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GNOSIS 4/2011
Islamico e islamista
la commistione pericolosa


Al Qaeda e i Media
strategie di comunicazione


Gianluigi CESTA


Humam Khalil Abu Mulal al Balawi
esponente di Al Qaeda in un video messaggio web

Foto da http://media.washtimes.com/
 
L'evoluzione del terrorismo riconducibile alla matrice islamica ha attraversato un lungo periodo, fino a raggiungere forme sofisticate di comunicazione, appannaggio soprattutto di Al Qaeda, l'organizzazione che ha saputo utilizzare al meglio i Media soprattutto elettronici: dalla televisione a Internet.[
In particolar modo il terrorismo, quale che sia la matrice, ha capito e interpretato correttamente il principio che il messaggio è nell'atto in sé, nella paura che esso genera, veicolata da mezzi di comunicazione sempre più veloci e intrusivi.
Però, se la semplificazione del linguaggio della struttura terroristica facilita il proselitismo, la generalizzazione terminologica di chi lo combatte genera confusione. Da qui, la necessità di parole non equivoche per combattere al meglio la guerra del terrore proprio sul fronte mediatico.


Islam e Islamismo


Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica si è imposto a partire dagli anni ‘70 all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Dal primo attentato al World Trade Center di New York del ‘93, passando per il più noto e plateale attentato dell'11 settembre 2001, questa forma di terrorismo polarizzata da una forte componente religiosa si è posta come interlocutrice dell'intera comunità internazionale.
Il termine "Islamismo" è stato coniato nel diciottesimo secolo in Francia ed era riferito all'Islam. La traccia più vecchia si trova nell'Oxford English Dictionary del 1747. Partendo dalla definizione che dà il vocabolario online della Treccani, leggiamo: islàm (non corretto ìslam) s. m. [dall'arabo Islam, propr. "abbandono, consegna (di sé alla volontà divina)"]. - La grande religione monoteistica fondata da Maometto e, collettivamente, il mondo musulmano (più spesso con iniziale maiuscola): la diffusione dell'Islam; guerre fra cristianità e Islam. Mentre alla voce "islamismo" si legge: "La religione fondata in Arabia da Maometto, in cui confluiscono elementi tratti dal paganesimo arabo, dal cristianesimo e dal giudaismo, oltre che idee e norme personali di Maometto stesso: basata sulla credenza nell'unità di Dio (Allah) e sulla qualità di profeta di Maometto, è codificata nel Corano. Anche, il sistema politico, sociale e culturale strettamente connesso a tale religione".
Del termine islamismo ci interessa in particolare il secondo significato: "[…] anche, il sistema politico, sociale e culturale strettamente connesso a tale religione". Sebbene non esaustive, queste due voci sono comunque di aiuto per introdurre un concetto fondamentale: ossia che c'è una fortissima differenza tra islam e islamismo e che considerarle una identità, come spesso accade nel linguaggio comune, è un grave errore. L'islamismo, infatti, è definito anche "Islam politico", e rappresenta un insieme di dottrine politiche che mirano all'istituzione di uno Stato che abbia l'Islam come religione e i suoi princìpi guida come regolatori della sfera economica, politica, giuridica e sociale.
Per quanto riguarda i movimenti e i partiti politici, si tende a distinguere tra partiti islamici (che promuovono l'Islam come religione) e partiti politici islamici (che promuovono l'Islam come movimento politico). Le loro posizioni sono molto diverse e vanno dai teocratici oltranzisti che hanno guidato la Rivoluzione iraniana (Partito della Repubblica islamica) ai ben più laici e democratici partiti nati in occidente, come il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo in Turchia.
Una nota a parte la merita la confraternita dei Fratelli Musulmani, che si pone sulla scia di uno stretto tradizionalismo: fondati in Egitto nel 1928, nel corso degli anni hanno incrementato la loro influenza, soprattutto a partire dagli anni '80, estendendo la loro presenza in tutti i Paesi islamici in un'ottica di riconquista all'Islam di tutti i territori che in passato erano stati arabi.
L'islamismo ha diverse forme e spazio in una larga serie di strategie e tattiche, perciò non può essere pensato e definito come unico movimento. È fondamentale, però, distinguere tra "Islamismo" e "Terrorismo islamista", appunto per non incorrere in quella semplificazione di cui abbiamo parlato all'inizio: accomunando tutti gli islamici ai rappresentanti dei terrorismo islamista e ignorando la complessità del fenomeno, si stigmatizza la maggior parte degli islamici che nulla ha a che vedere con il terrore, garantendo così il successo di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda.


L’integralismo islamico e il terrorismo di matrice islamica

Per chiarire il concetto di "terrorismo islamico" si deve, anzitutto, rilevare che questa definizione è usata per atti di terrorismo commessi da estremisti che si definiscono "musulmani". Episodi di terrorismo islamico si sono verificati fin dagli anni '70 in Medio Oriente, Africa, Europa, Asia Sud-Orientale e Stati Uniti. Una delle organizzazioni più conosciute e attiva dal punto di vista militante è Al Qaeda, fondata da Osama bin Laden con gli obiettivi di far cessare la presenza militare americana in Medio Oriente e nella penisola arabica, di rovesciare i regimi arabi considerati corrotti e non sufficientemente religiosi e di far cessare il sostegno americano a Israele e far tornare Timor Est e il Kashmir sotto il dominio musulmano.
Sebbene la definizione "terrorismo islamico" sia stata a volte ritenuta controproducente od eccessivamente politicizzata, il suo utilizzo è oramai molto diffuso. Molti musulmani contestano, ovviamente, la definizione poiché secondo loro contrappone l'Islam - una religione pacifica - a un concetto a esso opposto. Il Prof. Bernard Lewis osserva che "l'Islam, in quanto religione, non è particolarmente favorevole al terrorismo o, addirittura, tollerante verso di esso; ha avuto infatti un carattere essenzialmente politico dalla sua fondazione ai giorni nostri. […] Nell'Islam tradizionale - e, quindi, anche nel fondamentalismo di sorgente islamica - Dio è l'unica fonte di sovranità. Dio è il capo dello Stato. Lo Stato è Stato divino. L'esercito è l'esercito di Dio. Il tesoro è tesoro di Dio, e il nemico, naturalmente, è nemico di Dio".
Questa visione viene contestata da studiosi come Jamal Nassar e Karim H. Karim i quali sostengono che, essendo più di un miliardo i seguaci della religione islamica, il fenomeno andrebbe meglio considerato come "terrorismo islamista", perché descrive ideologie politiche radicate nelle interpretazioni dell'Islam: altrimenti, descrivendolo come il terrorismo "islamico", si corre il rischio di confermare "una prospettiva pregiudizievole verso tutto il mondo islamico", ricadendo nella semplificazione da cui stiamo cercando di fuggire.
Un altro studioso ancora, Karen Armstrong, sostiene che l'utilizzo del termine "terrorismo" è controproducente in quanto alimenta la convinzione di coloro che in Occidente credono che tali atrocità siano causate dall' Islam, e, allo stesso tempo, rafforza il punto di vista di quanti, nel mondo musulmano, percepiscono l'Occidente come un nemico implacabile. Armstrong ritiene che i terroristi in nessun modo possono rappresentare l'Islam tradizionale e, per questo, suggerisce l'uso di altri termini per definire il fenomeno, come "terrorismo wahhabita" o "terrorismo Qutbianita".
In merito alle motivazioni alla base del terrorismo di matrice islamica l'ex analista della CIA Michael Scheuer, che ha partecipato alla caccia che la CIA ha condotto contro Osama bin Laden, afferma che attacchi terroristici, in particolare attacchi di al Qaeda in America, non sono motivati da un odio di ispirazione religiosa della cultura o religione americana, ma dalla convinzione che la politica estera degli Stati Uniti abbia oppresso, ucciso o danneggiato i musulmani in Medio Oriente. Che si riassume nella frase: "Ci odiano per quello che facciamo, non per ciò che siamo".
Il Prof. Robert Pape, esperto di terrorismo e, in particolare, di attacchi suicidi, sostiene che i terroristi utilizzino i suicidi - uno strumento particolarmente efficace di attacco terroristico - non guidati dall'islamismo ma da "un chiaro obiettivo strategico: costringere le moderne democrazie a ritirare le forze militari dal territorio che i terroristi vedono come la loro patria".
Martin Kramer, invece, esperto di studi arabi e Islam, contesta la posizione di Pape sostenendo che gli attacchi suicidi non rispondono solo a una logica strategica, ma anche a una interpretazione dell'Islam da cui trarre una logica morale. Ad esempio, Hezbollah ha avviato attentati suicidi dopo una complessa rielaborazione del concetto di martirio. "L'unico modo per applicare un freno al terrorismo suicida", sostiene Kramer, "è quello di minare la sua logica morale, incoraggiando i musulmani a vedere la sua incompatibilità con i propri valori".
Il terrorismo islamico, secondo i critici dell'Islam, è legato alla pratica della guerra divinamente sancita contro gli apòstati. L'esperto Scott Atran, attualmente direttore di ricerca in antropologia presso il Centre de Recherche Scientifique, si è occupato a lungo di terrorismo suicida sottolineando che non si può parlare di una singola radice di terrorismo: di norma, infatti, non è la religione il volano ma la dinamica del gruppo, formato da familiari ed amici, su cui si basa la crescente onda di azione che porta al martirio. In merito al profilo degli aspiranti kamikaze, lo psichiatra forense ed ex funzionario di servizi esterni Marc Sageman ha effettuato uno studio intensivo di dati biografici su 172 partecipanti al jihad, concludendo che le "reti sociali"e gli "stretti legami di famiglia e di amicizia" ispirano i giovani musulmani a unirsi al jihad e a uccidere molto più di disturbi comportamentali, povertà, traumi, follia o ignoranza.
Lawrence Wright, uno scrittore americano premio Pulitzer che si interessa di terrorismo, descrive la caratteristica di "displacement" (spostamento), fenomeno che gli aspiranti kamikaze hanno in comune: la maggior parte di coloro che hanno aderito al jihad, infatti, lo ha fatto in un paese diverso da quello in cui è cresciuto. Un profilo opposto a quello dei terroristi "locali" afghani: in uno studio su 110 attentati suicidi condotto dal patologo afghano Dr. Yusef Yadgari è, infatti, emerso che l'80% dei kamikaze presi in esame, aveva qualche tipo di disabilità fisica o mentale. Non a caso, infatti, gli shahid afghani non compaiono sui manifesti commemorativi o non lasciano video messaggi postumi come martiri.


Brevi cenni sul Jihad

Jihad (gihad ÌåÇÏ) è una parola araba che significa "esercitare il massimo sforzo" o "combattere". La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa. È da intendersi al maschile, quindi lo jihad.
Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava alla Mecca, lo jihad si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale, quindi a quello sforzo interiore necessario per la comprensione dei misteri divini. In seguito al trasferimento dalla Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il Corano iniziò a incorporare la parola qital (combattimento o stato di guerra), e due degli ultimi versi rivelati su questo argomento (9:5, 29) suggeriscono, secondo studiosi classici come Ibn Kathir, una continua guerra di conquista contro i nemici non credenti. Tra i seguaci dei movimenti liberali interni all'Islam il contesto di questi versi è quello di una specifica "guerra in corso", e non una serie di precetti vincolanti per il fedele.
Questi musulmani "liberali" tendono a promuovere una comprensione che rigetti l'identificazione del jihad con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto princìpi di non violenza. Questa è, comunque, un'interpretazione scarsamente diffusa e nettamente minoritaria all'interno del mondo islamico. I musulmani spesso si rifanno a due significati di jihad, benché la catena di tradizioni che può ricondurre sino alle parole di Maometto sia classificata come "debole": "grande jihad (interiore)", lo sforzo per autoemendarsi, contrastando le pulsioni passionali dell'io; "piccolo jihad (esteriore)", uno sforzo militare, cioè una guerra legale.
Oggi, la parola jihad è, tuttavia, usata in numerosi circoli come se avesse una dimensione esclusivamente militare. Per quanto questa sia l'interpretazione più comune di jihad, è da mettere in evidenza come questa espressione non venga usata strettamente in questo senso, all'interno del Corano.


Al Qaeda, la nascita del network

Al Qaeda (in arabo ÇáÞÇÚÏÉ, significa "la base"). Le origini di Al Qaeda come rete ispiratrice di terrorismo in tutto il mondo e addestratrice di operativi, possono essere fatte risalire alla guerra sovietica in Afghanistan (dicembre 1979 - febbraio 1989).
Si possono identificare cinque fasi distinte nello sviluppo di al Qaeda: l'inizio alla fine degli anni '80; il periodo del "deserto" tra il 1990-1996; il suo "periodo d'oro" tra 1996-2001; il periodo della rete tra 2001 -2005; e un periodo di frammentazione dal 2005 ad oggi.
Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 si pensa che la leadership di Al Qaeda sia diventata geograficamente isolata e che essa abbia lasciato a gruppi di dirigenti locali la conduzione delle azioni terroristiche utilizzando il nome di Al Qaeda. Questo è la vera nascita del network qaedista: cioè una galassia di realtà autonome che opera in condizioni isolate rispetto alla "rete", pur condividendone gli obbiettivi ed i mezzi. Questo sistema fa sì che decapitando una "cellula" non si mina la sicurezza delle altre, dal momento che non c'è alcun legame gerarchico tra le cellule, apparendo quindi la struttura come una "rete" e non come una piramide.
Al Qaeda è stata classificata come organizzazione terroristica dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dalla NATO, dalla Commissione europea dell'Unione Europea, da numerosi altri governi.
Osama bin Laden spiegò l'origine del nome in una registrazione di un'intervista rilasciata al giornalista di Al Jazeera Taysir Aluni nell'ottobre del 2001:
"The name 'Al Qaeda' was established a long time ago by mere chance. The late Abu Ubaidah al-Banshiri established the training camps for our mujahedin against Russia's terrorism. We used to call the training camp Al Qaeda. The name stayed"
"Il nome di 'Al Qaeda' fu stabilito molto tempo fa per caso. Il defunto Abu Ubaydah al-Banshiri creò dei campi di addestramento per i nostri mujahedin contro il terrorismo sovietico. Noi solevamo chiamare i campi di addestramento "Al Qaeda". Il nome rimase"
.
Secondo, invece, un'altra impostazione, rintracciabile in un'affermazione rilasciata l'8 luglio 2005 al quotidiano britannico "The Guardian" dall'ex-ministro degli Esteri britannico Robin Cook, che si dimise per protesta contro l'aggressione all'Iraq di Tony Blair, al-Qa'ida sarebbe la traduzione in arabo di "data-base": "Per quanto ne so io, al-Qa'ida era originariamente il nome di un data-base del governo USA, con i nomi di migliaia di mujahidin arruolati dalla CIA per combattere contro i Sovietici in Afghanistan".
Tutto nasce dalla militanza mujahedin in Afghanistan. Dopo aver lasciato il college nel 1979, bin Laden è andato in Pakistan e si è unito ad Abdullah Azzam, uno studioso islamico palestinese e membro della Fratellanza Musulmana, per prendere parte alla guerra sovietica in Afghanistan. Durante l'Operazione Ciclone, dal 1979 al 1989, gli Stati Uniti hanno fornito aiuti finanziari e armi ai mujahedin e ai leader attraverso il Servizio segreto pachistano Inter-Services Intelligence (ISI). Bin Laden, al tempo, ebbe modo di incontrare e intessere un rapporto con Hamid Gul, generale a tre stelle dell'esercito pakistano e Capo della agenzia ISI. Sebbene gli Stati Uniti abbiano fornito il denaro e le armi, la formazione paramilitare dei gruppi militanti è stata interamente svolta dalle Forze armate pachistane e dell'ISI.
Nel 1984, a Peshawar in Pakistan, Osama bin Laden e Azzam fondarono il Maktab al-Khidamat (MAK), che incanalava soldi, armi e combattenti da tutto il mondo arabo verso l'Afghanistan. Attraverso al-Khidamat, la famiglia bin Laden con il suo patrimonio ha foraggiato l'attività dei combattenti per lo jihad. Bin Laden stabilì all'interno di Khyber Pakhtunkhwa - in Pakistan - dei campi di addestramento e li utilizzò per addestrare combattenti volontari contro la Repubblica Democratica dell'Afghanistan.
È durante questo periodo in Pakistan che ha iniziato ad indossare le giacche mimetiche ed ad imbracciare e brandire il fucile d'assalto di fabbricazione russa, iniziando a creare quella icona di guida combattente che lo ha accompagnato per la durata di tutta la sua leadership e che l'ha reso un paradigma a cui ispirarsi.
Nel 1988 bin Laden decide di staccarsi dal movimento di Maktab al-Khidamat. Infatti, mentre Azzam agiva come sostenitore dei combattenti afghani, bin Laden aspirava ad un ruolo più militare. Uno dei punti principali che portarono alla scissione e alla conseguente creazione di Al Qaeda è l'insistenza di Azzam affinché i combattenti arabi fossero integrati nei gruppi combattenti afghani, invece di formare una forza separata di combattimento. In una riunione in cui partecipa lo Sceicco, nell'agosto del 1988, si decide la formale nascita di Al Qaeda: "Fondamentalmente una fazione islamica organizzata, il cui obiettivo è quello di elevare la parola di Dio, per far vincere la sua religione vittoriosa". E veniva anche stilato un elenco di requisiti per aderire all'organizzazione: capacità di ascolto, buone maniere, l'obbedienza, e il giuramento (bayat) di seguire i propri superiori.
Secondo Wright, il vero nome del gruppo non è stato utilizzato in dichiarazioni pubbliche, perché la sua esistenza era ancora tenuta strettamente segreta. Secondo l'autore, al Qaeda si sarebbe formata l'11 agosto 1988, con l'incontro tra diversi capi esperti del Jihad egiziano, Abdullah Azzam e Osama bin Laden. In questo incontro si decise di unire i soldi di bin Laden con l'esperienza dell'organizzazione del Jihad islamico e di abbracciare la causa jihadista altrove, dopo che i sovietici si fossero ritirati dall'Afghanistan.
In seguito al ritiro dell'Unione Sovietica dall'Afghanistan, nel febbraio 1989, Osama bin Laden tornò in Arabia Saudita nel 1990, come un eroe del jihad che, con la sua legione araba, "aveva fatto cadere la superpotenza" dell'Unione Sovietica.
Lo Sceicco fu costretto a lasciare l'Arabia Saudita all'indomani dell'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein e il conseguente attrito con il Re Fahd perché si servì delle truppe Usa per difendere i suoi confini. Si rifugiò in Sudan nel 1992 grazie ad un accordo mediato da Ali Mohamed.
In Sudan bin Laden restò fino al 1996 poi, sotto le pressioni del governo locale, di quello egiziano, quello saudita e quello statunitense - dopo aver perso la cittadinanza saudita ed esser stato ripudiato dalla sua famiglia - fu praticamente costretto a rientrare in Afghanistan, dove atterrò a Jalalabad con un volo charter. Qui strinse rapporti con il Mullah Mohammed Omar, leader dei talebani. Iniziò a raccogliere fondi dai benefattori dei tempi del jihad contro i Soviet e dal Servizio segreto pakistano ISI.
L'Afghanistan, da lì in poi, è ritenuto da alcuni analisti la base principale dello Sceicco, anche se secondo altri esperti il Pakistan ha sempre coperto, grazie al suo servizio ISI infiltrato dai talebani, la presenza sul suo territorio di Osama bin Laden.
Gli eventi recenti, infatti, con la presunta uccisione proprio in Pakistan di bin Laden, confermerebbero che lo Sceicco, se non proprio di base fissa in Pakistan, quantomeno era solito passare parte del suo tempo sul territorio di Islamabad.


La comunicazione politica e la violenza

Un messaggio politico è una comunicazione di contenuto politico tra due o più soggetti. La comunicazione è di contenuto politico quando avviene tra chi è portatore di un interesse e qualcun altro che ha possibilità di intervenire, direttamente o indirettamente e in maniera più o meno efficace, su quell'interesse specifico, che sia favorevole o contrario all'interesse stesso. L'interesse (quindi la comunicazione) per essere di natura politica normalmente deve riguardare una moltitudine di persone e un bene pubblico, materiale o immateriale.
I mezzi tramite i quali veicolare tale messaggio sono molteplici. Dal vecchio manifesto e volantino usato per le rivendicazioni movimentiste, all'articolo sul quotidiano nazionale X o Y, passando per le manifestazioni di piazza e altri mezzi di protesta legittimi e non violenti.
La violenza, anche se vista come extrema ratio, può di fatto annoverarsi tra i mezzi utilizzabili come veicolo per un messaggio politico. Ovviamente, perché questo accada, la violenza non deve essere portata avanti come fine a se stessa, ma deve rientrare in un disegno più ampio con, ad esempio, una rivendicazione, e deve essere messa in opera da gruppi che abbiano una strategia politica. Una "violenza politica", se è permesso accostare queste due parole, resta ovviamente una cosa di per sé aberrante che va sempre condannata e mai giustificata ma, di fatto, chi commette un atto simile rappresenta il mittente di un messaggio che viene rivolto ad un destinatario politico che è in genere la classe politica e dirigente di un paese. Ovviamente non importa che l'atto venga portato a termine o no, si pensi all'Eta che spesso preavvisava di aver messo una bomba in un dato posto, quello che importa è l'eco mediatico che tale azione genera... L'attentato che uccide 200 persone raggiunge le menti (e, soprattutto, la "pancia", quindi le paure) di molte più persone di quelle coinvolte e dei loro familiari.
Si pensi alle bombe di Londra, Madrid o anche all'attentato a New York: praticamente tutto il pianeta (almeno quello connesso con i Media) è venuto a conoscenza dell'evento, molti governi hanno reagito innalzando le misure di sicurezza, l'Onu si è riunito, i Servizi di sicurezza e informazione di tutto il mondo si sono attivati o hanno intensificato le loro attività, e così via.


La strategia mediatica di al Qaeda

La strategia mediatica di al Qaeda è pensata per assolvere a varie funzioni e per questo si è dipanata attraverso vari canali: dichiarazioni inviate via fax, post su Internet, registrazioni audio, produzione di video, pubblicazione di articoli e interviste. Ogni prodotto mediatico è rivolto a target specifici, oltre che all'ampia base costituita dalla popolazione. Il "calendario" delle esternazioni, generalmente, corrisponde ai principali eventi internazionali ed è volto a fare propaganda, far salire la tensione, dimostrare anche che il network o un leader dell'organizzazione è in vita, aumentare i sostenitori o lanciare attacchi.
Per sensibilizzare le masse riguardo alla loro causa, per guadagnare il sostegno dei simpatizzanti e per generare paura, i terroristi necessitano di pubblicità. Quando Peter Bergen, analista di terrorismo per la CNN e autore di Holy War, Inc.: Inside the Secret World of bin Laden, fece la prima intervista televisiva a bin Laden nel 1997, all'interno della sua base afghana, scoprì che bin Laden aveva una strategia mediatica ben ponderata; tanto è vero che lo Sceicco chiese di conoscere prima le domande e rispose, poi, solo a quelle che riteneva opportune per l'intervista.
Ayman al Zawahiri, storico numero due di Al Qaeda e - come si è appreso recentemente - successore di bin Laden nella leadership del movimento, ha sempre considerato i molteplici benefici nell'utilizzo dei Media internazionali per richiamare l'attenzione sulla loro causa. Perciò, quando al Qaeda ha dichiarato guerra agli Stati Uniti nel 1998, lo ha fatto pubblicamente, tenendo una conferenza stampa ufficiale in Afghanistan. Zawahiri era anche certo che le immagini televisive degli attacchi portati con successo avrebbero diffuso la paura tra la gente incoraggiando al tempo stesso "martiri a farsi avanti e prendere parte alle missioni suicide in nome della causa islamista".
In seguito alla perdita del rifugio sicuro in Afghanistan, a causa dell'aumento della pressione dovuta alle operazioni internazionali di lotta al terrorismo subito dopo l'11 settembre, la Rete di Al Qaeda è stata forzatamente "spezzettata" in più piccole e più sfuggenti fazioni (micro-attori). La Rete, ritornata ad uno stato di perenne latitanza, ha avuto una drastica diminuzione della capacità di comunicare.
Di conseguenza, sempre più spesso, la Rete ha iniziato a gravitare intorno alle nuove tecnologie, come Internet e le comunicazioni via satellite. I mass media sono diventati una componente centrale nelle operazioni strategiche di Al Qaeda nel periodo post 11 settembre: un'organizzazione più virtuale e diffusa che Peter Bergen ha soprannominato "Al-Qaeda 2.0".
Gli sforzi di Al Qaeda per relazionarsi con i Media spesso rispecchiano quelli di imprese specializzate in pubbliche relazioni. Dichiarazioni audio, video comunicati stampa e telegiornali in streaming, sono creati presso la propria azienda di produzione in-house conosciuta come As-Sahab e rilasciati attraverso vari canali, compresa la loro affiliata pubblicitaria, il Global Islamic Media Front. Il Global Islamic Media Front è anche responsabile della Voce del Califfato, un telegiornale online che ha debuttato nel mese di settembre del 2005.
Studiare le connessioni mediatiche dei gruppi jihadisti ci può aiutarci a comprendere la relazione tra Al Qaeda e i suoi gruppi affiliati e le priorità che emergono dallo studio di questo network possono darci indicazioni sulle modalità operative della galassia qaedista.
Questi legami sono visibili a tutti, fanno parte delle cosiddette "fonti aperte": analizzandoli non si può di certo capire cosa i jihadisti pensino e dicano tra di loro, ma monitorare forum e altri luoghi virtuali di incontro può servire per analizzare cosa pensano i loro supporters. Se è vero che non può affermarsi che ci sia una connessione diretta tra le esternazioni mediatiche e le azioni è, però, altrettanto vero, che una analisi dettagliata delle priorità mediatiche può darci qualche indizio in merito alle future azioni.
Quello che interessa, ai fini del delineamento della rete mediatica, sono gli operatori che producono e postano materiale in Rete - con questo si intendono i gruppi armati affiliati - e il mezzo tramite cui pubblicano questo materiale, utilizzando un Media Production and Distribution Entity, cioè una entità preposta a rendere pubblici tali materiali (ma che, non di rado, li produce pure). Questi attori formano la "rete mediatica" che diffonde l'ideologia qaedista. Una vera a propria distinzione tra queste entità non si può fare. Però possono ritracciarsi le maggiori Media Production and Distribution Entites (MPDEs) che creano il tessuto connettivo tra le varie realtà terroristiche: Fajr, Global Islamic Media Front e Sahab. Si potrebbe pensare che tali legami siano solo virtuali, tuttavia il costante contatto tra i vari gruppi e i MPDEs fa pensare a contatti anche reali ed effettivi, come quello che è richiesto per portare un materiale - ad esempio un filmato - dal gruppo che l'ha realizzato al referente del MPDEs che lo pubblicherà.
Il sistema è laborioso e più è complesso, maggiori sono i rischi. Verrebbe naturale chiedersi perché non limitarsi a produrre il materiale e postarlo da sé. Innanzitutto, c'è da considerare che i MPDEs con la loro attività massimizzano le sinergie e gli sforzi dei gruppi che contribuiscono al media stesso, senza che nulla vada perduto come potrebbe accadere se ognuno provvedesse da sé; e poi, soprattutto, creano un link implicito che è garanzia di autenticità del materiale, come una "genuinità" conferita alla notizia rilasciata solo per il fatto che venga rilasciata da un MPDEs specifico, conosciuto e affidabile. In questa maniera il network diventa come "garantito" ed è molto difficile far circolare materiale falso o fuorviante immesso da agenti ostili o emuli che cerchino di inquinare il sistema informativo.
Il flusso mediatico che esce da tale network solo in minima parte è riferibile ad al Qaeda direttamente, e questo conferma il carattere di rete, di galassia, del movimento che non ha, dunque, una vera e propria gerarchia con legami diretti di subordinazione, pure riconoscendo nello Sceicco un punto di riferimento ideologico che sopravvive anche alla sua morte.


La propaganda

Indirizzati alle popolazioni in tutto il Medio Oriente, Europa, Asia e Stati Uniti, i messaggi di al Qaeda sono pensati per "suscitare reazioni psicologiche e comunicare messaggi politici complessi ad un pubblico globale". Al Qaeda indirizza richieste, minacce e avvertimenti verso i suoi nemici politici e ideologici, tra cui i governi degli Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele.
Alcuni messaggi, invece, sono stati progettati per andare oltre coloro che sono di già seguaci e mirano ad influenzare il cittadino arabo-musulmano medio; questo rappresenta il segmento più ampio di società mediorientale che spesso è riluttante a sostenere le tattiche violente del terrorismo. Al Qaeda fa anche appello direttamente a coloro che condividono l'ideologia di un jihad globale, nella speranza di raccogliere un sostegno finanziario, acquisire nuove reclute e futuri martiri.
Altri messaggi, infine, sono complementari e sono diretti alle cellule, a singoli operativi internazionali già esistenti o a cellule dormienti, e portano istruzioni, aggiornamenti e gli sviluppi più recenti della Rete.
"Masking their true intentions with propaganda, rhetoric, and a sophisticated use of the mass media and the Internet, this enemy exploits regional tensions and popular grievances" (General John P. Abizaid).
Per attuare questa "resistenza", gli argomenti a supporto del suo operato hanno fatto perno su un certo numero di questioni arabe e musulmane calde e su alcuni conflitti "convenienti" che l'organizzazione ha strategicamente manipolato per portare avanti la sua causa. Un tema centrale in molti dei suoi messaggi è rappresentato dal tentativo di trasformare le azioni e le politiche occidentali in una guerra totale contro l'Islam. Spesso, attingendo da immagini storiche e religiose dei giorni delle Crociate, Al Qaeda punta ai nazionalisti arabi, insistendo sul fatto che "gli Stati Uniti, in collaborazione con i suoi Stati-fantoccio nella regione e Israele, fanno guerra all'Islam, in particolare attraverso le loro politiche nel conflitto israelo-palestinese, il loro appoggio alle sanzioni contro l'Iraq e la loro presenza militare nella regione del Golfo" (dichiarazione fatta prima della guerra in Iraq). Il punto di vista della "guerra contro l’Islam" consente, inoltre, alla leadership di al Qaeda di far apparire costantemente le sue azioni come difensive e dovute dal punto di vista religioso.
Uno degli argomenti più duraturi e convincenti nella sua retorica contro gli Stati Uniti ruota attorno all'incessante conflitto israelo-palestinese, situazione che crea un risentimento che ha un forte ascendente emotivo sull'immaginario collettivo arabo-musulmano. Ampi strati della popolazione musulmana ritengono che gli Stati Uniti siano in accordo con Israele e che sostenga, quindi, quella che loro percepiscono come la continua occupazione della Palestina. Organizzazioni terroristiche, a forte base popolare come Hamas e Hezbollah, e leader musulmani radicali, come il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, hanno chiesto pubblicamente la distruzione di Israele. Zawahiri ha sempre considerato la causa palestinese come catalizzatore per ottenere il supporto universale del mondo arabo al jihad contro gli Stati Uniti. Questo tema rappresenta un punto di incontro per tutti gli arabi, anche non credenti. Di conseguenza, molte delle affermazioni di Al Qaeda spesso sottolineano e insistono sulla teoria del complotto americano-sionista.
Lo scopo principale del terrorismo è quello di "attirare l'attenzione e generare paura". Le dichiarazioni pubbliche rilasciate da bin Laden e al Zawahiri spesso contengono minacce di attacchi in attesa di dettagli e avvertimenti per le popolazioni prese di mira. Abu Musab al Zarqawi, leader di al Qaeda in Iraq ucciso nel giugno del 2006, divenne famoso per il rilascio del video e immagini raccapriccianti di decapitazioni di ostaggi o corpi mutilati. Tra i primi sfortunati di questa serie di assassinati si ricorda Nick Berg, il giovane americano di origini ebree che fu decapitato da 5 individui, tra cui forse lo stesso al Zarqawi, il 7 maggio del 2004. L’eco mediatica del rilascio del video con la cruda esecuzione fu molto forte in tutto il mondo, non solo Occidentale, ma ottenne chiaramente lo scopo prefissato dal gruppo al Qaeda in Iraq (AQI): il gruppo capeggiato dal giordano si impose, così, come "antenna" di al Qaeda in Iraq, guadagnandosi "sul campo" i gradi e la rispettabilità, per dirla in parole semplici. Una pubblicazione di questo tipo ha avuto almeno due significati: uno a "utilizzo interno", cioè rivolta ai vertici della rete qaedista per chiedere o meglio reclamare l'investitura; un altro verso il resto del mondo, dai governi alle popolazioni, teso ad alimentare e spargere terrore.
Allo stesso scopo, per massimizzare l'effetto, gli attentatori spesso hanno scelto di eseguire attacchi in aree ad alta densità di presenza di Media e possibilità di visibilità.
Per provare di essere ancora in vita, bin Laden, Zawahiri e Zarqawi hanno frequentemente prodotto messaggi e comunicati a seguito di operazioni militari che millantavano di averli catturati. Ciò al fine di dimostrare che erano ancora vivi e in pieno controllo delle loro reti. Queste affermazioni in genere giungono con un ritardo di settimane o mesi.
Al Qaeda rilascia spesso dichiarazioni ai mezzi di comunicazione prima di lanciare attacchi terroristici. Questi messaggi sono considerati comunicati codificati diretti alle cellule operative sparse nel globo e alle cellule dormienti. Anche se ogni volta è difficile decifrare dai vari comunicati i dettagli specifici prima di un attacco, l'ex direttore della CIA, James Woolsey, sostiene che bin Laden raramente ha rilasciato dichiarazioni pubbliche senza un motivo e che, di solito, il rilascio di suoi comunicati indica che "qualcosa è in programma".


La comunità virtuale: il terrorismo attraverso il cyberspace

Il trasferimento della maggior parte delle loro operazioni di comunicazione ai Media e a Internet ha consentito ad Al Qaeda di funzionare in un ambiente sicuro e non facilmente rilevabile. Il tracciamento e la localizzazione dei terroristi attraverso Internet si è dimostrato sempre più difficile per le autorità internazionali che devono scontrarsi con un groviglio di leggi restrittive e contraddittorie. I terroristi di norma "hackerano" i server di Rete per inviare messaggi irrintracciabili, manuali di istruzioni e materiali vari. Quando i terroristi vengono individuati e il server viene chiuso, ne hackerano un altro. Lo strumento principale che utilizzano è il forum, ossia un sito in cui vengono trattati una serie di argomenti che vengono poi accompagnati dagli interventi introdotti dagli utenti. In questo caso gli utenti sono gruppi armati che partecipano ad azioni effettive e ad attentati e che riescono a mantenere un livello di privacy che permette loro di non venir rintracciati sul territorio, pur senza rinunciare a farsi riconoscere spesso utilizzando anche un logo. Alcuni forum sono così visitati e ritenuti attendibili che assumono, quasi, una veste ufficiale.
Al Qaeda ha evoluto la sua esistenza fisica da un unico gruppo terroristico ad un movimento sostenuto da più organizzazioni, una vera e propria galassia. Affiliazioni in franchising hanno diffuso lo jihad globale oltre i confini delimitati del Medio Oriente verso il Sud Est dell’Asia, l'Europa e verso i territori dell'ex Unione Sovietica.
Nel marzo del 2005, David F. Ronfeldt, un esperto studioso di scienza della politica presso la RAND Corporation, ha discusso di come al Qaeda abbia usato l'età dell'informazione per ripetere i pattern degli antichi schemi tribali a livello globale. "I jihadisti stanno usando Internet e il Web per ispirare la creazione di una tribù virtuale globale degli islamici radicali, una umma online, con segmenti di affinità in tutto il mondo".
Un altro mezzo di comunicazione usato è quello dei siti di social networking, sempre più popolari in tutto il Medio Oriente. Questi siti - permettendo la libera connessione tra gruppi di persone con i medesimi interessi - si prestano esattamente al gioco degli integralisti.
Internet ha anche aumentato la capacità e il numero dei reclutamenti per Al Qaeda e i suoi affiliati, cementando i rapporti con i militanti attivi e con i finanziatori. Lo stesso Abu Musab Al Zarqawi formò Al Qaeda in Iraq (AQI), dal movimento degli insorti e, successivamente, usò il mezzo della Rete per allinearlo alla leadership di Al Qaeda con il suo computer. Internet è stato il mezzo che ha consentito ad Al Zarqawi di chiedere a bin Laden il riconoscimento dell'organizzazione e il raggiungimento di una "posizione di leadership" come capo di Al Qaeda in Iraq.
Gabriel Weimann, ricercatore Senior presso l'United States Institute of Peace e docente di comunicazione all'Università di Haifa (Israele), ha studiato la presenza crescente del terrorismo in Internet negli ultimi anni. Nel suo libro Terror on the Internet afferma che il cyberspazio ha aperto un’arena globale per il conflitto."The Internet has expanded the terrorist's theater of operation, allowing them full control over their communications through the use of the developed world's cyberspace infrastructure".
Attentati dinamitardi, portati a termine con successo da varie cellule affiliate ad Al Qaeda, sono stati effettuati in Qatar, in Egitto e in Europa. Questi attacchi, che erano stati programmati quasi esclusivamente attraverso Internet, hanno portato gli esperti di intelligence a concludere che il movimento del jihad globale si è esteso a "gruppi e a cellule ad hoc" diventando un "fenomeno web-diretto".
I terroristi usano Internet come strumento di ricerca fino all'80% delle loro informazioni pre-attacco, compresi schemi di centrali nucleari, mappe ferroviarie, reti idriche e gli orari dei voli dell'aeroporto, utilizzando fonti legalmente disponibili e accessibili al pubblico. Valga, tra tutti, l'esempio del ritrovamento nell'agosto del 2005, in Iraq, di stampe riguardanti luoghi di Roma prese dal famoso sito di Google Earth.
Hanno istituito una rete di formazione a distanza attraverso una università aperta per il Jihad, caricando sui server video di formazione, manuali e altri materiali strategici, CD-rom con spiegazioni di armi, tecniche di combattimento corpo a corpo, fabbricazione di bombe e tattiche di assalto. Non solo, si sono diffusi negli ultimissimi periodi anche quotidiani online, scaricabili nel comune formato PDF e redatti in lingua inglese, che inneggiano al jihad e mirano a fare proselitismi in America e in tutti quei Paesi in cui si parla inglese.
Tra gli ultimi apparsi nel luglio 2010, c'è "Inspire" - creato dall'imam Anwar al-Awlaki nato negli Stati Uniti, educato in Yemen e attualmente ricercato dalla CIA - che rappresenta un vero e proprio magazine di "Al Qaeda nella Penisola Araba" (AQAP), rivolto ai musulmani americani, e che mira a radicalizzare i musulmani in Usa e ad attivare la miriade di terroristi che - secondo la costola jihadista - si trova già dentro il Paese.


Nel virtuale per sopravvivere al reale

L'organizzazione, a seguito degli attentati portati a termine con successo l'11 settembre 2001, ha cominciato a disaggregarsi e a concentrarsi su conflitti più piccoli e localizzati. La leadership centrale si è ritirata nella zona controllata dai Talebani, in Afghanistan al confine col Pakistan, e il movimento si è frazionato, dividendosi in varie realtà, tra le quali le più importanti sono Al Qaeda in Iraq, Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Al Qaeda nella Penisola Araba e altri movimenti affiliati che preesistevano, come i Talebani.
Fino a che bin Laden è stato in vita, il movimento veniva ancora alimentato dalle immagini dello Sceicco, la cui leadership mediatica non è mai scolorita; ma l'effettivo controllo che Osama ha avuto sulle operazioni negli ultimi anni si era ridotto notevolmente, dando più spazio a leadership locali e gruppi che gestivano il "marchio" al Qaeda come un vero e proprio "franchising del terrore" in diverse aree del globo.
Questa dimensione mediatica di bin Laden ha fatto parlare di "terrorismo olografico". In questa dimensione innovativa, infatti, la figura dello sceicco è stata dematerializzata esattamente come un ologramma ed è rimasta immutata negli anni. Per i suoi seguaci bin Laden non è mai invecchiato, non si è mai ammalato, non ha mai sofferto di reni, non ha perso un colpo fino alla sua morte. E neanche dopo, tanto è vero che poche settimane dopo la morte di bin Laden al Zawahiri è apparso in un video in cui dichiara che "lo sceicco è morto ma il jihad continua". In questa trasmutazione della sua figura, da umana a icona, bin Laden si è reso immagine e paradigma da seguire e venerare da chiunque voglia seguire la sua "missione". Non importa che sia lui a dare questo o quell'ordine per eseguire un attentato in Europa, piuttosto che in America o in Africa. Chi si ispira a lui agisce in autonomia, ispirandosi alla sua immagine "inossidabile": per questo si parla di "cellule di una rete". Osama bin Laden ha, così, potuto travalicare i confini che gli sono stati imposti dalla caccia che si è aperta contro di lui dopo il settembre 2001: ancorché nascosto, ha continuato a influenzare e ispirare gruppi e singoli che hanno agito in suo nome, anche quando non c'è stato mai un effettivo contatto tra questi elementi e i vertici di Al Qaeda. La potenza del network mediatico e del suo sapiente utilizzo è stata questa: poter immettere regolarmente nel circuito mediatico informazioni, comunicati, dichiarazioni, video, senza riferirli direttamente a un utente preciso e permettendo che il volano mediatico "spargesse il messaggio", che assume significato in base alle orecchie che lo recepiscono.
Per sconfiggere tale immagine vincente e inossidabile, gli americani hanno provato a iniziare a minarla, diffondendo un video in cui si vede lo sceicco invecchiato, con una postura da uomo stanco, guardare suoi vecchi video in tv: tentativo di ricondurre a "carne ed ossa" quella figura carismatica oramai mitizzata che - anche se fisicamente deceduta - è ben lungi dall'essere dimenticata.
Gli americani, dopo tempo, hanno capito che questa "guerra al terrore" si combatte anche sul fronte mediatico: le icone non si possono "bombardare" o "assaltare". Le icone vanno combattute sullo stesso piano da cui sono nate, quello mediatico.


Conclusioni

La nascita delle cosiddette "guerre asimmetriche" nell'ultimo decennio, dove eserciti regolari fronteggiano un nemico non perfettamente identificabile da un'altra divisa, ha portato alla consapevolezza che, oramai, le guerre si combattono su fronti diversi - come quello mediatico - molto più che in passato. La guerra psicologica è sempre stata una delle armi nella faretra dei generali, fin da tempi molto lontani. Tuttavia, era un'arma che aveva una portata limitata e il suo impiego era visto come collaterale alle operazioni belliche "tipiche". Invece, da quando è stata dichiarata guerra aperta al terrorismo internazionale, il lato psicologico del conflitto a tratti è divenuto predominante, sospinto ed esasperato da quella fazione che aveva uno svantaggio militare in senso stretto e che, per questo, ha puntato su una strategia "innovativa". L'utilizzo dei Media da parte della galassia jihadista è esattamente il paradigma di questa nuova guerra mediatica che si combatte più nelle menti e nel cyberspazio che sul terreno, sul campo di battaglia.
Nonostante la presunta - e tanto decantata dall'Occidente - arretratezza culturale di questo nemico, gli estremisti di stampo islamista si sono rivelati dei veri e propri maestri nell'utilizzo a loro uso e consumo dei Media, arrivando soprattutto a servirsi di quelli occidentali che - a differenza di quanto accade nel mondo "non occidentale" - permeano profondamente la nostra società. Hanno portato la prima linea nei nostri salotti grazie alla televisione e ai computer. La comunicazione è stata uno strumento di successo per i militanti radicali, e abbracciare i mass media e le nuove tecnologie è stato un catalizzatore per raggiungere i loro obiettivi.
La lezione che si trae da queste osservazioni è che la guerra al terrorismo internazionale deve essere combattuta anche, e soprattutto, sul fronte mediatico. I governi occidentali, quindi, devono dedicare strumenti e risorse non direttamente e squisitamente "militari" per attivare quel circuito che porti a coinvolgere l’opiniona pubblica, soprattutto di quella parte del globo che ci osserva con sospetto, al fine di prosciugare il serbatoio da cui questi estremisti possono ancora attingere adepti. Altrimenti se non si riuscirà a coinvolgere il mondo musulmano con politiche di maggior dialogo, saremo costretti a osservare anche nei prossimi decenni la nascita di nuove generazioni di terroristi.


Per approfondimenti l'autore suggerisce...


Holy War, Inc.
Inside the Secret World of bin Laden

Autore: Peter L. Bergen
Editore: The New York Times, 2002
The Looming Tower
Al-Qaeda and the road to 9/11

Autore: Lawrence Wright
Editore: The New York Times, 2007



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