccupanti emerse dalle visite che l'ECRI ha condotto nei diversi Paesi nel corso del 2011. Il rapporto dell'organizzazione rivela, anche, come la retorica xenofoba faccia ormai parte del dibattito generale e gli estremisti utilizzino, con sempre maggior frequenza, i media sociali per diffondere i loro punti di vista, mentre la discriminazione contro i rom continua ad aggravarsi. Jenö Kaltenbach, recentemente eletto Presidente dell'ECRI, ha dichiarato che i Governi hanno bisogno di rendersi conto che l'azione antirazzista è di basilare importanza per la costruzione di una società forte, sottolineando, inoltre, che "È essenziale opporre resistenza al razzismo per preservare il futuro dell'Europa".
Il secondo meccanismo presente in Europa è l'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA). È un organo consultivo dell'Unione Europea, istituito nel 2007, con sede a Vienna. L'Agenzia ha il compito di promuovere i diritti fondamentali delle persone che vivono nel territorio dell'UE. A questo scopo, raccoglie informazioni sulla situazione dei diritti fondamentali nell'UE e fornisce raccomandazioni, sulla base delle evidenze raccolte, su come migliorare la situazione. Proprio nel corso del suo ultimo rapporto annuale, presentato al Parlamento Europeo il 20 giugno 2012, Fundamental rights: challenges and achievements in 2011 (Diritti fondamentali: difficoltà e progressi del 2011), l'Agenzia ha sottolineato come la lotta al razzismo, alla discriminazione e alla promozione dell'uguaglianza siano tra le sfide più importanti che gli Stati membri dell'UE siano chiamati ad affrontare.
Sebbene lo stesso Parlamento Europeo abbia invitato gli Stati membri a te ner conto delle esigenze delle comunità minoritarie e ad incoraggiare le loro strutture civiche prevedendo, nel contempo, programmi per una loro completa integrazione e inserendo le esigenze delle minoranze etniche nelle politiche e nelle prassi, ed ha insistito sul fatto che la protezione dei diritti delle minoranze debba essere assicurata nell'ambito di un sistema di governo politicamente decentrato, poco è stato fatto dai Governi nazionali in tal senso. Lo stesso Commissario europeo per la Giustizia, i diritti umani e la cittadinanza ha dovuto spesso, nel corso degli ultimi mesi, richiamare l'attenzione dei Paesi Membri all'applicazione delle regole comunitarie e alla creazione di nuove e più efficaci politiche di prevenzione al razzismo e alla xenofobia.

.… Bisogna che si capisca che quello del razzismo e della xenofobia non è un problema attinente a realtà distanti da quelle europee …





Michele CERCONE


La riorganizzazione degli estremismi e la ‘crociata’ per l'Europa


L’Unione Europea è profondamente convinta della necessità di sradicare il terrorismo e, di conseguenza, prevenire attentati terroristici attraverso la lotta contro la radicalizzazione e il reclutamento è una delle sue priorità, come sottolineato nella Strategia UE per la Sicurezza Interna adottata nel 2010. Sotto quest'aspetto, la radicalizzazione viene intesa dall'UE come il complesso fenomeno di persone che abbracciano ideologie radicali che potrebbero portare a commettere atti terroristici.
La radicalizzazione e il reclutamento terroristici non sono confinati ad una sola fede o ad una sola ideologia politica, e questo è chiaramente evidenziato dal fatto che l'Europa ha conosciuto diversi tipi di terrorismo nella sua storia. Un recente rapporto di Europol conferma la nuova tendenza secondo la quale a rendersi responsabili di atti terroristici sono sempre più singoli individui.

.…… fino ad ora l'attenzione nella lotta al terrorismo si è concentrata sui tradizionali strumenti di polizia, ma è chiaro che questi ultimi non sono sufficienti …


Bisogna in tutta onestà ammettere che né gli Stati Membri né la Commissione europea hanno intrapreso azioni sufficienti per affrontare il fenomeno crescente della radicalizzazione e degli estremismiviolenti. Fino ad ora l'attenzione nella lotta al terrorismo si è concentrata sui tradizionali strumenti di polizia, ma è chiaro che questi ultimi non sono sufficienti per contrastare gli estremismi violenti e le ideologie che li sostengono: è, dunque, giunto il momento di cambiare approccio. Naturalmente la responsabilità principale appartiene agli Stati Membri: il fulcro dell'azione europea in materia di lotta alla radicalizzazione e al reclutamento terroristico è - e deve restare - a livello nazionale e, soprattutto, locale. Tuttavia, gli Stati Membri hanno esperienze molto diverse. Alcuni sono molti attivi ed hanno sviluppato piani e strategie in quest'ambito, mentre altri hanno appena cominciato a farlo. Il ruolo della Commissione europea è sostenere gli Stati Membri e nella Strategia per la Sicurezza Interna è stata individuata la priorità di aiutare le comunità locali nell'attività di prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento.

