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GNOSIS 2/2012
UN RACCONTO

....donna di mafia


 articolo redazionale

Femmina.
Era nata una femmina. Cattivo presagio. Mico non sarebbe uscito dal vicolo buio del destino suo e della sua famiglia. Ne sentiva il peso nefasto e infastidito aveva rinunciato a vederla subito.
Si era chiuso nella camera e aveva imprecato, come solo i mammasantissima sanno fare, con un silenzio tanto violento da sfidare il vento…


Foto da http://infosannio.files.wordpress.com
 
Dieci anni di faida logorano.
Mico aveva perso tre figli, altrettanti nipoti, amici fedeli e picciotti di buona volontà…
Le faide mietono e seminano lutti ed ansie, alimentano l’arsa fiumara della vendetta, la rendono essenziale, velenosa, ineludibile.


Non sono però le ammazzatine i momenti più feroci, perché la faida pervade il quotidiano con l’essenza di un maleficio, ricorre alla costante dissuasione, come in una guerra fredda perenne che coinvolge amici, parenti e ogni sverza di società. La faida nel quotidiano miete paura, villania, tradimenti, insomma sembra straziare e alienare… La faida nel quotidiano è la morte civile perché sai di essere morto ancor prima di essere ucciso…

Che me ne faccio di una femmina?
Mico piegava gli occhi e raccoglieva il rancore contro il destino, tra quindici o vent’anni la sua famiglia che ne avrebbe fatto di quel gomitolo rosa di peccato e inutilità?

Giuditta era cresciuta in questo buio crucciato del padre, all’ombra di una famiglia sempre più offesa dalla sconfitta.
Amava vestire da uomo e giocava con le pistole. Era abile con il coltello, prepotente e osava non aver paura come il più degno dei rampolli.
Quest’assenza di paura preoccupava i nemici del padre…
Preoccupava anche il padre che non si trovava a suo agio con l’impertinenza coraggiosa di una femminazza… Sua moglie, la madre di Giusy, era una quercia di silenzio e coraggio domestico ma non esagerava, era il suo il silenzio di chi non teme la vedovanza, di chi educa all’odio i figli e li fa crescere nella famiglia, nutrendoli con tutto il corredo che fa un buon ‘ndranghetista.
Giuditta no!
A scuola era brava, voleva continuare a studiare, sino all’università…. A questo cimento moderno da cui traeva grandi auspici, si aggiungeva quello più rude e selvaggio che a Mico piaceva di più…
Non si perdeva, però, una scuoiata di coniglio, una decollata di gallo, godendo di quella morte tra le sue dita che spesso, sempre più spesso, tra sé e sé dedicava ai nemici di suo padre….

Oggi Giusy, così si fa chiamare dopo la morte del padre che mai avrebbe voluto l’uso di un simile verso contratto – per lui troppo straniero, troppo di quella modernità prostituta – oggi era una donna fatta, dai capelli d’olivo scuro, di quello greco, e dagli occhi di cielo, cielo terso, limpido, azzurrino pallido, attraversato di tanto in tanto da arcobaleni brucianti, rossastri, stretti come scimitarre.

Giusy aveva visto morire gli amici più cari e aveva sposato il rampollo dei suoi nemici. Una pace, dopo la feroce faida, si consuma e s’inchioda sulla croce del talamo. Padrini erano i capi di Reggio, tutti insieme, con il vestito della festa, con la faccia bruciata dal sole, con le tasche piene di piccioli e la voglia di far smettere le faide che tanti sbirri eccitano come cani da tartufo…
I vecchi avevano sigillato il loro amore con i segreti degli affari e nulla poteva resistere a quel volere antico e potente…

Suo marito non era più uomo di lei. Se ne accorse anche lui. La teneva a parte dei segreti, ragionava nell’alcova e come un bambino piegava il capo sul suo grembo, sussurrando come risacca. Girava il mondo ma il mondo aveva senso solo quando ruotava ai piedi di quella donna che amava e che, a dispetto del destino, sentiva più sua della sua stessa famiglia….

