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GNOSIS 4/2011
ATTUALITA'

OSSERVATORIO MEDITERRANEO

'Fratelli d'Egitto'


Matteo PIZZIGALLO


Foto Ansa
 
Il vento popolare della “primavera araba”, alimentato dalle speranze e dalle passioni dei giovani, ha fatto crollare palazzi del potere e regimi dispotici. E il vento soffia ancora. Un giorno si placherà e si dovrà pur incominciare a ricostruire. E, con spirito di cooperazione, la comunità internazionale dovrà favorire la transizione dei Paesi arabomediterranei verso nuove forme di governo, rispettose dei diritti politici e sociali, delle libertà fondamentali e, soprattutto, sorrette da un autentico consenso popolare.
Sarà questo il banco di prova effettivo per l’Unione europea che, con l’originario spirito dei padri fondatori, finalmente potrà confermare i vincoli di solidarietà che la legano ai Paesi arabomediterranei. Ora, con questa rubrica, che non ha alcuna pretesa di completezza, si vuole soltanto richiamare, di volta in volta, l’attenzione sul ruolo e sulle iniziative che l’Unione europea e in particolare l’Italia, “ponte sul Mediterraneo”, potrebbero mettere in campo, nei prossimi mesi, per riannodare i fili del dialogo e della cooperazione.