.………c'è tanto da imparare dai professionisti che lavorano in prima linea nei paesi europei…


Uno degli strumenti principali messi a punto a livello europeo in questo campo è la ''EU Radicalisation Awareness Network'' (Rete europea per la sensibilizzazione alla radicalizzazione), meglio conosciuta con l'acronimo RAN. La RAN, lanciata nel Settembre 2011, è una ''rete di reti'' che include gruppi, associazioni e piattaforme che sono concretamente impegnate nel settore della prevenzione della radicalizzazione. Il loro lavoro nell'ambito della RAN è organizzato in gruppi di, tra gli altri, rappresentanti di Forze dell'ordine, giudici, autorità locali, esperti del mondo accademico e organizzazioni della società civile, inclusi gruppi di vittime del terrorismo. Il punto di partenza è che gli attori locali - leader di comunità locali, polizia, insegnanti, vittime e associazioni di giovani per menzionarne solo alcuni - sono spesso nella migliore posizione per agire poiché sono i primi a poter identificare le persone a rischio radicalizzazione e che possono diventare violente. Inoltre, sono proprio gli attori locali a conoscere meglio le loro comunità e, dunque, a poter sviluppare i programmi più efficaci. Tuttavia, un agente delle Forze dell'ordine che lavora con le comunità più vulnerabili in Spagna, dovrebbe essere nella posizione di poter condividere la propria esperienza con i suoi colleghi italiani o francesi, e c'è tanto da imparare dai professionisti che lavorano in prima linea nei paesi europei o da chi è impegnato ad assistere i giovani in situazione di disagio.
La RAN mira proprio a favorire questi scambi e si pone come la piattaforma europea degli operatori e di chi è impegnato a contrastare la radicalizzazione violenta a livello locale. La rete riunisce una costellazione di programmi e operatori che normalmente non sono in contatto tra loro, offrendo loro visibilità e creando un fronte coeso per contrastare l'estremismo violento.

… rispondere alla propaganda terroristica …


Uno degli obiettivi della RAN è trovare modo di rispondere alla propaganda terroristica - soprattutto su Internet - e di sostenere le forze contrarie alla radicalizzazione in modo che possano far udire la propria voce. Gli sforzi per contrastare gli estremismi violenti sono un impegno a lungo termine, e per mantenere vivo l'impegno politico soprattutto da parte degli Stati membri, la Commissione europea sta organizzando una conferenza ministeriale per il prossimo anno. Nel corso dell'evento la RAN presenterà i risultati del lavoro svolto finora e gli Stati membri illustreranno i proprio sforzi per combattere gli estremismi violenti e la radicalizzazione.




Stefano D'AURIA


Ultras e fazioni politiche estremiste: possibili valenze ‘anti-sistema’


La connessione tra tifoserie e politica, soprattutto nel mondo calcistico, è un fenomeno di rilievo le cui radici vanno ricercate negli scorsi decenni. Più precisamente, tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta - in un periodo in cui tanti giovani partecipavano attivamente alla vita politica militando, nella maggior parte dei casi, in organizzazioni estremiste ed extraparlamentari - una buona parte dei gruppi ultras iniziava ad assumere connotazioni politiche ed ideologiche, a carattere dichiaratamente oltranzista.
Nelle curve comparivano i primi striscioni inneggianti a figure dittatoriali - Stalin, Mao, Hitler - oppure all'antisemitismo o, ancora, ai massacri etnici perpetrati durante il secondo conflitto mondiale e immediatamente dopo. La politicizzazione di una tifoseria emergeva principalmente dai cori, dagli striscioni e dai simboli utilizzati ma anche dai fogli e dalle fanzine politiche distribuite nelle curve; mezzi, tuttavia, che vengono ancora oggi adottati dagli ultras con le medesime finalità - ciò che differenzia l'ultrà odierno è il massiccio uso di Internet volto sia alla propaganda delle proprie idee che alle esigenze organizzative.
Spesso i ragazzi che il sabato pomeriggio sfilavano nei cortei politici erano gli stessi che il giorno successivo occupavano le curve negli stadi facendo il tifo per la propria squadra del cuore e, in ambedue i casi, le cose non tardavano a degenerare in aperti scontri con le fazioni rivali e con le Forze dell'ordine.
Si è passati da qualche scaramuccia a veri e propri episodi di guerriglia urbana, nel corso dei quali le tifoserie calcistiche hanno assimilato in fretta le "tecniche di combattimento" delle formazioni politiche extraparlamentari.
Anche gli obiettivi presentavano caratterizzazioni molto similari: i gruppi politici oltranzisti cercavano di occupare le aree metropolitane - piazze, scuole, università, fabbriche abbandonate … - con l'intento di ricavare spazi per propagandare i propri valori e il proprio stile di vita; contemporaneamente anche gli ultras cercavano di "accaparrarsi" le curve negli stadi mandando via le tifoserie tradizionali, con lo scopo primario di dimostrare di aver conquistato un territorio, dove dominavano esclusivamente i propri simboli e i propri slogan.