Giusy aveva così imparato che la ‘ndrangheta è certo cosa di ommini, ma che le donne la rendono più viva, più prospettica e anche più rancorosa…
Senza le donne la ‘ndrangheta non avrebbe avuto tanto futuro e forse oggi sarebbe stata un ricordo, una memoria labile di streghe, un topos agiografico da pittura locale….
Si era sposata senza conoscere uomini, con il coltello in tasca, quello del fratello ucciso tanto tempo prima da suo cognato. Proprio dal cognato che suo padre a sua volta aveva trafitto con la rosa ampia di una lupara.
Fatti che si accavallavano in tempi che apparivano lontani, guasti e rancidi, ormai.

Quando nacque suo figlio immaginò fosse destinato a chissà quale confusione dionisiaca di sentimenti nel suo sangue. Rancori multipli e contraddittori, chiaroscuri e ossimori pronti a riflettere la molteplice essenza di quella terra arsa e ricca solo di rabbiosa solitudine.
Eppure proprio il gorgoglìo contraddittorio di quelle emozioni poteva preservare la pace in quella rude e primitiva voglia di sangue.
Il bambino fu vero frutto d’amore e seppe accontentare le attese del padre e quella della madre…

Quando studiava a Messina, che lei considerava la periferia solare e culturale di Reggio, aveva in odio chiunque osasse sottolineare la natura selvaggia della Calabria. La offendeva questa superficiale e inane vocazione al giudizio.
Suscettibile come tutti i calabresi, doveva ammettere però che il pregiudizio era tanto stolto quanto in alcuni casi, solo in alcuni, reale. La storia della sua famiglia era la prova provata della deriva criminale e violenta che lo spirito calabrese talvolta prende…. Una sorta di malanno da cui ancora non si riprende lo stivale di questa Italia…
I suoi cugini erano avvocati, altri ingegneri, una folta schiera aveva il camice bianco, insomma, tutti si erano evoluti e rappresentavano quella borghesia operosa che si era preparata e formata per dare un avvenire migliore alla Calabria.
Allora perché continuavano a mafiare?
Perché non resistevano al richiamo di “Polsi”, del sangue e della vendetta?
Perché ostentavano non i diplomi di laurea o i successi della ricerca ma l’antico lignaggio di un Vangelo? Di un Mammasantissima?

Perché preferivano alla corte delle camere penali o delle associazioni pro-loco quelle riunioni più ristrette e massoniche in cui si pensava di avere il potere di vita e di morte nel proprio paese?
Perché quelle riunioni, tutte agnello e pane caldo, con tanto vino sul tavolo, finivano per tracciare gli stessi disegni di morte, le stesse mappe di affari ormai senza confini, senza mai lasciare spazio alla voglia di futuro di figli e nipoti, di quelle terre sempre più desolate?

Giuditta guardava spesso suo figlio e s’incantava per i sogni che gli dedicava…
Lo sapeva bene… lei, come tutte le donne, doveva custodire questo sentimento di rispetto e di onore e doveva tramandarlo da padre in figlio…
Lei, poi, doveva trasferire la parte propria e quella di suo marito…
Nacquero altri figli, tutti maschi, a dispetto di suo padre…
Lei seppe accudirli in nome della ‘ndrangheta e seppe farne dei soldati, anche se mai rinunciò di offrir loro la possibilità di ben studiare e conoscere il mondo…

Era nella catena del destino della sua famiglia l’anello più importante, anche se quello meno visibile… Non lo avrebbe mai dimenticato….

Aveva visto a casa sua passare il gotha mafioso delle Calabrie, aveva conosciuto reggini, della montagna, della jonica e di ciascuno aveva imparato pregi e difetti.
Ricordava lo sguardo altero del Nirta vecchio, quello che aveva in mano tutta la Regione… Non perché avesse il grado di generale – no, nella ‘Ndrangheta ciascuno aveva potere a casa propria – ma perché il suo carisma e le sue conoscenze erano tali da renderlo un’icona, come una di quelle statue che t’incutono timore e amore al tempo stesso e che giacciono nella penombra di qualche cappella…

Si dispiacque a saperlo morto e in quel modo così violento…!

