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GNOSIS 4/2011
LA CRONOLOGIA

UN RACCONTO

 articolo redazionale

Il Gattopardo di Casapesenna




Casapesenna (CE)
Scorcio di via Mascagni - Covo di Michele Zagaria

Il racconto, seppur in forma romanzata e con non pochi spunti di pura fantasia, cerca di disegnare il profilo del boss casalese Michele Zagaria, tratteggiandone il profilo che lo portò da semplice gregario a capo indiscusso. (Foto Ansa)



Sono passati anni, dietro i suoi occhiali opachi e i capelli ingrigiti di pensieri.
Annega la fronte in salmastre preoccupazioni, si piega nella bocca della botola e scivola come un’ombra sulle scale arrugginite sino a precipitare nella silenziosa stanza.
È il suo bunker, dove si consuma nella polvere lo scettro di capo della camorra.
Non che si senta il capo, ma così lo chiamano i giornalisti e finisce per crederlo anche lui… Soprattutto, ci credono i picciotti e la gente che lo incontra baciandogli la mano come se fosse un vescovo.
“peppiniell’” urla al citofono “song arrivat’, inserr a port’”.
Sopra la botola scorre silenzioso un piano. Michele è isolato dal mondo, chiuso nel suo Inferno privato. È sotto terra, un tauto comodo ma che non toglie tra i denti il sapore afro di esilio.
Alcune volte pensa con rammarico al suo destino di minatore. Di animale dei cunicoli.
Un sorcio.
“surice”.
Guarda i suoi monitor.
Può osservare il perimetro della sua casa, le vie adiacenti, finanche la piazza…
Guarda i volti noti e quelli stranieri, i profili di contadini e quelli di sbirri…
Gli sbirri, ce l’hanno scritta in faccia la sbirritudine, quella sveltezza d’occhi che non hanno ucciso, quella voglia di trovare anche quando non cerchi, quel sospetto che s’effonde come miasmo in ogni vicolo frequentato.
Poi li vede come ombre attaccati alle mura, quando di notte ti cercano e se ne vanno sfatti, senza radici, delusi ma senza rabbia, satolli del sacrificio fatto, del lavoro assolto come fosse una preghiera…
Sono così gli sbirri, vecchi e giovani…
I camorristi no… Sono contingenti come un colpo di pistola, sono l’erba selvaggia che si nutre dei sedimi originali e disordinati della terra, ancora non sottomessi dall’aratro, pronti a divorare chiunque si metta sul proprio solco…
Perché per loro ogni attimo è sopravvivenza…
Li vedi nevrotici, occhiate furtive e velenose, promesse di bombe o di morte…
In queste vie strette e affollate, non c’è mai posto per tutti….
Devi guadagnarlo il sole del mattino e non sempre puoi dormire nel tuo letto, perché gli incubi per il camorrista sono più reali di un pugno…
“O’ sanno i guaglioni e’ mo’?”
Spesso se lo ripete, inseguendo il suo disappunto per le nuove generazioni così diverse, così poco inclini a imparare dai vecchi, dalle loro esperienze…
Michele ha gli occhiali di professore e i capelli corti.
Da tempo ha smesso i panni del killer…
Vorrebbe gridare ai nuovi picciotti come fosse diverso tanti anni fa…
Se li ricorda quei tempi….
Si sente e lo confermano molti, l’ultimo gattopardo, come direbbe quel magistrato che gli da’ la caccia… si sente l’ultimo gattopardo in terra dei “Mazzoni”…
Stirpe antica, la sua, che ha il merito di aver attraversato il tempo vivo della camorra, dalla culla all’auge recente, dalla polvere da sparo a quella d’oro degli affari…
Sembra che sia passato un secolo, invece è appena la sua vita, cinquant’anni che hanno sconvolto la società campana e ogni cosa giri intorno…
Era il tempo di don Antonio Bardellino, il vero creatore dei casalesi, il vero genio che ha ripetuto la sua esperienza a contatto con i siciliani di cosa nostra a favore della sua gente. Era stato punciuto e faceva parte di quella famiglia campana che serviva ai palermitani come agenzia d’affari nella realtà portuale napoletana così viva e ricca.
Lui se lo ricorda bene, don Antonio, era il suo capo e si sentiva un padreterno quando scorreva al suo fianco, lo sentiva parlare, lo vedeva muoversi….
Ha imparato grazie a lui che devi avere l’intelligenza lunga come lo sguardo dell’aquila ma devi essere tanto forte come una belva feroce. Non puoi avere pietà nemmeno dei tuoi amici. Nessuna fiducia e nessun perdono.
Inoltre, ha imparato che un re deve guardare al popolo e non solo alle tasche sue.
Il popolo ti protegge e ti salva, perché la pancia piena e la gratitudine rende meno infami.