... le stesse inclinazioni politiche che si hanno su un determinato territorio si riflettono nelle tifoserie delle squadre provenienti da quelle zone …


Gli ultras hanno iniziato a politicizzarsi nel periodo della Contestazione, in cui vi era una forte militanza dei giovani nella sinistra. Questo trend, di conseguenza, si è riscontrato anche all'interno delle tifoserie dove il numero dei gruppi ultras vicini all'estrema sinistra superava decisamente quello di segno opposto. Negli ultimi 25 anni sembra esserci stata una metamorfosi di questa impostazione. Le stesse inclinazioni politiche che si hanno su un determinato territorio si riflettono nelle tifoserie delle squadre provenienti da quelle zone; e proprio questa relazione ha fatto sì che le curve rappresentassero un vero e proprio bacino elettorale per molto partiti o singoli politici, con possibile partecipazione attiva degli ultras a campagne elettorali o al sostegno della causa. In una tifoseria politicizzata, la fede calcistica e campanilistica - forse perché più radicata e irrazionale - ha un'importanza primaria rispetto a quella politica: ciò è dimostrato dai non rari scontri avvenuti tra tifoserie rivali anche se poste sullo stesso versante ideologico.
La Legge 41/2007 - promulgata con l'intento di prevenire e reprimere le violenze connesse alle competizioni calcistiche - ha vietato l'esposizione di messaggi politici sugli striscioni e ha impedito la riproduzione di simboli politici su ogni tipo di vessillo al fine di eliminare pretesti che avrebbero potuto condurre allo scontro fisico due fazioni ultras ideologicamente contrapposte. Uno dei simboli politici che si sono maggiormente visti nelle curve degli stadi è stata la croce celtica che, negli anni Novanta, ha avuto un vero e proprio boom divenendo l'emblema naturale delle comunità di tifosi politicamente spostate a destra, diretto a rappresentare i concetti di gerarchia, spazio, comunità e ritualità. In alcuni casi, addirittura, alcune tifoserie sono giunte ad esporre simboli manifestamente nazisti - come la svastica - con l'intento di comunicare un messaggio chiaramente xenofobo e antisemita.


.…l'Italia non è l'unico Paese al mondo nel quale all'interno delle tifoserie sono presenti "tendenze" politiche o extrasportive… la politicizzazione - o comunque un forte legame etnico o religioso - si riscontra anche nelle tifoserie dei Paesi extraeuropei …


L'Italia non è l'unico Paese al mondo nel quale all'interno delle tifoserie sono presenti "tendenze" politiche o extrasportive. In Francia, ad esempio, gli ultras di Olympique Marseille, FC Girondins de Bordeaux, FC Metz, AS Cannes, SC Toulon, Montpellier HSC e Olympique sarebbero di sinistra mentre le tifoserie di Paris Saint Germain, Olympique Lyon, OGC Nice, Lille OSC, ASL Nancy e RC Strasbourg sarebbero orientate a destra. In Inghilterra, il fenomeno degli hooligans non viene definito come particolarmente legato alla politica, tuttavia esistono squadre con tifoserie più schierate politicamente, spesso all'estrema destra, come il Millwall, gli Headhunters di Chelsea e West Ham. In Germania, gli ultras di estrema destra sembrano concentrarsi nelle squadre dell'ex Germania Orientale dove si potrebbe dire che la dittatura comunista abbia portato le giovani tifoserie per reazione al neo-nazismo - principalmente Hansa Rostok, Energie Cottbus e Dynamo Dresda le cui simpatie devono essere molto contenute in considerazione delle leggi molto restrittive che vietano qualsiasi sfoggio di materiale di stampo neo-nazista. I gruppi ultras dell'ex Germania Ovest, al contrario, sono quasi tutti apolitici.
In Spagna, sono pochissime le squadre con tifoserie apolitiche; gli ultras del Real Madrid e dell'Atletico - le formazioni più importanti della capitale - sono su posizioni di estrema destra mentre la tifoseria del Rayo Vallecano, proveniente da un sobborgo proletario di Madrid, è su sponde opposte. Divisioni analoghe sono presenti nelle altre due grandi città spagnole: Barcellona e Siviglia. Per gli ultras dell'FC Barcelona - durante la dittatura franchista - è stata vietata la produzione di bandiere catalane; gli indipendentisti catalani, infatti, sono stati sempre su posizioni anarchiche o comuniste e la gran parte di loro aveva lottato duramente contro i franchisti nel corso della guerra civile nel 1936.
La politicizzazione - o comunque un forte legame etnico o religioso - si riscontra anche nelle tifoserie dei Paesi extraeuropei. In Algeria, il tifo calcistico rappresenta un'importante manifestazione identitaria per la popolazione berbera. Anche in Libano - e soprattutto nella capitale Beirut - molti club hanno chiari riferimenti politici, religiosi o etnici che rispecchiano le divisioni presenti nella società. Spesso sono proprio queste differenze a causare disordini e violenze al punto che il Governo libanese, nel 2008, ha deciso di inibire agli spettatori negli stadi la visione del campionato di calcio.

