GNOSIS 1/2011
LA STORIA FATTI, ANEDDOTI e LEGGENDE Donne agenti segreti che agirono nel Risorgimento |
Alain Charbonnier |
Non è stata impresa facile costruire l’Italia unita. Ma nell’orologio della Storia i 13 anni che vanno dal 1848, Prima Guerra d’Indipendenza, alla proclamazione del Regno d’Italia, 17 marzo 1861, sono davvero poca cosa. Il periodo si allunga se parliamo di Italia unita, nella sua completezza: 1866, III Guerra d’Indipendenza e annessione del Veneto e del Friuli Orientale; 1870, presa di Roma; 1915-18, Quarta Guerra d’Indipendenza e annessione del Trentino-Alto Adige, della Venezia Giulia e dell’Istria. Una Storia raccontata tutta al maschile con Re, capi di Governo, generali e anche spie. E le donne? Già, ci sono state anche le donne. Nei libri di storia del Risorgimento non c’è quasi traccia di loro. D’altra parte, le donne allora non avevano diritto di voto, esistevano in quanto madri, moglie e amanti. Quando nobili, ricche in proprio oppure sposate bene, con una certa cultura, avevano un luogo in cui erano regine: i salotti. Nei salotti si facevano e disfacevano alleanze, accordi politici ed economici, nascevano correnti culturali, trovavano ospitalità transfughi e intellettuali. Eppure, nella costruzione dell’Italia le donne non sono state poche e non hanno avuto un ruolo secondario. A parte le avventurose che s’imbarcarono nell’impresa dei Mille, più per il fascino di Garibaldi che per visione politica, molte altre contribuirono a tenere viva la fiamma dell’indipendenza e della libertà. “Le prime che iniziarono a lavorare per diffondere le idee liberali furono proprio loro, e rischiavano la vita passando il confine per portare in mezzo alle loro vaporose capigliature messaggi cifrati”, racconta Bruna Bertolo. Borghese, pittrice e femminista, Bianca Milesi disegnò l’emblema tricolore del battaglione Minerva, nel quale si arruolarono gli studenti di Pavia, e inventò la “carta stratagliata”, sistema per le comunicazioni fra i congiurati. In sostanza si trattava di un foglio di carta bianco, con tagli orizzontali che permettevano di leggere messaggi nascosti in testi apparentemente normali. Queste signore non fanno parte di un servizio informazioni, per quanto embrionale. Al massimo appartengono a una “rete” mazziniana. è Camillo Benso Conte di Cavour che comincia a pensare al femminino come strumento per i suoi obiettivi, quando, nel 1836, insieme con il colonnello Alfonso La Marmora è chiamato a far parte della Commissione Superiore di Statistica, vero e proprio centro di raccolta di ogni tipo di notizie. Cavour impara presto e quando assume incarichi di governo si rivela propenso a operazioni clandestine, con corredo di informazioni raccolte da una rete estesa in Italia e all’estero. Così al 1854 si può ascrivere la nascita del Servizio Segreto del Ministero degli Esteri, voluto proprio da Cavour. E sarà proprio lui in prima persona a coordinarlo in diverse occasioni. Il Tessitore ha una visione così ampia del mondo e una tale dose di spregiudicatezza, coniugata a cinismo, che lo inducono a sfruttare persone e occasioni. Apprezza le belle donne, sa valutarne intelligenza e capacità. In un’epoca di maschi, Cavour “recluta” la contessa Paolina di Rasini, lanciata a raccogliere informazioni a livello internazionale. Maria Camera di Salasco fa la spola fra Milano e Londra, finisce aggregata a Garibaldi, del quale s’innamora perdutamente. Di lei non si può dire sia stata una moglie fedele, ma seducente lo era e per di più s’intendeva di politica e ne scriveva. Cavour se ne accorse e se ne servì per i suoi scopi. Della stessa pasta era fatta Maria Letizia Studolmina Wyse Bonaparte, principessa di Solms, donna spregiudicata, inseguita dai pettegolezzi, dagli scandali, dai controlli dei Servizi segreti di mezza Europa. L’Archivio di Stato di Milano restituisce rapporti di polizia che la riguardano. Con passi come questo: “Agli inizi del 1857 la