Aveva conosciuto “cristiani” contadini, professionisti, funzionari, insomma in tutti i settori della vita pubblica e privata. Aveva capito che la ‘ndrangheta era carne viva, non un vestito, ma carne che cresceva e si alimentava di quella società che voleva liberarsene. La grandezza della ‘ndrangheta derivava dalla pazienza… sì, dal paziente lavoro d’intessere una rete così fitta da diventare carne di società e perciò vitale sino a quando l’ultimo degli uomini fosse sopravvissuto…

Certo, Giusy aveva imparato che la vita è come il fiume del suo paese, offre l’opulenta agricoltura, porta la frescura ma, in caso di eccessiva pioggia, porta anche la morte, lo smottamento, la rovina dei raccolti per anni…

Anche la ‘ndrangheta la vedeva così, un po’ giusta, anche se non proprio bella, certamente necessaria, perché non immaginava la Calabria senza la ‘ndrangheta.. La vedeva, questo sì, anche pericolosa, nel caso divenisse irrequieta, indomabile, eccessiva…
Non era la faida forse un malanno e un castigo peggiore delle cavallette d’Egitto?

Venne, infatti, la stagione della piena…. Viene sempre quando non aspetti, all’improvviso, turbando momenti di felicità che si vorrebbero eterni…

Il marito aveva fatto fortuna, inizialmente con la ricchezza della droga ma poi aveva dimostrato di saperci fare e nessuno costruiva strade e ponti meglio di lui…
Faceva la spola tra Milano e la sua grotta reggina, come amava chiamare il suo Paese…
Faceva affari, tanti e tutti meritati…
Aveva anche deciso che i suoi compari avrebbero dovuto non solo prendere il pizzo, come predoni d’altri tempi, ma avrebbero dovuto lottare per conquistare il mercato, facendosi aiutare, magari, sostenendosi con le prebende della famiglia d’origine, ma sempre dimostrando di farcela per meriti propri.

Diceva anche che il mercato ha sempre bisogno di qualcuno che dia certezze… la concorrenza fa paura, tanto al Sud quanto al Nord e se ci sono scorciatoie esse sono benvenute, in qualunque parte d’Italia si sia.

Per questo amava Milano e la Lombardia in genere che trovava in alcune aree simili alla Calabria. Forse tanto calabrese da sembrargli l’hinterland di Reggio o Reggio la periferia di Milano…

“Si è fatto ricco” dicevano gli amici e in parte era vero…

D’estate era tornato da giù, dal paese, con il volto sconvolto e pieno di lacrime…

Micuzzo, diceva, lo vogliono giù, dicono che è troppo milanese, troppe scuole, troppe conoscenze…. Io l’ho detto, quelle conoscenze saranno il nostro futuro, i tempi cambiano, investiamo in nuovi orizzonti…
Loro dicono che il nipote di ‘Ntoni non può essere milanese e che lui deve tornare giù, deve imparare a comandare….

Non aveva detto, però, che le parole avevano colpito anche Giusy… dicevano che era diventata una milanese, dicevano, si è dimenticata i parenti, la sua famiglia, la Calabria…

Giusy e i figli conoscevano l’inglese e il tedesco. Avrebbero voluto imparare anche il cinese…
Giusy e i figli avevano la Calabria nel cuore e la ‘ndrangheta nel sangue ma erano confuse, erano miscelate, erano confluite in un senso più moderno di potere… di ambizione…

Il padre non disse che i mammasantissima avevano deciso che il piccolo Mico, detto Micuzzo, avrebbe dovuto commettere un omicidio, per avviarlo alla carriera che fu del nonno e che era previsto passasse a lui…

Perché ritardavano?
Perché non scendevano con Micuzzo a iniziarlo al sacro dovere dell’ammazzatina?

Vennero i carabinieri e arrestarono cento cristiani, tutti quelli che erano su… su, nel milanese…
Qualcuno disse che la spiata era stata fatta per prendere tempo…. Per dare tempo a Micuzzo di trovare coraggio, almeno così dissero i parenti stretti di Giusy che non la sopportavano e che ancor meno sopportavano la sua fortuna….

