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GNOSIS 2/2012
Bucanieri, corsari...

La pirateria
storia ed evoluzione del fenomeno




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Pirati da sempre e per sempre. La genesi e l’evoluzione di un fenomeno – dai tempi dei fenici e dei cartaginesi fino ai nostri giorni e alla vicenda della Enrica Lexie, ricostruita con scrupolo e precisione – che non ha conosciuto crisi pur esprimendosi in momenti e aree particolari nel corso della storia e adeguando mezzi e parametri alle risorse tecnologiche.
Nel finale dell’articolo – in cui è analizzata la differenza tra pirati, corsari, bucanieri e filibustieri – è tracciata una serie di ritratti ricchi di curiosità e di aneddoti di “pirati storici”, da cui emergono le medesime caratteristiche caratteriali e comportamentali dei “pirati di sempre”: un gran coraggio, tanta violenza e spregiudicatezza, scarsa ideologia e molto materialismo… c’è ben poco di nuovo sotto il sole.


Il problema della pirateria è un fenomeno molto antico e mai completamente debellato che appare agli albori della civiltà. Erano, infatti, pirati i Fenici, gli Etruschi e i Cartaginesi, oltre che intrepidi e coraggiosi navigatori. I Romani s’impegnarono a lungo per eliminare prima i pirati Illirici, che spadroneggiavano nell’Adriatico, e poi quelli della Cilicia lungo le coste meridionali dell’Anatolia e nelle prospicienti isole egee. Anche Giulio Cesare ne fu vittima in gioventù. Catturato durante un viaggio per mare e rilasciato dopo il pagamento di un cospicuo riscatto, tornato libero armò una nave, diede la caccia ai suoi sequestratori, li catturò e li impiccò. Tra i popoli nordici erano famosi e temutissimi per le loro scorrerie i Vichinghi che s’insediarono stabilmente come feudatari in Normandia e in Italia meridionale. Nell’Alto Medioevo erano tristemente famose le incursioni dei Danesi che saccheggiarono per lungo tempo le coste delle Isole Britanniche e quelle del Mar Baltico. In Italia le Repubbliche Marinare non furono esenti da atti di pirateria. Commercio e abbordaggio a scopo di rapina erano esercitati indifferentemente dagli uni e dagli altri secondo la convenienza del momento. Nel Mediterraneo i Saraceni prima e i Barbareschi poi rappresentarono una minaccia costante per le coste e le isole di Italia, Francia e Spagna fino a tutto il ‘700 (1) . In età moderna i pirati non risparmiarono le rotte dell’Oceano Atlantico e le coste delle Americhe, dell’Oceano Indiano, i mari del Golfo Persico e della Cina. Sir Francis Drake oltre ad essere il primo navigatore inglese a circumnavigare il globo fu, soprattutto, un famoso corsaro al servizio della corona. Altrettanto feroce fu la pirateria in Oriente, dove passò alla storia Ching Shih moglie di un capo pirata locale che imperversava nel Mar Cinese Meridionale. Nel ‘900, durante i due Conflitti Mondiali, la Germania ha impiegato nella “guerra di corsa” anche mercantili armati, classificati come incrociatori ausiliari, che operarono isolatamente lungo le principali rotte oceaniche. Nella 1ª G.M. si distinsero il “Moewe” ed il “Seadler”. Il primo affondò trentotto bastimenti. Il “Seadler” era invece una goletta diventata famosa per essere stata l’ultima nave corsara a vela. Dal 1940 al 1943 le navi corsare affondarono circa 800 mila ton. di naviglio nemico. Si segnalarono, in particolare, il “Pinguin” che catturò o affondò trentacinque navi nemiche e l’“Atlantis” che fece ventidue prede. La pirateria, nel corso della sua più che secolare storia, ha contribuito all’affermarsi di Regni e Imperi. Si pensi al ruolo svolto dai Normanni in Francia, in Inghilterra, nel regno di Napoli e di Sicilia o all’ascesa dell’Impero Britannico e Turco, al ridimensionamento della Spagna nel ‘600. Con il Trattato di Utrecht (1713), al termine della Guerra di Successione Spagnola, con il venir meno del monopolio protezionistico di Madrid sui commerci per le Americhe, le principali potenze marittime dell’epoca cercarono di assicurare la libertà di navigazione. In tale contesto s’inquadra, ad esempio, la campagna degli Stati Uniti contro i pirati Barbareschi, primo impegno in assoluto della giovane nazione al di fuori del Continente americano (2) .