si dava partita da Milano alla volta di Venezia e poi ancora a Milano nel tempo in cui sono visitate dall’Augustissimo nostro Imperatore e la cura della Solms di rendersi osservabile anche coll’indecente suo modo di vestire in teatro, tutto farebbe sospettare che la politica e le mene rivoluzionarie non siano estranee alla comparsa e fermata di questa donna e del suo seguito in questi dominii”. Nel 1863 Maria Letizia sposa in seconde nozze lo statista Urbano Rattazzi, già avversario di Cavour. Di lei i libri di storia non parlano. Ne rimane memoria per i suoi studi storici, parodie, pezzi teatrali, biografie, traduzioni dal portoghese in francese, ed altri testi. Ma soprattutto per il coinvolgimento in un processo che fa scandalo nel 1891, quando ha ormai settant’anni: viene alla luce la passione per la sua dama di compagnia, Charlotte Mortier Bouly de Lesdain, di qualche decennio più giovane di lei. Scrive Nerina Milletti: “Le abitudini, le frequentazioni politiche e le stravaganze di Maria Letizia Solms dovevano però destare già da molto prima qualche preoccupazione, dal momento che la principessa era costantemente spiata dalla Polizia e dai Servizi segreti durante suoi spostamenti attraverso l’Europa della seconda metà dell’Ottocento; i rapporti dei vari commissari, sovrintendenti ed agenti ci danno un chiaro ritratto di Maria Letizia Solms e del suo carattere estroverso”. Come per tutti gli agenti segreti che si rispettano, non rimane traccia dei suoi servizi resi all’Italia che si avvia a diventare Regno e unita. Ma in quelli che potremmo definire “servizi civili”, vale a dire non qualificabili come Servizio Informazioni Militare, il nome più conosciuto che, questo sì, compare anche nei testi di storia del Risorgimento, è quello di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione. La principessa di Metternich la chiamava “statua di carne”. Lei di sé affermava: “è il mio carattere fiero, franco e libero che mi fa essere talvolta cruda e dura”. Oltremodo seducente e passionale, manteneva sempre una mente lucida e fredda. Nata a Firenze il 23 marzo 1837, da Filippo Oldoini e da Isabella Lamporecchi, a 17 anni va in sposa al conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti, cugino di Cavour. La lascerà vedova nel 1867, travolto dalla carrozza reale. Cavour per più di un anno studia l’affascinante cugina e pensa di sfruttarne le qualità. Sa che l’Imperatore Napoleone III è stato sempre dominato dalle donne, a cominciare dalla madre. L’avvenenza e l’ambizione di Virginia potrebbero avere ragione del sovrano. Il progetto dimostra l’acume e l’audacia del grande ministro piemontese: mandare la contessina a Parigi per influire sull’animo di Napoleone e convertirlo alla causa italiana. “Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più vi sembrerà adatto, ma riuscite!”, è il mandato di Cavour. E il “mezzo” la bella Contessa lo trova facilmente. A Parigi Virginia oltretutto gode della copertura di un altro agente di Cavour, ma con veste diplomatica, Costantino Nigra, una della poche persone sempre bene accette alla Corte di Napoleone III. Inoltre, la bella contessa di Castiglione è stata istruita all’uso del linguaggio cifrato da un altro agente di Cavour: Alessandro Negri di Sanfront, l’ufficiale dei Carabinieri eroe di Pastrengo. Riuscì Virginia nell’impresa? La vulgata storica risponde affermativamente. Studi più approfonditi ritengono che, se la bellezza e l’ambizione della contessa di Castiglione penetrarono fin nell’intimità di Napoleone III, il tentativo del Primo Ministro piemontese ebbe successo soltanto in parte. Del resto la relazione non durò moltissimo. L’Imperatrice Eugenia, col pretesto di uno sventato attentato all’Imperatore, programmato durante un convegno tra i due amanti, ottiene l’espulsione della Contessa. L’intervento della “divina plenipotenziaria” sarebbe andato meglio di lì a poco, nello spingere la giovane figlia di