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GNOSIS 1/2012
Il FORUM
L'evasione fiscale
una priorità italiana


a cura di Emanuela C. DEL RE


Foto da http://erikaopalifiles wordpress.com
L'evasione fiscale costa all'UE un trilione di euro l'anno, e l'Unione deve correre ai ripari.
Il Consiglio d'Europa ha decretato già nel 2010, adottando la Direttiva 17631/5/10 l'obbligatorietà dello scambio di informazioni tra le autorità fiscali dei 27 paesi membri. La nuova direttiva ha rivoluzionato le disposizioni contenute nella Direttiva del 1977 (77/799/Cee) del Consiglio sulla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette e di imposte sui premi assicurativi. La cooperazione tributaria tra i Paesi dell'UE è scandita da alcune tappe fondamentali: dal 1° gennaio 2013 verrà abrogata la Direttiva 77/799/CEE ed entreranno in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva sulla cooperazione amministrativa. Dal 1° gennaio 2014, dal momento di applicazione della normativa, le informazioni richieste potranno andare indietro nel tempo fino a questa data. Dal 1° gennaio 2015 entrerà in vigore l'articolo 8 della Direttiva relativa allo scambio automatico di informazioni. La condivisione riguarda però soltanto alcune categorie specifiche di reddito e di capitale (in particolare redditi da lavoro, compensi per dirigenti, prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell'Unione sullo scambio di informazioni, pensioni, proprietà e redditi immobiliari). Lo scambio di dati costituisce un ultimo stadio nel processo di contrasto, e viene attuato solo nel caso in cui le autorità fiscali di singoli Paesi debbano ricorrere a fonti d'informazione ulteriori ai fini delle indagini.
L'evasione fiscale, che costa al nostro Paese oltre 50 miliardi di euro l'anno, è stata a lungo percepita dai perpetratori come un reato di tipo secondario, commesso per sfuggire a misure eccessive imposte da uno Stato ‘vessatore’. L’azione di contrasto, via via adottata, rappresenta, oggi, una vera e propria rivoluzione social-culturale. Ad un senso di impotenza si è, infatti, gradualmente sostituito una sorta di risveglio sociale grazie all'aumentata consapevolezza che evasione, riciclaggio e trasferimento illegale di fondi all'estero, hanno costi sociali molto elevati per la collettività. Il mutato clima sociale porta ad una maggiore attenzione e a un più sentito plauso nei confronti delle azioni e dei successi della polizia tributaria, ormai presente quasi ogni giorno sulle pagine dei giornali.
L'attenzione dei finanzieri si è estesa dalle banche ai professionisti. A Vicenza, ad esempio, lo scorso anno sono state contestate operazioni finanziarie sospette per 37 milioni di euro che hanno visto coinvolti alcuni notai per omessa segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio.
Evasione fiscale e riciclaggio: un binomio al quale si tenta di porre un argine, complice la crisi che colpisce gli italiani, anche grazie al sostegno dell'opinione pubblica. Evasione e riciclaggio marciano su binari paralleli: se il riciclaggio consente di immettere proventi di attività criminose nell'economia legale, l'evasione, al contrario, oltre ad essere attività criminosa essa stessa, alimenta i circuiti illegali. Il primo volume di una ponderosa circolare della Guardia di Finanza – la n. 83607/2012 – pubblicata il 19 marzo, ha per titolo "Prevenzione e contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e dei traffici transfrontalieri di valuta" e indica modalità e procedure come il dover sempre segnalare, per gli intermediari finanziari e non finanziari, le operazioni sospette di money laundering, anche se in ipotesi il cliente dovesse essere egli stesso sospettato di aver commesso il reato presupposto, qualunque esso sia, compreso un reato tributario in grado di generare profitti.
Dall'altro lato si muove l'ABI, l'associazione bancaria, contestando il fatto che per avere un sospetto, l'impiegato allo sportello dovrebbe fare domande (che oltretutto non sarebbero consentite), e che il limite di 1000 euro per il ritiro contanti è troppo basso.
L'Italia si muove nel quadro delle normative dell'Unione Europea. La cooperazione giudiziaria penale è cruciale per gli strumenti di contrasto alla criminalità transnazionale, sia quando si tratta di strumenti non vincolanti come le risoluzioni, raccomandazioni, sia di strumenti vincolanti come le decisioni o le convenzioni intergovernative. Contro il riciclaggio di capitali di origine illecita, che ha presenta una forte dimensione transnazionale, sono state adottati diversi strumenti e create agenzie. L'UE si propone, dalla Convenzione di Varsavia del 2005 del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, come l'attore più dinamico sul piano internazionale per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia di contrasto del riciclaggio, con disposizioni articolate, coerenti e trasversali. Vi sono state altre iniziative europee significative come l'istituzione di Eurojust, attiva dal 2002, e diverse decisioni quadro relative all'istituzione delle squadre investigative comuni e al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri.
A livello globale, va certamente menzionato il Gruppo d'Azione Finanziaria Internazionale – Financial Action Task Force (GAFI – FATF), fondato nel 1989 dal G7, che conta oggi 36 membri, tra cui figurano i maggiori centri finanziari, inclusa la Svizzera.
Il GAFI ha pubblicato 49 raccomandazioni che, pur non essendo vincolanti dal punto di vista giuridico – sono strumento della cosidetta soft law – sono tuttavia state considerate fondamentali sul piano internazionale.
L'Italia ha assunto la presidenza del GAFI-FATF per il 2011-2012, guidando il processo di revisione degli standard internazionali contro il riciclaggio e il finanziamento al terrorismo in vista dell'avvio del quarto Round of Mutual Evaluations dei Paesi membri e non membri del GAFI. Tra le aree in cui dovrebbero essere adottati i nuovi standard, vi sono il contrasto al finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa, la lotta alla corruzione, la maggiore trasparenza nel settore finanziario. Le dichiarazioni del nostro governo in merito alla presidenza del GAFI riguardano l'ambizione a consolidare il ruolo e le attività intraprese dal GAFI in questi ultimi anni, continuando a identificare i Paesi con carenze strategiche nel contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo spingendoli ad adeguare i loro sistemi agli standard internazionali, approfondendo l'analisi dei nuovi metodi e delle più recenti tecnologie di utilizzo del sistema finanziario per fini illegali. Vi sono, secondo il modello costituito dal GAFI; dei gruppi regionali – ad esempio Moneyval per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa – il dialogo tra i quali è fondamentale per aumentare l'efficacia delle strategie di contrasto.
Peraltro, in linea con l'attuale crisi finanziaria globale, il GAFI-FATF ha deciso che dal 2013 comincerà un processo di verifica dell'attuazione delle proprie raccomandazioni nei Paesi membri e delle Istituzioni Internazionali. La Commissione Europea, ad esempio, ha dichiarato che al fine di non trovarsi impreparata, ha lanciato un processo di revisione del funzionamento della normativa rilevante, come ad esempio la terza Direttiva Anti-riciclaggio del denaro (AMLD), inclusa la pubblicazione di studi. Per la fine del 2012 la Commissione intende presentare degli emendamenti alla terza Direttiva, che peraltro ha modificato, ed in modo sostanziale, le legislazioni anti-riciclaggio degli Stati della Unione Europea, consentendo di giungere in pochi anni ad una significativa omogeneità. Resta tuttavia il problema dell'armonizzazione delle iniziative internazionali, regionali e nazionali, le uniche competenti ad amministrare le sanzioni.
Le azioni concertate dei singoli Paesi e delle regioni del mondo possono davvero portare a una consapevolezza globale, che può non solo risolvere i problemi interni in materia di evasione fiscale e riciclaggio dei Paesi impegnati nelle iniziative, ma ambire a coinvolgere anche i paesi ancora impreparati a contrastare tali fenomeni criminali.


