GNOSIS 1/2012
LA CULTURA RECENSIONI Gianluca ANSALONE Angelo ZAPPALA' 11 settembre 2021 |
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Tutti però cercano di rispondere ad una domanda: come sarà il mondo nel prossimo futuro? Squarciare il velo del futuro è un’impresa che l’uomo ha sempre tentato di fare. In passato con le arti divinatorie, oggi con raffinati modelli matematici anche se, come disse Albert Einstein «Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe, e finché sono certe, non si riferiscono alla realtà». Se proiettiamo nel prossimo decennio la velocità dei cambiamenti di questo inizio di XXI secolo dobbiamo immaginare un pianeta quasi irriconoscibile, ecco che allora appare impossibile fare previsioni accurate sui riflessi sulla homeland security quando ci si confronta con fenomeni complessi quali il cambiamento climatico, l’esaurirsi delle risorse energetiche, le dinamiche demografiche delle nostre società e dei flussi migratori e gli algoritmi delle mutazioni dei virus e dello sviluppo di una pandemia. Quasi impossibili sono da prevedere le azioni di un solitario terrorista fai da te. Non ancora ben delineate sono le prossime mosse dei gruppi fondamentalisti integralisti, dopo che le ruspe avranno definitivamente demolito quel compound ad Abbotabad, e considerando che un blackout, uno sciopero dei traporti o un capriccio degli elementi ha mostrato quanto le nostre complesse, tecnologiche, delicate e caotiche città siano vulnerabili. Tuttavia l’arte di governare è storicamente nata con la capacità di prevedere le possibili evoluzioni di fenomeni già in atto. La si potrebbe chiamare capacità di indirizzo, poiché anticipare il cambiamento implica la possibilità di gestirne gli effetti e magari di pilotarne gli esiti secondo i propri interessi. Così è stato per gli attori principali dello scenario internazionale, almeno da quando, nel XVII secolo a Westphalia, venne riconosciuto lo Stato – Nazione come soggetto principale e spesso esclusivo della geopolitca; la mobilitazione di risorse economiche, militari, culturali e commerciali è stata strumentale al mantenimento di posizioni di dominio per gli Imperi. La loro longevità è stata intimamente connessa alla capacità di prevedere l’evoluzione dello scenario, presidiando i gangli vitali della vita pubblica nazionale e internazionale. Parimenti, il loro declino è stato quanto meno accelerato dalla incapacità di cogliere la complessità e di indirizzare secondo i propri interessi l’inevitabile ascesa di nuovi attori comprimari. È un grande ciclo strategico, che si ripete periodicamente nel corso dei secoli. La nostra cultura occidentale ci spinge a concepire la storia come un percorso lineare, fatto magari di sporadiche ricorrenze e soprattutto scandita da cesure che ciascuno di noi apprende dai libri di scuola. Ma questo è solo uno dei modi di guardare al passato e, quindi, di anticipare il futuro. Se proiettiamo su un orizzonte lungo dinamiche di cui oggi percepiamo solo un contorno sfumato allora diventa più probabile attrezzarsi per prevenirne gli effetti più nefasti. Oggi il mondo conosce uno spostamento epocale di pesi strategici ed economici dal vecchio centro (l’Occidente) alla ex periferia (l’Asia – Pacifico). Il cleavage, la spaccatura che sta accelerando questo processo è la dinamica debito/credito. L’Occidente ha vissuto per molti decenni al di sopra delle proprie possibilità, scaricando spesso gli effetti del debito sulle aree più periferiche del pianeta. La crisi, sotto forma di crac finanziario e depressione economica, sta avendo effetti globali. Ma c’è qualcuno, nel pianeta e soprattutto in Asia, che di fronte alla parola crisi procede spedito sulla strada della crescita esponenziale del PIL. Non è la prima volta che il centro e la periferia si scambiano pesi, ruolo e rilevanza strategica. Così è stato nei secoli e così probabilmente accadrà anche questa volta, dopo cinque secoli di dominio assoluto dell’area europea prima e euro-atlantica successivamente. Ciò che ci distingue però dai nostri avi del tardo Rinascimento o di fine Ottocento è la disponibilità di strumenti di analisi e di azione estremamente migliori e più sofisticati. Oggi, insomma, possediamo i mezzi e le capacità per fare in modo che questo “strategic shift” sia il meno traumatico e mortificante possibile per i nostri interessi, prima ancora che per la nostra storia, la nostra cultura e il nostro soft power. Occorre, quindi, recuperare il senso della visione e della profondità strategica. E per fare questo è necessario proiettare a dieci o vent’anni le evoluzioni possibili di fenomeni che sono già in atto. Rispetto al passato oggi gli attori primari dell’arena globale non sono solo gli Stati nazionali. Anzi, il loro potere è eroso da fenomeni interconnessi e di dimensioni planetarie che spesso passano molto al di sopra della capacità di previsione o di controllo dei governi. La cifra di questo inizio di XXI secolo è il proliferare di minacce non statuali o asimmetriche; minacce cioè che smentiscono del tutto il paradigma delle relazioni internazionali degli ultimi sessant’anni, fondato sui principi della deterrenza e della dissuasione. Contro il terrorismo di matrice integralista o il proliferare delle armi di distruzione di massa nessuna prevenzione militare tradizionale è più efficace. Contro i cambiamenti del clima che possono stravolgere l’immagine stessa del pianeta non funzioneranno le teorie classiche di Malthus sulla demografia o quelle del Club di Roma. Difficili da debellare restano le reti criminali transnazionali la cui ipertrofia avvelena l’economia, la finanza e il tessuto sociale. La pervasività e la quotidianità della rete Internet è un fenomeno del tutto nuovo per dimensioni e caratteristiche e interpellano tutti i governi alla ricerca di nuovi meccanismi di governance globale. Era impensabile, fino a pochi anni fa, immaginare che uno Stato provasse a mettere in ginocchio un avversario con l’uso di un mouse e una tastiera; o che un’azienda sottraesse segreti industriali e brevetti a un possibile concorrente senza infiltrare spie o corrompere informatori ma semplicemente facendo breccia nello scudo virtuale che protegge i sistemi informatici e i personal computers dei managers. A fare da sfondo a questi epocali cambiamenti ci sono le nuove tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni, con un ruolo crescente dei media più o meno tradizionali. Quei social networks che hanno attraversato e spinto le rivolte della primavera araba e che sono un nuovo meta-Stato. Se tutti gli utenti di Facebook o di Twitter si unissero in un fantomatico auto-proclamato “Stato virtuale”, questo sarebbe il terzo al mondo per numero di abitanti, dopo Cina e India. E pensare che Thomas Watson, fondatore della IBM, ebbe a dire “Penso che nel mondo ci sia mercato forse per 4 o 5 computer”. Per approfondimenti l'autore suggerisce...
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