Vittorio Emanuele II, Clotilde, a sacrificarsi, sposando il brutto e volgare Gerolamo, cugino dell’Imperatore, il 30 gennaio 1859. Rimane il fatto che arrivarono gli accordi di Plombières e l’anno dopo l’intervento della Francia a fianco del Piemonte contro l’Austria. è la Seconda Guerra d’Indipendenza che si conclude con l’armistizio di Villafranca, nel luglio dello stesso anno. Quando la stella di Virginia non brilla più alla Corte di Francia, Cavour non ha modo di proteggere il suo “agente segreto”. Le rimane l’amicizia dell’ambasciatore Costantino Nigra che non le mancherà neanche dopo la morte del Primo Ministro. Virginia Oldoini, con il titolo questa volta di marchesa di Lamporecchi (ereditato dalla madre) torna a Parigi e riprende il suo lavoro di agente segreto, circondandosi di ammiratori come il principe Poniatowski e il banchiere Rotschild. A Parigi Virginia torna ad agire, ma in funzione antifrancese. Voci mai confermate le attribuiscono perfino operazioni di spionaggio al soldo della Prussia. Sempre sotto stretta osservazione del controspionaggio di Parigi, la Contessa riesce a cavarsela anche quando le viene sequestrato il codice segreto con il quale scrive i messaggi e redige il suo diario, nel quale annota a chi ha dispensato favori e fino a che punto si è spinta. La Contessa di Castiglione muore a Parigi il 28 novembre 1899, in un piccolo alloggio sopra il ristorante Voisin. All’indomani del suo funerale, la Polizia e Carlo Sforza, per l’ambasciata italiana, distruggono lettere e documenti compromettenti. Un carteggio che riguarda grandi industriali, banchieri, re, politici, papi: da Napoleone III a Bismarck, da Cavour a Pio IX. Altre lettere e i suoi diari sfuggono però alla loro attenzione. Uno sceneggiato televisivo non ha reso giustizia alla Contessa fino in fondo. Se Virginia Oldoini predispone Napoleone III a schierarsi a parole con il Piemonte, un rapporto stilato da un agente italiano in missione nei domini Austriaci, dicasi Lombardia, in data 4 marzo 1859 spinge l’Imperatore francese all’impegno concreto, rendendogli palese l’aggressiva politica militare austriaca. Lo stila un giovane colonnello, Giuseppe Govone, chiamato alla guida dell’Ufficio Informazioni e Operazioni militari dell’armata Sarda, costituito da Alfonso Ferrero di La Marmora. Forte dell’esperienza fatta già nel corso della guerra di Crimea, proprio con La Marmora, che ha avuto modo di apprezzare le doti del giovane ufficiale di Alba, a 34 anni Govone si trova a organizzare la rete informativa piemontese contro l’Austria, proprio mentre si avvicina il conflitto. Oggi è considerato il padre del servizio segreto militare. Ma Govone è padre di un bimbo asfittico, dato che gli ufficiali ritengono l’attività d’informazione una “bala di Stat Magiur”. Il suo impegno tuttavia non viene meno: è giovane, intelligente, capace. Addetto militare a Berlino, Govone invia una relazione sul Dreyse Zundnadelgewehr, il modernissimo fucile ad ago adottato dai prussiani che il Regno d’Italia prenderà in considerazione soltanto sedici anni dopo. A ridosso della Seconda Guerra d’Indipendenza, Govone fa stendere una linea telegrafica fra il Quartier Generale a San Salvatore e i Corpi d’Armata a Casale, Alessandria e Novi, distribuisce ai propri agenti dietro le linee cifrari per inviare messaggi che sono basati su personaggi e termini teatrali. La rete di agenti è estesa a tutto il Lombardo-Veneto, ma viene individuata alla polizia austriaca. Il colpo è gravissimo, ma non irreparabile e quando gli austriaci entrano in Piemonte, nella speranza di metterlo in ginocchio, prima che arrivino gli alleati francesi, Govone ha già organizzato una rete di sottufficiali dei carabinieri che restando dietro le linee devono riferire sulla consistenza delle truppe austriache. Telegrafo, ferrovia, donne di facili costumi, teatranti, contrabbandieri: tutto è buono per la causa nazionale e Govone non fa certo lo