Al forum, che si è potuto realizzare grazie alla preziosa collaborazione del Prof. Ranieri Razzante, autore anche del contributo sul perverso intreccio tra evasione fiscale e riciclaggio, hanno partecipato:
Giorgio Benvenuto, Presidente dell Fondazione "Bruno Buozzi" e Docente presso la Scuola di Polizia Tributaria della G.d.F.; Gianluca Campana, Ufficiale della Guardia di Finanza, Capo della Sezione Imposte sui Redditi presso il III Reparto Operazioni; Gaetano De Vito, Presidente della Commissione Antiriciclaggio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma; Marco Di Capua, Direttore Vicario dell’Agenzia delle Entrate; Fabio Marchetti, Professore di Diritto Tributario presso l’Università Luiss – Guido Carli di Roma.






Si è sempre ritenuto che l'evasione fiscale si sostanzi in comportamenti che, in fondo, non costituiscono "reato", bensì solo un inadempimento amministrativo, che non reca un danno all'economia del Paese, ma solo allo Stato "padrone" che stritola i cittadini nella morsa fiscale. Cosa ne pensa?


Marco Di Capua - La domanda, senza dubbio, coglie un aspetto nodale in ordine all'evasione fiscale quale fenomeno sociale.
Da questo punto di vista, appare significativo citare le parole di Piero Gobetti, che nel lontano 1929, coglieva tale connessione affermando che "In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe alla vita statale. Il contribuente paga bestemmiando lo Stato; non ha la coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta".
Pertanto, appare evidente che il contrasto del fenomeno dell'evasione fiscale presuppone una rivoluzione dei comportamenti, che è prima di tutto un problema culturale.
Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo, è anzitutto un tipo di vita associata nella quale l'interesse al perseguimento del "bene comune" deve costituire l'elemento caratterizzante.
La Carta Costituzionale sancisce il principio di solidarietà nell'art. 2, stabilendo che "la Repubblica (...) richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Così posto, il principio di solidarietà offre la giustificazione ed il fondamento dei doveri che vengono imposti ai cittadini. La nostra Costituzione, infatti, attribuisce a ciascun cittadino non solo dei diritti, ma anche dei doveri per la realizzazione del bene comune.
La nostra Costituzione si basa sul primato della persona e dei suoi diritti: la persona nasce libera e titolare di diritti propri e inviolabili rispetto ai quali lo Stato non può far altro che riconoscerli come preesistenti e garantirli. Se la persona nasce e viene riconosciuta dall'ordinamento come dotata di diritti precedenti rispetto allo Stato, allora lo Stato stesso non ha il potere di limitare quei diritti attraverso l'imposizione di doveri, se non in presenza di un altro interesse ritenuto talmente importante da giustificare la limitazione dei diritti della persona.
La solidarietà, quindi, è concepita dal nostro ordinamento come fondamento dei doveri e come giustificazione per una limitazione imposta dallo Stato ad alcuni diritti. Su questa premessa, la nostra Costituzione prevede una serie di doveri specifici a carico dei singoli cittadini, che sostanziano il principio di solidarietà.
In particolar modo, in base all'art. 53 della Costituzione, "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", ovvero la capacità del soggetto di contribuire alla spesa pubblica per effetto dei mezzi economici a sua disposizione.
È doveroso precisare che il dovere del contribuente di pagare i tributi non è la conseguenza, è una premessa, un prius; è il "diritto", o meglio, il "potere" dello Stato di pretenderli, ciò che rappresenta la conseguenza del dovere dei cittadini di pagarli. E non l'inverso. Lo Stato non riscuote le imposte quia nominor leo, ma perché il cittadino ha il dovere di contribuire al suo mantenimento.
Il prelievo delle imposte, esercitato nella consapevolezza che il rispetto della legalità, è alla base del patto sociale e della convivenza civile nei sistemi democratici rappresenta, comunque, un "momento" che può avere un impatto molto invasivo nei confronti delle persone.
Contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale è una priorità. Lo è anzitutto perché un sistema di prelievo efficiente ed equo è il nucleo profondo della vita di una società. Il fisco ci garantisce servizi gestiti con eguaglianza, cure sanitarie e istruzione gratuita, agisce a ridurre le distanze, talvolta enormi, tra i più fortunati e i più deboli. Un fondamento del vivere democratico. Sono questi i termini nei quali sarebbe normale rapportarsi al dovere di pagare le tasse. L'adempimento spontaneo non deve avvenire solo perché si ha timore dei controlli, ma perché prevale la consapevolezza che l'evasione fiscale mette a rischio il nostro futuro e quello delle nuove generazioni.

Giorgio Benvenuto – L'evasione fiscale deve essere considerata in Italia con la stessa severità con la quale viene giudicata nei paesi europei ed in quelli di tradizione anglosassone. Non ci può essere alcuna giustificazione o attenuante.
L'evasione fiscale non è una forma di legittima difesa nei confronti dell'eccessiva pressione fiscale. E' un comportamento che va sanzionato. E' da considerare un reato quando supera determinati limiti e quando è costruito su comportamenti volutamente dolosi. Lo Stato non è, e non deve essere, considerato una controparte. I cittadini sono parte dello Stato e come tali debbono contribuire al suo buon funzionamento. Tutto ciò deve avvenire con un comportamento simmetrico tra contribuenti e amministrazione fiscale. Le norme dello Statuto del contribuente devono in ogni caso essere inderogabili, per cementare il rapporto di reciproca collaborazione tra contribuenti ed amministrazione fiscale.

Gaetano De Vito – L'evasione fiscale è sempre da considerarsi un reato e si sostanzia nel mancato rispetto di dover contribuire alle spese dello Stato secondo la propria capacità contributiva. La questione secondo cui all'aumentare delle aliquote fiscali aumenti la propensione all'evasione deriva da teorie che nella realtà hanno trovato riscontro in tutte le parti del mondo. Ciò non vuol dire, però, che ciò sia lecito ma che deve essere lo Stato a provvedere ad effettuare sgravi fiscali. In questo caso si tratta comunque di evasori parziali. Altro è invece, la cosiddetta elusione fiscale in conseguenza dell'abuso del diritto. In questo caso il contribuente svia le imposte abusando di norme vigenti o di "buchi" nell'impianto normativo. Questa questione è complessa e dovrebbe essere sottoposta a valutazione da parte di una specifica commissione anti abuso istituita con una legge procedurale.

Gianluca Campana – L’evasione fiscale causa distorsioni e inefficienze al corretto funzionamento della concorrenza e del mercato in quanto, da un lato, comporta una sottrazione delle risorse a danno del bilancio pubblico destinate a finanziarie beni e servizi della collettività e, dall’altro, determina un aumento del livello di pressione fiscale per i contribuenti che adempiono correttamente ai propri doveri fiscali.
L’evasione è, quindi, un problema grave perché frena le capacità di sviluppo del nostro sistema economico e incide sensibilmente sull’equità sociale poiché chi evade ottiene un vantaggio competitivo illecito ed estromette dal mercato le imprese oneste.
Il fenomeno è complesso e si manifesta essenzialmente in due modi: da un lato, esistono forme sofisticate di evasione, normalmente realizzate da strutture imprenditoriali complesse, che ricorrono a pratiche particolarmente insidiose, basate su una artificiosa rappresentazione della realtà dei fatti gestionali, quali le triangolazioni fra più società allocate in Paesi diversi e spesso in paradisi fiscali, l’esterovestizione, l’intestazione fittizia di patrimoni, l’aggiramento della normativa fiscale mediante operazioni prive di valide ragioni economiche.
Dall’altro lato, esiste la cosiddetta evasione diffusa o di massa, riconducibile all’ampia platea di piccole imprese e di lavoratori autonomi che, operando a diretto contatto con i consumatori finali, possono evadere attraverso comportamenti elementari, quali l’omessa certificazione dei corrispettivi. Nell’area dell’evasione di massa, è possibile rinvenire contribuenti che non ottemperano agli obblighi tributari anche in ragione di contingenti difficoltà economico-finanziarie (comunemente denominata “evasione di sopravvivenza”), che possono essere causate da differenti motivazioni: accanto a imprese economicamente inefficienti o che versano in particolari momenti congiunturali di crisi, ci sono imprenditori capaci ed onesti che però sono spinti “fuori mercato” da forme di concorrenza sleale, poste in essere da soggetti coinvolti in frodi fiscali o che beneficiano di capitali a basso costo messi a disposizione da organizzazioni criminali.
Entrambe le fenomenologie evasive ledono il bilancio dello Stato, frenano lo sviluppo e alterano i meccanismi di regolazione del mercato: naturalmente, la risposta sanzionatoria è graduata in funzione della concreta lesività degli interessi in gioco, ragione per cui i comportamenti più gravi, intrinsecamente fraudolenti, riconducibili all’evasione più sofisticata, costituiscono reato, mentre le condotte meno insidiose, quali ad esempio l’omessa fatturazione o il mancato rilascio dello scontrino fiscale, sono puniti con sanzioni pecuniarie di natura amministrativa.
Per contrastare l’evasione in tutte le sue multiformi manifestazioni, non è sufficiente da sola una efficace e concreta azione di contrasto, ma è necessario che questa sia accompagnata da una puntuale e capillare attività di prevenzione che punti ad innalzare il livello di compliance e di adempimento spontaneo dei contribuenti agli obblighi tributari. In quest’ultima prospettiva, la perdurante crisi economica ha reso ancora più evidenti gli effetti negativi prodotti dall’evasione, ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica che l’evasore non è più un modello di riferimento, ma un peso intollerabile ed un pericolo per la collettività.

