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GNOSIS 3/2011
Le garanzie funzionali
per gli 'operatori' di Intelligence (2° parte)


Giuseppe AMATO

( Torna alla prima parte )


Le fattispecie associative?

Proprio l'espressa indicazione solo di alcune fattispecie associative tra quelle escluse dall'ambito di operatività della scriminante (cfr. articolo 17, comma 4, della legge n. 124 del 2007) e, più in generale, la mancata indicazione dei reati contro l'ordine pubblico tra quelli oggettivamente eccettuati (cfr. i precedenti commi 2 e 3 dello stesso articolo 17), consentono di porre la questione della scriminabilità delle "altre" fattispecie associative, diverse cioè da quelle prese in considerazione nel citato articolo 17, comma 4: ciò, in particolare, con riferimento alla condotta di partecipazione ad un'associazione criminosa, siccome ritenuta strumentale a favorire mirate attività di infiltrazione, controllo e prevenzione, strumentali alla soddisfazione delle esigenze funzionali dei Servizi.
Intendiamo in particolare riferirci all'associazione per delinquere (articolo 416 c.p.) ed all'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (articolo 74 del d.p.r. n. 309 del 1990), rispetto alle quali riteniamo di poter dare una risposta positiva anche qualora l'oggetto dell'associazione per delinquere fosse la commissione di reati oggettivamente eccettuati ed anche se l'associazione di cui all'articolo 74 ha concettualmente per oggetto reati che, come si è visto, vedono nel loro oggetto giuridico anche la salute delle persone: ciò in ragione dell'autonomia concettuale che deve ravvisarsi tra il reato associativo e i reati-fine, che si sostanzia nel principio assolutamente pacifico in forza del quale l'associazione è punibile a prescindere dalla concreta commissione dei reati-fine, giacchè trattasi di condotta che già di per sé attenta all'ordine pubblico. È ovvio, però, che ciò che potrebbe essere scriminato sarebbe il ruolo partecipativo all'attività associativa, non la commissione dei reati-fine, laddove questi rientrassero tra quelli non autorizzabili.
Intendiamo riferirci, ancora, all'associazione sovversiva (articolo 270 c.p.), che, pur presentando aspetti di notevole affinità, è ben diversa dalla associazione eversiva punita dall'articolo 270 bis c.p. (19) .


Limiti oggettivi impliciti?

Escluse le "eccezioni" di cui si è detto, dettate dai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, e puntualizzati i limiti di autorizzabilità anche di talune fattispecie associative, in teoria tutti i reati diversi ed ulteriori possono essere autorizzati.
Certamente anche i reati contro il patrimonio e quelli contro la pubblica amministrazione, sempre che, beninteso, strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali dei Servizi.
Si porrà, poi, per tali reati [si pensi, al furto, alla truffa, alla corruzione] la necessità, in esito all’operazione, della sorte del profitto derivatone. Tale profitto, proprio per non palesare l'operazione, potrà anche motivatamente non essere restituito all'avente diritto e al medesimo dovrà darsi una sorte compatibile alla finalità pubblica che caratterizza l'attività dei Servizi. Trattandosi di una determinazione operativa meramente esecutiva, non riteniamo che debba farsene menzione nel provvedimento di autorizzazione, bastando che, sul punto, motivatamente, provveda il direttore del Servizio, con atto che dovrà essere conservato presso il DIS secondo la disciplina generale dettata dal comma 7 dell'articolo 18 della legge n. 124 del 2007.


I documenti di copertura

Non occorre far rientrare, poi, nell'ambito di operatività della scriminante i falsi afferenti i documenti di copertura, che trovano autonoma disciplina nell'articolo 24 della legge n. 124 del 2007, dedicato alle "identità di copertura". Il direttore del DIS, in vero, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o all'autorità delegata, può autorizzare, su proposta del direttore del Servizio cui appartiene l'interessato, l'uso di documenti di identificazione contenenti "indicazioni sulle qualità personali diverse da quelle reali"; con la medesima procedura può essere disposta e autorizzata l'utilizzazione temporanea di documenti e certificati di copertura.
Presso il DIS è prevista l'istituzione di un apposito registro e sempre presso il DIS i documenti e i certificati "falsi" sono conservati al termine dell'operazione.
Quindi, la formazione di documenti falsi ai fini e alle condizioni suddette è espressamente autorizzata per legge, senza dover ricorrere alla procedura di cui all'articolo 17 e segg..


Le attività economiche simulate

Neppure rientra nell'ambito di operatività della scriminante la facoltà concessa agli operatori dei Servizi di esercitare simulatamente "attività economiche", sia nella forma di imprese individuali sia nella forma di società di qualsiasi natura, che trova autonoma disciplina nell'articolo 25 della legge n. 124 del 2007. La legittimità dell'attività presuppone l'autorizzazione del direttore del DIS, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o all'autorità delegata, su proposta del direttore del Servizio cui appartiene l'interessato.
Si è fuori dalla scriminante speciale dell'articolo 17 perché trattasi di attività che, di per sé, non implicano la commissione di reati [diversamente occorrerebbe anche la relativa autorizzazione], riverberando i propri effetti solo sul piano civilistico.
È in questo contesto e con questa disciplina che, in tutta probabilità, può procedersi ad autorizzare il compimento di attività lato sensu economiche che possono svolgere un ruolo strumentale al buon esito dell'operazione di cui, a differenza che per le scriminanti "comuni" previste dalla legge n. 146 del 2006, manca una dettagliata disciplina: ci si vuole riferire all'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, all'attivazione di siti nelle reti, alla realizzazione e alla gestione di aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi informatici [cfr. articolo 9, comma 5, della legge n. 146 del 2006].