La terza tappa del nostro “viaggio” attraverso i Paesi della Sponda Sud del Mediterraneo, ad un anno dalla “primavera araba”, ci porta in Egitto che, particolarmente sotto il profilo politico-diplomatico, è di gran lunga il Paese più importante ai fini del mantenimento della pace e della stabilità in Medio Oriente.
Infatti, nel corso degli ultimi trent’anni, a partire dai primi Accordi di Camp David seguiti dal Trattato di Pace con Israele (1979), l’Egitto ha progressivamente rafforzato il suo ruolo diplomatico sulla scena internazionale, diventando un fondamentale e credibile interlocutore degli Stati Uniti e dei Paesi europei per portare avanti i vari progetti di stabilizzazione del Medio Oriente via via concepiti nel tempo dalle diplomazie occidentali e arabe, alla ricerca di un assetto condiviso, purtroppo ancora lontano da raggiungere.
Dal suo canto la diplomazia egiziana, che vanta un invidiabile palmarès (mi limito solo a segnalare due nomi di prestigiosi diplomatici egiziani: Boutros Ghali, ex segretario generale dell’ONU e Muhammad al-Baradei, ex direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, nonché premio Nobel per la pace nel 2005) ha sempre svolto l’importante e delicata funzione di “facilitatore” del dialogo e della mediazione nelle situazioni difficili.
A tal proposito, ad esempio, ricordo il forte impegno, proprio della diplomazia egiziana, nel gennaio 2009, quando, a seguito all’operazione ‘Piombo fuso’ scatenata da Israele contro i miliziani di Hamas a Gaza, la tensione stava pericolosamente salendo in tutta l’area, creando intenso allarme e preoccupazione. In quell’occasione, la diplomazia egiziana attivò subito tutti i suoi canali, ufficiali e non, per ottenere un immediato cessate-il-fuoco e promuovere una nuova tregua temporanea fra le Parti, seguita poi dalla Conferenza di Sharm el-Sheik del 18 gennaio, alla presenza del segretario generale dell’ONU.
Limitando, dunque, la nostra analisi esclusivamente agli aspetti politico-internazionali che segnano, per così dire, il profilo scientifico prevalente di questa rubrica, va pertanto rimarcato il ruolo cruciale svolto in passato, ma anche e, soprattutto, quello che l’Egitto, ancora una volta, sarà chiamato a svolgere in futuro, per il consolidamento di una sostenibile stabilità del Nord Africa e del Medio Oriente. E ciò, a maggior ragione, all’indomani dei cambiamenti provocati, proprio a cominciare dallo stesso Egitto, dalla “primavera araba”, che ha travolto dittatori e regimi dispotici troppo a lungo tollerati dalla stessa comunità internazionale, per inconfessabili motivi di reciproca convenienza.
Giusto nel gennaio di un anno fa, l’improvviso potente urlo, a lungo soffocato, della giovane folla di Piazza Tahrir, assetata di libertà e democrazia, coraggiosamente decisa a fronteggiare e sfidare, a mani nude, gli spietati e sanguinosi tentativi di repressione subito messa in atto dalle Forze di sicurezza, mandava letteralmente in frantumi Hosni Mubarak (oggi sotto processo a Il Cairo) e il suo dispotico regime.
Iniziava così una nuova delicata fase di transizione orientata e guidata (non senza ambiguità e compromessi con la vecchia nomenklatura, soprattutto sotto il profilo della mancata discontinuità con le vecchie logiche di potere) dai militari del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf).
I coraggiosi giovani di Piazza Tahrir, utilizzando tutti i possibili mezzi di comunicazione, dai telefonini a twitter e a facebook, hanno rappresentato la preziosa avanguardia rivoluzionaria egiziana, che ha sprigionato una forte carica liberatoria, riaccendendo tante nuove speranze e, soprattutto, spingendo l’Egitto “a rialzare la testa” come al tempo della ribellione alla dominazione coloniale.
Appassionati custodi dello spirito originario e delle parole d’ordine della “primavera egiziana” (libertà, democrazia e giustizia sociale) gli uomini e le donne di Piazza Tahrir anche negli ultimi mesi, non hanno mancato di denunciare colpevoli ritardi e lentezze nella concreta attuazione del programma di riforme promesso dai vertici militari che, a loro volta, non hanno esitato a reprimere le manifestazioni di protesta con brutale violenza, provocando morti e feriti.
Una violenza sproporzionata condannata apertamente dalle organizzazioni umanitarie e che ha molto turbato l’opinione pubblica e la stampa internazionale. Nonostante gli ostacoli e i ripetuti tentativi di marginalizzazione esperiti contro di loro dalle autorità militari, i giovani egiziani non hanno perso né la speranza né la volontà di continuare a reclamare il proprio diritto al futuro. E per la fine del mese di gennaio, in occasione del primo anniversario della “rivoluzione”, il movimento di Piazza Tahrir organizzerà un’imponente manifestazione per la quale la mobilitazione è già in atto.
Intanto, sotto l’occhiuta sorveglianza dei militari, temporanei garanti del cambiamento, ma al tempo stesso custodi del loro potere e dei loro antichi privilegi e prerogative, in Egitto prosegue, con esasperante lentezza, il processo di transizione, il cui esito finale appare ancora troppo lontano e incerto.
Mentre questo fascicolo della nostra rivista va in stampa, in Egitto sono in fase di ultimazione le complesse procedure di ballottaggio per l’assegnazione definitiva dei seggi alla Camera dei Deputati (Assemblea del popolo), dopo una estenuante maratona elettorale in tre turni iniziata a novembre.
Nel complesso, le prime libere elezioni legislative hanno registrato il successo dei partiti di ispirazione islamica. Al primo posto, nonché partito di maggioranza relativa, il Partito Libertà e Giustizia (vicino ai Fratelli Musulmani); al secondo posto il Partito Al Nour (vicino ai Salafiti). Di gran lunga distanziati i due principali partiti laici: il Partito Wadf (il più antico dei partiti liberali egiziani) e il Blocco Egiziano (un cartello elettorale che raggruppava una serie di formazioni minori).
Il consistente consenso elettorale dei partiti vicini alle organizzazioni islamiche era in larga parte prevedibile, tenuto conto del radicamento territoriale di queste organizzazioni, che operano non solo nel campo della formazione religiosa, ma anche e, soprattutto, in quello dell’assistenza sociale nei confronti dei ceti popolari meno abbienti.
Prima fra tutte l’Associazione dei Fratelli Musulmani (per così dire “collaterale” al Partito Libertà e Giustizia, il partito di maggioranza relativa, nonché vincitore di fatto delle elezioni) che, fondata nel lontano 1928 da Hasan al-Banna, è la più importante e meglio strutturata e capillarmente diffusa organizzazione islamica e che, nonostante difficoltà e contrasti con il deposto regime egiziano, ha continuato nel tempo a sviluppare un’intensa attività assistenziale a tutto campo. Intanto, come dianzi si accennava, il periodo di transizione egiziano, sia pur lentamente prosegue.
Nelle prossime settimane, dopo la proclamazione dei deputati all’Assemblea del Popolo, testé eletti, inizierà una nuova tornata elettorale: infatti si voterà per eleggere i rappresentanti al secondo ramo del Parlamento egiziano, il Consiglio consultivo e poi, salvo imprevisti, per giugno sono programmate le elezioni presidenziali.
Tenuto conto dell’importanza dell’Egitto nel quadro dell’assetto geopolitico mediterraneo, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea seguono con grande attenzione e interesse il progressivo evolversi della situazione.
Primo fra questi Paesi è senz’altro l’Italia, che vanta con il popolo egiziano un’antica, ininterrotta e solida amicizia basata sulla cooperazione, sull’aperto confronto, sul reciproco rispetto e, soprattutto, assolutamente scevra da possibili pregiudizi di tipo ideologico o religioso comunque declinati.
Significativamente, a tal proposito, il ministro degli Esteri italiano, l’ambasciatore Giulio Terzi ha recentemente dichiarato: “La propensione al dialogo con i popoli a noi vicini è diventata il paradigma della politica estera italiana. Un orientamento facilitato dalla natura moderata e pacifica degli italiani, da sempre estranei al fanatismo. Noi confidiamo nella volontà dei partiti vincitori nelle consultazioni elettorali di tradurre nelle nuove architetture istituzionali i principi di libertà e pluralismo, come da essi dichiarato nel corso delle campagne elettorali”.
La presenza italiana in Egitto è molto ben radicata e molto attiva. Il nostro Paese è il primo partner europeo dell’Egitto (ed il secondo in assoluto dopo gli Stati Uniti) con un consistente interscambio commerciale. Per ribadire la particolare vicinanza dell’Italia e il suo forte sostegno alla transizione democratica egiziana, sempre nel pieno rispetto del “principio dell’ownership” dei Paesi arabi, che è il carattere distintivo della diplomazia italiana, il 19 gennaio, il ministro degli Esteri Giulio Terzi sarà in visita a Il Cairo per, recita il comunicato della Farnesina, “portare il messaggio che l’Egitto democratico è fondamentale per il rafforzamento della pace e della stabilità nel Mediterraneo e in Medio Oriente” e, al tempo stesso, “ rassicurare le autorità locali sulla ferma volontà italiana di contribuire al rilancio delle attività economiche”.
Anche perché, come lo stesso ministro Terzi non manca di rilevare giustamente: “non vi è stabilità democratica senza sviluppo economico sociale”.



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