Era, insomma, il tempo dei casalesi, una realtà che anche allora, tempo di grandi criminali, risultava eccezionale.
Tanto eccezionale da mettere in ombra (e da contribuire a sconfiggere) il fenomeno cutoliano della NCO, negli anni 70 tanto moderna da assomigliare ad un’azienda efficace e competitiva.
Don Raffae’, era un pazzo ma aveva il lume acceso e sapeva organizzare traffici straordinari e cellule sul territorio giovani, efficienti, volenterose…
Era una guerra! Int’ sto’ burdell e’ pazz si moriva e si uccideva per un nonnulla.
In quel periodo cresce Michele e si tempra, tra una pistola e una mitraglietta Uzi…
Si fa pure il carcere. Perché trovato sempre con armi, in procinto di un’azione.
Sa anche uscirne, dalle gabbie, per quell’ernia che gli gira la testa e lo fa chiamare “capastorta”, per l’epatite con cui guadagna gli arresti domiciliari…
Sorride Michele…
Che tempi! Che scuola è stata la sua Casapesenna…
Impara presto che la guerra finisce, viene la pace e dopo la pace ritorna la guerra, per cui devi sapere bene chi sta dalla tua parte… sempre…
Un’altra cosa ha imparato… Che la vita dei boss, in Campania, è appesa ad un filo… ed anche ad un soffio di qualche confidente, per cui è importante assicurarsi la riservatezza degli affiliati e qualche buon amico (criminale o sbirro non è importante) disposto a proteggerti in cambio della condivisione di un buon affare.
Al tempo di Bardellino fu killer e buon discente…
Nell’ombra imparava, senza dar troppo a vedere, come per evitare gelosie…
Lui sapeva che era diverso dai suoi compagni e assomigliava più ai capi che ai gregari.
Ma non ne aveva le occasioni, né il lignaggio.
Doveva costruirsi….
E così fa, il buon Michele, si costruisce sulle macerie dei gruppi, dei terremoti che scuotono la vita dell’organizzazione.
L’importante è essere silenzioso e pronto al momento opportuno, sempre con la stessa fame ma anche con la pazienza dell’esperienza…
I casalesi, si sa, sono uomini d’affare e gran traditori…
Nel primo caso, uomini d’affari, diversamente dai mille gruppi del centro partenopeo troppo gangsteristici e banditeschi per ambire a maggior rilievo, i casalesi da subito hanno indossato la cravatta dell’imprenditore, non solo estorcendo ma direttamente esercitando quell’impresa che della mafia è cifra distintiva.
Uomo d’affari capace di ripulirsi all’istante del sangue sparso sul territorio per partecipare al desco delle lobby locali, condividendo quel potere che entra nel dna dell’organizzazione…
Nel secondo caso, invece, gran traditori, Michele sa bene quanto poco durino i capi nel sodalizio che sembra votato a fagocitare il proprio capo…
All’infinito, Giove si libera di Crono e conquista l’Olimpo…
È legge naturale nella terra dei Regi Lagni…
Bardellino viene ucciso dai suoi gregari che vengono uccisi a loro volta dai rispettivi gregari che, anche loro, vengono eliminati dai nuovi gregari…
Si muore o si viene arrestati con la collaborazione alla giustizia che inizia a imperversare anche nell’organizzazione casertana, la più impermeabile in Campania.
Quel monolite potente – una sorta di massa critica violenta - si frantuma in mille pezzi… i nuovi capi impongono il tradimento e il regicidio …
A Mario Iovine, il primo Giuda, succedono Schiavone, Bidognetti, Iovine e De Falco…
Ancora una guerra e vengono espulsi i De Falco e i loro supporters… Si muore ancora, e tutto il casalese è attraversato da una stagione di sanguinosa violenza…
All’interno dei Bidognetti si uccide ancora, soprattutto quei rami familiari che hanno scelto di collaborare alla giustizia e hanno disonorato il clan…
Michele si toglie gli occhiali e pulisce le lenti…
In questo gioco al massacro lui è sempre cresciuto. Dove gli altri si separavano, lui era pronto a raccogliere i cocci, a ricostruire la trama di un progetto criminale, ad inventare un sogno…
Come le sue imprese migliori, anche lui sull’immondizia e sui resti di altri costruiva una fortuna…
È uomo di faglia, Michele, è uomo di frontiera che deve saper superare l’avversità di quelli che lo hanno sempre considerato un parvenu…
Lui non è uno Schiavone, né Iovine, né ha quei cognomi importanti che segnano il vantaggio di un lignaggio…
Lui, il lignaggio, se lo è costruito con la forza, prima, e con l’intelligenza, poi.
Uomo di nodo, uomo di svolta, uomo che risolve i problemi…