Alcune precisazioni


Il termine “pirata” è spesso associato a quello di “corsaro” o di “bucaniere” mentre esiste una differenza. La pirateria marittima è ancora oggi, a norma di diritto, un reato consistente nel “depredare indiscriminatamente qualunque tipo di naviglio usando la forza (abbordaggio) sia nei confronti dell’equipaggio sia di eventuali altre persone a bordo (passeggeri)”. Le navi corsare erano invece, per definizione, vascelli armati per la “guerra di corsa” dove Capitano e marinai, a differenza dei pirati, compivano atti ostili contro altre navi e infrastrutture (porti, forti, basi commerciali, ecc.) solo con il consenso di un Governo legittimo, allo scopo di paralizzare il traffico marittimo di una potenza nemica. In questo caso l’equipaggio, composto da comuni individui di dubbia reputazione, veniva munito di una “patente di corsa” o di una “lettera di corsa” che lo equiparava al legittimo combattente e il cui obbligo verso lo Stato che aveva rilasciato il documento era solo quello di versare una quota parte del bottino razziato. In caso di cattura, a differenza del pirata che era subito spedito sul patibolo, il corsaro aveva lo “status” di prigioniero di guerra e trattato come tale. La “guerra di corsa” si è sviluppata principalmente dal XVI sec. alla metà XIX quando, con il Trattato di Parigi del 1856, fu in pratica bandita. Da allora in poi i corsari potevano essere solo militari e le navi usate militarizzate allo scopo come furono, ad esempio, il vascello confederato “Alabama” (3) e le già citate unità tedesche. I “bucanieri” (4) , invece, erano in origine dei cacciatori di buoi selvatici o piantatori delle Antille di origine francese che, economicamente rovinati dagli spagnoli, si diedero alla pirateria. Intorno al 1630 cominciarono a depredare le navi in transito muovendo da terra con lance o altre piccole imbarcazioni. Il fenomeno, inizialmente limitato a poche isole, rappresentò la prima fase della pirateria nei Caraibi. Soltanto in un secondo momento, quando le fila dei bucanieri, s’ingrossarono con l’afflusso dall’Europa di altri avventurieri denominati “filibustieri” (5) , ampliarono il raggio d’azione degli abbordaggi anche al mare aperto, utilizzando navi ed equipaggi catturati. Fu così che i primi coloni inglesi della Giamaica usarono il termine di “bucaniere” per indicare genericamente tutti i pirati. In particolari momenti la pirateria caraibica rese talmente insicure le rotte per le Americhe da costringere gli spagnoli a ricorrere alla tecnica dei convogli scortati per garantire l’invio delle merci in Europa.


