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GNOSIS 1/2011
Strategie di comunicazione

Da Radio Londra a Wikileaks


Antonio TETI

Foto da http://a7.idata.over-blog.com/

Centocinquanta anni possono sembrare un periodo relativamente breve se confrontati ai millenni che costituiscono la storia dell’uomo, ma possono assumere un valore completamente diverso se valutati in funzione delle scoperte generate in quell’intervallo temporale. In nessun campo, come in quello della comunicazione, le tecnologie hanno determinato un condizionamento così profondo da portare mutazioni sostanziali nella vita dell’uomo.


Buonasera: qui Radio Londra

Così iniziava le sue trasmissioni, interamente in lingua italiana, il mitico “colonnello Buonasera” altresì noto come il colonnello Harold Stevens, ex addetto militare presso l’ambasciata inglese di Roma e persino in grado di vantare lontane presenze italiane (pare napoletane) nel suo albero genealogico.
Negli anni che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia, l’Europa viveva momenti di assoluta tensione, mista ad un fermento popolare di rara intensità: dall’entusiasmo in Italia per l’espansione colonialista conseguita, allo stupore dell’apparente inarrestabile supremazia delle dittature europee, fino allo sconcerto determinato dalla violenta trasformazione dei confini degli stati nel centro Europa riconducibile alle mire espansionistiche di Germania ed Unione Sovietica.
Le industrie militari producevano a pieno regime e armamenti sempre più moderni e perfezionati, sperimentati soprattutto durante la guerra civile spagnola, erano i protagonisti assoluti nelle parate militari italiane e tedesche. Soprattutto per l’Inghilterra e la Francia, il timore di una nuova guerra mondiale si era ormai trasformato in una certezza assoluta, e la consapevolezza di futuro imminente di tragedie e di orrore spingeva le due potenze verso l’identificazione di sistemi di difesa ad ampio spettro.
Tuttavia le armi e gli eserciti non potevano essere gli unici mezzi di contrasto alla prepotenza delle potenze totalitariste. Era indispensabile colpire anche ciò che alimentava quello straordinario alone di potenza e di invincibilità che circondava gli eserciti dell’Asse. In funzione di ciò, alla macchina bellica alleata venne ad affiancarsi la macchina della propaganda persuasiva, grazie soprattutto alla maggiore innovazione di prodotto conseguita nel settore delle comunicazioni: la radio.
Nel giugno del 1940, la radio di stato trasmette il discorso del Duce sull’entrata in guerra della nazione.
Negli stessi giorni una piccola radio locale (Radio Bari) trasmette in lingua araba comunicati e notiziari indirizzati soprattutto ai residenti delle zone mediorientali occupate dagli inglesi. Nata in sordina, questa piccola radio ottiene un successo rilevante al punto tale da essere notata dall’emittente radiofonica più famosa in Europa: l’inglese BBC (British Broadcasting Corporation).