… Non mancano punti di contatto tra il Blocco Nero e le tifoserie calcistiche...


Non mancano punti di contatto tra il Blocco Nero e le tifoserie calcistiche. Basti pensare che, tra gli anarco-insurrezionalisti responsabili dei gravi disordini avvenuti a Roma il 15 ottobre 2011 nel corso della manifestazione pacifica degli indignados, erano presenti anche ultras delle tifoserie capitoline, campane e livornesi.
Analizzando il modus operandi e le finalità che si propongono i gruppi extraparlamentari di ieri, le tifoserie violente, i cosiddetti Black Bloc e le fazioni antagoniste odierne, ci si accorge che il comune denominatore consiste nel bisogno fisiologico di uno spazio fisico nel quale sopravvivere e diffondere le proprie idee insieme alla propria visione del mondo.
Nell'ultimo decennio, i vari gruppi ultras - assumendo connotazioni che li avvicinano sempre più alle fazioni politiche antagoniste - tendono ad identificare il "nemico", non più nelle tifoserie tradizionalmente rivali, bensì nelle Forze di polizia, quindi, nello Stato e nelle sue istituzioni. Nel loro gergo e nei loro comunicati si sente spesso la parola "sistema" e si percepisce, con sempre maggiore intensità, una ferma volontà di contrapposizione al sistema stesso; parola che ricorda - nel senso sostanziale perché caratterizzata dal trinomio istituzioni, profitto e repressione - il "vecchio" stato imperialista delle multinazionali degli anni di piombo (1968-83), storico e principale avversario delle Brigate Rosse. Si diffondono sempre più negli stadi, e nelle immediate vicinanze di questi, scritte contro le Forze dell'Ordine e contro lo Stato: la più diffusa è "A.C.A.B.", acronimo di "All Cops Are Bastards" (tutti i poliziotti sono bastardi).
Da uno studio effettuato qualche anno fa dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Viminale, è emerso che la geografia e la natura del "tifo violento" si è andata saldando e definendo, in misura sempre maggiore, grazie ad un collante di natura eversiva che ha dato origine, parallelamente, all'esistenza di una "teoria dell'opposizione violenta" contro "il sistema istituzionale", assunto nella sua manifestazione materiale e soprattutto simbolica. In tale direzione va letto un episodio particolarmente grave avvenuto a Roma l'11 novembre 2007 - al quale fortunatamente non ne sono succeduti di simili - quando centinaia di tifosi hanno messo sotto assedio una caserma delle volanti di Polizia di Via Guido Reni con lanci di sampietrini, cassonetti divelti e un autobus incendiato: evento senza dubbio allarmante tenuto conto che, negli anni di piombo, nessun corteo politico - di destra o di sinistra - ha mai tentato di assaltare una caserma delle Forze dell'ordine dove ci sono agenti con armi a disposizione. L'Italia sta vivendo pienamente la crisi economica epocale che sta attanagliando il mondo intero: peraltro, non mancano intellettuali ed opinionisti i quali sostengono che la crisi, nel nostro Paese, non si limita esclusivamente all'ambito finanziario ed economico ma sta sfociando più in generale anche in una decadenza culturale ed etica.
Le crisi - soprattutto se profonde e prolungate nel tempo - rappresentano un ottimo humus per le sottoculture e per i gruppi antagonisti, nei quali sono compresi le tifoserie violente soprattutto in considerazione della loro recente vocazione "antisistema". Il mondo ultrà - calcistico ed extrasportivo - è popolato da soggetti che, anche se privi di specifico addestramento militare, sono comunque predisposti e pronti alla violenza tanto da rappresentare un possibile bacino di reclutamento - come, del resto, è avvenuto nella ex Yugoslavia nella prima metà degli anni Novanta



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