La moderna pirateria


Il fenomeno, pur ridimensionato nella sua ampiezza, non nella pericolosità, è sopravvissuto fino ai nostri giorni anche se considerato alla stregua di un problema di criminalità comune. Questa sottostima della minaccia ha favorito la ricomparsa in quelle zone del globo dove la disgregazione della realtà statale, come in Somalia, o di scarso controllo delle coste, come nel Sud Est asiatico e in Nigeria, hanno fatto venir meno la prevenzione e la legalità. I nuovi pirati continuano a svolgere un’attività criminale molto insidiosa che consiste prevalentemente nel sequestro di navi ed equipaggi allo scopo di ottenere un riscatto per la liberazione. Il fenomeno si è fatto particolarmente virulento dopo il 1980, in zone di mare che vanno dal Corno d’Africa al Mare Arabico e allo Stretto di Malacca, dal Bangladesh all’Indonesia, dall’America meridionale al Golfo di Nigeria senza disdegnare i mari esotici dei vari “paradisi tropicali”. Gli obiettivi sono come sempre, imbarcazioni di tutti i tipi: dai pescherecci d’altura a quelle da diporto, dai mercantili alle petroliere che restano le prede più remunerative (6) . Il danno economico è rilevante perché, a causa dei riscatti richiesti per la liberazione del naviglio sequestrato, le compagnie marittime sono costrette a pagare premi assicurativi sempre più alti (7) e a utilizzare rotte alternative più lunghe di quelle normalmente previste. Il tutto incide sui noli facendoli lievitare al rialzo.
Tanto per comprendere l’entità del problema, si può far riferimento ai dati raccolti dall’“International Maritime Bureau” (IMB) (8) che, dal 1981, monitora gli attacchi della pirateria. Ogni anno sono segnalate centinaia di aggressioni al naviglio mercantile sia si tratti di semplici tentativi di abbordaggio, poi abortiti, sia di sequestri di bastimenti con carico ed equipaggi. I nuovi predoni del mare, così come gli antichi bucanieri, possono muovere dalle coste su piccole e veloci imbarcazioni capaci di sfuggire alla caccia di eventuali pattugliatori (9) o utilizzare “navi madri” dissimulate nel normale traffico marittimo commerciale, a similitudine dei corsari tedeschi. Il sequestro che ha riportato il fenomeno all’attenzione è stato il dirottamento dell’“Achille Lauro” avvenuto nel 1984. Anche se si può considerare un atto di pirateria “anomalo” (10) , il fatto ha avuto grande risonanza per il clima politico dell’epoca e per l’efferato delitto compiuto nei confronti di un passeggero paraplegico americano di origine ebraica.
Negli anni ‘90 è salita alla ribalta la pirateria somala come conseguenza della pesca indiscriminata praticata da pescherecci oceanici di alcuni Paesi asiatici ma anche di Stati occidentali, che ha ridotto alla fame i pescatori locali. Come reazione questi hanno cominciato ad attaccare le navi straniere in transito esigendo una “tassa” per compensare il loro mancato guadagno. Il fenomeno, inizialmente localizzato nell’ex Somalia britannica, si è diffuso rapidamente lungo tutte le coste del Paese sostenuto dai clan locali e tollerato da al-Shabaab. I pirati sarebbero ora raggruppati in una sessantina di gruppi che comprendono ex pescatori, criminali comuni ed elementi stranieri infiltrati da al Qaeda. Le organizzazioni malavitose che controllano questa lucrosa attività sono passate rapidamente da una gestione “artigianale” ad una tipicamente “manageriale”, con una struttura diversificata e ben articolata dove il semplice pirata è l’ultimo anello della catena. Una tale aggressività non può prescindere dalla complicità d’informatori in grado di acquisire dati riservati sul traffico marittimo commerciale e di riciclare le ingenti somme ricavate dai sequestri. Secondo recenti dati gli atti di pirateria negli ultimi tre anni sarebbero stati 450 circa e avrebbero reso alle organizzazioni criminali dai dieci ai quindici miliardi di euro di cui solo 200 milioni distribuiti ai pirati. La permanenza delle navi in mano ai malviventi è, in media, di 213 giorni e almeno sessanta ostaggi sarebbero deceduti nel suddetto periodo (11) . È certo che i predoni somali hanno creato un grosso problema, specie all’Europa, particolarmente interessata al traffico navale che transita per il canale di Suez. Il fenomeno è quindi diventato d’attualità per ONU, Organizzazione Marittima Internazionale, NATO ed EU. Il Consiglio di Sicurezza delle N.U. ha autorizzato nel 2008 navi militari straniere a intervenire al largo delle coste somale. Sia l’EU sia la NATO hanno varato azioni militari anti pirateria nelle acque del Corno d’Africa.
La missione europea “Eunavfor Atalanta” è attiva dal dicembre del 2008 con uomini, navi e aerei forniti da dodici Paesi. Scopo della missione è di proteggere le navi che transitano tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano.
L’operazione della NATO “Ocean Shield” è iniziata invece nell’agosto del 2009 per assicurare la difesa dagli atti di pirateria nelle acque che vanno dal Mar Rosso alle Seychelles, spostando l’attenzione anche sul traffico marittimo proveniente dal Capo di Buona Speranza. L’Italia partecipa a entrambe le missioni sia con mezzi aereonavali sia con personale distaccato presso i Comandi congiunti delle flotte. L’EU ha altresì autorizzato attacchi contro le basi dei pirati sulla terraferma. Un primo raid aereo è stato condotto il 15 maggio 2012 nell’area di Harardhare, un villaggio a circa 400 km a nord di Mogadiscio, con lo scopo di colpire le linee di rifornimento e distruggere mezzi ed equipaggiamenti quando sono ancora sulla terraferma. Le prospettive per contrastare la pirateria sembrerebbero pertanto migliori rispetto al recente passato. La NATO ha infatti dichiarato che nei primi sei mesi del 2012 gli attacchi dei pirati somali sarebbero calati del 30% costringendo questi ultimi a selezionare attentamente i possibili obiettivi. È importante pertanto che il dispiegamento dei dispositivi aereonavali prosegua, migliorando la capacità di intervento degli stessi e facendo sì che il loro impiego non diventi un esercizio di potenza militare fine a se stesso.


