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GNOSIS 3/2011
ATTUALITA'

INCONTRI SU TEMI CONTEMPORANEI

Quattro chiacchere con..... Louis Freeh


 articolo redazionale

 
Louis Freeh, giurista e avvocato, ha iniziato la carriera come Agente del FBI diventando in seguito Giudice Distrettuale a New York e Assistente del Ministro della Giustizia, incarichi che ricopriva quando è stato chiamato - nel settembre 1993 - a dirigere il Federal Bureau of Investigations.
Si è occupato di casi noti come la "Pizza Connection" negli anni della lotta alla mafia in cui ha collaborato con il giudice Falcone ed alcuni investigatori italiani.
Ha lasciato il Bureau nel giugno 2001 e, in seguito, ha creato il Freeh Group International Solutions, una società di consulting e global risk management che si occupa di sicurezza a livello mondiale.
È autore di un libro sulla sua intensa e ricca esperienza professionale dal titolo “My FBI”.




Mr Freeh qual è la differenza principale tra il“suo” FBI e quello dei nostri giorni?
La differenza fondamentale è che la mission investigativa attuale ha tra gli obiettivi primari le indagini di contro-terrorismo e le competenze di intelligence, mentre l’Organizzazione che io ho avuto l’onore di dirigere era maggiormente focalizzata sulla prevenzione, l’investigazione e la repressione del crimine e della criminalità associativa.
Quando ero Direttore sia la counter intelligence che il controterrorismo erano parte degli interessi nazionali da tutelare, ma dopo l’11 settembre hanno avuto un’importanza sempre maggiore rispetto ad una differente attenzione alla criminalità organizzata che ha assunto caratteristiche strutturali diverse.

Secondo Lei, quali sono i maggiori timori del popolo americano?
Ancora oggi le ferite dell’11 settembre non sono guarite completamente: gli americani temono attentati terroristici anche sotto forma di bioterrorismo e di minacce di armi di distruzione di massa potenzialmente utilizzabili da alcuni Stati come l’Iran o la Corea del Nord.
Le tensioni derivanti dalla ipotesi di un complotto per uccidere l’Ambasciatore Saudita sono un esempio palese di come ancora adesso sussistano fattori di paura legati alla costante possibilità di attentati. Inoltre sono in aumento i timori derivanti dalla situazione mondiale di crisi economica.
La perdita del lavoro, la disoccupazione, lo spettro della trasformazione del livello di vita da agiata ad indigente, il cambiamento del proprio stato sociale, le ipotesi di recessione sono motivi di ansia e, in alcuni casi, di depressione. L’America saprà superare questa fase, ma il percorso non appare semplice anche a causa della globalizzazione e della interconnessione delle crisi economiche che sconvolgono il mondo intero.

Quindi il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista è ancora percepito come una minaccia consistente?
Certamente sia il terrorismo internazionale che il radicalismo islamico fondamentalista sono ancora considerate minacce effettive anche se il pericolo è considerato più a livello transnazionale che immanente, nel territorio americano. Le “guerre terroristiche” in Iraq ed in Afghanistan in cui molti soldati americani hanno perso la vita vengono percepite come un pericolo più immediato, in grado di coinvolgere i militari e le famiglie americane.
Le recenti scomparse di leaders di AlQaeda come Bin Laden e AlAwaki, avvenute fuori dal territorio degli Stati Uniti, hanno contribuito a rinforzare questa sensazione.

Ogni giorno sulla stampa – come si è accennato prima – l’attenzione è rivolta alla disoccupazione, alla precarietà del futuro dei giovani e alla crisi del mondo occidentale, cosa sta succedendo, a Suo parere?
Il vero e proprio trauma economico degli Stati Uniti, nel 2008, ha creato un effetto a catena anche in Europa per la stretta interconnessione tra economie e oscillazioni del mercato. Le cosiddette “economie nascenti” come Cina e India, ma penso anche al Brasile, stanno influenzando gli equilibri del passato, non a caso la Cina detiene una porzione significativa del debito americano.
La contrazione che stiamo vivendo attualmente è profondamente legata all’eurozona e, come in una sorta di effetto rebound, l’onda lunga ha colpito l’America, ha frenato la crescita economica, condizionato gli scambi, diminuito le esportazioni e aumentato di conseguenza la disoccupazione.