Non è un caso che gli uomini di ‘ndrangheta soffrano tutti di stomaco e non perché lo mettono a dura prova con azioni eclatanti ma perché lo espongono alla paura, al rancore, all’opportunismo…
Biliosi e cancerosi hanno sguardi torvi e indiretti, piccoli o grandi faccendieri giocano al risiko e perdono spesso la testa…

Fu così che Giusy divenne vedova e Micuzzo perse anche l’ultimo appoggio per cercare di essere un cristiano diverso.
Tira il Fohn nei giorni di ammazzatine, caldo e funesto… scuote le vele dell’anima ma non muove le ali di angelo che sembra caduto tra i promontori della Sila…

Milano non è distante dalla Piana, non si è al sicuro quando si attende la folgore vindice della famiglia…

Cosa ci fosse dietro l’omicidio del marito, Giusy non comprese mai abbastanza. Non seppe mai se si trattò anche di rigurgiti di autonomia, di estasi di potere, di un passo falso di chi si sente troppo importante e al sicuro… Seppe però che da giù si voleva la testa anche di Micuzzo e che mai gli sarebbe stata perdonata l’alterigia della diversità, la possibilità di un’altra ‘ndrangheta, più ricca ma debole se non violenta come all’origine…

Che deve fare una calabrese per essere libera, libera dai parenti e dagli sbirri?
Come poter dimenticare la propria storia, iniziare daccapo, darsi una speranza inedita, cambiare quel registro che ti fa cristiano per sempre?
Ai figli gli sbirri non perdonano avere quel cognome, quei nonni e forse anche aver iniziato in modo illegale. Ma oggi? Come poter pagare senza perder tutto? Come cambiare futuro?

Da giù continuavano le chiacchiere secondo cui Giusy aveva cambiato il marito, lo aveva imborghesito… Aveva dato un volto perbene alla sua famiglia e aveva stretto quelle conoscenze che la favorivano in tutto…
Gli altri calabresi, anche quelli che erano arrivati a Milano prima di lei, dovevano assecondarla, partecipare ai suoi progetti, accettare i suoi consigli, chiederle udienza per ottenere qualche cortesia, qualche beneficio…

Chi pensava di essere quella femminazza? Le palle, dicevano, le aveva, ma pensava di essere un uomo? Di attizzare il fuoco delle altre donne, delle vedove, delle orfane?
Voleva cambiare veramente il mondo? Pensava di essere la Madonna di Polsi?

Micuzzo era stato invitato dai cugini ma le zie e gli zii non avevano nemmeno chiamato al telefono Giusy…
Cattivo presagio….

Giusy pensa alla morte dei fratelli che non ha conosciuto… alle morti che ha incontrato, al senso finito dei genitori la cui assenza diventa un’esposizione dolorosa alla morte… tocca a te, ora, per ragione del tempo….

No, la morte di un figlio, l’assassinio di un figlio non si può pensare senza impazzire, non si può sacrificare alla ‘ndrangheta….
Le donne sono abituate a questo dolore e se ne emancipano, come stordite dal senso della famiglia… ma quale famiglia senza i suoi cuccioli?

Giusy è dilaniata dal sospetto di tradire in ogni caso i valori e gli affetti di sempre…

Giusy va dallo sbirro che voleva arrestarla… racconta la sua storia e quella della sua famiglia… Non piange, Giusy, pensa di chiedere allo sbirro di salvarle i figli, se può…
Andranno lontano e, certa che non dimenticheranno di essere cristiani e che questa condizione è per sempre, torneranno agli scranni familiari quando i nemici saranno finiti…

Giusy pensa che si possa uccidere in mille modi e che l’infamia non la riguarda perché lei è morta con il marito ed è morta per salvare i figli….

Chiude gli occhi e si vede sotto un lenzuolo….

Non sarà uccisa, farà tutto lei stessa, sazierà la voglia del nemico e darà il vantaggio della fuga a Micuzzo e ai suoi fratelli….
Prima di morire, però, per un attimo sorride….
Micuzzo, ci vendicherà Micuzzo, pensa prima di chiudere gli occhi….



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