Schiavone, Iovine e Bidognetti sono finiti… Il boss in carcere è un pidocchio assetato, vuole il sangue del corpo di società, vuole il pedaggio per dare ai reggenti e al gregario l’illusione di una investitura.
Il carcerario è un peso, sulla bilancia tutti quegli ergastoli che soffocano il welfare mafioso.
“Ma quann ne song?” aveva detto al contabile, per onorare il Natale e fare un pensiero ai detenuti…
“Azz, Viciè’, ce ne stann chiù a rint che a for’!”.
Nessuno poteva reggere lo sforzo di quelle pensioni dorate, i vizi delle genealogie mafiose più riverite…. La spocchiosa pretesa di taluni vitelloni che vogliono fare la vita da nababbo solo per il cognome che portano e magari…. Si, magari pretendono di comandare, di assumere il potere perché si sentono Domine’ ddio.
Un tempo non era così. Nel far west della camorra vinceva chi valeva, costruiva chi meritava la sopravvivenza, chi era veramente capace…
Era il tempo della creazione, quelli validi conquistavano le piazze…
Oggi, invece, è come in una monarchia..
Non è possibile…
Troppi clan si sono rovinati per dare spazio – immeritato - a qualche rampollo, di solito troppo volenteroso e pronto a combinare qualche guaio..
Invece lui la gavetta l’ha fatta… Da giovane ha conosciuto l’ebbrezza del killer, ha battuto le strade del pizzo, ha eseguito ordini, ha fatto ‘mbasciate rischiose, sino a meritare lavori più elevati, contattando le persone per bene e mangiando con imprenditori cui ha comprato l’azienda…
In silenzio, sempre all’ombra, ma sempre in tutti gli affari importanti… La Tav, l’immondizia, l’edilizia, insomma dovunque ci fossero guadagni lui era pronto ad occuparsi della logistica, degli affari, degli aspetti sempre più sofisticati e strategici…
Aveva fatto il killer, insomma, ora toccava fare l’imprenditore e che imprenditore!
Con rami sparsi in Italia e in Europa…
L’aveva detto ai picciotti: noi siamo camorristi ma anche i più bravi imprenditori..
Noi siamo la forza delle relazioni, la voglia di lavorare e di conquistare..
I lavori noi li facciamo a metà costo, noi dobbiamo essere competitivi e a poco a poco spiazziamo il mercato… ci accattiamo le aziende che ci vogliono bene e facciamo sparire quelle che non vogliono capire…
Quando gli Schiavone, gli Iovine, i Bidognetti furono sparigliati come un mazzo di carte logoro, Michele muove i primi passi verso la vetta, quella vera…
Più i giornali lo definivano il vero capo, più le storiche famiglie si innervosivano…
“Chi, Michele? Adda’ aspettà Miche’, deve portare pazienza!” Li immagina i capi in conclave a diffidare di lui…
Michele ha avuto pazienza e ha insegnato come i grandi cavalli si vedono all’arrivo…
Niente donne, niente ville, niente lusso, lui vuole il potere, essere il regista di questa vita strana che ci tocca, di questa avventura magra per chi sia nato nei “Mazzoni”.
Per questo non aveva sofferto all’arresto dei boss, che dopo Bardellino erano per lui solo sbiadite copie…
Per questo aveva pensato di sistemare il fratello Pasquale e aveva intessuto una ragnatela sottile e dorata…
Per questo era riuscito a imporre in Campania forniture di grandi marche nazionali, pretendendo dalle aziende, oltre alla tangente, anche un prezzo di favore per i commercianti, e da questi ultimi, oltre al pizzo, il totale assenso al prodotto. Così diventava il regista degli affari, accontentava tutti e tutti piegava alla collusa adesione e alla reciproca convenienza.
Per questo aveva messo nel bagagliaio della macchina un imprenditore che voleva incontrare, facendo percorrere duecento chilometri mentre lui l’attendeva al vicolo appresso.
Per questo è un boss che dell’ombra si nutre, e del sangue, tanto, oltre che della strategica freddezza di un chirurgo della camorra.
Peccato per quei giornalisti , quei magistrati, quegli analisti…
Lui sa che bisogna temere lo sbirro muscoloso che ti mette le manette ma devi temere ancor di più quello che vuole capire la verità anche nei luoghi dove la verità è ammappuciata…
Sa che nel passato gli analisti lo hanno scovato, lo hanno dipinto, lo hanno buttato nelle righe delle loro relazioni che hanno fatto il giro del mondo…
Lui che aveva cercato di vivere nell’ombra, di essere ombra, lui è stato schiacciato da una pubblicità devastante…
All’inizio gli aveva fatto piacere…