Fabio Marchetti – Dal punto di vista tecnico appare innanzitutto necessario distinguere l’evasione da dichiarazione dalla cosiddetta evasione da riscossione. Quest’ultima talvolta presenta caratteri di necessità, che invece pare doversi escludere nel caso di evasione che si concretizzi nell’omessa dichiarazione di materia imponibile. L’evasione da riscossione può sottendere una momentanea situazione di difficoltà economica del contribuente, che, peraltro, non mostra di volersi sottrarre ai propri doveri tributari nel momento in cui ha comunque dichiarato l’imponibile realizzato. Ciò non significa che non sussista anche una patologia dell’evasione da riscossione, essendosi, soprattutto nel passato (prima della riforma del sistema di riscossione del 2006), manifestate situazioni di perversa sottrazione al pagamento di imposte dichiarate e dovute contando su un certo ‘lassismo’ nell’attività di riscossione, ‘lassismo’ che con il subentro di Equitalia appare in via di superamento per essere, correttamente, sostituito da altri strumenti che consentano di evitare vessazioni nei confronti dei contribuenti che versino in temporanee difficoltà economiche, quale, in particolare, la generalizzata applicazione del rimedio della rateizzazione nel pagamento delle imposte. Ciò che si vuole sottolineare è che la vera e pericolosa evasione è quella da dichiarazione, e cioè la consapevole sottrazione di materia imponibile al dovere tributario.
Non vi è dubbio che tale evasione non trova giustificazioni né sociali né morali: non è certamente accettabile come giustificazione dell’evasione da dichiarazione lo slogan dell’eccessivo livello della pressione fiscale. Per dare una risposta tecnica e non solo etico – sociale, evadere in senso sostanziale le imposte significa violare il generale principio di capacità contributiva che poggia sui cardini stessi della nostra Repubblica, e cioè sui principi di solidarietà (art. 2 Cost.) ed uguaglianza (art. 3 Cost.). Insomma evadere le imposte nel senso sopra definito (evasione da dichiarazione, e cioè la consapevole sottrazione di materia imponibile al dovere tributario) non è solo un danno all’economia del Paese, ma è anche sottrazione ai doveri di solidarietà e ai principi di uguaglianza che regolano il vivere civile, la nostra società.


Possiamo accennare ai reati che concretizzano la figura dell'evasore fiscale? Si è diffusa negli anni l'idea che la non emissione di una fattura o di uno scontrino non concretizzino di fatto un reato?


Marco Di Capua – Fin dal lontano 1928 il legislatore italiano ha scelto di tutelare anche penalmente il proprio diritto/dovere all'imposizione fiscale. Con la legge 283 del 9 dicembre 1928, infatti, veniva sancito l'obbligo di denuncia dei redditi soggetti alle imposte sui redditi e prevista l'applicazione della sanzione penale rispetto ai comportamenti compiuti con il deliberato fine di sottrarre redditi all'imposta.
L'evasione fiscale, può essere definita come quel comportamento attraverso il quale il contribuente si sottrae illegalmente dall'accertamento e dal pagamento dei tributi attraverso l'occultamento totale o parziale dei redditi e del patrimonio e la conseguente violazione delle norme fiscali.
L'evasione fiscale può presentarsi in diverse forme quali, ad esempio, la falsa dichiarazione dei redditi da parte del contribuente e la mancata emissione di fatture, ricevute o scontrini fiscali.
A seconda della gravità del comportamento evasivo posto in essere, il legislatore ha stabilito in quali casi lo stesso concretizzi fattispecie punibili con sanzioni amministrative o, invece, penali.
A base della scelta del legislatore di ricorrere alla tutela penale vi è una valutazione circa il disvalore del comportamento tenuto dal cittadino, in termini di lesione, più o meno intensa, di beni costituzionalmente tutelati.
Da questo punto di vista l'evasione, soprattutto nelle sue forme più gravi, è un comportamento fortemente lesivo di beni costituzionalmente rilevanti, idoneo a recare un grave vulnus all'ordinato e corretto articolarsi dei rapporti sociali. Ed infatti, l'evasione incide, in primis, sull'ammontare delle entrate pubbliche, producendo un rilevante danno in capo agli altri contribuenti, sui quali viene per l'effetto scaricato l'onere tributario. L'evasione fiscale comporta, altresì, una distorsione del mercato a favore delle imprese che commettono fatti illeciti. Il mancato pagamento dei tributi conduce, inoltre, all'indebitamento pubblico mediante l'eccessiva emissione dei titoli pubblici per aumentare le entrate pubbliche o al taglio della spesa pubblica.
La materia del diritto penale tributario è stata oggetto di una profonda riforma ad opera del decreto legislativo n. 74 del 2000.
Il fine perseguito è stato quello di concentrare la sanzione penale sulle fattispecie "effettivamente" lesive dell'interesse fiscale o erariale e di attribuire alla esclusiva competenza dell'autorità amministrativa, con la tecnica della depenalizzazione, le ipotesi di violazioni formali, "prodromiche" ovvero preparatorie alla dichiarazione e, quindi, alla evasione fiscale (per es. omessa fatturazione, omessa registrazione dei corrispettivi,irregolare tenuta delle scritture contabili, omesso versamento di ritenute etc…).
In sintesi, la dichiarazione costituisce il momento decisivo e concreto della realizzazione dell'evasione fiscale. Il fulcro del nuovo sistema penale tributario ruota intorno a tre fondamentali tipologie di condotte criminose: la dichiarazione fraudolenta, la dichiarazione infedele e l'omessa dichiarazione.
Per tale motivo, si assiste, in tale ambito ad un particolare inasprimento della leva sanzionatoria.
Il legislatore, adottando una siffatta impostazione, ha recepito l'esigenza di superare l'impianto normativo della legge n. 516 del 1982, la quale configurava le fattispecie di reato secondo lo schema dei cd. "reati prodromici", ovvero attribuendo rilevanza a comportamenti solo astrattamente idonei alla realizzazione dell'evasione, indipendentemente dall'effettiva lesione degli interessi erariali.
Il nuovo sistema normativo, conformemente ai principi e ai criteri direttivi indicati dalla legge delega, ha previsto un ristretto numero di fattispecie di reato, tutte aventi natura delittuosa, connotate da una rilevante capacità di offesa degli interessi erariali e, sotto il profilo psicologico, dal fine dell'evasione.
La rivalutazione del principio di offensività ha comportato uno spostamento in avanti del momento in cui il reato si perfeziona, individuato nella presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; di conseguenza, rispetto alla precedente disciplina, hanno perso rilevanza penale, ex se, le ipotesi, tra l'altro, di omesse fatturazioni o annotazioni dei corrispettivi e di irregolare tenuta delle scritture contabili. In tale contesto, la repressione delle violazioni di carattere formale resta confinata in ambito amministrativo. Peraltro, l'articolo 6 del D.Lgs n. 74/2000 prevede che per i delitti connessi alla presentazione di dichiarazioni fraudolente (articoli 2 e 3) o infedeli (articolo 4) non è configurabile il tentativo di reato.
In considerazione di quanto detto, pertanto, qualora, a seguito di controlli, si accerti l'esistenza di mezzi fraudolenti, predisposti dall'agente allo scopo di evadere l'imposta dovuta, o infedeltà tali da integrare un elemento costitutivo del reato di cui all'articolo 4, e non sia ancora scaduto il termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale, si dovrà accertare, successivamente, se dette violazioni abbiano trovato accoglimento nelle dichiarazione annuali.