La lotta al crimine organizzato, a “Cosa Nostra”, l’esperienza vissuta insieme al Giudice Falcone e alla Polizia Italiana impegnata nell’antimafia hanno dato risultati importantissimi, come è cambiata la battaglia contro la criminalità associativa?
Ai nostri giorni la lotta alla criminalità organizzata in senso classico, mi riferisco alla Cosa Nostra americana, si è molto ridimensionata a causa degli ottimi risultati investigativi del passato, delle scelte normative, della azione di scardinamento delle note “cinque famiglie” provocata dai collaboratori di giustizia e dalla cooperazione internazionale. La sfida di oggi è contro le organizzazioni sudamericane, russe, asiatiche e contro il fenomeno violento ed insidioso delle “bande di strada” che si sta diffondendo in tutti gli Stati Uniti ed è reso ancora più ostico dalla diffusione di lingue non sempre facilmente comprensibili e dalla naturale “impermeabilità“ alle infiltrazioni delle Forze di Polizia.

Alcuni fenomeni legati alle scommesse illegali e alle organizzazioni asiatiche sono realmente diffusi in tutto il mondo?
Le forme di criminalità connesse al mondo dello sport e soprattutto le scommese clandestine nel settore del calcio stanno diventando un problema molto serio, a livello mondiale. Gran parte della attività criminale ha il fulcro in Asia ed utilizza internet e tutte le tecnologie all’avanguardia per comunicare e per raccogliere/trasmettere informazioni. L’azione investigativa, per essere veramente efficace, deve rivolgersi quindi necessariamente alla collaborazione internazionale tra Polizie e alla presenza dell’Interpol.

Nell’era cibernetica in cui le notizie e le situazioni si evolvono velocemente qual è il ruolo delle Agenzie di Informazione e Sicurezza?
I Servizi di Intelligence, da sempre, hanno la funzione di accendere i riflettori per illuminare aspetti nuovi della realtà, potenzialmente nocivi per la sicurezza del Paese. Oggi, accanto alle esigenze tradizionali ed insieme alle problematiche legate all’Interno o agli Esteri, si sono sviluppate sfide ed orizzonti nuovi connessi alla cybercriminalità e al cyberterrorismo.
Lo sviluppo della tecnologia cibernetica ha comportato anche l’evoluzione di tecniche di intromissione e di invasività raffinatissime sia per la possibilità di mimetizzazione della “fonte” di partenza (anonimato) sia per la garanzia di omogeneità nelle diffusione delle informazioni (da wikipedia a wikileaks). Ne consegue che soltanto una normativa capillare ed efficace ed un’azione sinergica tra Forze di Polizia e Intelligence possono contenere questi fenomeni tutelando la sicurezza delle strutture fondamentali del Paese.

Quindi è realistico parlare di effettive minacce cibernetiche?
Le minacce cibernetiche sono un problema serio, delicato e attuale che coinvolge sia il singolo individuo che le comunità. Si possono creare potenziali pericoli all’esistenza ed alla credibilità economica delle industrie, alla sicurezza delle infrastrutture ed alla “integrità” dei governi.
La diffusione di virus in grado di distruggere programmi e dati (test. Cyberbombs) preoccupa la gente comune e le organizzazioni economiche, industriali ed istituzionali spesso non ancora adeguatamente pronte a fronteggiare questo nuovo genere di minaccia. Diventa, quindi, assolutamente indispensabile ricorrere ad una strategia difensiva sincretica tra pubblico e privato, mondo industriale ed universitario, intelligence e legislatore.

È ancora possibile nel 2011 parlare di “sogno americano”?
L’ideale del sogno americano non soltanto è vivo, ma gode anche ottima salute. Esistono ancora migliaia di cittadini disposti a sfidare pericoli e rigori della legge pur di riuscire ad entrare negli Stati Uniti e giocare la propria chance. Qualora fosse necessario, la vita di Steve Jobs e la forza della libertà del suo pensiero sono una costante testimonianza della realizzazione del sogno americano. L’America è ancora il posto in cui è possibile che ognuno possa trovare la strada per arrivare al successo.

Mr. Freeh cosa pensa delle nuove generazioni e cosa augura ai suoi figli?
Alle nuove generazioni, e quindi anche ai miei sei figli, auguro di realizzare una vita felice, piena di salute e di pace con la possibilità che “ognuno giochi il proprio ruolo”. Spero che i giovani abbiano vite ricche di soddisfazione e che abbiano un cuore grande per aiutare i meno fortunati e per restituire all’America tutto quello che l’America e il Signore hanno donato a loro.


Cosa le manca dei suoi venti anni?
Sinceramente sto bene con l’età che ho, mi manca soltanto qualche nipote da abbracciare insieme a mia moglie, sperando che prima o poi uno dei nostri figli decida di crearsi una famiglia.



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