L’incidente della “Enrica Lexie”


Nel febbraio scorso, la petroliera battente bandiera italiana “Enrica Lexie” è stata fermata dalle autorità di New Delhi a seguito di un incidente avvenuto al largo delle coste dello Stato del Kerala, regione ubicata nel sud-ovest della penisola indiana, in un tratto di mare caratterizzato da frequenti tentativi di abbordaggio. I fatti sono noti per essere stati ripresi dalla grande stampa internazionale. In particolare, nella notte del 15 febbraio 2012 la petroliera ha incrociato la propria rotta con un’imbarcazione, poi rivelatasi essere un peschereccio, che puntava nella sua direzione senza rispondere alle prescritte segnalazioni. Sulla nave era imbarcato un team di personale armato appartenente ai Nuclei Militari di Protezione (NMP) (12) che faceva partire alcune raffiche di avvertimento. Solo allora l’imbarcazione si allontanava dalla “Lexie”. L’episodio è stato oggetto di segnalazione per cui le autorità del Kerala, competenti per territorio, chiedevano alla petroliera di entrare nel porto di Kochi per chiarire la dinamica dei fatti. Una volta attraccata, al Comandante dell’unità è stato proibito di ripartire mentre alcuni militari italiani sono stati accusati della morte di due pescatori locali.
Di fronte al dilagare della pirateria l’ONU ha invitato infatti gli Stati ad adottare misure navali di sorveglianza e interdizione per garantire la sicurezza delle rotte marittime commerciali sulla base della “Convenzione delle N.U. sul diritto del mare (UNclas)”. Queste norme, che riflettono anche il diritto internazionale consuetudinario, ed hanno perciò un’accettazione universale, qualificano la pirateria come “crimine internazionale” e attribuiscono agli Stati la funzione di reprimerla con il proprio dispositivo militare (13) . Nel 2009 alcuni Paesi, privi di adeguate componenti aereonavali, hanno autorizzato l’imbarco di guardie armate private (contractors) a bordo delle proprie flotte commerciali (14) . L’‘International Maritime Organisation (IMO)’ (15) ha giudicato negativamente questa soluzione proponendo, in alternativa, “best practices” di auto protezione da considerare prioritarie rispetto all’impiego di contractor (16) . In conformità a queste considerazioni l’IMO ha emanato, nel 2011, raccomandazioni e linee guida per armatori, Comandanti e Stati di bandiera sull’uso di tali procedure. In ambito europeo sono emerse, in particolare, due posizioni, quella francese, che prevede accordi con Stati “appoggio” per la protezione dei propri pescherecci oceanici e quella spagnola che contempla la possibilità di imbarcare team armati anche militari. Le due posizioni non sono alternative. L’Italia, che è uno dei pochi Paesi al mondo ad aver accolto nel proprio Codice della Navigazione le indicazioni delle N.U., ha emanato nel 2011 una disciplina organica sia per l’impiego dei contractor sia per i NMP. In questa situazione di scarsa chiarezza s’inquadra la vicenda della “Enrica Lexie” che rischia di degenerare in un contenzioso diplomatico tra Italia e India sullo “status” dei nostri militari imbarcati sulla petroliera e sulla competenza di perseguire gli stessi per il presunto uso indiscriminato delle armi da fuoco. In effetti, nonostante l’emanazione di quattordici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle N.U. dal 2008 ad oggi (17) e di svariate “raccomandazioni” dell’IMO, le norme sul diritto del mare in materia di contrasto alla pirateria continuano ad essere insufficienti, poco chiare e riconosciute solo in parte, da molti attori internazionali.