Giorgio Benvenuto - Le ipotesi di reato per evasione e per elusione fiscale si devono basare su comportamenti dolosi e devono avere una consistenza.
All'evasione in Italia certamente concorre la scarsa propensione a utilizzare fatture e scontrini. Occorre ridimensionare questo fenomeno. Sono giusti perché hanno valore dissuasivo i blitz dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. L'evasione vera, quella consistente, è però quella che riguarda l'IVA; il differenziale in Europa e nel mondo dei regimi fiscali, l'esistenza di una vasta platea di contribuenti silenti. Spesso l'amministrazione fiscale si è distratta nei confronti di queste ultime fattispecie.

Gaetano De Vito – Il nostro sistema contempla i reati fiscali che si concretizzano per lo più attraverso emissione di fatture false, dichiarazione dei redditi infedele ecc. nel nostro sistema per qualificare un reato fiscale oltra al comportamento fraudolento occorre superare alcuni limiti quantitativi che spesso tramite la non emissione di fatture o scontrini non si raggiunge. Ecco perché lo stesso comportamento non sempre viene giudicato reato.

Gianluca Campana – La disciplina penale tributaria è contenuta nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che prevede una serie di reati “dichiarativi”, ossia di fattispecie connesse a violazioni dell’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale ai fini IVA e delle imposte dirette: si tratta dei delitti di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) o mediante altri artifici (art. 3), di dichiarazione infedele (art. 4) e di omessa dichiarazione (art. 5). I reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione si configurano solo quando gli elementi di reddito non dichiarati e la corrispondente imposta evasa superino determinate soglie previste per legge.
Accanto ai reati dichiarativi, il D.Lgs. n. 74/2000 prevede anche i reati di emissione di fatture false, di occultamento o distruzione di documenti contabili in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d'affari, di sottrazione alla riscossione coattiva delle imposte mediante il compimento di atti fraudolenti su propri od altrui beni, a cui si sono aggiunti, per effetto di successivi provvedimenti normativi, i reati di omesso versamento di ritenute certificate e dell’IVA nonché di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti per importi superiori a 50.000 euro.
Da questo sintetico quadro emerge, quindi, che la mancata emissione di una fattura o di uno scontrino non costituiscono, di per sé, illecito penale, ma una violazione amministrativa: tuttavia, quando i corrispettivi non fatturati non vengono neanche dichiarati ed il loro ammontare supera le soglie di punibilità previste dalle singole ipotesi di reato, la condotta assume rilievo penale.
Allo scopo di contrastare le forme evasive più gravi, il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 ha sensibilmente inasprito la disciplina penale tributaria, abbassando le soglie di evasione ed eliminando le riduzioni di pena per coloro che emettono o annotano fatture false per importi ridotti. Per meglio comprendere gli effetti concreti della nuova disciplina, allo stato, un evasore totale è chiamato a rispondere del reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi se dalla ricostruzione operata in sede investigativa emergono basi imponibili sottratte al fisco per un’imposta evasa per 30.000 euro, mentre prima della modifica il reato si configurava solo se l’imposta evasa era superiore a 77.468 euro.
A queste misure, si aggiungono anche quegli interventi volti a potenziare l’effetto deterrenza della criminalizzazione di condotte evasive, quali l’allungamento di un terzo dei termini di prescrizione dei reati fiscali (che passano dagli attuali 7 anni e mezzo a 10 anni), l’ammissione al “patteggiamento” solo previo pagamento dell’imposta dovuta e delle relative sanzioni e l’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena nel caso in cui l'imposta evasa sia superiore a taluni parametri.
Per effetto delle citate disposizioni, si allarga in modo rilevante la platea degli evasori che in futuro potrà essere chiamata a rispondere penalmente per le somme sottratte all’Erario. La modifica avrà particolari effetti sull’azione di contrasto e, in particolare, su quella svolta dalla Guardia di Finanza, chiamata a contrastare i fenomeni evasivi più gravi e pericolosi. Infatti, l’abbassamento delle soglie di rilevanza penale determinerà l’aumento del numero dei casi in cui i militari del Corpo potranno operare, oltre che nel ruolo di verificatori, anche quali referenti dell’Autorità giudiziaria per delineare il quadro probatorio della condotta criminosa. Peraltro, al di là dell’auspicato effetto deterrenza, l’inasprimento delle sanzioni penali comporterà di certo un incremento dei casi in cui sarà possibile utilizzare strumenti più incisivi per sanzionare le condotte maggiormente gravi che insidiano gli interessi erariali, tra cui la confisca per equivalente dei valori corrispondenti alle imposte evase, prevista dall’art. 1, comma 143, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244. Questo istituto ha finora prodotto risultati di rilievo: dalla sua introduzione nel gennaio 2008 al primo trimestre 2012, la Guardia di Finanza ha sottoposto a sequestro beni immobili, azioni, disponibilità finanziarie per un valore pari a circa 1,5 miliardi di euro.

Fabio Marchetti – In astratto appare difficile poter rispondere a questa domanda. Ovviamente la mera dimenticanza bagatellare non dovrebbe essere punibile. Tuttavia, la mancata emissione di una fattura per importi considerevoli non potrà non considerarsi un fatto evasivo, come tale punibile.
Di regola, il nostro legislatore ha sempre cercato di distinguere i meri errori bagatellari dall’evasione, inserendo soglie di punibilità. È probabilmente l’unico sistema operativamente valido, anche se ovviamente richiede un’attenta valutazione della misura delle soglie di punibilità, che – se troppo elevate – rischiano addirittura di incentivare l’evasione e – se troppo basse – di colpire fattispecie non significative, con un indesiderato aggravio dei tribunali penali.


Come si può dimostrare il collegamento tra finanza criminale ed evasione fiscale?