Le esclusioni “locali” e “personali”

Le esclusioni "oggettive" di cui si è detto, disciplinate nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, non esauriscono i limiti di operatività della causa di giustificazione speciale.
Il comma 5 dello stesso articolo 17, infatti, implementa le ipotesi di reato escluse dalla scriminante avendo stavolta riguardo al contesto "ambientale" e "soggettivo". Viene così vietata in modo assoluto la consumazione di reati, altrimenti autorizzabili perché non eccettuati "oggettivamente", nelle sedi dei partiti politici rappresentati in Parlamento ovvero in un'assemblea o Consiglio regionale, nelle sedi delle organizzazioni sindacali, nonché "nei confronti" di giornalisti professionisti iscritti all'albo.
Si tratta di contesti, oggettivi e soggettivi, rispetto ai quali vengono in considerazione princìpi costituzionali che presidiano, in particolare, la libertà sindacale, il diritto di associarsi in partiti politici, la libertà di stampa, ecc. (20) .
Per l'effetto, deve ritenersi implicitamente vietata la commissione di reati che attingano le prerogative costituzionali riservate ai parlamentari dall'articolo 68 della Costituzione (21) .
Per scelta consapevole del legislatore eguale disciplina di tutela non è stata attribuita agli Uffici giudiziari. Analogamente, l'espressa formulazione letterale della norma, sembra autorizzare la consumazione di reati, beninteso non rientranti tra quelli "oggettivamente" esclusi, nelle sedi dei giornali, purchè non indirizzati nei confronti delle persone dei giornalisti.
Va ancora soggiunto, per meglio comprendere quest'ultima eccezione, che ciò che è vietato è la commissione di un reato "nei confronti" del giornalista, ergo, di un reato che veda quest'ultimo come persona offesa. Non sembrano vietate attività che si "servano" del giornalista, quale strumento anche inconsapevole, per il perseguimento degli scopi di istituto [si pensi, ad attività che, con l'utilizzo di documentazione non genuina, possa servire per perseguire lo scopo di fornire una informazione "pilotata", se ed in quanto strumentale al perseguimento degli scopi istituzionali].


L’autorizzazione preventiva

Il più importante limite all'applicabilità della scriminante è individuabile nel fatto che il riconoscimento di questa presuppone il rigoroso rispetto delle procedure di autorizzazione e documentazione previste dall'articolo 18 della legge n. 124 del 2007. In tal senso, è inequivoco il disposto dell'articolo 17, comma 6, lettera a), seconda parte, che richiamando, appunto, le procedure di cui all'articolo 18, subordina l'applicabilità della speciale causa di giustificazione alla condizione "formale" della previa autorizzazione da parte dell'attività politica e della documentazione di tale attività autorizzatoria.
Come già sottolineato, si tratta di una differenza notevole rispetto alle scriminanti di cui all'articolo 9 della legge n. 146 del 2006, dove l'autorizzazione dell'organo di vertice riguarda lo svolgimento dell'operazione sotto copertura e non, in dettaglio, specifiche attività criminose [previamente individuate] che l'infiltrato possa trovarsi a dover commettere. Talune di queste, in vero, possono essere individuate già nel provvedimento autorizzatorio [si pensi, all'operazione che presuppone già dall'inizio l'acquisto simulato di droga per "infiltrare" un'associazione criminosa], ma è fatto salvo il prosieguo dell'attività, che lascia in qualche misura libero l'infiltrato di autodeterminarsi ai fini del perseguimento del miglior risultato. Per converso, la mancata preindividuazione dei reati, espone l'operatore, specie allorquando si tratti di attività illecite "atipiche", al rischio derivante dal discrezionale apprezzamento giudiziario.
Nella scriminante "speciale" prevista per il personale dei Servizi, abbiamo, invece, la necessità di un intervento autorizzatorio dell'autorità politica che ha per oggetto la preventiva individuazione del o dei reati scriminati, attraverso un meccanismo che è senz'altro più rigido, ma che evita per converso i rilevati rischi derivanti dal successivo apprezzamento giudiziario sulle condotte integranti reato poste in essere dall'operatore.
A ben vedere, il legislatore, con il meccanismo dell'autorizzazione preventiva vuole evitare eccessi ed abusi e, nel contempo, vuole garantire gli appartenenti ai Servizi con la condivisione politica dell'attività che sono chiamati ad intraprendere.


L’autorizzazione: procedura e vicende

Il parametro di riferimento è rinvenibile nell'articolo 18 della legge n. 124 del 2007 (22) , laddove, dopo avere posto, nel comma 1, la regola dell'autorizzazione rilasciata dall'autorità politica [Presidente del Consiglio dei ministri o autorità delegata: che è il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, giusta d.p.c.m. del 26 ottobre 2007], nel comma 4 disciplina una particolare procedura che consente, nei casi di "assoluta urgenza", che ostano alla tempestiva acquisizione dell'autorizzazione, di porre in essere la condotta su decisione del direttore del Servizio di Informazione.
Questi dovrà procedere autonomamente ad autorizzare l'operazione, ma dovrà darne comunicazione entro le successive ventiquattro ore all'autorità politica, per la successiva ratifica nei dieci giorni successivi.
è fin troppo ovvio che la mancata ratifica o la ratifica fuori termine non eliderebbe la possibilità di applicare la scriminante nei confronti dell'operatore, quanto meno ex articolo 59 c.p., giacchè questi non è certo tenuto a sapere dell'iter autorizzativo, e ben può avere agito nella convinzione della relativa ritualità dopo avere ricevuto l'autorizzazione urgente del direttore.
Il sistema di garanzia è completato da una specifica disciplina afferente le formalità dell'autorizzazione.
La richiesta del direttore all'autorità politica e il rilascio dell'autorizzazione devono avere forma scritta e idonea motivazione: la richiesta, infatti, deve essere "circostanziata", mentre l'autorizzazione deve essere "motivata". è prevista la conservazione della relativa documentazione in uno schedario segreto istituito presso il DIS.
Contenuto essenziale della richiesta e dell'autorizzazione è rappresentato dalla previa indicazione dei reati che possono essere commessi e delle persone autorizzate [non solo i dipendenti del Servizio, ma anche gli "estranei" che dovessero essere coinvolti nelle rigorose condizioni di cui all'articolo 17, comma 7, della legge n. 124 del 2007].
Il necessario rispetto dei limiti dell'autorizzazione, a tacer d'altro, è dimostrato dalla disciplina tratteggiata nel comma 6 dell'articolo 18 della legge n. 124 del 2007, laddove viene previsto che l'autorità politica, nel caso in cui la condotta come reato sia stata posta in essere in assenza o oltre i limiti dell'autorizzazione, è tenuta, non solo ad adottare le necessarie misure [in primo luogo, quelle disciplinari], ma anche ad "informare" l'autorità giudiziaria senza ritardo.
Le ipotesi tipiche sono quella della commissione di reati ulteriori rispetto a quelli autorizzati ovvero quella della condotta provvisoriamente autorizzata dal direttore del Servizio che l'autorità politica ritenga di non ratificare per carenza delle condizioni di legge.