Considerazioni conclusive


La pirateria sembrava dunque, fino a pochi decenni or sono, un fenomeno poco rilevante. Il crescente disordine mondiale che ha investito il pianeta dopo la fine della Guerra Fredda ha favorito invece il riaffermarsi di questo crimine. Sempre più Paesi rivieraschi dimostrano incapacità ad esercitare un pieno controllo delle proprie acque territoriali. Per contro il volume dei traffici marittimi ha raggiunto l’80% degli scambi commerciali effettuati, in un contesto geostrategico dove il dominio del mare continua ad avere una rilevanza prioritaria nella definizione del potere economico e militare degli Stati. La storia ci insegna che il contrasto alla pirateria passa inevitabilmente per una azione iniziale di repressione, seguita da provvedimenti volti ad eliminare il problema sociale che ha causato l’insorgere del fenomeno. Se non si risolverà, ad esempio, il problema della Somalia sotto il profilo politico ed economico, difficilmente si estirperà la pirateria dalle sue coste. Per ora siamo ancora nella prima fase, quella del contrasto armato limitato, però, dall’impiego di mezzi poco adatti a questo tipo di operazioni e da una normativa che, spesso, vanifica l’attività svolta per mare. Per contrastare la pirateria s’impiegano, infatti, mezzi navali costruiti per fronteggiare minacce tradizionali di ben altra rilevanza che i “barchini veloci”. Sovente basterebbe sparare pochi colpi contro gli attaccanti per far abortire il tentativo di abbordaggio ma questa possibilità non è scevra di rischi politici, come nel caso della “Enrica Lexie”. Ciò è dovuto al fatto che l’IMO non ha poteri giuridicamente vincolanti mentre le N.U. non sono ancora riuscite a far modificare le norme del vigente diritto del mare in modo da renderle aderenti alle nuove esigenze di contrasto al fenomeno. Secondo le attuali disposizioni la pirateria è un crimine perseguibile internazionalmente solo se commesso in alto mare o in un territorio non soggetto a sovranità di un legittimo Stato. Occorrerebbe approvare, pertanto, una serie di accordi per regolare ad esempio la cattura, la detenzione e il giudizio dei pirati (18) , la difesa della legalità nei mari e non solo nelle acque territoriali, l’uso della forza per prevenire e reprimere atti di pirateria, l’illegittimità del pagamento di riscatti e la lotta al riciclaggio (19) . Solo le N.U. potrebbero avviare una discussione di così ampio respiro mediante la convocazione di una conferenza che affronti complessivamente il fenomeno della pirateria in tutte le sue sfaccettature per adottare una convenzione universalmente riconosciuta. I tempi non sembrano ancora maturi per un’iniziativa così impegnativa, considerata la diffidenza manifestata da molti Stati ad accettare soluzioni vincolanti per tutti.


Chi erano i pirati, i bucanieri ed i corsari


- Khayr al-Din, detto il “Barbarossa”, feroce corsaro originario di Mitilene dove era nato nel 1466 da madre greca. Ammiraglio ottomano tristemente famoso in tutto il bacino del Mediterraneo per i saccheggi e le razzie compiute, divenne Bey di Algeri e morì di dissenteria nel 1546 a Istanbul. La sua tomba, meta di turisti, si trova nei pressi del Bosforo.

- Dragut Alì, nato nel 1485 in un villaggio dell’Anatolia centrale. È stato uno dei pochi Ammiragli di etnia turca al servizio della “Sublime Porta”. Nella maggior parte dei casi si trattava, infatti, di cristiani convertiti. Fu corsaro spietato, signore di Tripoli e successore del Barbarossa quale Vicerè di Algeri. Fu ucciso nel 1565 sotto le mura di Gozo mentre la flotta del Sultano tentava, inutilmente, di strappare l’isola di Malta ai Cavalieri di S. Giovanni.