Marco Di Capua - La crescente integrazione dei mercati ha progressivamente ampliato il divario tra la dimensione economica, ormai globalizzata, e la sovranità impositiva degli Stati che, per sua natura, è esercitabile sul solo territorio nazionale. Questa asimmetria ha generato un deficit di tutela, in virtù della ridotta efficacia delle misure adottate a livello domestico sulle dinamiche del mercato globale, che viene sfruttato dalla criminalità per creare imprese multinazionali ed utilizzare i paradisi fiscali.
La globalizzazione dei mercati e l'abbattimento delle barriere hanno profondamente inciso sui sistemi economici dei singoli Paesi, favorendo il proliferare di regimi o territori che adottano politiche fiscali di vantaggio per attirare capitali.
Di conseguenza, negli ultimi decenni, tale crescente liberalizzazione ha acuito, sia in ambito comunitario sia internazionale, le divergenze tra regimi impositivi ed aliquote di imposta adottati dai diversi Paesi, territori e giurisdizioni.
È noto, infatti, che tutte le imprese, anche quelle cosiddette virtuose, sono alla continua ricerca di localizzazioni sempre più convenienti per accrescere la propria competitività, anche mediante pianificazioni fiscali internazionali, volte a minimizzare il carico impositivo attraverso l'utilizzo di strutture ed organizzazioni domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata.
Tuttavia, in concreto i territori a fiscalità privilegiata rappresentano una delle principali cause di emarginazione e impoverimento per molti Stati, spossessati dei mezzi economici per progredire, nonché, talvolta un facile e comodo rifugio – magari involontario – per tutelare gli interessi della criminalità organizzata.
L'illegalità può assumere diversi aspetti, ma spesso il fattore determinante è proprio l'evasione fiscale: evasione fiscale per sottrarre denaro allo Stato, corruzione per nasconderlo, riciclaggio per reinvestirlo. Tutto questo non fa altro che alterare il mercato e ridurre la competitività del Paese.
È noto che la criminalità organizzata si inserisce nel mercato legale "sfruttando" i modelli tipici dell'impresa: la cerniera tra le attività illegali e quelle legali è rappresentata proprio dal riciclaggio del denaro di origine illecita, spesso attuato mediante operazioni finanziarie che danno luogo a fenomeni di evasione e di elusione fiscale, sia nazionale che internazionale.
In realtà il collegamento tra riciclaggio ed evasione fiscale ha ripetutamente costituito oggetto d'attenzione sia da parte dell'Unione Europea, che dell'OCSE.
Il legame tra il fenomeno dell'evasione e quello del riciclaggio si rinviene nella scelta di allocare i capitali di origine illecita nei c.d. paradisi fiscali. Questi si caratterizzano, oltreché per un livello di imposizione fiscale ridotto anche, e soprattutto, per la garanzia di un rigoroso segreto bancario e per l'assenza di scambio di informazioni con gli altri Paesi.
Non a caso ai paradisi fiscali è stato attribuito un elevato livello di pericolosità legato non soltanto al fenomeno dell'evasione ma, altresì, alla possibilità che i servizi forniti da tali centri finanziari vengano sfruttati dalla criminalità organizzata.
Il legislatore italiano, in conformità con l'orientamento espresso dall'OCSE in materia di "harmful tax competition" (concorrenza fiscale dannosa), è intervenuto in maniera significativa sulla normativa di contrasto ai paradisi fiscali adottando come criterio prevalente per la loro individuazione quello dell'assenza di un adeguato scambio di informazioni.
In questa realtà dimensionale, gli illeciti tributari sono spesso funzionali al perseguimento di altri scopi criminali: ad esempio, la sovrafatturazione delle importazioni, oltre a rappresentare una tecnica di evasione, consente anche di "vestire" di liceità trasferimenti finanziari per l'estero, così come le fatture false non consentono soltanto di abbattere gli utili, ma anche di "gonfiare" i volumi d'affari di società quotate nei mercati finanziari, creare fondi neri per finalità illecite, ottenere fraudolentemente l'accesso a risorse, nazionali o comunitarie, di sostegno alle imprese e all'occupazione.
Tutte queste realtà sono espressione di un'unica minaccia alla stabilità del nostro "sistema" Paese.

Giorgio Benvenuto – La Commissione Bicamerale antimafia ha approvato soluzioni innovatrici coraggiose. Il collegamento tra finanza criminale ed evasione fiscale è molto radicata nel settore dei giochi ed in quello del lavoro in nero.
Per ottenere dei risultati è bene procedere sulle semplificazioni (quando avremo finalmente il codice tributario?) e dare la priorità agli accertamenti sui medi-grandi contribuenti.

Gaetano De Vito – La finanza criminale genera sempre evasione fiscale. Il nostro sistema classifica questa attività come "non contemplata". Nel senso che, a differenza del "sommerso", che rapprenta attività conosciute da cui emerge evasione fiscale le attività non contemplate non sono oggetto di stima specifica se non attraverso ciò che è l'ammontare della finanza reintrodotta nel mercato attraverso il riciclaggio.

Gianluca Campana – Occorre prendere atto che la crescente interazione dei mercati ha progressivamente ampliato il divario tra dimensione economica, ormai globalizzata, e sovranità impositiva degli Stati, per sua natura esercitabile sul solo territorio nazionale. Questa asimmetria ha generato un deficit di tutela, in virtù della ridotta efficacia delle misure adottate a livello domestico sulle dinamiche del mercato globale. La criminalità ha saputo sfruttare a proprio vantaggio le opportunità offerte dalla globalizzazione: si è diversificata, è entrata nei mercati, ha creato imprese multinazionali, utilizza i paradisi fiscali per finalità di riciclaggio e di evasione. In questa dimensione, gli stessi illeciti tributari sono spesso funzionali al perseguimento di altri scopi criminali: ad esempio, la sovrafatturazione delle importazioni, oltre a rappresentare una tecnica di evasione, consente anche di “vestire” di liceità trasferimenti finanziari per l’estero, così come le fatture false non consentono soltanto di abbattere gli utili, ma anche di “gonfiare” i volumi d’affari di società quotate nei mercati finanziari, creare fondi neri per finalità illecite, ottenere fraudolentemente l’accesso a risorse, nazionali o comunitarie, di sostegno alle imprese e all’occupazione.
Il crimine economico e finanziario è, quindi, espressione di una minaccia che attenta non solo al bilancio dello Stato, ma anche al funzionamento dei mercati, con effetti depressivi immediati sulla crescita del Paese e sulle condizioni di vita dei cittadini. Il mutato scenario di riferimento ha comportato l’esigenza di adeguare le strategie di contrasto nella consapevolezza che gli illeciti finanziari ed economici, dall’evasione fiscale al lavoro sommerso, dalle frodi alla spesa pubblica alla criminalità organizzata, dal riciclaggio all’abusivismo finanziario, dalle truffe in danno dei risparmiatori alla contraffazione, sono espressione di un’unica minaccia alla stabilità del sistema Paese. Pertanto, per essere veramente efficace, anche la risposta deve essere altrettanto unitaria e sostenuta da una azione trasversale.
Approccio trasversale nella lotta alla criminalità economica e finanziaria significa non limitarsi a scoprire le basi imponibili sottratte a tassazione, ma riuscire a cogliere tutti gli altri illeciti che a queste sono connessi, come, ad esempio, il riciclaggio e il reimpiego dei proventi da evasione, l’indebita percezione di fondi pubblici o la commissione di reati di borsa. Per scoprire questi fenomeni non è sufficiente l’esame della contabilità, ma è necessario fare ricorso alle indagini di polizia giudiziaria, alla ricostruzione dei flussi finanziari, anche tramite l’approfondimento investigativo delle segnalazioni sospette antiriciclaggio, ed alle tecniche investigative proprie di una forza di polizia.
In questa prospettiva, la Guardia di Finanza è l’unico organo di polizia giudiziaria con competenze specialistiche in campo tributario e, come tale, in grado di esaminare in modo globale gli illeciti economico finanziari, attraverso il combinato esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e di polizia tributaria. E’ per questo che al Corpo è attribuita la funzione di “polo gravitazionale” degli elementi informativi comprovanti violazioni tributarie: da un lato, le altre forze di polizia, gli organi di vigilanza e la stessa magistratura penale, civile ed amministrativa sono tenuti a comunicare alla Guardia di Finanza, ai sensi dell’art 36 del D.P.R. n. 600/1973, i fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie di cui vengono a conoscenza nel corso della propria attività istituzionale; per altro verso, il Corpo costituisce l’unica “finestra di collegamento” fra indagini di polizia giudiziaria ed accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, in quanto, “previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, utilizza e trasmette agli uffici delle imposte documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”, ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 63 del D.P.R. n. 633/1972.

Fabio Marchetti – Tale collegamento non dovrebbe esistere, nel senso che la finanza criminale è ‘crimen’ e basta. Deve essere perseguita e punita come reato senza neppure porsi il problema dell’evasione.
Ipotesi diverse sono:
(a) se l’evasione fiscale possa di per sé essere valutata come finanza criminale;
(b) se il frutto del reato possa essere valutato anche dal punto di vista fiscale e, dunque, autonomamente colpito come evasione nel caso in cui non sia dichiarato.
Mi sembra che a tali due questioni abbia dato risposta lo stesso legislatore. Da un lato, l’evasione fiscale è colpita come reato (tributario) e può essere colpita anche con gli strumenti propri della repressione penale (ad esempio, il sequestro penale). Dall’altro lato, il frutto del reato è comunque reddito imponibile.