Le finalità e i limiti della scriminante

Sarebbe semplicistico ritenere risolto il problema della applicabilità della "scriminante" con il richiamo all'intervenuta autorizzazione preventiva ed al rispetto dei requisiti di "forma" di tale autorizzazione.
Infatti, la condizione "formale" della previa autorizzazione da parte dell'autorità politica e della documentazione di tale attività autorizzatoria [articolo 17, comma 6, lettera a), seconda parte, della legge n. 124 del 2007, che richiama in proposito la disciplina del successivo articolo 18], è solo una delle condizioni di legittimità e di efficacia della "scriminante".
Ulteriori condizioni per l'applicabilità della scriminante sono ricollegate alle "finalità" ed ai "limiti" dell'operazione che vede coinvolto il personale dei Servizi: anche il rispetto di tali condizioni, pure dettagliate nell'articolo 17, comma 6, si riflette sulla legittimità e sull'efficacia dell'autorizzazione.
L'articolo 17, comma 6, della legge n. 124 del 2007, quindi, condiziona l'applicabilità dell'esimente ad alcune ulteriori, concorrenti condizioni che si aggiungono a quelle "formali" richiamate nella lettera a).
In primo luogo, la condizione "finalistica" che le condotte siano poste in essere dal personale dei Servizi di Informazione nell'esercizio o a causa di compiti istituzionali dei Servizi medesimi, quali sono descritti negli articoli 6 e 7: acquisizione di informazioni utili alla difesa dell'indipendenza, dell'integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall'estero [AISE]; acquisizione di informazioni utili a difendere la sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni democratiche da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica [AISI], ecc. [articolo 17, comma 6, lettera a), prima parte].
Non vi è quindi, diversamente che nelle esimenti comuni di cui all'articolo 9 della legge n. 146 del 2006, il riferimento al perseguimento di specifiche fattispecie incriminatrici.
Né vi è il riferimento all'acquisizione di "prove" poi spendibili processualmente.
Quindi, rispetto alle esimenti comuni, neppure si pone un problema di utilizzabilità investigativa e/o processuale di quanto ottenuto per reati diversi e/o ulteriori (23) .
Emerge, piuttosto, una spiccata "finalità di prevenzione" che vede la scoperta di reati come momento non necessario e, comunque, semmai solo strumentale. Tanto è vero che, in proposito, vale il particolare regime introdotto dall'articolo 23 della legge n. 124 del 2007, che, come si è visto, non solo esclude la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria in capo agli operatori dei Servizi, ma esclude qualsivoglia rapporto diretto di questi con l'autorità giudiziaria [la denuncia dei reati compete solo al direttore del Servizio: cfr. il comma 7 del citato articolo 23].
In secondo luogo, quale ulteriore presupposto per l'applicabilità della scriminante, è posta la condizione della "proporzionalità" rispetto allo scopo dell'attività autorizzata, che ne "limita" l'ambito di operatività.
Tale requisito sintetizza e compendia una serie di esigenze concorrenti: che le condotte risultino "indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell'operazione non altrimenti perseguibili" [articolo 17, comma 6, lettera b)]; che le condotte criminose poste in essere risultino essere stato il frutto di una "obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti" [articolo 17, comma 6, lettera c)]; che le condotte integranti reati siano effettuate in modo da comportare il "minor danno" possibile per gli interessi lesi [articolo 17, comma 6, lettera d)].
La proporzionalità tra il mezzo e il fine introduce, a ben vedere, una regola valutativa che riecheggia quella già conosciuta in altre scriminanti comuni, quali la legittima difesa e lo stato di necessità.


Il sindacato giudiziale

Il tema dei limiti della scriminante si pone nella prospettiva delle indagini e del processo, in relazione al necessario sindacato dell'autorità giudiziaria sulla responsabilità o no dell'operatore dei Servizi.
L'articolo 19, comma 6, della legge n. 124 del 2007, ad una lettura semplicista sembrerebbe addirittura legittimare l'assenza del sindacato da parte dell'autorità giudiziaria sui presupposti formali e sostanziali della scriminante, laddove dispone che quando il Presidente del Consiglio "conferma" la sussistenza dell'autorizzazione, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, pronuncia, a seconda dei casi, sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione.
In realtà, la soluzione corretta deve essere quella opposta, che attribuisce all'autorità giudiziaria un sindacato di legittimità della speciale causa di giustificazione e, quindi, anche dell'atto amministrativo che l'abbia autorizzata.
Un'importante indicazione in tal senso si ricava, in primo luogo, dall'articolo 204 c.p.p., che, al comma 1 bis, esclude dal segreto di Stato i fatti, le notizie o i documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai Servizi di Informazione "in violazione" della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione.
Una decisiva indicazione è desumibile, poi, dall'articolo 19, comma 7, della stessa legge n. 124 del 2007, laddove, nel disciplinarsi le modalità di custodia riservata degli atti relativi alle attività di cui si discute, si richiama anche lo strumento solutorio del contrasto tra autorità giudiziaria e autorità amministrativa sulla legittimità dell'attività autorizzata: strumento rappresentato dal conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale [alla quale, va ricordato, non è opponibile il segreto di Stato: articolo 202, comma 8, c.p.p.].
È indicazione ulteriore che conforta dell'ammissibilità del "sindacato" e descrive il modus con cui tale sindacato, in caso di dissenso, deve trovare soluzione giudiziaria.
Così come analogo, importante "conforto" si desume dal successivo comma 8 dell'articolo 19, dove espressamente si evoca la possibilità di sollevare il conflitto di attribuzione, con la previsione che, in tale evenienza, la Corte costituzionale ha "pieno accesso" agli atti e, in particolare, al provvedimento di autorizzazione.
È questa, del resto, l'unica soluzione interpretativa che rende compatibili le esigenze di sicurezza interna o esterna dello Stato con la sfera di intervento e di valutazione riservata costituzionalmente alla giurisdizione (24) .
È rimesso, quindi, all'autorità giudiziaria il sindacato sul rispetto dei limiti tassativamente fissati ai commi 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 17 [esclusioni oggettive] e delle procedure di autorizzazione fissate dall'articolo 18.
È rimesso, quindi, all'autorità giudiziaria anche il sindacato sul provvedimento di autorizzazione [sindacato formale, ma anche sostanziale sulla motivazione delle ragioni dell'autorizzazione].
È rimesso, ancora, all'autorità giudiziaria l'apprezzamento circa l'insussistenza di opzioni operative diverse dalla commissione di reati concretamente coltivabili per perseguire gli scopi istituzionali dei Servizi, in un'ottica di evidente disfavore che il legislatore manifesta per il ricorso alla commissione di reati quale "strumento" per soddisfare il fine istituzionale dei Servizi, nonchè, più in generale, l'apprezzamento sulla "proporzionalità" dell'attività autorizzata con riferimento agli scopi perseguiti ed ai risultati prodotti con la commissione dei reati.
In proposito, mentre il giudizio di "proporzionalità" afferente l'indispensabilità dell'operazione e l'adeguata comparazione degli interessi coinvolti riguarda, a ben vedere, il provvedimento di autorizzazione; quello sul "minor danno" possibile arrecato agli interessi coinvolti riguarda l'attività come in concreto posta in essere.
L'intervento della Corte costituzionale, in vero, potrebbe anche ritenersi metodica non necessitata: a nostro avviso, infatti, è fondatamente ipotizzabile che l'autorità giudiziaria debba investire la Corte solo in caso di dissenso che afferisca l'apprezzamento dei presupposti di cui al comma 6 dell'articolo 17; infatti, in caso di ritenuta violazione della disciplina contenuta nei commi 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 17, l'autorizzazione che fosse stata rilasciata potrebbe essere direttamente disapplicata perché illegittima per diretto contrasto con tassative indicazioni normative sui presupposti della scriminante. In tale evenienza, il conflitto potrebbe essere attivato, semmai, dall'autorità politica.
Ma anche a voler ammettere che il conflitto di attribuzione sia "sempre" l'unico strumento solutorio del contrasto tra autorità politica e autorità giudiziaria [nel senso che l'autorità giudiziaria non possa mai direttamente disapplicare il provvedimento di applicazione], resta da chiarire lo spazio di intervento attribuito, in tale evenienza, alla Corte costituzionale, dovendosi distinguere in proposito a seconda che nella vicenda vengano o no evocate problematiche di opponibilità del segreto di Stato.


Il conflitto di attribuzione

Premesso, come detto, che davanti alla Corte costituzionale non è eccepibile il segreto di Stato (articolo 202, comma 8, c.p.p.) e che la Corte, nella specie, ha pieno accesso agli atti (articolo 19, comma 8, della legge n. 124 del 2007) e che, comunque, il segreto di Stato non sarebbe opponibile né relativamente a fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale nonché ai delitti previsti dagli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 c.p. (articolo 204 bis, comma 1, c.p.), né relativamente alle condotte integranti reato commesse da personale dei Servizi in violazione della disciplina di garanzia tratteggiata dall'articolo 17 e segg. (articolo 204, comma 1 bis, c.p.p.), deve ritenersi che la Corte possa e debba verificare la legittimità dell'attività in contestazione e riformulare il giudizio compiuto in proposito anche dall'autorità politica, in sede di autorizzazione, almeno fino a che le valutazioni operate non si traducano in opzioni e ponderazioni "meramente politiche".
Ipotesi residuale, quest'ultima, che, peraltro, sembra difficilmente ricorribile nel caso di interesse, dove l'autorizzazione è subordinata "per legge" a rigorosi presupposti valutativi anche in ordine a scelte che potrebbero essere definite lato sensu "politiche", riguardanti la comparazione degli interessi in gioco e le modalità di soddisfazione degli interessi istituzionali dei Servizi [la scelta di autorizzare l'operazione, va ricordato, deve rispettare il criterio della proporzionalità, imponendosi la considerazione dell'assoluta indispensabilità delle condotte integranti reati e della obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti: articolo 17, comma 6, lettere b) e c)].
Diverso è però il discorso allorquando sulla vicenda venisse opposto il segreto di Stato (25) : ergo, quando sulla motivazione dell'autorizzazione venisse invocata la disciplina di cui all'articolo 39 della legge n. 124 del 2007.
Sono noti i limiti di opponibilità del segreto di Stato.
In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato, notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale o fatti integranti i delitti previsti dagli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 c.p. (articoli 39, comma 11, della legge n. 124 del 2007 e 204, comma 1, c.p.p.).
Non possono, inoltre, essere oggetto di segreto di Stato le condotte poste in essere da appartenenti ai Servizi di Informazione "in violazione" della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista dall'articolo 17 della legge n. 124 del 2007 (articolo 204, comma 1 bis, c.p.p.).
Anche sul segreto di Stato può essere sollecitato l'intervento della Corte costituzionale, adìta in sede di conflitto di attribuzione e certamente, come si è visto, il segreto di Stato non è opponibile alla Corte costituzionale, che ha libero accesso agli atti (articolo 202, comma 8, c.p.p.).
In questo caso, in presenza del segreto di Stato, cambia però, "qualitativamente", il controllo e il sindacato della Corte costituzionale, come di recente riaffermato dalla stessa Corte nella nota sentenza 3 aprile 2009 n. 106.
Certamente è ammissibile "un sindacato di legittimità" sulle condizioni di apposizione del segreto di Stato: ergo, sul rispetto dei limiti di opponibilità del segreto stabiliti dalla legge.
In altri termini, la Corte ben potrà e dovrà censurare, avendo libero accesso agli atti (articolo 202, comma 8, c.p.p.), il fatto che il segreto risulti essere stato illegittimamente opposto o in relazione a reati oggettivamente esclusi (articoli 39, comma 11, della legge n. 124 del 2007 e 204, comma 1, c.p.p.) o in relazione ad attività costituenti reato poste in essere da appartenenti ai Servizi in violazione della disciplina della causa di giustificazione speciale (articolo 204, comma 1 bis, c.p.p.).
Con riferimento a tale ultimo profilo, peraltro, la Corte potrà e dovrà limitare il proprio apprezzamento valutativo al fatto che il reato autorizzato non rientri tra quelli esclusi dall'ambito di applicazione della scriminante e che vi sia stata la previa, rituale autorizzazione da parte dell'autorità politica.
Non potrà, invece, intervenire sull'"apprezzamento politico" in ordine al rispetto del principio di legalità, con riferimento al profilo della connessione dell'attività ai compiti istituzionali dei Servizi [articolo 17, comma 6, lettera a)], ed in ordine al rispetto del principio di proporzionalità, sia sotto il profilo della indispensabilità dell'operazione sia sotto il profilo della comparazione degli interessi in gioco [articolo 17, comma 6, lettere b) e c), della legge n. 124 del 2007].
Ciò perché, secondo la pacifica giurisprudenza costituzionale, l'"individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc. che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti", costituisce il risultato di una valutazione "ampiamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l'ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus rei publicae".
In tale evenienza, resta escluso un sindacato giurisdizionale sulla scelta eminentemente politica dell'autorità governativa, la quale è solo assoggettata al controllo del Parlamento [attraverso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (26) ], cui semmai compete anche un sindacato [ovviamente politico] anche sulla proporzionalità del mezzo rispetto allo scopo.
Ed allora, a fronte di tali limiti, una volta che anche la Corte costituzionale abbia concluso il proprio giudizio nel senso della sussistenza del segreto di Stato e della sussistenza del potere dell'autorità politica di legittimamente opporlo, non resta, per l'autorità giudiziaria, che di prenderne atto, sia ai fini della sussistenza della scriminante, sia [più in generale] ai fini dell'impossibilità di acquisire o utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti coperti dal segreto di Stato (cfr. articolo 202, comma 7, c.p.p.).
Ciò che, ovviamente, non preclude, in linea generale, all'autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto (articolo 202, comma 6, c.p.p.), ma impone, per quanto direttamente interessa, il riconoscimento positivo della sussistenza della scriminante, con conseguente pronuncia liberatoria nei confronti del dipendente del Servizio (arg. ex articolo 202, comma 3, c.p.p.).


Sindacato sull’autorizzazione e posizione dell’operatore

Va detto, però, che l'eventuale intervenuta censura giudiziale sull'operazione, magari ad opera della Corte costituzionale in esito al conflitto di attribuzione, non necessariamente importa la responsabilità penale dell'operatore dei Servizi.
La risposta dovrebbe essere senz'altro positiva, con conseguente affermazione della responsabilità penale dell'operatore, con riferimento alla accertata commissione di fatti/reato in violazione delle tassative indicazioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007.
Diverso discorso dovrebbe farsi, invece, allorquando la censura abbia riguardato il provvedimento di autorizzazione, pur ritualmente intervenuto, sotto il profilo della non conferenza dell'attività autorizzata rispetto agli scopi istituzionali [articolo 17, comma 6, lettera a)] e sotto quello del mancato rispetto dei princìpi di proporzionalità [articolo 17, comma 6, lettere b) e c)].
Sull'autorizzazione, infatti, l'operatore non può interloquire. È evidente, allora, che, pur a fronte di un giudizio negativo formulato dall'autorità giudiziaria, potrà porsi, nei confronti dell'operatore, la questione della possibile operatività del disposto dell'articolo 51, comma 3, c.p., laddove si esonera dalla responsabilità l'agente che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo: principio che sarebbe di pertinente applicazione specie laddove l'operatore non abbia avuto l'accesso al provvedimento autorizzatorio e, quindi, all'apprezzamento ivi effettuato sulla valutazione comparativa degli interessi in gioco. Così come, analogamente, potrà porsi la questione anche della possibile operatività del disposto del comma 4 dello stesso articolo 51 c.p., laddove si esclude la punibilità di chi esegua un ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine: principio che sarebbe senz'altro applicabile in ragione del vincolo gerarchico che caratterizza l'organizzazione dei Servizi (27) .
Più complessa è la posizione dell'operatore nel caso in cui si acclarasse il difetto di un'autorizzazione formalmente adottata in ossequio alle procedure dettate dall'articolo 18 della legge n. 124 del 2007, richiamate dall'articolo 17, comma 6, lettera a), seconda parte, della stessa legge. Di regola, dovrebbe affermarsi la responsabilità dell'operatore, per la carenza di uno dei presupposti della causa di giustificazione. Tuttavia, la conclusione non è necessitata in questo senso. Infatti, nei confronti dell'operatore potrebbe in concreto porsi la questione dell'applicabilità dell'esimente, in virtù del disposto dell'articolo 59, comma 4, c.p. che consente l'applicabilità della causa di non punibilità quando l'agente per errore abbia ritenuto sussistenti le condizioni per la relativa applicazione. Quindi, rispetto alla posizione dell'operatore, eventuali situazioni che, all'apparenza, consentano di ritenere correttamente concessa l'autorizzazione [sub specie, appunto, del rispetto delle procedure dettate dall'articolo 18 della legge n. 124 del 2007 richiamate dall'articolo 17, comma 6, lettera a), della stessa legge] ben potrebbero consentire di concedere l'esimente richiamando la disciplina dell'errore incolpevole, almeno quando l'operatore non abbia avuto diretto accesso alla procedura autorizzatoria.
È la stessa situazione su cui supra ci si è soffermati con riferimento al caso della mancata ratifica o della ratifica fuori termine del provvedimento urgente di autorizzazione adottato dal direttore del Servizio.
Ancora più problematica è la posizione dell'operatore quando la censura giudiziale abbia riguardato il mancato rispetto del limite del "minor danno" da arrecare nella fase dell'esecuzione [articolo 17, comma 6, lettera d), della legge n. 124 del 2007].
Qui, infatti, viene stavolta in evidenza la concreta attività dell'operatore che potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente per l'"esorbitanza" della propria attività rispetto a quanto autorizzato.
Peraltro, in questa evenienza, potrebbe farsi ricorso alla disciplina dell'eccesso colposo nelle scriminanti, previsto dall'articolo 55 c.p., che, pur formalmente prevista solo per le scriminanti di cui agli articoli 51, 52, 53 54 c.p., costituisce espressione di princìpi generali dell'ordinamento penale desumibili delle disposizioni in tema di dolo, colpa, errore sul fatto, errore sulle scriminanti: pertanto, la relativa disciplina è applicabile senza dubbio a tutte le cause di giustificazione (28) .
La situazione dell'eccesso colposo nelle cause di giustificazione, come è noto, è strutturalmente simile a quella dell'erronea, colposa supposizione dell'esistenza di una causa di giustificazione (articolo 59, comma 4, c.p.), con la differenza che l'errore non verte sull'esistenza della situazione scriminante, che effettivamente si configura, ma riguarda la sua valutazione e gestione. In altri termini, l'eccesso colposo potrebbe venire in evidenza allorquando, ritualmente autorizzata la commissione di specifiche condotte integranti reati, l'operatore abbia esorbitato dai limiti dell'autorizzazione, eccedendo colposamente nella scelta delle modalità esecutive.
Ovviamente l'applicabilità dell'eccesso colposo, presuppone pur sempre che il fatto reato commesso sia preveduto dalla legge anche come delitto colposo.
Va ricordato, poi, che la previsione della causa di giustificazione speciale non esclude l'applicabilità di quelle generali.
Ciò vale non tanto e non solo per la legittima difesa e lo stato di necessità, quanto, soprattutto, per l'uso legittimo delle armi o di altri mezzi di coazione fisica (29) .
È a tali scriminanti che dovrebbe allora farsi richiamo per giudicare della responsabilità penale per l'operatore che abbia posto in essere reati diversi ed ulteriori rispetto a quelli autorizzati.


L’opposizione della causa di giustificazione

Per completare la disamina, occorre soffermare l'attenzione sulla disciplina dell'opposizione della causa di giustificazione all'autorità giudiziaria, che riverbera i propri effetti anche sulla posizione processuale dell'agente segreto.
La norma di riferimento è l'articolo 19 della legge n. 124 del 2007 (30) , la cui applicazione, va detto per incidens, è solo eventuale: buona regola operativa sarebbe quella di poter raggiungere il risultato, potendo poi riuscire a [per così dire] "sfilare" tempestivamente l'infiltrato, sì da evitare che del ruolo di questi debbano poi occuparsi investigativamente e giudiziariamente la polizia giudiziaria e la magistratura.
Il soggetto che può formalizzare l'opposizione della speciale causa di giustificazione all'autorità giudiziaria che procede è il direttore del Servizio di informazioni interessato tramite il DIS (articolo 19, comma 1).
Nel corso delle indagini preliminari destinatario della richiesta è, quindi, il pubblico ministero, il quale, ricevuta l'opposizione, deve a sua volta interpellare immediatamente il Presidente del Consiglio dei ministri per avere conferma dell'autorizzazione e, successivamente procedere alla separazione degli atti relativi all'opposizione e ad una nuova iscrizione in un registro riservato appositamente istituito e conservato "secondo modalità che ne tutelino la segretezza" (articolo 19, comma 2).
Risulta evidente una differenza importante con la disciplina delle scriminanti "comuni" di cui alla legge n. 146 del 2006, dove è normativamente prevista, in occasione dell'organizzazione dell'operazione sotto copertura, la preventiva informazione al pubblico ministero. Qui, ovvie esigenze di riserbo, hanno consigliato di omettere un raccordo preventivo tra i Servizi e l'autorità giudiziaria.
Per l'effetto, un problema di "eccepibilità" della scriminante può porsi solo [quanto meno] ad indagini già iniziate, quando il Servizio sia venuto a conoscenza dell'inizio del procedimento.
Qualora l'opposizione venga presentata nelle successive fasi processuali, la verifica circa la sussistenza dell'autorizzazione è di competenza del giudice che procede, ma non sono previsti gli ulteriori adempimenti imposti al pubblico ministero, nella fase delle indagini, per la separazione e la conservazione riservata degli atti. Ciò che si spiega perché, avvenuto l'esercizio dell'azione penale, si è già realizzata la discovery degli atti, sicchè non vi è ragione di prevedere inutili, ormai intempestive cautele (articolo 19, comma 3) (31) .
Il Presidente del Consiglio dei ministri è tenuto a comunicare all'autorità giudiziaria, entro il termine di dieci giorni, l'effettiva sussistenza dell'autorizzazione, con l'indicazione dei motivi: il termine è perentorio, nel senso che, se la conferma non è tempestiva, essa si intende negata e l'autorità giudiziaria procede secondo le forme ordinarie (articolo 19, comma 4).
Dovrebbe ritenersi inefficace anche una conferma tardiva che, quindi, non impedirebbe il corso ordinario del procedimento.
Ciò che non escluderebbe, in esito al procedimento, la possibilità per l'operatore dei Servizi di avvalersi comunque della scriminante, qualora dimostri l'esistenza dell'autorizzazione ovvero questa pervenga all'autorità giudiziaria pur fuori termine: tra i requisiti di efficacia della scriminante, infatti, l'articolo 17 della legge n. 124 del 2007 non indica il rispetto della tempistica prevista per l'opposizione.
Nel caso in cui l'autorità politica confermi, invece, in termini, l'autorizzazione, la norma prevede la sospensione del procedimento e, poi, la definizione del procedimento con sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione (articolo 19, comma 6).
La disciplina è impropriamente formulata. Vi è contrasto evidente tra la prevista sospensione e la definizione. Così come risulta di empirico rilievo che laddove ci si trovasse ancora in fase di indagini preliminari, non potrebbe esservi una sentenza liberatoria, ma dovrebbe procedersi all'archiviazione (32) .
Piuttosto, è da focalizzare l'attenzione sul fatto che la definizione in chiave liberatoria non è affatto conseguenza automatica, con sottrazione, cioè, di qualsivoglia potere valutativo discrezionale dell'autorità giudiziaria sulla sussistenza dei presupposti della scriminante, quali tratteggiati nell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007. Infatti, se vi è "dissenso" tra l'apprezzamento dell'autorità giudiziaria e quello dell'autorità politica, la soluzione del contrasto passa attraverso il vaglio della Corte costituzionale, che va adìta in sede di conflitto di attribuzione dall'autorità giudiziaria che ritenesse mal posta o irregolare o inefficace la questione della sussistenza della scriminante. Supra si sono già esaminate le problematiche sottese al conflitto e i limiti del sindacato della Corte costituzionale.


La libertà personale dell'operatore del Servizio

Infine, sempre in tema di opposizione della "scriminante", va fatto cenno alla peculiare disciplina stabilita nell'articolo 19 della legge n. 124 del 2007 per il caso in cui il dipendente del Servizio o la persona che lo ha coadiuvato ai sensi dell'articolo 17, comma 7, della stessa legge eccepisca la causa di giustificazione al momento dell'arresto in flagranza o dell'esecuzione di una misura cautelare (articolo 19, commi 9 -11).
Intanto, in premessa, va chiarito l'ambito di operatività della disciplina.
Il solo riferimento all'arresto in flagranza non impedisce di applicare analogicamente la disciplina, in difetto di preclusione normativa, anche al fermo di indiziato di delitto ex articolo 384 c.p.p.: la situazione fattuale, a ben vedere, è la medesima.
Il riferimento all' esecuzione di una "misura cautelare" non consente, invece, di estendere la disciplina, sic et simpliciter, a tutte le misure coercitive ed interdittive previste dal c.p.p., agli articoli da 280 a 290.
Infatti, la norma presuppone l'esecuzione della misura a mezzo della polizia giudiziaria, ciò che esclude finanche gli arresti domiciliari dall'ambito di applicazione della disciplina di garanzia, giacchè trattasi di misura che si esegue normalmente mediante la notificazione all'indagato (articolo 293 c.p.p).
Per tutte le misure diverse dalla custodia cautelare, l'operatore dei Servizi dovrà quindi subire gli effetti della misura e, poi, attivarsi per opporre la scriminante secondo la tempistica ordinaria.
Per l'opposizione della scriminante in caso di restrizione della libertà personale in itinere, è prevista una procedura complessa che prevede, in estrema sintesi, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento restrittivo e l'accompagnamento del soggetto presso gli uffici di polizia giudiziaria ove potrà essere trattenuto non oltre ventiquattro ore per il compimento dei "primi accertamenti".
Gli "accertamenti" di che trattasi costituiscono, all'evidenza, pur nel silenzio della norma, degli accertamenti presso il Servizio interessato sulla appartenenza del soggetto a detto Servizio e sulla sussistenza di un'operazione autorizzata. La polizia giudiziaria deve contestualmente informare il pubblico ministero per consentire al medesimo di inoltrare la richiesta circa la sussistenza dell'autorizzazione al DIS, che deve rispondere entro ventiquattro ore dalla richiesta: in difetto, si procederà con le forme ordinarie (33) .
È ovvio, comunque, che, anche a prescindere dagli "accertamenti" presso il Servizio, la misura potrà e dovrà essere eseguita laddove la scriminante sia ictu oculi inapplicabile: si pensi, al caso di misura da eseguire per un reato "eccettuato" ex lege dalla causa di giustificazione.
La tempistica di questa speciale modalità di opposizione è molto stringente: il soggetto può essere trattenuto dalla polizia giudiziaria per al massimo ventiquattro ore per i primi accertamenti; successivamente, l'ulteriore trattenimento presso gli uffici di polizia presuppone la richiesta del pubblico ministero al DIS per il riscontro sulla sussistenza dell'autorizzazione: tale trattenimento può proseguire fino al massimo delle ventiquattro ore successive all'inoltro della richiesta al DIS.
È previsto che il pubblico ministero possa chiedere conferma dell'autorizzazione anche al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale deve rispondere entro dieci giorni dalla richiesta: non è chiaro, però, quale sorte abbia nelle more il soggetto, ossia se debba essere trattenuto fino a quel momento presso gli uffici di polizia ovvero se debba essere tradotto in carcere.
Ovviamente se venisse confermata l'autorizzazione, non si dovrebbe dare corso alla convalida dell'arresto e il pubblico ministero procederà a rimettere in libertà il soggetto ex articolo 389 c.p.p..
Ove si tratti di soggetto riguardato da misura cautelare, la misura non potrà essere eseguita e, pur nella carenza di esplicita indicazione normativa, il pubblico ministero dovrà chiedere al giudice di revocarla.
Resta ferma la possibilità per l'autorità giudiziaria di sollevare conflitto di attribuzione, secondo le indicazioni e con le formalità di cui supra si è detto, anche se, certamente, i termini previsti per la decisione imporrano la messa in libertà del soggetto.


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Il segreto di Stato nel processo penale
Autore:C. Bonzano
Editore: Cedam, Padova, 2010

I Servizi di Informazione e
il segreto di Stato

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(19) In effetti, è pur vero che, ad una prima lettura, le “finalità eversive” dell’ordine democratico, che qualificano le associazioni punite dall’articolo 270 bis c.p., presentano forti contiguità con le “finalità sovversive” di cui all’articolo 270 c.p., che, nel punire le associazioni sovversive, qualifica come “sovversive” le condotte dirette ed idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato. Ma, dal punto di vista semantico e tenendo conto del trattamento sanzionatorio sensibilmente più grave che l'articolo 270 bis c.p. prevede, rispetto a quello stabilito dall'articolo 270 c.p., per cogliere l’esatto discrimine, se ne deve dedurre che, mentre la sovversione evoca [solo] un paradigma di "disobbedienza ribellistica" rispetto allo status quo, ed al correlativo ordine sociale, economico, giuridico e politico come storicamente costituito, l'eversione dell'ordine democratico comporta uno "sradicamento" dei “valori fondanti tracciati dalla Carta costituzionale”, finendo per determinarsi tra i due reati un rapporto di progressione, in conseguenza del quale la ritenuta sussistenza della fattispecie più grave, vale a dire l'associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, assorbe la contestuale configurabilità di una associazione sovversiva (cfr., per utili spunti, Cassazione, Sezione II, 20 aprile 2004, Marotta ed altri).
(20) A.CISTERNA, cit., sottolinea la mancata inclusione tra i luoghi e i soggetti “interdetti” dei siti delle organizzazioni religiose e dei ministri di culto, spiegando tale soluzione con le esigenze di contrasto del terrorismo di matrice fondamentalista islamica.
(21) In questo senso, R. BRICCHETTI-L. PISTORELLI, cit., p. 63.
(22) Su tale disciplina, in generale, cfr. V. CACCAMO, Commento all’articolo 18 della legge 3 agosto 2007 n. 124, in Legisl. pen., 2007, p. 729 e segg..
(23) L’articolo 9 della legge n. 146 del 2006 condiziona, infatti, la legittimità dell’operazione sottocopertura alla finalità esclusiva di acquisire elementi di prova in ordine ai reati presupposti. Può porsi, allora, una questione di apprezzamento della validità ed utilizzabilità delle acquisizioni probatorie nel caso in cui si accertino reati ulteriori o addirittura diversi rispetto a quelli per cui è stata autorizzata l’attività sotto copertura. Al riguardo, l’interpretazione che convince è nel senso che deve ritenersi legittima l’operazione simulata, anche quando, oltre ai reati “presupposti” per il cui perseguimento è stata organizzata, ne emergano altri di diversa natura. Rispetto a questi reati non è dubitabile che gli elementi di prova acquisiti nel corso dell'infiltrazione siano validi e perfettamente utilizzabili. Lo stesso deve dirsi in presenza di un'operazione che fosse iniziata legittimamente per una delle “causali” tipiche indicate dal legislatore, ma che poi, nel prosieguo, abbia consentito di accertare [solo] la commissione di reati diversi. L'apprezzamento sulla "finalità" perseguita non può che essere effettuato e valutato ex ante, riportandosi cioè al momento dell'autorizzazione, e non certo considerando ex post i risultati investigativi che ne siano derivati (cfr., per utili spunti, Cassazione, Sezione III, 17 febbraio 2005, Auregli). Per converso, quando risultasse (con giudizio appunto da effettuare ex ante, cioè riportandosi al momento in cui l'attività simulata è stata autorizzata) che l'operazione sia stata attivata in difetto del presupposto finalistico richiesto dalla legge n. 146 del 2006, ma utilizzando strumentalmente i poteri concessi dalla norma per indagini fin dall'origine non riguardanti i reati tipici per la cui repressione è consentito il ricorso alle azioni sottocopertura, solo allora sorgerebbe un problema serio di legittimità dell'operazione stessa, con esiti disciplinari, penali e anche processuali.L'attivazione dell'operazione infiltrata in difetto del presupposto finalistico dovrebbe importare, infatti, in primo luogo, la responsabilità disciplinare degli operanti. Dovrebbe importare, inoltre, in tutta probabilità, anche il rischio della responsabilità penale per l'infiltrato: questi, infatti, in assenza della copertura della scriminante, potrebbe essere chiamato a rispondere dei fatti-reato eventualmente commessi per "suscitare" la condotta criminosa altrui (salva, semmai, la possibilità di avvalersi della scriminante comune configurata dall'articolo 51 c.p., con i rigorosi limiti con cui questa, però, è ammessa dalla giurisprudenza). Dovrebbe importare, ancora, che gli elementi di prova acquisiti in violazione della disciplina di legge (dal carattere eccezionale e tassativo), non possano essere utilizzati processualmente, in ossequio al disposto dell'articolo 191 c.p.p.: gli esiti dell'operazione simulata "irregolare", piuttosto, potranno solo valere quale "notizia di reato", valida per l'inizio di un diverso procedimento e per l'espletamento di accertamenti volti ad acquisire, a conforto, nuovi (stavolta utilizzabili) elementi di prova.
(24) Per utili spunti, Corte costituzionale, 25 giugno 2008 n. 230.
(25) Sulla disciplina del segreto di Stato, cfr., di recente, esaustivamente, C. BONZANO, Il segreto di Stato nel processo penale, Cedam, 2010; nonché, G. SALVI, Conflitti di attribuzione dietro l’angolo, in Guida dir., 2007, fasc. 40, p. 70 e segg..
(26) Sulle cui funzioni cfr., di recente, S. MEZZACAPO, Presidenza del Copaco all’opposizione, in Guida dir., 2007, fasc. 40, p. 68 e seg..
(27) Sul punto, v. anche F. MARENGHI, cit., p. 719 e seg..
(28) Cassazione, Sezione IV, 2 dicembre 2008, Tomaccio ed altri.
(29) Ai fini dell’applicabilità dell’esimente di cui all’articolo 53 c.p. va ricordato che deve ritenersi sussistente quale limite pur non espressamente nominato nella norma, ma implicitamente deducibile dalla disposizione e, comunque, applicabile quale principio generale dell’ordinamento giuridico, valido anche nella disciplina delle cause di giustificazione, il principio di “proporzione”, inteso come espressione di un bilanciamento tra interessi contrapposti alla luce della situazione concreta. Da ciò derivando che è regola irrinunciabile quella di graduare l’uso dell’arma secondo le esigenze specifiche del caso e sempre in ambito di proporzione: potrà essere sufficiente sparare in aria (a scopo intimidatorio e di coazione psichica) oppure ai lati del soggetto agente (sempre con intenti persuasivi) e così via, potendosi ammettere soltanto quale extrema ratio la possibilità di mirare e sparare al corpo della persona, giustificabile solo ove il conflitto riguardi interessi di valore assoluto.
(30) Su tale disciplina, in generale, cfr. E. MARZADURI, Commento all’articolo 19 della legge 3 agosto 2007 n. 124, in Legisl. pen., 2007, p. 736 e segg..
(31) Cfr. R. BRICCHETTI- L. PISTORELLI, Il Premier autorizza condotte criminose, in Guida dir., 2007, fasc. 40, p. 66.
(32) Cfr. E. MARZADURI, cit., p. 743.
(33) Per converso, potrebbe addirittura non essere necessario applicare la procedura di verifica quando già le “circostanze del fatto”, rendano palese l’applicabilità della scriminante in applicazione della regola generale di cui all’articolo 385 c.p.p., che pone il divieto dell’arresto e del fermo “quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità”.

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