- Ulugh Alì (Alì il rinnegato), si chiamava in realtà Giovanni Galeni nato in Calabria nel 1519 a Isola di Capo Rizzuto. Ridotto in schiavitù dai pirati Barbareschi, si unì a loro diventando egli stesso uno spietato pirata. Signore di Algeri alla morte di Dragut, fu l’unico Ammiraglio della flotta turca a mettersi in salvo dopo lo sconfitta di Lepanto riparando, con le poche galere superstiti, a Istanbul. Morì nel 1587.

- Sir Francis Drake, nato in Inghilterra nel 1540. È stato un famoso corsaro, navigatore e uomo politico. Dal 1577 al 1580 circumnavigò il globo saccheggiando navi e basi commerciali. Rientrò in Patria con un bottino ricchissimo tanto che la Regina Elisabetta I lo insignì del titolo nobiliare. Nel 1588, col grado di Ammiraglio, fu Vice Comandante della flotta che sconfisse l’invincibile Armada di Filippo II di Spagna. Morì nel 1596 durante la sua ultima crociera caraibica mentre cercava di conquistare Panama.

- Jean Nau, detto l’Olonese, essendo nato a Les Sables-d’Olonne in Francia nel 1634. Feroce criminale, crudele bucaniere e spietato pirata si distinse per l’efferatezza con cui uccideva i prigionieri. Dopo aver fatto naufragio nel 1671 alla foce del Rio San Juan in Nicaragua fu catturato, con i pochi superstiti, da una tribù di cannibali che lo divorarono con i suoi compagni.

- Sir Henry Morgan, gallese nato nel 1635 è stato pirata, corsaro e politico della corona britannica. La sua crudeltà era famosa e incuteva terrore. Gli obiettivi preferiti erano i lenti galeoni spagnoli che tentavano di raggiungere la madrepatria e le città spagnole del Centro America. Famose furono la presa di Maracaibo e Panama seguite da spaventosi massacri. All’apice della fama fu nominato governatore della Giamaica, carica che mantenne per un breve periodo fino all’arresto per corruzione. Perdonato, morì tranquillamente nel proprio letto a Port Royal nel 1688.

- William Kidd, al secolo “Capitan Kidd”, nato in Scozia nel 1645. Iniziò la sua avventura per mare dando la caccia ai pirati a cui si unì attratto dai ricchi bottini. Si dice che sia riuscito, nel corso delle sue fortunate scorrerie, a nascondere un favoloso tesoro mai ritrovato. Catturato, fu giustiziato per impiccagione a Londra nel 1701.

- Barbanera, originario delle Isole Britanniche, dove era nato nel 1680, si chiamava in realtà Edward Teach. Alto, scuro di carnagione con un’imponente barba che rendeva il suo aspetto ancora più terrificante ebbe, tra il 1716 e il 1718, il controllo del Mar dei Caraibi. Fu ucciso in combattimento e con la sua scomparsa il fenomeno della pirateria caraibica declinò irrimediabilmente.

- Bartholomew Roberts, conosciuto come “Black Bart”. Nato in Galles nel 1682 fu catturato dai pirati quando era un ragazzino divenendo egli stesso uno dei più temuti predoni dei mari. Si dice, infatti, che abbia depredato più di 400 vascelli. Morì al largo delle coste del Gabon nel 1722 colpito da una pistolettata durante un arrembaggio.

- Chang Shih, nata a Canton nel 1775, era una ragazza di umilissime origini rapita e andata in sposa nel 1801 di Zheng Yi famoso capo pirata del Mar Cinese Meridionale. Alla sua morte, nel 1807, eredita il comando di quella che era diventata la più grande organizzazione criminale dell’epoca, capace di tenere in scacco inglesi e portoghesi, che cercavano di limitarne l’influenza, e di infliggere dure perdite alla marina imperiale cinese. Nel 1810 accetta di sottoscrivere una generosa amnistia che l’Imperatore le offre purché cessi ogni scorreria, clausola che rispetterà fino alla morte avvenuta a Canton nel 1844.