Leggere nei libri il proprio nome è la legittimazione di una storia, di un vissuto, che puoi anche rivendicare rispetto agli affiliati e alla gente comune…
Michele sa che è camorrista e che è un capo ma che lo si sappia in giro aumenta le sue capacità “preventive” di intimidazione…
Il beneficio è immediato ma anche avvelenato…
Perché tutti si rivolgono a te, perché sei sovraesposto, perché aumentano le gelosie, perché agli sbirri vengono gli occhi rossi a pensare al tuo arresto…
Perché diventi anche il capro espiatorio di tante cose di cui sei responsabile per il sol fatto di essere capo…
Capisci che se ti prendono è finita…
Se ti catturano entri nel mondo dei fantasmi che affollano le carceri…
Zombi che hanno un potere residuale, sempre più parziale e marginale… soprattutto quando non c’è speranza che tu possa uscire…
In quell’ambiente asfittico che ben conosce, non può vantare l’appoggio di chicchessia… Lì, gli altri capi non si sono mai fidati di lui…
La cattura sarebbe una iattura, per questo è ossessionato dalla sicurezza…
Michele “capastorta” …
Ad un tratto vede dai monitor una schiera di poliziotti…
Entrano nella sua casa…
Michele chiude il citofono e si mette sulla poltrona davanti ai monitor…
Quanto guadagneranno sti’ guaglioni?
Li vede aggirarsi come api intorno al miele, ne sentono l’odore ma non riescono a vedere il fuco..
Michele è tranquillo, se ne andranno, avranno rotto qualcosa e verranno denunciati o verranno censurati in qualche articolo di stampa…
Non lo sanno, loro, che sono una sicurezza per tutti…
Non sanno che rischio e lavoro ogni giorno sino a sfinirmi per risolvere problemi che loro nemmeno immaginano e per cui non hanno alcuna ricetta…
Sanno che significa l’arresto di Schiavone e di Bidognetti. Conoscono le iene che girano intorno, assetate di sangue, pronte a fare stragi pur di occupare una poltrona più grande o per guadagnare mille euro in più?
Sanno “a’ foia” delle nuove generazioni? Prive di scrupoli hanno bisogno di legittimarsi e di avere spazio… pronte al tradimento, all’omicidio, alla violenza perché hanno bisogno di rinnovamento e di caos, perché nel disordine potrebbero trovare nuove vie e inediti orizzonti…
Sono io ad essere il guardiano della sicurezza, della continuità….
Io sono il guardiano del faro, servo a tutti quei naufraghi che hanno bisogno di una direzione…. A tutti i nocchieri che sanno che ci sono, che garantisco, che rimuovo gli ostacoli al loro cammino…. Perché di camorra si muore, e muoiono i camorristi come le persone oneste, ma gli affaristi, quelli senza scrupoli, quelli ci campano di camorra!
In questa terra, poi, si è riversata la rabbia di Dio!
Oggi l’illegalità ha attratto ogni genere di business, ogni tipo umano, ogni animale, dal corvo alla iena, dalla tigre all’aquila…
Noi gattopardi siamo alla fine….
La luce se ne va… Il buio oscura i pensieri…
La paura e l’ansia prendono al petto…
Michele immagina che abbiano trovato la centralina elettrica, che abbiano trovato i cavi… Se non esce subito, è possibile che rimanga senza aria, nel suo Inferno privato…
Grida, “aprite e’pport, so’ ca abbasc’”
Si consegna….
Si deve consegnare, sti’ sbirri , manco li puo’ vedere!
Le sua urla si confondono con la felicità degli sbirri che inneggiano al successo…
Michele pensa alla domiziana ormai vittima di bande di predoni che nessuno fermerà… Pensa ai nuovi gregari e alla voglia di conquistare il cielo in un giorno, alla loro violenza di testa e di cuore… Pensa all’ultimo incontro in cui aveva piegato la testa ai boss dei gruppi casalesi, gli Schiavone, gli Iovine, i Bidognetti….
Avevano bisogno di ordine, di essere coordinati, avevano bisogno di soldi per sostenere le spese dopo tutti gli arresti degli ultimi anni, dopo i sequestri miliardari…
Lo avevano trattato come fosse un usuraio o, peggio, come un garzone… Aveva fatto loro capire che ora era il big, che era al di sopra, al di sopra della stessa camorra e che poteva anticipare la ricchezza necessaria anche a salvaguardare i vizi dei boss storici detenuti… Come se comprasse un quadro miliardario dei suoi avi, un lusso per nobilitarsi…
Venissero gli sbirri, ora, ad inceppare la macchina che aveva oleato, non solo quella del bunker ma ancor più quella dell’organizzazione….!
Buio intorno…..
Tra il rumore di sirene si coglie già il sibilo delle iene pronte a uscire per le vie…



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