A questo punto i britannici hanno una formidabile intuizione che si rivelerà vincente, e che produrrà conseguenze reali (a volte inimmaginabili persino per gli stessi inglesi) sulle vicende del conflitto bellico. Per quanto concerne lo scenario dell’Italia, la BBC decide di creare un programma radiofonico in lingua italiana, affidandone la gestione al colonnello Stevens, che oltre ad una padronanza indiscussa della lingua italica possiede anche una buona conoscenza degli usi e dei costumi del popolo italico, essendo vissuto per diversi anni nel “Bel Paese”.
In realtà le trasmissioni in italiano di Radio Londra erano iniziate molto prima del 1940.
Il primo passaggio radiofonico venne celebrato la sera del 27 settembre 1938, proprio mentre si consumava la crisi determinata dalla Conferenza di Monaco. La trasmissione venne quasi improvvisata, è si consumò nel giro di pochi minuti con il comunicato del primo ministro Chamberlain prima in tedesco e poi in francese e in italiano.
Con l’ingresso dell’Italia nel conflitto mondiale, la durata delle trasmissioni della BBC subisce un sostanziale innalzamento: dai quindici minuti iniziali si raggiungono i novanta minuti di trasmissione e i programmi sono replicati fino a venti volte nell’arco della giornata.
Naturalmente le notizie sono tutte incentrate sulla tragicità delle azioni condotte dai paesi dell’Asse, ma le due peculiarità che contraddistinguono i programmi inglesi e che poi consentiranno la nascita e lo sviluppo della fiducia del popolo italiano sull’attendibilità e quindi sulla veridicità delle informazioni trasmesse, sono la puntualità e la fedeltà delle notizie diffuse.
è una mossa astuta che trae le sue origini da alcuni concetti che si basano sulla psicologia della persuasione e che trovano terreno fertile in una società provata, come quella italiana, che quotidianamente è sempre più sconvolta dalla guerra e dalla perdita di credibilità del Duce e del regime fascista. Le informazioni trasmesse dalla Radio di Stato, appaiono sempre di più impregnate di una propaganda visibilmente falsa, tendenziosa ed inverosimile. I toni entusiastici sui risultati conseguiti nei molteplici campi di battaglia non reggono più il confronto con i racconti dei reduci che tornano a casa dal fronte ed in particolare dai primi bombardamenti che gli alleati iniziano a compiere sul territorio nazionale. Quando è ormai chiaro che le sorti del conflitto mutano a vantaggio degli alleati, la credibilità di Radio Londra aumenta in termini esponenziali e tutte le notizie diffuse sono considerate autentiche e non certo costruite per scopi propagandistici.
A questo punto il governo britannico, perfettamente consapevole delle potenzialità dell’innovativo strumento mediatico, decide di sfruttarlo in maniera più incisiva creando un team di “esperti” in grado di confezionare programmi miranti ad una molteplicità di scopi.
Il personaggio che impersona la radio inglese è senz’altro il “colonnello Buonasera”, ma tutti i testi, le notizie e ogni informazione viene progettata, costruita, assemblata e raffinata da un gruppo di esperti in comunicazione del calibro di Aldo Cassato (giornalista triestino del quotidiano “Il Piccolo”), Cecil Sfrigge, abile giornalista inglese, e il profugo socialista italiano Paolo Treves, lungamente perseguitato in Italia durante i primi anni del regime. Ogni trasmissione veniva curata nel minimo dettaglio. La dialettica, le pause, i commenti e perfino il tono pacato e rassicurante del colonnello Stevens erano il frutto di attente e ragionate considerazioni che avevano in comune il medesimo obiettivo: il condizionamento psicologico.