- Raphael Semmers (1809-1877), Ammiraglio della flotta Confederata fu corsaro in Atlantico e Oceano Indiano al comando dei vascelli “Sumter” e “Alabama”. Nel corso di tale attività ha catturato in totale ottantatre vascelli dell’Unione fino a quando è stato affondato nel 1864 dopo un furioso scontro con la più potente nave da battaglia nordista “Kearsage”. Rientrato rocambolescamente a Richmond, si distinse nella difesa della città assediata dalle forze unioniste. Catturato e processato alla fine della guerra civile fu assolto da ogni addebito per la correttezza del comportamento suo e dei suoi equipaggi riconosciuta dagli stessi avversari. Il personaggio del Capitano Red Buttler in ‘Via col vento’ è ispirato alla sua figura.

- Felix Graf von Leukner (1881-1964), soggetto avventuroso che pare creato dalla penna di Joseph Conrad. Insofferente a ogni disciplina, dopo aver navigato per mezzo mondo su velieri di ogni tipo, diventa ufficiale della marina imperiale germanica grazie alle sue nobili origini. Nel 1916 riceve l’incarico di trasformare un tre alberi di preda bellica, il “Pass of Balmaha” nella nave corsare “Seadler” con cui opera nell’Oceano Atlantico e Indiano a partire dal 21 dicembre dello stesso anno. Nel marzo del 1917 si sposta nel Pacifico dopo un avventuroso passaggio del Capo Horne “tomba dei velieri”. Il successivo mese di agosto mentre fa rotta per Tahiti, approda nell’atollo corallino di Mapeda. Lì, mentre l’equipaggio è a terra per rifornirsi di acqua e viveri, un’improvvisa onda anomala sospinge la goletta contro la barriera corallina danneggiandola irrimediabilmente. Sfuggito inizialmente alla cattura, sarà internato fino al termine del conflitto in Nuova Zelanda.

- Ernst Felix Kruder, nato ad Amburgo nel 1897, fu Capitano di Vascello comandante della nave corsara “Pinguin (HZ-33)”. Ufficiale proveniente dalla flotta Imperiale, alla fine del 1939 riceve l’incarico di trasformare l’ex mercantile “Kandelfels” in un incrociatore ausiliario (Hilfskreuzer) con cui prende il mare nel marzo 1940. Nella sua unica crociera intorno al mondo ha conseguito il maggior numero di successi di tutta la flottiglia corsara con trentacinque mercantili alleati affondati o catturati. Tragica la sua fine nel maggio 1941: intercettato dall’incrociatore britannico “Cornwell” nelle acque delle Seychelles, accetta lo scontro impari. Con Kruder vanno a fondo i 532 uomini dell’equipaggio e 200 prigionieri di varie nazionalità. Si salvarono solo cinquantatre marinai e venti prigionieri.

- Bernhard Rogge, nato nel 1899, Vice Ammiraglio già comandante di una prestigiosa nave scuola della marina da guerra tedesca e decano di vari circoli velici, alla fine del 1939 riceve l’incarico di trasformare l’ex mercantile “Goldenfels” nell’incrociatore ausiliario “Atlantis (I-lZ-16)“ con cui prende il mare nel maggio 1940. In quella che è stata la più lunga crociera effettuata da una nave corsara durante la II G. M., durata complessivamente 622 giorni, affonda o cattura ventidue navi alleate per circa 146mila tonn. Intercettato alla fine del novembre 1941 dall’incrociatore pesante “Devonshire”, nell’Atlantico meridionale, si lascia affondare senza sparare un colpo di cannone per consentire all’equipaggio di mettersi in salvo. Rogge fu reintegrato nella Bundesmarine nel giugno 1957 restandovi in servizio attivo fino al 1962.


