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GNOSIS 3/2010
UN RACCONTO

‘Ndrangheta fra Nord e Sud


articolo redazionale


Foto da http://2.bp.blogspot.com/


... davanti alla gran corte non si parla,
poche parole e con gli occhi rivolti verso terra,
l’uomo che parla troppo sempre sgarra!
Con la sua stessa lingua si assotterra.

(antico detto della ‘Ndrangheta)


(1) La calura milanese è più soffocante di quella calabrese… Obliqua e grigia di smog, ottunde e obnubila, perdendosi nel cielo basso della Pianura e nell’affollata urbanistica di Paesi che si rincorrono in un girotondo senza fine.
Tutto è ordinato, moderno, innovativo, dall’apparenza ricca e meritatamente premiante. Dagli occhi calabresi, la Lombardia è terra di frontiera e di ricordi, emigrazione lenta e continua dei primi coloni ed emancipazione degli ultimi, che vogliono appartenere ad un sincretismo realizzato più che agognato.

La Calabria è anche ‘ndrangheta, un morbo che spinge le metastasi ad osare e a conquistare le diaspore nazionali ed estere che possono riconoscere i codici e i linguaggi intimidatori delle origini.
Per questo ogni comunità di emigrati deve patire oltre che l’esilio spesso anche l’offesa del perpetuarsi delle forme maligne delle terre di provenienza, un tormento che sembra seguirle e bollarle per sempre.

All’inizio Milano era solo la vetrina per individuare i “ricchi” che potevano permettersi di pagare cospicui riscatti. Era la stagione dei sequestri di persona.
Progressivamente divenne una piazza per conquistare l’incipiente mercato transnazionale delle droghe, il polo delle finanze illegali per riciclare il provento dei reati.

Il tempo non scorre invano.
Le cosche si sono radicate, i “cristiani” si sono inseriti – chi più, chi meno – , qualcuno “si è fatto l’abito nuovo”, altri hanno cercato un senso di integrazione che bilanciasse il rispetto della tradizione malavitosa originaria e l’urgenza di catalizzarsi nella nuova società.

I nomi si ripetono, in questo ampio spazio temporale, sembrano un gioco d’eco sussurrata, tramandandosi di padre in figlio i segreti della “mamma ‘ndrangheta” e la voglia di un futuro felice.

Il 13 luglio 2010 la vita ‘ndranghetista di Milano è stata violata, i segreti hanno macchiato pagine di giornali ed è emerso l’antico scorrere della mafia calabrese nelle terre lombarde. L’operazione “crimine” ha svelato le essenze intime della ‘ndrangheta non solo lombarda.

Tra questi segreti ce n’è qualcuno che stupisce più di altri.
Milano è molto più vicina alla Calabria di quanto si osasse pensare.
Tanto vicina da opporsi come in un ring. I coloni ripuliti, riconoscendo le logiche elitarie dell’area d’origine, hanno cercato di darsi un valore aggiunto “nell’essere milanesi”, non più ospiti in terra straniera ma nuova ‘ndrangheta “proprietaria dell’area” e capace di interloquire da pari a pari con le lobby di Calabria.

È un terremoto organizzativo. Non piace a Reggio. Non si gradiscono tempi e modalità.
Il boss Novella, promotore della “new way”, muore per questo e i suoi fedeli rischiano la ghigliottina.
Ma la ‘Ndrangheta non è solo pistole e sangue. Si ragiona sulle cause e sulle possibili soluzioni. La madrepatria non vuole perdere il primato, le famiglie calabresi hanno ciascuno il proprio referente in zone circoscritte della Lombardia e non vogliono perderlo né deluderlo.
La Lombardia è un polmone economico per respirare, soprattutto di questi tempi in cui gli sbirri ti rendono l’aria irrespirabile.
Si discute, quindi, e si concede un tempo di riflessione con una gestione controllata che tenga tutto fermo e possa procedere solo a mirati e concordati cambiamenti.

È uno stallo “creativo”.
L’inserto milanese è solo una tessera del cambiamento che sconvolge l’intera organizzazione.
“Certe cose non vanno né in Calabria né in Lombardia”

Si cerca di dare forza a quelle camere di compensazione, ché fungano da camere di commercio, ché coordinino e favoriscano l’equa gestione del territorio e delle risorse.
Qualcuno già grida alla nuova cupola…
Dalle voci catturate in anni di indagine si sente l’ondeggiare calabro tra autonomia e coordinamento. Nulla di più. Forse perché è già abbastanza per una realtà abituata a poteri frammentati che si compongono solo per contingenti e convergenti affari.
Ciascuno vuole essere l’assoluto nel suo Impero, pur piccolo che sia.
La folla degli interessi impone arbitri che gestiscano il traffico, ma devono essere legittimati, probi e selezionati, senza per questo cedere le chiavi della propria casa e la dignità del proprio lignaggio.

Altri segreti sono stati svelati: gelosie, invidie, tradimenti, umane miserie, insomma, che scalfiscono l’immagine tradizionale della ‘ndrangheta.
Ci sono anche i “malati di ‘ndrangheta”, quegli avvocati del diritto mafioso esperti nella risoluzione dei casi impossibili, quei feticisti del passato e delle regole che, anche se difettano di senso pratico, sono comunque a garanzia dei Penati mafiosi.
Ci sono gli ambienti grigi autoctoni cui difettano gli anticorpi e che nell’intricato rapporto collusivo-intimidatorio colgono la mela della tentazione e della convenienza. Si illudono, forse, che il loro atteggiamento corrotto possa non essere censurato per il sol fatto di non essere calabresi.

Se il 13 luglio la ‘ndrangheta fotografata aveva fosche tinte, oggi il suo volto ha ancor più rughe e segni di preoccupazione.
Colta a segno da un’epica indagine – che segna un prima e un dopo nella visione della criminalità nel Nord Italia – proprio nella delicata fase di transizione, appare non meno forte ma più conosciuta, non meno arrogante ma più prevedibile, certamente ancora alla ricerca di una panacea organizzativa che potrà dare prospettiva ai disegni della ‘ndrangheta e un futuro ai “cristiani” in cerca di nuovi spazi competitivi e, perché no, anche di una nuova identità.
Tali “cristiani” dovranno fare i conti, però, in contesti ambientali più riparati quali quelli del Nord, con una “alterità” sociale e comunicazionale più resistente ai messaggi intimidatori e collusivi.
Peraltro, come dimostrano le spontanee e inedite manifestazioni antimafia nelle roccaforti ‘ngranghetiste reggine, c’è un crescente senso di sfida, dal Nord al Sud, da parte di settori economici, imprenditoriali e, soprattutto, giovanili: si può vivere senza mafia.



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