GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2012
ATTUALITA'

INCONTRI SU TEMI CONTEMPORANEI

Quattro chiacchere con.....
Renato Mannheimer


 articolo redazionale

 

Renato Mannheimer è docente di analisi dell’opinione pubblica e delle relative tecniche di rilevazione e analisi dei dati all’Università La Bicocca di Milano.
È il Presidente dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione, giornalista, saggista e profondo conoscitore dei trends e delle tendenze che orientano gli Italiani.
GNOSIS ha voluto scambiare “quattro chiacchiere” realizzando un’istantanea del nostro Paese.nominato Sottosegretario all'Interno del Governo Monti è uno dei maggiori esperti in Italia di antiterrorismo, con un lungo impegno in materia di ordine pubblico




Dall’attività dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione di cui è Presidente che immagine emerge dell’Italia?
Emerge l’immagine di un’Italia molto preoccupata, molto pessimista sul futuro. Noi misuriamo la percentuale di chi è ottimista sul futuro – in generale – e di chi è pessimista: normalmente gli ottimisti sono sempre risultati, anche nei momenti più difficili, più numerosi dei pessimisti, viceversa questa volta la situazione è cambiata: la crisi economica ha portato un atteggiamento di pessimismo con tante preoccupazioni per il futuro.

Come è cambiato il nostro Paese dopo il boom degli anni ‘60, l’edonismo (apparente?) degli anni ‘80 e l’arrivo del secolo tecnologico (2000)?
È sostanzialmente cambiato poco, noi Italiani siamo sempre stati tendenzialmente un popolo di edonisti, abbiamo sempre cercato di vivere al meglio mettendo a disposizione anche la nostra inventiva e la capacità di innovazione che sono state, e sono, il vanto dell’Italia.
L’Italia è sempre stata brava a trovare soluzioni innovative a tante problematiche sociali ed economiche, a volte in maniera disordinata, senza fare rete, ognuno se la è cavata con la sua inventiva.
Il sistema è certamente sempre stato piuttosto pragmatico ed individualista piuttosto che organizzato, ma negli ultimi mesi questa voglia di farcela comunque, si è un po’ ridotta ed è subentrato uno stato d’animo ispirato a pessimismo e a rassegnazione che non è detto che sia costante, forse passerà.

Secondo Lei sta venendo meno “il coraggio della piazza” e alcune forme di rabbia si stemperano in un diffuso senso di scontento per la “cosa pubblica”?
La realtà è che non c’è più un nemico contro cui andare in piazza, per cui la tendenza si è parzialmente frenata, ma l’indignazione resta insieme all’incertezza, tanta incertezza. Dai sondaggi emerge che ci sono tante persone che – al momento – non saprebbero per chi votare – circa il 50% – ai quali vanno aggiunti i voti per i partiti della “antipolitica” che si possono stimare tra il 20 e il 30%. Tutto questo significa probabilmente che una gran percentuale di cittadini è scontenta dei partiti tradizionali e che non si va in piazza, ma si manifesta “la scontentezza” in un altro modo.

Anche nel nostro Paese i rischi maggiori sono legati alla situazione finanziaria ed alla precarietà dei livelli economici ed occupazionali?
La gente è preoccupatissima per la mancanza di lavoro, al punto che nel corso dei sondaggi se lei prova a chiedere cosa deve fare il Governo, l’elemento prioritario delle richieste è relativo agli interventi per l’occupazione e l’istanza viene anche da chi ha già un lavoro; naturalmente la gente è molto preoccupata anche per le ripercussioni e le questioni europee che riguardano la finanza, lo spread… ma la maggior fonte di preoccupazione che è alla base della richiesta prioritaria al Governo è l’occupazione, il lavoro, realtà anche sganciate da prospettive europeiste, ma assolutamente costanti nelle richieste dei cittadini.

Le minacce cibernetiche – in Italia – sono più virtuali che reali o non se ne parla abbastanza per carenza di “cultura generale” in materia?
In Italia non esiste ancora una cultura cibernetica diffusa, ci sono persone che non sanno ancora neppure cosa voglia dire l’espressione “minaccia cibernetica”. E poi in questo momento siamo tutti così presi da problemi pragmatici e materiali – una parte crescente della popolazione fa fatica ad arrivare alla fine del mese, ha paura di perdere il posto di lavoro e non sa come pagare il mutuo – che assorbono una gran quantità della percezione e dell’attenzione generale..