(1) I pirati Barbareschi, originari dell’Africa settentrionale, si erano insediati nelle “Reggenze” di Algeri, Tunisi e Tripoli, formalmente protettorati dell’ormai decadente Impero ottomano ma, di fatto, completamente autonome. Cfr. l’art. “Marine Preunitarie” di Fabio Caffio, Rivista Marittima, gennaio 2012.
(2) A seguito del rapimento di 21 marinai, per cui era stato chiesto un esoso riscatto, Washington avviò una campagna decennale contro i residenti ottomani di Algeri, Tunisi e Tripoli in cui fu largamente impiegato il corpo dei Marines. Nel 1805 il Ten. Presley O’Bannon ebbe in dono dal Bey di Tripoli la “Mameluke Sword”, spada egiziana dei celebri Mamelucchi, ancora oggi in dotazione agli Ufficiali del Corpo.
(3) L’‘Alabama’ era un piroscafo a trazione mista vela-vapore, varata nel 1862 che, in ventuno mesi di navigazione, affondò più di sessanta mercantili unionisti per un valore stimato all’epoca di 6 milioni di dollari.
(4) Dal francese “bucaner”, cacciatori di frodo che usavano affumicare la carne su graticci di legno.
(5) I “filibustieri” provenivano generalmente dalle Isole Britanniche e dall’Olanda e venivano così definiti per distinguerli dai primi “bucanieri” di origine francese e dai loro successori nati nei caraibi.
(6) Nel novembre 2011 per il rilascio della petroliera sudcoreana Samho Dream i sequestratori sono riusciti a ottenere 9,5 milioni di dollari, mentre nel 2012 per una superpetroliera greca, con un carico da 200 milioni di dollari sarebbero stati pagati 13 milioni di dollari.
(7) Storicamente famosi in campo assicurativo navale sono sempre stati i Lloyd’s di Londra.
(8) L’International Maritime Bureau (IMB) è un Dipartimento dell’International Chambre of Commerce (ICC) specializzato in crimini sul commercio e i trasporti marittimi con particolare attenzione alla pirateria. Collabora strettamente con l’IMO delle N.U.
(9) I “barchini veloci” non sono individuabili dagli strumenti di rilevazione installati a bordo delle navi, in quanto questi sono limitati dall’orizzonte radar che impedisce di individuare oggetti di dimensioni ridotte se non in prossimità della sorgente di emissione.
(10) L’evento criminoso è stato condotto da terroristi che si sono infiltrati sulla nave da crociera anziché ricorrere al tradizionale abbordaggio.
(11) Cfr. agli atti del Convegno su “Lotta al fenomeno della pirateria” del Centro Studi Difesa e Sicurezza, Roma, giugno 2012.
(12) I Nuclei di Protezione Militare (NPM) sono stati creati nell’ottobre 2011 con un accordo tra il Ministero della Difesa e la Confederazione italiana degli armatori navali (Confitarma) per fronteggiare eventuali attacchi da parte di pirati. Sono costituiti da team della MMI che operano, autonomamente, a bordo di navi mercantili battenti bandiera italiana.
(13) Cfr. l’articolo “Nuovi strumenti di protezione contro la pirateria a favore delle navi private” di Fabio Caffio, Rivista Marittima, ottobre 2011.
(14) Iniziativa adottata dai Paesi considerati “Open Registry” come Panama, Liberia, Bahamas ecc..
(15) L’lnternational Maritime Organisation (IMO) è un’Agenzia autonoma delle N.D., con sede a Londra, fondata nel 1959 con lo scopo di promuovere la tutela, la promozione e lo sviluppo delle attività marittime. La convenzione dell’IMO adottata dai 168 Stati membri prevede, tra l’altro, la definizione degli standards riguardanti le regole per prevenire gli abbordaggi, quelli di costruzione e compartimentazione delle navi incluse le dotazioni antincendio, l’impiantistica di bordo, le attrezzature per la sopravvivenza e il salvataggio.
(16) Le “best practices” proposte riguardano le modalità e l’uso di mezzi difensivi quali cannoni ad acqua o idranti ad alto potenziale, installazione di barriere di filo spinato per evitare gli abbordaggi, realizzazione di “ridotte” anti cattura, per la salvaguardia degli equipaggi, da cui sia comunque possibile governare la nave, ecc..
(17) L’ultima risoluzione del C.d.s. delle N.U. sul contrasto alla pirateria è la n. 2020 del 22 novembre 2011.
(18) È accaduto che, a seguito della cattura nel Mar Rosso di pirati da parte di navi militari operanti nell’ambito delle missioni ONU, sia risultato più conveniente abbandonare i predoni sulle coste della Somalia, dopo aver sequestrato le armi, per mancanza di norme sulla loro detenzione.
(19) Cfr. l’art. “Criminali dietro le sbarre” di Natalino Ronzitti, “RISK. Quaderni di Geostrategia” n. 67 (mag. - giu. 2012).

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