schizzinoso. Anzi, si fida più di questi personaggi che dei rivoluzionari e cospiratori nelle regioni “irredente”. Sono il bersaglio preferito delle varie polizie e non sanno tenere la bocca chiusa. Govone è uomo giovane di lunga esperienza: nella Prima Guerra d’Indipendenza passa dal fronte alle “operazioni sovversive” in Toscana e in Emilia e ad azioni di stay-behind alle spalle degli austriaci, nei giorni di Novara. Scala i gradi sul filo dell’avventura. Osservatore presso le legazioni di Vienna e Berlino e presso l’esercito ottomano, Govone combatte nella guerra di Crimea, dove partecipa alla disgraziata Carica dei Seicento a Balaclava e alla battaglia della Cernia. Dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza è impegnato nella lotta al brigantaggio, partecipa alla riforma del Regio Esercito e alla creazione dell’Ufficio Informazioni. Nel 1866 Govone tratta con Bismarck l’alleanza contro l’Austria. Ma a Custoza la sua divisione viene massacrata, mentre i suoi colleghi generali, come scriveranno gli austriaci, se ne stanno con i loro reparti totalmente inerti, come “colti da un incantesimo che li blocca alle porte di Villafranca”. Non hanno saputo o voluto leggere le informazioni disponibili, gelosie e ripicche hanno fatto il resto. Govone con Nino Bixio cerca una impossibile rivincita con un’operazione che dovrebbe portare la guerra in Istria. Ma non se ne fa nulla, come nel nulla finisce l’anno dopo il progetto di marcia sulla Roma ancora papale. Govone arriva al suo punto massimo come Ministro della Guerra, ma è costretto a lasciare poco prima della presa di Roma. è malato, si ritira ad Alba. Distrutto psicologicamente, si uccide a quarantasei anni. Scompare così il padre dell’intelligence italiana. L’uomo delle tecnologie (dell’epoca) e della spregiudicatezza nelle operazioni. Di donne nei servizi e per i servizi non si parla più, fanno tutto i maschi. La Belle Epoque, la lunga pace europea, smorza gli entusiasmi e al massimo si vivono scandali e scandaletti da cafè chantant, più che vere e proprie operazioni di spionaggio. La Prima Guerra Mondiale segna un amaro risveglio. La discesa in campo delle teutoniche Fraulein Doktor, “Keta” Konigsmark, moglie del comandante della corazzata Conte di Cavour, Piero Orsini, dell’austriaca Adele Gormasz, cognata del Capo di Stato Maggiore Alberto Pollio, morto nel 1914, dimostra come siano stati preveggenti i “Servizi” di Austria e Germania. S’impone anche al “Servizio” italiano di rinnovellare i fasti della Contessa di Castiglione. E dove le donne sono coinvolte, i risultati sono brillanti. Un nome per tutti: Luisa Zeni, alias Josephine Müller, decorata di Medaglia d’Argento al Valor Militare, lei donna e civile. Era stata reclutata nel 1915 dal colonnello Tullio Marchetti, un asso dello spionaggio, capo del Servizio Informazioni Truppe Operanti (ITO). Nel suo “Ventotto anni nel Servizio Informazioni Militari (Esercito)” il colonnello Tullio Marchetti racconta che Luisa Zeni fu l’unica persona, fra i fuoriusciti trentini ad accettare l’incarico di operare per lo spionaggio italiano. La guerra non è ancora scoppiata, anzi l’Austria è formalmente ancora con l’Italia nella Triplice Alleanza. Un’amicizia diffidente, con l’Evidenzbureau che “cura” una rete di spie in Italia e il Servizio Informazioni italiano che crea un reseau d’informazione in Trentino e Tirolo. “A Brescia le impartii le direttive – racconta Marchetti – le diedi inchiostri simpatici, un po’ di denaro – ne richiese il minimo per vivere e null’altro – ed alcuni recapiti in Svizzera fornitimi dall’a. Prato (barone Silvio a Prato agente italiano in Svizzera n.d.r.), cui avrebbe dovuto indirizzare la corrispondenza”. Il 22 maggio 1915 Luisa Zeni passa il confine ed entra in territorio austriaco nella zona di Ossenigo. Intercettata e fermata da una pattuglia austriaca, si presenta come Josephine Müller, dichiara di essere fuggita dall’Italia per