L’Europa è un’esigenza, un’utopia o un mercato?
In questo momento, più che altro, l’Europa è una delusione: noi siamo stati il Paese più europeista di tutti, siamo stati tra quelli che – più di altri – hanno voluto l’Europa probabilmente anche perché pensavamo di ottenere qualche cosa (e infatti ci ha dato) ma, adesso che, a torto o a ragione, ci chiede qualcosa, il nostro entusiasmo è molto diminuito.
Una volta era entusiasta dell’Europa circa l’80% dei cittadini, adesso siamo intorno al 50%, quindi metà della popolazione è euroscettica, secondo me perché l’Europa ha cominciato a chiederci qualche cosa, comunque, in qualsiasi prospettiva si analizzi il dato, l’evidenza è che metà della popolazione è delusa dall’Europa.

Sulla delusione può influire un senso di rimpianto per la lira?
Certamente c’è il rimpianto per la lira, il 30% della popolazione rimpiange la lira… sono in tanti.

Tra BRICS e Occidente ci sono effettive potenzialità di sintonia o sono “prodotti di crescita” troppo disomogenei e diversi?
Ci sono possibilità di sintonie e collaborazione, ma l’Occidente – l’Italia in particolare – deve mettersi in una nuova logica che contempli l’esistenza di Paesi in via di sviluppo diversi, che hanno una economia in fase di espansione e occorre quindi – in un certo senso – adattare la nostra economia a questa nuova situazione per favorirne tutte le possibilità.

Quale ruolo possono avere i Servizi Segreti in un’epoca di “informazione veloce” e giornalismo web?
Premetto subito di non essere un esperto di Servizi segreti, ma credo che queste strutture debbano utilizzare tutte le “nuove” risorse – anche nel web – per raggiungere i loro scopi istituzionali, per cercare di prevenire minacce ed eventi dannosi.

Perché in Italia pare complicato avere un’immagine reale e positiva dei Servizi di Informazione e Sicurezza?
Perché, soprattutto in passato, i Servizi si sono comportati in una maniera non chiara, cioè – mi spiego – una cosa è la normale riservatezza sul lavoro che si fa, assolutamente giusta, un’altra è porre in essere – e ci sono evidenze che in passato è stato fatto – comportamenti non esattamente legati ai compiti istituzionali. Nel passato è successo questo ed è stato un fattore che ha rovinato l’immagine.
In altri Paesi i Servizi di sicurezza sono addirittura oggetto di fierezza, come capita – ad esempio – in Israele. In Italia influisce il peso del passato.

Come si può incrementare la cultura dell’Intelligence?
Soprattutto con la comunicazione.
Probabilmente chi si occupa di Intelligence ed i nostri Servizi segreti dovrebbero spiegare meglio cosa fanno, a che cosa servono, dovrebbero chiarire il significato della attività di intelligence… una comunicazione chiara ed efficace sull’argomento potrebbe essere utile.

Quanto, secondo Lei, l’informazione “selvaggia” dei nostri giorni è disinformazione?
Il confine è veramente sottile, bisogna tenere conto del fatto che ormai l’informazione selvaggia è normale per via della competizione tra i diversi media. Direi che è molto sottile il confine tra informazione selvaggia e concorrenza ordinaria tra media, comunque la disinformazione può esserci anche quando l’informazione non è selvaggia, ma è un fenomeno presente in tutti i Paesi del mondo.

Che prospettive di realizzazione ha chi ha venti anni oggi?
Io credo che potenzialmente le prospettive siano tante; certamente il momento è difficile e con meno sicurezze di una volta, ma ci sono buone prospettive anche in Italia, io sono ottimista.
Bisogna poi tenere presente che chi ha venti anni oggi ha una percezione del Paese diversa da quella delle generazioni di trenta o quaranta anni fa… gli orizzonti si sono allargati, adesso si va con pochi euro in tutte le capitali d’Europa. Ai miei tempi, per esempio, fare un viaggio in Europa era un’avventura e non c’erano mai abbastanza soldi. I ragazzi, oggi, invece, hanno una dimensione europea, se non mondiale, su cui influisce anche la facilità di comunicazione dei nuovi media e quindi per loro Italia o non Italia può essere quasi lo stesso: si va con enorme facilità a lavorare per un po’ a Londra, poi a Praga e poi si torna.
Io credo che ci siano buone prospettive anche se con meno sicurezze di un tempo, deve essere affinata anche la capacità di competizione per arrivare al meglio, perché ci avviamo verso una società più competitiva, ma è giusto che sia così.

È il tramonto del lavoro fisso?
È finito, sì… nel senso che è venuto meno nella realtà, ma non come concetto, come mito. Se lei dovesse chiedere agli italiani – anche ai giovani – se sia meglio un lavoro fisso meno pagato o uno non fisso e più pagato si renderebbe conto che sceglierebbero tutti il fisso anche se meno pagato.

A Lei – oggi – cosa manca dei “suoi” venti anni?
Forse l’impegno sociale che c’era allora e poi l’età stessa, i venti anni, purtroppo quelli sono irrimediabilmente passati…





© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA