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GNOSIS 3/2011
UN RACCONTO

 articolo redazionale

Il dolore piega anche un boss





Il racconto, di pura fantasia, vuole offrire uno spunto di come stia evolvendo la criminalità mafiosa calabrese.
Si propone un bozzetto dell’avventura di un boss ‘ndranghetista che, una volta scarcerato, cerca di reinserirsi nei ruoli apicali della sua famiglia.
(Foto da http://digilander.libero.it)



Lascia il carcere con le dita strette al manico della valigia. È un viaggio, il ritorno.
Sente l’aria fresca macchiargli il viso, come quando dopo tanta selvaggia barba ti radi con acqua gelida.
Gli anni scavano tunnel nel cuore, carsico deserto che asciuga anche le più recondite lacrime.
“Don Nicola, come state?”
“Meglio, Peppe, meglio”.

Nicola osserva la strada e le auto parcheggiate da cui escono volti sorridenti che riconosce.
Li conta… ne mancano tanti…
Brutto segnale… Vediamo se attendono a casa, meno compromettente, magari vogliono darmi un po’ di respiro…

“Nicola, a casa ci sono tanti di quei paesani…”.
Sembra leggergli i pensieri, sua moglie, come sempre…

La conta degli amici si fà nei matrimoni, nelle comunioni, nelle feste comandate e all’uscita dal carcere…
Sono momenti grevi, in cui soppesi il consenso, in cui guardi all’orto e cerchi di scoprire l’erba velenosa, perché non rovini il raccolto…
C’è sempre veleno, negli orti mafiosi…

“Nico’, l’erba medica, l’erba gramigna, criscia tra i pummadore e a ‘nsalata… cresce dritta, facile, pirchì la terra è dda suja, unnè frutto d’aratru e di simenta, è figghija i d’aterra, no’ dj contadini… u siminato è artificiu, truffa e farsa prumissa, pi’ chistu è cchiù debole i l’erba spuntanea … ”.
Così diceva il padre.
Allora Nicola non capiva. Poi, la vita, l’esperienza e la strada polverosa lo hanno illuminato, talvolta con dolore.
Non serve la dottrina, lo studio per essere capi. Serve essere di questa terra aspra, riconoscersi nei tratturri bellicosi, nei colori forti, nel sangue di una violenza che grida appartenenza, nel focolare tiepido, nel desiderio di sopravvivenza che muove e commuove i calabresi da sempre…
Troppo eccentrici, dicono, troppo polverizzati i Paesi… la verità è che i cristiani (noi della ‘ndrangheta così ci chiamiamo), i cristiani calabresi come me nascono soli e sanno che moriranno soli e tutto quello che c’è tra la vita e la morte te lo devi guadagnare, e la trama che devi disegnare è fatta di mille relazioni … tra amici e nemici…

Nicola l’ha imparato anche quando il suo gregario preferito decise di non togliersi più il cappello e di avere diritto al suo spazio… Quanti morti!!! Troppi.
Nicola fu incarcerato, e dal carcere partecipò alla guerra e poi alla pace…
Solo chi ha fatto la guerra, chi ha ucciso e ha pianto i lutti cari sa quanto valga la pace…

Qualcuno recalcitrò, soprattutto chi non aveva fatto in tempo a vendicarsi, perché la rabbia, dentro, che ti fa superare prove e paure indicibili, ha poi bisogno di sfogo…
Pace… si decise la pace e si divisero gli affari, come se sul sangue versato si fosse disegnata la trama di una nuova fratellanza…
Chi non ci stava era in pericolo, attentava alla sicurezza, “faciva tiatru”, metteva a rischio la fiducia necessaria a reggere un processo di riequilibrio… Doveva morire… Così fu, e tutti capirono che gli affari erano più forti del desiderio di vendetta…

Nicola pensa ad altro. Sale sull’auto. Un fremito lo scuote. Anni prima aveva regalato un’autovettura blindata al suo compare… per non morire, per resistere… Un bazooka interruppe i suoi sogni di potenza e non bastò la lamiera spessa a frenare il proietto assetato di sangue.

Ora è diverso.
Forse.
C’è la pace, ma ogni pace nasconde un torrente carsico di rabbia mal repressa…
È vecchio abbastanza da capire che in carcere era rispettato ma da libero è un peso…
Tocca a lui lo scettro e deve prenderlo da mani familiari non certo felici di cederlo…
Guarda sua moglie… guarda il paesaggio che non è più quello che ha lasciato, cambiato per sempre dai piloni che catturano il maestrale e fanno girare pale e affari.
Ha gli occhi chini, addolorati, come se la storia della sua famiglia pesi solo sulle sue spalle…
Bella come una rosa, tra petali di vento e sussurri del mare jonico…
Coglie una stilla rappresa ferma all’obliqua cesura degli occhi…
Piange il suo figlio scomparso?
Piange l’inane peso del marito che non è riuscito a farsi temere o rispettare tanto da non far commettere l’insulso atto di sangue?

Chi?
Chi ha osato macchiarsi del delitto?
Chi gli ha ucciso il figlio, proprio quando aveva assunto il ruolo di vertice, quando essere il capo in un periodo di pace lo avrebbe dovuto mettere al riparo da simili disgrazie?

Quale mano, forse amica, come amiche sono di solito le lupare bianche, ha colpito nell’ombra, negando il diritto del lutto, di un funerale onorevole?

È uscito, ora, può chiedere, deve chiedere, come padre, come padrino, come cristiano…!

Nicola esce quando altri entrano nelle patrie galere.
La sua famiglia è scossa da arresti, decapitata ancora una volta, dentro i giovani, anche quelli con cui avrebbe voluto parlare, cercare aiuto a capire cosa fosse successo a suo figlio...

Non ricordava l’effetto delle sirene, gli sbirri come ombre che entrano nelle case e arringhjanu, stringendo le manette come un trofeo…

Quelli che scappano s’ascialanu, guardando fieri la televisione e inventandosi latitanti e prìncipi della fuga…

“Nico’, hanno ‘ncarceratu a’ tutti, puri fimmini… insomma, u cc’è cchiù pace né rispettu…”.

Gli arresti, in Calabria, rimettono la palla in gioco, si mischiano di nuovo le carte nel mazzo e si rincomincia il gioco.

C’è folla di cosche, in Calabria, e i Paesi sono pochi per contenerle tutte…
Ogni spazio vuoto è benedetta frontiera per altri cristiani di buona volontà…
È terra di conquista per l’insaziabile voglia di terra dei cumpari…

“Don Nicola, i suoi nipoti, sono sempre irritati, non hanno mai pace, s’annacano, pensano che siamo ‘nzallanuti…”.
A Nicola piaceva accucciuniarsi sulla sedia, russicari stringendo i denti come un seghetto…
“Peppe, sono il mio sangue e i nostri genitori erano fratelli… noi abbiamo diviso la paura e la gioia… i figli no… sono altro da noi… Noi siamo lenti, Peppe… ti ricordi le serate lunghe, che non finivano mai? Mangiavamo sardeddrra e surici fritti, a Natale a pitta ‘nchiusa e a Pasqua a cuzzupa… Oggi non è così, perché se hai voglia della cuzzupa a Natale te la mangi e magari te la compri e non te fai fare dalle tue donne… Così è… Oggi le regole sono lacci stretti che non fanno camminare, così dicono, e allora tutti camminano storti cu chiri tappine che si portano… Li hai visti a casa mia i parenti? No. Dico io: non ti fai vedere a salutarmi e io cosa devo pensare?“
Pensa invece, in silenzio…
Una lupara tanto importante deve avere avuto appoggi importanti, magari anche qualche colomba reggina che ha rassicurato circa possibili esiti…
Per questo si deve muovere bene, i passi devono essere uno dopo l’altro, non si salta in questo maledetto periodo…
La vita dei cristiani è stressante, che ne sanno i giovani, che pensano ai soldi e alla bella vita e non sanno che la vera ‘ndrangheta è futuro? E’ pensare al potere per sopravvivere e perché sopravvivano anche figli e nipoti, dopo di te? È il grido del sangue, della propria famiglia, della propria terra… Arata anche con il sangue, perché davanti agli affari non c’è altro che regga…

“Peppino, anche noi abbiamo creduto ai soldi, ma per conservare la vacca da mungere abbiamo capito che bisogna farla manciari, magari poco, ma anche lei deve mangiare, perché altrimenti il latte come lo fa? E tu cosa vendi? Cosa bevi?”
Continua… “Oggi la vacca se la mangerebbero, i giovani affamati… hanno voglia di fare presto, hanno bisogno di nutrirsi bene, di vestire bene e di prendere quella porcheria… Ti ricordi cosa dicevano i nostri padri su quella roba? Attenzione che non rimanga attaccata alle mani… la dovevamo vendere, quella roba, non consumare… E quanti di noi si sono bruciati il cervello con la cocaina? Corrono di più, dicono, corrono verso dove?”

Nicola annuisce.
Sono urgenti, i giovani, ed hanno voglia di sperimentarsi. Di osare, di scoprire e conquistare.
I vecchi dovrebbero servire a guidare quell’intemperante voglia di cielo e di altezze, ma le regole che davano loro legittimazione e credibilità si sono esaurite... Oggi nessuno ascolta il vecchio che è solo impedimento…
La storia delle guerre non mette brividi, come a chi le ha combattute quelle guerre, ma eccita, in una sorta di invidia ed emozione.

“Don Nicola, i nostri amici hanno chiesto di avere pazienza, capiscono il vostro dolore e sanno che possono contare sulla vostra intelligenza. Sapete, la guerra è sempre dietro l’angolo, siamo troppi e un accordo è facile proporlo ma mantenerlo è un’impresa. Da Reggio pregano che l’accordo regga e tutti si danno da fare per tenerlo su. Temono che un atto sconsiderato possa pregiudicare tutto… insomma don Nicola, vorrebbero sapere le vostre intenzioni…”.

Strana cosa i cristiani!

Siamo tutti liberi, ciascuno a casa propria. È il segreto della ‘ndrangheta.
L’essere troppi, però, impone un continuo relazionarsi e ogni legame impone una formalità, riti… come le copiate durante i battesimi, un elenco di nomi che ti collegano a referenti e a loro famiglie… come gli incarichi dati, che regolano la gestione interna ed esterna, come Polsi e la sua Madonna, feticcio che, oltre il velo della fede, nasconda la possibilità di mescersi nel pellegrinaggio, nel farsi vedere insieme, magari a ballare, a dettare il tempo, ad arrostire… perché ogni incarico è un laico tabellone di promesse e di propaganda…

Rimaniamo soli, però, tra le proprie mura.
Solo quando l’incendio della tua casa può danneggiare la mia, allora si mette mano ai secchi e tutti buttano acqua sul fuoco…
Se poi le sterpaglie danno fastidio anche agli altri, costoro aiutano ad incendiarle, magari soffiando un poco sulla cenere…

Ma quando tutto finisce, il cristiano torna solo, nel locale che è una città stato, che è un’isola…

“Peppe, devono stare tranquilli. Sono vecchio… ma piango come stiamo finendo… certo, siamo cambiati… Abbiamo figli che hanno studiato, abbiamo parenti ovunque che si fanno onore… Abbiamo reso questi posti belli, per i turisti, per gli stranieri… Abbiamo parenti al Nord e nel mondo, ormai lavorano solo loro con le macchine potenti e con i prezzi vantaggiosi… Ormai non c’è più bisogno nemmeno di mettere le bombe, siamo solo noi… Gli altri li abbiamo comprati o fatti fallire… potremmo essere felici, magari sperando che gli sbirri smettano di ricordarci il passato, magari cercando di goderci quello che abbiamo guadagnato… Eppure… Ci stiamo rovinando, la cravatta stringe troppo, troppe macchine belle, donne e champagne… È da cristiani questa vita? E quanto resistono in carcere questi giovani abituati a tutto tranne che a dominare la paura? Che fanno dietro le mura? Si pentono, i cornuti… Oggi si pentono anche le donne! Certo, le donne non si curano solo di portare gli ordini… No… si occupano del potere… Anche loro! Dove siamo? Non è da cristiani, stiamo diventando come quelli che disprezzavamo. C’è da sperare solo che non arrivino dal mare o dalla terra altri cristiani, più affamati, che hanno meno lussi e meno pensieri e che parlano con il fuoco più che con le parole belle…”
Nicola prende le mani della moglie… sanno che il figlio sarà da qualche parte, nascosto tra le ombre dei morti… sanno anche chi ha teso l’inganno omicida, forse, ma in quello Stato che hanno costruito proprio loro e i loro avi c’è una ragione che impone tempi e modi della vendetta, mai volontari…

Chiude gli occhi, Nicola, e mentre le palpebre si flettono come un planare d’aquiloni, intravede la collina declinare leggera, all’orizzonte, tra un filare di pale eoliche che sfidano il cielo, come soldati di un esercito straniero ed invasore…
Trasale, come tra incubi, come tra fantasmi di un futuro lontano…
C’erano querce, un tempo, ed olivi…
Il suo conto bancario è cresciuto, forse, ma quegli olivi sono scomparsi…
Anche lui ha voluto quelle pale moderne?
Anche lui ha gettato il seme delle nuove generazioni, così diverse, cristiani di un popolo cui non si sentiva più di appartenere…

Stringe le mani della moglie…
Un boss non piange… dicono…



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