rientrare in Austria. Accompagnata ad Ala e perquisita, i documenti falsi reggono all’esame e viene fatta proseguire. Raggiunge avventurosamente Innsbruck in treno e scende all’Union Hotel, luogo pericoloso ma anche miniera di informazioni, frequentato com’è dagli ufficiali dei comandi stanziati in città. Scrive ancora Marchetti: “Fra quello che vide, fra quello che raccolse dai suoi conterranei, che abilmente spulciava, o che con lei si aprivano spontaneamente, mandò all’a. Prato parecchie relazioni con notizie militari precise, ottime, dimostrandosi molto tagliata per una simile incombenza”. Fra il 22 maggio e il 9 agosto Luisa Zeni gioca un rischioso rimpiattino con la polizia e l’Evidenzbureau. Essere smascherata significa il Tribunale Militare e la sicura condanna a morte. In ogni occasione però l’agente italiana mantiene il suo eccezionale sangue freddo. Alla fine di luglio è arrestata e Marchetti scrive che “con femminile abilità se la cavò”. Non fugge da Innsbruck, che sarebbe stato come confessare, ma ormai non può più sostenere di essere Josephine Müller e il cappio della forca le appare all’orizzonte. Il 6 agosto 1915 deve abbandonare la partita. Raggiunge a piedi una piccola stazione fuori città, sale su un treno, affollato di rimpatriandi italiani e diretto in Svizzera, alla stazione di confine di Feldkirch beffa i gendarmi austriaci e si ritrova in territorio neutrale. Tullio Marchetti va ad accoglierla a Milano per sentire direttamente le ultime notizie. Subito dopo Luisa Zeni cessa di essere alle sue dipendenze. A guerra finita, Marchetti la propone per una decorazione al valore con questa motivazione: “... è certo che essa, conscia dei pericoli sui quali andava incontro, diede prova di grande ardimento, arrischiando la vita, soprattutto nella sua qualità di trentina, e ciò per puro amore di patria e non per denaro, avendo essa compiuto fino al limite del possibile il suo servizio con il minimo di spesa e senza guadagno di sorta, né diretto né indiretto…. Il suo agire arditissimo e nobile ebbe ed ha un valore maggiore che se fosse stato compiuto da un uomo, dato che nessun uomo si è sentito di fare quanto la Zeni ha fatto. – Il Colonnello già Capo Uff. Inf. della I Armata Tullio Marchetti.” Una volta tanto la burocrazia non pone ostacoli. La Zeni riceve la sua Medaglia d’Argento. Non paga, si imbarca nell’avventura fiumana e si adopera come crocerossina. Questa volta si guadagna l’ammirazione di Gabriele D’Annunzio che parla di lei come “creatura ammirabile” Nel libro di memorie, “Briciole”, edito nel 1926, Luisa Zeni racconta la sua storia di spia, ultimo agente segreto al femminile del Risorgimento. Altre donne seguiranno il suo esempio negli anni, nella buona e nell’avversa fortuna, soprattutto nella Seconda Guerra Mondiale. Ma questa è un’altra storia. Bibliografia - Bruna Bertolo - “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia”, Torino, Casa editrice Ananke, 2011. - Massimo Grillandi – “La contessa di Castiglione”, Milano, Rusconi, 1994. - Tullio Marchetti – “Ventotto anni nel Servizio Informazioni Militari(Esercito)”, Trento, Museo trentino del Risorgimento e della Lotta per la libertà, 1960. - Nerina Milletti – “Quir: mensile fiorentino di cultura e vita lesbica e gay, e non solo...” n. 10, 1994, pp. 20-23 con il titolo “Una principessa poco prudente”. - Maria Gabriella Pasqualini – “Carte segrete dell’Intelligence italiana – 1861-1918”, Roma 2006. - Arrigo Petacco - “L’ amante dell’imperatore. Amori, intrighi e segreti della contessa di Castiglione”, Milano, Mondadori, 2001. - Giuseppe Scaraffia – “Femme fatale”, Firenze, Vallecchi, 2009. - Marco Scardigli – “Lo scrittoio del generale. La romanzesca epopea risorgimentale del generale Govone”, Torino, UTET, 2006. - Lietta Tornabuoni - “L’album della Contessa di Castiglione”, Milano, Longanesi, 1980. - Andrea Vento – “In silenzio gioite e soffrite”, Milano, Il Saggiatore, 2010. |