Le misure sulla tracciabilità, sulla limitazione dell'uso del contante, i redditometri. Strumenti sufficienti per il contrasto del fenomeno?


Marco Di Capua - Un'azione efficace di contrasto all'evasione è un'esigenza sentita da crescenti fasce di cittadini, che pagano le imposte con meno sofferenza nella percezione di obbligo assolto dalla collettività.
Indubbiamente, da un lato la crisi economica e dall'altro, l'inasprimento del prelievo fiscale per rafforzare la solidità del sistema paese, hanno contribuito a focalizzare l'attenzione dei governanti con maggiore intensità sul fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale.
Sono state, infatti, realizzate alcune azioni che hanno ridotto la dimensione del fenomeno e che sono destinate a recuperare in futuro ulteriori margini di imposte evase.
Tra queste ne rappresentano una manifestazione significativa le norme relative alla limitazione dell'uso del contante con la connessa tracciabilità delle operazioni finanziarie e il potenziamento dello strumento del redditometro.
In particolare, con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 c.d. Decreto "Salva Italia", sono state apportate, tra le altre, ulteriori modifiche al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, con particolare riguardo all'art. 49 che disciplina le limitazioni all'uso del contante dei titoli al portatore, individuando in euro 1.000 (e non più in euro 2.500) la soglia a partire dalla quale non è consentito il trasferimento di contanti, assegni, libretti di deposito ed altri strumenti di pagamento al portatore senza l'intervento di intermediari e soggetti abilitati.
La finalità sottesa alle modifiche che nel corso degli ultimi anni ha riguardato il suddetto limite risponde non solo all'esigenza di contrastare i fenomeni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo ma anche alla consapevolezza che agire sulla predetta soglia risulta funzionale anche a favorire l'emersione dell'economia sommersa e quindi strumentale al contrasto di fenomeni di evasione fiscale. Coerenti con questa esigenza sono state le recenti scelte del governo che ha individuato, tra gli strumenti cui ricorrere per contrastare in maniera incisiva il fenomeno evasivo, proprio un ulteriore e significativo abbassamento della soglia, oltre la quale occorre avvalersi di strumenti di pagamento c.d. "tracciabili".
Secondo questa "lettura", quindi, risulta un evidente collegamento tra la normativa antiriciclaggio e quella fiscale, laddove la prima, pur nel perseguimento degli obiettivi suoi propri, dovrebbe diventare sempre più efficace e penetrante strumento di ausilio per la seconda e, di conseguenza ulteriore mezzo per il recupero di gettito fiscale.
Gli impianti normativi finalizzati rispettivamente all'antiriciclaggio e alla lotta all'evasione fiscale, sebbene rispondano ed abbiano obiettivi diversi, interferiscono non solo perché l'imposizione di obblighi e condotte di un sistema andrà ad agevolare l'applicazione e l'efficienza anche dell'altro sistema, ma anche perché i dati ed informazioni raccolti per l'una potranno essere utilizzati anche per l'altra finalità, dando luogo a un'unica banca dati virtuale da cui attingere e incrociare posizioni economiche e finanziarie, utili anche per contrastare l'evasione fiscale.
Manifestazione della volontà di potenziare le misure finalizzate alla lotta all'evasione è stato, anche, il "nuovo redditometro".
L'art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, infatti, è stato oggetto di una profonda riforma dettata dall'esigenza di adeguare lo strumento dell'accertamento sintetico al nuovo contesto socio-economico.
Nel "nuovo redditometro" saranno presenti molte voci di spesa, per calcolare la coerenza tra spese sostenute e reddito dichiarato.
La prosecuzione dell'accertamento è legato alla percentuale di scostamento tra le due grandezze indicate (reddito percepito e dichiarato e reddito speso):
• per scostamenti minimi, nessun controllo;
• per scostamenti medi, verrà instaurato il contraddittorio e, in caso di mancata prova contraria, verrà emanato l'accertamento;
• in caso di forte incoerenza, ci saranno selezioni per controlli ordinari approfonditi.
In sostanza, il principio ispiratore della suddetta modalità accertativa è quello secondo il quale le spese per consumi, così come quelle per investimenti, non possono che essere alimentate dal reddito del soggetto.
Detto altrimenti, viene adottata la presunzione, con gli opportuni correttivi, che tutto quanto si è speso nel periodo d'imposta si presume "finanziato" con i redditi posseduti nel medesimo periodo, ferma restando ogni possibilità di provare che ciò non è effettivamente avvenuto, in quanto le spese sono state "finanziate" con altri mezzi, quali i redditi di altri periodi d'imposta, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero attraverso altri accadimenti legalmente esclusi dalla determinazione della base imponibile.
Detto ciò si può sostenere che gli strumenti utilizzabili per combattere l'evasione possono essere i più disparati e i miglioramenti che in questi ultimi anni sono stati ottenuti nella lotta all'evasione sono misurati, proprio, dall'accresciuta efficienza ed efficacia dei controlli e degli accertamenti. Si deve riconoscere, peraltro, che la riduzione dell'evasione ha migliorato, altresì, il tasso di tax compliance dei contribuenti.
La lotta all'evasione fiscale, però, non può essere vinta solamente percorrendo la via del potenziamento dei controlli.
I controlli, infatti, per quanto capillari ed efficienti, possono sconfiggere al massimo i comportamenti individuali o settoriali, ma non possono arrivare a sconfiggere quell'humus di generalizzata indifferenza e diffidenza che fanno dell'evasione fiscale in Italia un vero e proprio fenomeno sociale.
Il "rapporto" che il cittadino-contribuente ha con l'Erario è un "rapporto" difficile per definizione.
Anche in un Paese perfetto, in cui lo Stato adempia ai propri obblighi verso i cittadini con puntualità, equità ed efficienza in tutti i diversi campi nei quali è chiamato ad intervenire, il pagamento delle imposte rappresenterebbe per il singolo l'adempimento di un dovere, prima che il soddisfacimento di un bisogno.
Una difficoltà che si esplica sul piano concettuale e che si traduce nella convinzione della sostanziale irrazionalità del prelievo fiscale (rispetto alla corrispettività che produce in termini di servizi e Stato sociale) e, quindi, nella sostanziale convinzione della sua iniquità.
Soltanto la percezione dell'equità del proprio carico fiscale, anche in relazione all'equa ripartizione tra i cittadini, unitamente alla percezione della loro destinazione ai bisogni della collettività, rafforza la coscienza nel cittadino che nel pagamento dell'imposta esercita funzione sovrana.
Questa generalizzata convinzione di irrazionalità ed iniquità del sistema tributario italiano che contribuisce a rendere patologico in Italia il fenomeno dell'evasione fiscale e dell'economia sommersa; solo attraverso la rimozione o, più realisticamente, l'attenuazione di questa percezione diffusa sarà possibile in concreto portare tale fenomeno su livelli fisiologici o comunque accettabili sul piano macroeconomico.
Per questo motivo il Governo ha posto l'azione di contrasto all'elusione e all'evasione fiscale come obiettivo strategico primario della propria azione. Questo obiettivo rappresenta un modo per rendere visibile e realizzare il principio di legalità. È una maniera per trasmettere ai cittadini il messaggio di un impegno serio, costante e decisivo contro la illegalità diffusa che domina, come se fosse una cosa normale, numerosi settori della vita del Paese.

Giorgio Benvenuto – Le misure sulla tracciabilità, dopo anni di aspre battaglie, si stanno finalmente attuando.
Ancora oggi rappresentiamo un'anomalia in Europa. Siamo in testa sull'utilizzo del contante.
La tracciabilità va completata con la definizione di redditometri e di spesometri semplici ed aggiornati. L'accertamento che il Parlamento ha potenziato permette oggi di non essere disarmati di fronte alla criminalità economica ed alle infiltrazioni mafiose.
Il ricorso a metodi di indagini sempre più invasivi e pervasivi va attuato con intelligenza, senza generiche criminalizzazioni, con il rispetto della privacy.
Muoversi nell'ambito delle norme sullo Statuto del contribuente è la stella polare per avere e mantenere il consenso nell'azione di contrasto all'evasione fiscale.