Per quanto concerne le metodologie di persuasione, la comunicazione della radio inglese adotta metodologie e stili diversi da quella nazifascista. Essa si pone in una condizione di netta antitesi con quella nazifascista, violenta e aggressiva, e che si avvale di commentatori della peggiore specie come il razzista Alfred Rosemberg, il fanatico ministro della propaganda tedesco Joseph Goebbels o il meno raffinato e per questo definito “selvaggio” da suoi stessi compagni di partito, Roberto Farinacci, segretario del partito fascista.
Ai notiziari inglesi invece vengono affiancate vere e proprie trasmissioni che produrranno effetti psicologici considerevoli e che sono il frutto di raffinate elaborazioni progettuali messe in campo da qualificatissimi esperti. Una di queste è quella condotta dallo stesso Treves e da due suoi collaboratori, che si basa sulla conversazione di tre personaggi italiani, rispettivamente un antifascista, un moderato e un ingenuo cittadino tormentato dall’incredulità della tragedia in cui versa il paese, frutto della politica scellerata del regime fascista.
Altro esempio di elegante metodologia persuasiva erano “Le conversazioni dell’Asse”, incentrate sui discorsi tra un industriale tedesco di provata fede nazista e “l’alleato” italiano Commendator Mancini (interpretato da Uberto Limentani, studioso italiano che nel 1939, in seguito alle persecuzioni politiche subite in Italia, si stabilì in Inghilterra collaborando con la BBC e diventando in seguito docente di italiano presso l’Università di Cambridge dal 1945 fino al 1981). Di particolare rilevanza le interpretazioni di un altro conduttore, tale Candidus, meglio noto come John Marus, anch’egli di origini italiane e munito di una particolare capacità interpretativa che gli consentiva di essere particolarmente tagliente e sarcastico, ma al tempo stesso mai volgare nel denunciare i misfatti compiuti dai regimi nazifascisti. La sua popolarità divenne tale da mettere quasi in discussione quella dello stesso colonnello Stevens. Furono sperimentate altre trasmissioni analoghe come “L’osteria del buon umore” e “L’osservatore londinese Livio Zencovich”, entrambe di particolare pregio nella costruzione dei contenuti, ma che non eguagliarono mai il successo della trasmissione di Radio Londra.
Il colonnello Stevens divenne così famoso da meritarsi da parte dei soldati alleati e del popolo italiano, scritte sui muri durante lo sbarco in Sicilia del tipo “Viva il colonnello Stevens”. Non era lasciata al caso neanche la fase iniziale della trasmissione, che era accompagnata dalle note della quinta sinfonia di Beethoven che, quasi per ironia della sorte, corrispondevano in linguaggio Morse alla lettera “V”, simbolo della vittoria reso famoso dallo stesso Winston Churchill, che amava ripetere il gesto con le due dita della mano.


Dalla comunicazione psicologica
alle comunicazioni operative


Nonostante il successo di pubblico, gli psicologi ed i sociologi inglesi, ormai convinti della bontà e soprattutto delle potenzialità del loro strumento di comunicazione persuasiva, immaginarono un nuovo scenario di azione in cui sperimentare l’efficacia di Radio Londra: costruire messaggi cifrati per impartire ordini e direttive agli organismi della Resistenza.
Nel giro di poche settimane furono ingegnerizzati messaggi lampo che contenevano dati ed informazioni segrete, il più delle volte riconducibili ad operazioni militari da condurre in territorio nemico o miranti alla richiesta di supporto per azioni di controspionaggio, rifornimento di armi e attrezzature specifiche. Alla preparazione dei messaggi provvedeva il War Office (il Ministero della Guerra britannico) e in maniera più velata lo Special Operations Executive (SOE), struttura segreta costituita dallo stesso Churchill con il compito di incoraggiare, facilitare e condurre azioni di spionaggio e sabotaggio oltre le linee nemiche.
Proprio in funzione della sua segretezza, il SOE si trovò ad operare in collaborazione con la Resistenza francese e poi italiana, e molte delle sue operazioni rimasero, anche nel corso dei decenni successivi, completamente avvolte nel mistero. Anche per questo motivo questo piccolo esercito di agenti segreti fu identificato con il nome di “Churchill’s Secret Army”.
La lettura dei messaggi era il momento culminante delle trasmissioni di Radio Londra, e la tensione provocata dal desiderio di decifrarne i contenuti fu celebrata da diversi films e documentari che raccontarono quel triste periodo della storia mondiale.
La fase di lettura dei messaggi era il momento più critico della trasmissione. Era assolutamente determinante leggere i messaggi nella giusta sequenza e senza commettere alcun errore. Ogni pausa, sbaglio nella pronuncia o successione errata delle parole, poteva produrre conseguenze disastrose. Di certo frasi come “Felice non è felice. è cessata la pioggia. La mia barba è bionda. La mucca non dà latte. Giacomone bacia Maometto. Le scarpe mi stanno strette. Il pappagallo è rosso. L’aquila vola” facevano impazzire gli esperti di cifratura tedeschi ed italiani, ma al tempo stesso, oltre a consentire il successo di operazioni militari, queste frasi incomprensibili regalarono all’intera popolazione qualcosa di più di un semplice testo senza senso: un messaggio di speranza, quello della crescente certezza della fine dell’orrore della guerra.
Tutte le maggiori personalità dell’epoca, come Churchill, Eisenhower, De Gaulle, oltre a ministri di paesi alleati e personaggi del mondo culturale e dello spettacolo, fecero sentire la loro voce ai microfoni della BBC, ufficializzando la trasformazione della radio da semplice strumento di comunicazione, in congegno mediatico in grado di condizionare le masse.
Va ricordato che in Italia era assolutamente proibito ascoltare le trasmissioni di Radio Londra, e le sanzioni per chi era colto in fragranza di reato erano durissime: due mesi di prigione, una multa di mille lire (cifra quasi astronomica per l’epoca), oltre alla confisca della radio.
Ciò nonostante, gli italiani che attendevano l’ora fatidica dell’inizio delle trasmissioni, furono sempre numerosi e nel corso degli anni i radioascoltatori aumentarono vertiginosamente.
Gli accorgimenti per evitare di essere scoperti erano semplici e al tempo stesso piuttosto efficaci: si chiudevano porte e persiane, si oscuravano gli ambienti, si mandavano i bambini a letto, e si accostava l’orecchio alla radio con il volume al minimo, nella speranza di apprendere il maggior numero di informazioni sul corso della guerra.
La BBC continuò instancabilmente a trasmettere “L’Ora di Londra” fino alla sera del 31 dicembre 1981, quando il programma fu chiuso nonostante le innumerevoli proteste sollevate da un numero impressionante (e forse mai esattamente verificato) di ascoltatori.
Di certo la radio, nel corso degli anni successivi, perse progressivamente quel ruolo di centralità sociale, che aveva detenuto per lunghi anni, a favore della televisione che assunse la funzione di gestore dell’intrattenimento domestico e culturale della famiglia italiana e di conseguenza di quella nuova società venutasi a creare negli anni del boom economico del dopoguerra. La televisione, simbolo della rinata nazione della democrazia e del benessere economico, ottenne crescenti consensi di crescita anche in funzione dei costi di acquisto sempre più accessibili. Al contrario, la radio non era mai stato uno strumento di facile accesso per le famiglie italiane dell’epoca, per ovvie questioni di censo.
La televisione, contrariamente alla radio, mediante una molteplicità di programmi di cultura, spettacolo, e persino di formazione scolastica, riuscì a meritarsi l’appellativo di dispositivo “nazionalpopolare”, assumendo quell’importanza strategica nella comunicazione che oggi è spesso oggetto di discussione soprattutto a livello politico.


Buonasera: qui Wikileaks!