Gaetano De Vito – Sicuramente la tracciabilità e la limitazione del contante diminuiscono il rischio di evasione sia al livello di prevenzione sia al livello di recupero attraverso indagini su persone sospette di evadere il fisco. Tuttavia, per ottenere risultati tangibili occorrono i controllori di prossimità, come è previsto ora possano fare i Comuni nei confronti dei presunti evasori, i quali possono essere rintracciati solamente se in qualche modo segnalati alla Guardia di Finanza o all'Agenzia delle Entrate. Quanto al redditometro lo strumento offre la possibilità di tassare non in base al reddito accertato bensì in base alle spese sostenute. E' un sistema semplice al livello concettuale ma complesso dal punto di vista operativo. A dimostrarlo è anche l'enorme ritardo accumulato per la diffusione del nuovo strumento aggiornato. Infatti per tassare in modo corretto sulla base dei consumi occorre verificare la disponibilità del reddito anche di altri (ad esempio della famiglia) nonché la disponibilità proveniente dai risparmi e dall'indebitamento.

Gianluca Campana – Si tratta di misure sicuramente utili, finalizzate a fattor comune a far “emergere” chi opera nell’illegalità e a indurre i contribuenti ad adempiere spontaneamente agli obblighi fiscali.
Più in particolare, per quanto riguarda il monitoraggio delle capacità di spesa, l’art. 21 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 ha introdotto per i soggetti titolari di partiva IVA l'obbligo di comunicazione telematica delle operazioni di importo non inferiore a 3.000 euro rilevanti ai fini di tale imposta. Per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, detta comunicazione è assolta con la trasmissione, per ciascun cliente e fornitore, dell'importo di tutte le operazioni attive e passive effettuate tra operatori economici, mentre per quelle rese nei confronti di consumatori finali, la comunicazione è prevista per le sole operazioni di importo non inferiore ad euro 3.600, comprensivo dell'IVA.
Successivamente, l’art. 7 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, ha escluso dal suddetto adempimento comunicativo le operazioni effettuate nei confronti di consumatori finali, ove il pagamento dei corrispettivi avvenga mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari obbligati alla comunicazione dei rapporti e delle operazioni all’Archivio dei rapporti finanziari. Per effetto dell’ulteriore modifica apportata dall’art. 23 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato previsto che gli intermediari che hanno emesso le carte di pagamento comunichino all’Agenzia delle Entrate dette movimentazioni, al fine di consentire più agevolmente di monitorare la capacità di spesa dei singoli contribuenti e il loro tenore di vita.
Alle citate disposizioni va anche aggiunta l’ulteriore misura, introdotta dall’art. 1 del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, che ha previsto l’obbligo per le imprese ed i professionisti di segnalare, sempre in via telematica, tutti i rapporti commerciali intrattenuti con operatori localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, nonché quelle transazioni che ricadono in determinati settori economici o coinvolgono tipologie di soggetti a rischio di frode, secondo casistica e modalità specificate in appositi decreti ministeriali emanati nel corso del 2010.
Con riguardo, invece, alla limitazione dell’uso del denaro contante, la soglia, portata a 5.000 euro dal D.L. n. 78/2010, è stata dapprima abbassata a 2.500 euro per effetto del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148, per poi essere ulteriormente ridotta a 1.000 euro in seguito all’emanazione del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Pur avendo una prioritaria finalità di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario per scopi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, la disposizione è in grado di determinare conseguenze importanti anche in ambito fiscale, in quanto, di fatto, riduce la possibilità di effettuare operazioni “in nero”, che vengono eseguite con denaro contante proprio allo scopo di evitare la possibilità di ricostruire in sede investigativa le dinamiche dei flussi finanziari. I potenziali rischi di evasione connessi all’uso di strumenti di pagamento “non tracciabili” emerge anche da recenti studi della Banca d’Italia, che pongono in evidenza, da un lato, il perdurante ampio utilizzo del contante che nel nostro Paese è pari al 91% del numero delle transazioni complessivamente eseguite e, dall’altro, l’anomala concentrazione delle banconote da 500 che risultano maggiormente utilizzate nelle aree “frontaliere” (Como, Lecco, Forlì-Cesena e Rimini), situate in prossimità del confine con piazze estere sensibili in termini di attrazione di capitali, quali la Svizzera e la Repubblica di San Marino.
Pertanto, dall’abbassamento della soglia e dalla conseguente necessità di ricorrere a strumenti di pagamento tracciabili per tutte le transazioni di importo superiore può attendersi un duplice effetto positivo, connesso:
• da un lato, ad una tendenziale emersione di basi imponibili conseguenti allo spontaneo adempimento dei contribuenti che saranno indotti a dichiarare i volumi d’affari effettivamente conseguiti, in quanto i relativi pagamenti sono stati eseguiti con strumenti di pagamento tracciabili;
• dall’altro, ad un potenziamento, di fatto, della capacità dell’Amministrazione finanziaria di contrastare l’evasione facendo leva sulla maggiore disponibilità di dati ed informazioni ottenibili mediante l’esecuzione delle indagini finanziarie.

Fabio Marchetti – Il tema della lotta all’evasione richiederebbe un lungo discorso che provo a sintetizzare.
Partendo dall’evoluzione del disposto normativo, va rilevato che nel 2011 gli interventi in tema di contrasto all’evasione/elusione a livello normativo sono stati, nel confronto rispetto al passato, meno innovativi. Ma questo dipende dal fatto che già negli anni precedenti l’Amministrazione Finanziaria era stata dotata di poteri sempre più incisivi e penetranti. Nel 2004 le indagini bancarie sono state profondamente riformate e negli anni successivi trasformate in indagini finanziarie. L’Anagrafe Tributaria nello stesso periodo è stata chiamata ad ospitare un numero crescente di informazioni. Non si nega che l’intervento del 2011 abbia ulteriormente offerto all’Amministrazione Finanziaria dati da utilizzare per gli accertamenti; si vuole qui solo sottolineare che già l’Amministrazione disponeva di strumenti adeguati e di professionalità competenti per utilizzarli.
Tuttavia è mancata fino ad ora la volontà (probabilmente politica) di impiegarli efficacemente. Manca ancora un numero adeguato di personale per svolgere più diffusamente i controlli. L’Agenzia delle Entrate dispone dei mezzi tecnici adeguati, ma non di personale sufficiente. Da qui la scelta (politica) di sopperire a queste lacune non intensificando i controlli, ma aumentando il numero dei dati a disposizione del personale esistente.
L’indagine finanziaria, che si appresta a diventare il modello di accertamento più frequente, può svolgersi interamente “a distanza” e sulla base dell’elaborazione di dati che l’Amministrazione possiede e che non deve ricercare. Sono gli operatori finanziari, che con comunicazioni periodiche o a richiesta, le cui risposte sono meri flussi telematici, offrono direttamente agli Uffici i dati da elaborare. La verifica presso il contribuente può divenire un modulo recessivo da riservare ad ipotesi determinate.
In ogni caso va sciolto il nodo dell’elusione fiscale o abuso del diritto sia in termini legislativi (attualmente vi è una vera e propria lacuna legislativa, soprattutto sotto il profilo delle procedure, che è colmata dall’elaborazione giurisprudenziale) sia in termini di adeguata preparazione dei funzionari dell’Amministrazione Finanziaria preposti alle verifiche (spesso l’abuso del diritto è invocato a sproposito, con grave danno per i contribuenti e la stessa Amministrazione, che è spesso destinata a soccombere nel contenzioso).
In definitiva, consolidata l’implementazione degli strumenti tecnici a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria (fra i quali la tracciabilità dovrebbe rappresentare lo strumento principale), l’intervento da fare riguarda il rafforzamento (quantitativo e qualitativo) del personale dell’Amministrazione Finanziaria dedicato alle verifiche fiscali.
Una cosa appare certa: data la platea dei contribuenti da sottoporre a controllo per quante risorse siano destinate alla lotta all’evasione esse non potranno mai essere sufficienti a programmare verifiche periodiche su tutti i contribuenti. Deve ipotizzarsi, dunque, anche la ricerca di meccanismi che inducano ad un adeguamento spontaneo dei contribuenti, eventualmente anche attraverso meccanismi premiali.


Cosa guadagnano la associazioni criminali dal mancato pagamento delle imposte?


Marco Di Capua - Negli ultimi anni le organizzazioni criminali hanno assunto allarmanti dimensioni internazionali, con conseguente produzione di enormi risorse finanziarie derivanti dai reati tipici da esse perpetrati, inducendo la comunità internazionale e i singoli Stati a varare misure in grado di intercettare i flussi finanziari nel momento in cui vengono immessi sui mercati, sia per il successivo impiego in attività criminali, sia per l'investimento nel sistema economico e produttivo.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la particolare struttura del nostro sistema economico, imperniato su un numero preponderante di piccole e medie aziende, spesso a conduzione familiare, e su un numero molto esiguo di imprese quotate in borsa e, peraltro, facenti capo ad una ristretta cerchia di operatori finanziari ha, da un lato, favorito la penetrazione dei capitali illeciti nell'economia legale e, dall'altro, ha impedito l'inquinamento di tutto il sistema.
Infatti, nelle regioni a forte concentrazione criminale gran parte delle enormi masse di liquidità trovano collocazione nelle piccole e medie imprese allocate in quelle martoriate regioni, collocazione imposta da atti di intimidazione tipici delle organizzazioni ivi operanti.
Si pensi ai reati di estorsione e di usura, che nel tempo portano all'inevitabile acquisizione, da parte della criminalità, delle imprese oggetto delle attenzioni dei criminali.
Nelle altre regioni, per lungo tempo il fenomeno non ha assunto dimensioni degne di nota per quanto riguarda le piccole e medie imprese, per la conduzione familiare di gran parte di esse e per l'assenza sul territorio di organizzazioni criminali strutturate secondo il modello dei sodalizi mafiosi e, per quanto riguarda le grandi imprese quotate, sia per il loro ridotto numero, sia per il controllo incentrato su pochi soggetti economici.
Paradossalmente, ciò che costituisce un limite della nostra struttura imprenditoriale, l'esiguità di grandi imprese quotate, peraltro controllate da pochi operatori economici, si è rivelato un valido baluardo contro l'infiltrazione dei capitali di provenienza illecita.
Il nostro Paese è stato il primo a dotarsi di una normativa antiriciclaggio, che si è progressivamente affinata nel tempo per contrastare più efficacemente i fenomeni criminali man mano che si manifestavano nella loro capacità di costituire una minaccia al sistema economico.
Tutta la normativa in materia, come è stato giustamente osservato in dottrina, va esaminata nella doppia veste di tutela dell'ordine pubblico e dell'ordine economico, nel senso che costituisce un prezioso e ulteriore strumento per combattere la criminalità, nel delicato momento in cui ha necessità di trasferire e di impiegare le risorse prodotte dai crimini perpetrati, e per evitare l'inquinamento del sistema economico e, quindi, il pericolo di controllo di una parte di esso da parte della criminalità.

Giorgio Benvenuto – Il fatturato delle associazioni criminali è sempre imponente. Non è stato intaccato. E' in crescita. C'è molto da fare. Tutto ciò è inaccettabile.
In Italia dopo molti anni di lassismo si è imboccata la strada giusta. C'è un'efficace normativa nel campo dell'antiriciclaggio; c'è un salto qualitativo, quasi di eccellenza, nelle capacità investigative dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. Cresce nel Paese anche il consenso per combattere questi fenomeni da terzo mondo e da economia sottosviluppata. È però decisivo che i maggiori introiti debbano essere utilizzati in parte per ridurre e per ripartire in modo equo il carico fiscale che oggi è eccessivo, sulle famiglie, sui pensionati, sulle piccole imprese manifatturiere.
Un'equa politica fiscale richiede anche un intervento deciso sul fronte della spesa pubblica aggredendo gli sprechi. Il cattivo funzionamento della politica incide sul dissesto del nostro Paese e indebolisce la lotta all'evasione fiscale.

Gaetano De Vito – Naturalmente chi come le associazioni criminali non paga le imposte guadagna pressoché il doppio di un cittadino onesto o di un ente trasparente. La possibilità di spesa di queste associazioni è, quindi, molto dilatata rispetto a chi opera in conformità con le norme rendendo appetibili alcuni accordi economici stipulati con l'economia emersa a prezzi sopra il valore di mercato. Ne consegue che il guadagno non è solo immediato e in termini monetari, ma si guadagna anche attraverso alcune opportunità di ripulire la propria posizione avendo maggiore possibilità di far circolare investimenti riciclando denaro proveniente da attività illecite. Infine, il fisco dovrebbe tassare tutte le attività di cui viene a conoscenza. Anche criminali...

Gianluca Campana – I vantaggi che le organizzazioni criminali possono ottenere dall’infiltrazione nel tessuto economico sono di varia natura: in primo luogo, attraverso l’acquisizione e il controllo di imprese sane, la criminalità può riciclare somme provenienti da attività illecite, quali l’estorsione, il traffico di stupefacenti e di armi, ecc., introducendole nell’impresa attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti o l’alterazione della contabilità.
Una volta “puliti”, i proventi illeciti possono essere immessi nel ciclo produttivo dell’impresa, determinando così un vantaggio competitivo illecito rispetto alle imprese “sane”, connesso alla possibilità di utilizzare capitali a “costo zero” per effettuare investimenti o porre in essere pratiche commerciali aggressive.
A ciò si può aggiungere l’ulteriore vantaggio illecito connesso al mancato assolvimento degli obblighi fiscali connessi all’esercizio delle attività commerciali o industriali.
Sono queste le ragioni della necessità di affrontare in maniera organica ed unitaria le diverse sfaccettature delle insidie criminali: le differenti fenomenologie di illecito economico-finanziario (le truffe ai danni dello Stato per ottenere indebitamente sovvenzioni pubbliche, l’usura, l’abusivismo finanziario, i reati societari o il riciclaggio di proventi illeciti) presentano sempre un comune denominatore, ossia l’artificiosa rappresentazione della realtà dei fatti gestionali, resa apparentemente regolare attraverso la predisposizione di fatture false, inserite in scritture contabili formalmente ineccepibili, ovvero mediante l’utilizzo di contratti derivati appositamente costruiti “a tavolino” da “ingegneri finanziari” o, ancora, attraverso l’esecuzione di complesse operazioni di ristrutturazione societaria, che in realtà mascherano veri e propri meccanismi fraudolenti.
Naturalmente, tutte le tecniche di falsificazione della contabilità, anche se prioritariamente dirette ad uno scopo illecito diverso da quello tributario, presentano sempre un potenziale risvolto di carattere fiscale.
Proprio per questi motivi, la strategia della Guardia di Finanza punta a colpire la criminalità organizzata nel cuore dei suoi interessi economici e finanziari, mediante investigazioni volte ad aggredire i patrimoni illecitamente accumulati dalle organizzazioni delinquenziali e a prevenire la formazione di capitali di origine criminale, facendo leva non solo sulle competenze di “polizia”, ma anche quelle giuridico-contabili mediante la ricostruzione dei flussi finanziari e la verifica della congruità della situazione patrimoniale effettiva con quella reddituale dichiarata.

Fabio Marchetti – A questa domanda non sono in grado di rispondere.
Mi limito, dunque, ad una sola osservazione. Il fisco non deve diventare strumento di polizia; va distinta la repressione dell’evasione fiscale (che compete agli uffici fiscali tecnicamente a ciò preparati) dalla repressione della criminalità (che compete agli organi di polizia). Anche laddove (vedi Guardia di Finanza) vi possano essere competenze sia fiscali che di polizia, i due piani, anche se intersecantisi, devono essere tenuti distinti, dati i diversi obbiettivi della repressione dell’evasione fiscale e della repressione criminale.



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