Senza alcun dubbio le immagini di intere famiglie assetate di informazioni e aggrovigliate nel più assoluto silenzio intorno ad un apparecchio radiofonico, potrebbero far sorridere molti dei giovani cresciuti nell’era di Internet e dei palmari omnifunzionali. In una società globalizzata, non solo nell’economia e nella finanza, ma soprattutto nell’informazione, la semplice ipotesi di impossibilità di accesso a fonti informative e dati è da considerarsi semplicemente inimmaginabile.
L’intero pianeta dipende dall’accesso e dal possesso delle informazioni. L’economia, la politica, la religione e quindi lo stesso tessuto sociale che avvolge la vita di ogni singolo individuo, è alimentato e governato da un flusso ininterrotto di informazioni che governano, spesso anche in maniera inconsapevole, l’esistenza dell’essere umano. è sufficiente l’annuncio di previsioni meteo avverse per farci desistere dalla partenza per un viaggio programmato, modifichiamo le nostre abitudini alimentari quando ci annunciano che un determinato alimento migliora la nostra salute, e non rinunciamo ad accaparrarci l’ultimo gadget tecnologico se viene presentato con le giuste metodologie di persuasione.
Le tecnologie di comunicazione, e con esse le tecniche di informazione, hanno stravolto il nostro modo di vivere e di concepire la vita stessa all’interno di una società che fagocita conoscenza ad ampio spettro nella speranza di mantenere sempre alti i livelli di “aggiornamento culturale”. Tuttavia qualcosa di più profondo è cambiato. Mi riferisco alla crucialità che l’informazione ha assunto nella società mondiale sempre più globalizzata nei suoi desideri e nei suoi bisogni e sempre meno “sociale” nelle sue intenzioni.
I media, ed in particolare Internet, con tutte le sue molteplici applicazioni, non sono più semplici strumenti di comunicazione, hanno assunto un ruolo di assoluto rilievo nella vita dell’individuo moderno, che non a caso viene sempre più identificato come “individuo digitale”. Google, Facebook, Twitter, MySpace, blog, chat room, sono termini che attualmente fanno parte del linguaggio comune e che evidenziano, senza alcuna ombra di dubbio, il livello di presenza del cyberspazio nelle nostre vite. Ed è proprio questo cyberspazio che ci consente di andare ben oltre la semplice informazione, attraverso l’utilizzo di strumenti in grado di esercitare delle raffinate tecniche di persuasione (e quindi di condizionamento) del nostro pensiero. Un esempio per tutti: Wikileaks.
Molti degli eventi che hanno caratterizzato la nascita e lo sviluppo di questo anomalo portale web di informazione, sono ancora avvolti nel mistero. Lo è ancor di più la storia del suo inventore, il poliedrico Daniel Assange. Tuttavia, senza entrare nel merito della bontà e della veridicità delle informazioni diffuse da Wikileaks, è risultato chiaro che sono bastati i soli annunci sulla pubblicazione imminente di documenti scottanti a sconvolgere non poco l’opinione pubblica mondiale e gli stessi governi, che si sono resi protagonisti involontari del contenuto delle informazioni diffuse.
Alcuni mesi fa, il Daily Mail definì i tumulti ed i disordini verificatisi in Tunisia, che hanno prodotto la fuga del Presidente Ben Alì e la morte di numerosi civili, come “la prima rivoluzione di Wikileaks”. Eventi analoghi, che hanno visto la Rete come mezzo di raccordo del malessere popolare, si sono verificati in paesi come lo Yemen, la Siria, l’Algeria, il Bahrein, Egitto, Giordania e la Libia. Il comune denominatore di questi tumulti è la rete Internet e i social network, che si sono rivelati i più straordinari strumenti di organizzazione, collegamento e coordinamento di gruppi che hanno dato il via alle rivolte. A nulla sono servite le azioni di controllo e di blocco della Rete che alcuni governi hanno imposto nel tentativo di sedare le rivolte. Ad esempio in Egitto, in risposta all’azione del governo di bloccare la Rete, Google ha annunciato attraverso il suo blog ufficiale di aver attivato (con la collaborazione di Twitter), un servizio che consentiva di postare tweet a tutti coloro che si trovavano nel paese, scavalcando di fatto il blocco attivato dal regime.
Sembra tuttavia che alcuni leader di Stato stiano finalmente prendendo coscienza della rilevanza del controllo di questi potentissimi strumenti di comunicazione.
A febbraio scorso, il Presidente Obama si è recato a Silicon Valley per incontrare un nutrito gruppo di referenti del settore ICT a livello mondiale. Tra i diversi nomi, spiccano quelli di Steve Jobs (Apple), Mark Zuckerberg (Facebook), Eric Schmidt (Google), Carol Bartz (Yahoo!), Dick Costolo (Twitter). L’incontro sarebbe stato incentrato sull’analisi di nuovi progetti che dovrebbero riguardare le nuove frontiere della tecnologia, ma certamente non è passata inosservata, soprattutto in questi ultimi mesi, la crescente preoccupazione di Obama sulla rilevanza che hanno avuto i social software e la rete Internet sugli sconvolgimenti politici, sociali e militari nello scenario africano e mediorientale. E di certo non è passato inosservato neanche il fatto che sia stato lui a recarsi da coloro che qualcuno definisce come i “nuovi potenti” del terzo millennio…



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