GNOSIS 3/2010
LA STORIA FATTI, ANEDDOTI e LEGGENDE L'ombrello bulgaro per un killer italiano |
di Alain Charbonnier |
“Sorry”. Si scusò l’uomo in completo grigio, “fumo di Londra”, come si diceva una volta, bombetta e ombrello neri, camicia bianca e cravatta a pallini piccoli piccoli. Poco lontano della stazione di Waterloo, salendo sul taxi, il gentleman inavvertitamente con la punta metallica del suo ombrello aveva toccato la gamba di un uomo in attesa del bus che lo avrebbe portato a Bush House, la sede dei servizi esteri della BBC. Il passeggero in attesa rispose cortesemente con un cenno del capo e subito dopo salì sul bus. Si chiamava Georgij Markov, cittadino bulgaro, giornalista e commediografo, riparato in Occidente. Era il 7 settembre 1978, giornata ventosa di fine estate, senza storia e senza memoria. Markov quasi non si era accorto di quel colpetto al polpaccio. Stava riflettendo a quello che avrebbe dovuto dire ai microfoni della BBC, nella trasmissione diretta ai paesi dell’Est. Da poco era andato in onda un programma nel quale accusava di corruzione il leader comunista della Bulgaria, Todor Zhivkov. Quasi in contemporanea con alcuni interventi da Radio Europa Libera, la voce americana rivolta all’Europa dell’Est. Il regime di Sofia lo considerava il nemico più pericoloso con il quale aveva avuto a che fare da quando i “liberatori” sovietici avevano instaurato il regime comunista nel “paese delle rose”. Markov lo sapeva e dall’impegno nella lotta per la libertà traeva soddisfazione morale e intellettuale. Ma a Sofia, alla Direzione del Komitet za dar?avna sigurnost (Comitato per la Sicurezza dello Stato) meglio conosciuto come DS, era arrivato un laconico messaggio: Markov è diventato pericoloso. Alcuni mesi prima, due alti dirigenti della DS erano andati in visita alla centrale del KGB, a Mosca. L’incontro ebbe per oggetto in particolare “specifiche operazioni comuni nei confronti di emigrati ostili”. Quale appunto era considerato Markov, con i programmi radiofonici trasmessi da Bush House. I “colleghi” bulgari furono portati in visita nel “dipartimento tecnico” e rimasero entusiasti di un piccolo meccanismo, grande come una penna stilografica. Con un ago poteva sparare una microcapsula di iridio-platino con all’interno una dose di veleno. Una volta penetrata sotto la cute, il calore avrebbe sciolto lo strato di cera che la sigillava e il veleno sarebbe entrato in circolo, senza lasciare traccia. Il meccanismo poteva essere fissato in particolare a un insospettabile ombrello e azionato dall’impugnatura Era proprio quello che serviva quando arrivò il via libera per le “operazioni bagnate”, cioè l’eliminazione di dissidenti pericolosi, come appunto Markov, in Gran Bretagna, e Vladimir Kostov, in Francia. Il KGB non negò la collaborazione al servizio segreto “fratello” che già in tante occasioni si era rivelato un prezioso strumento, soprattutto per le operazioni “sporche” proprie della Guerra Fredda. Del resto un favore che da lì a qualche anno sarebbe stato contraccambiato, mirando ben più in alto di un semplice dissidente, addirittura a Papa Giovanni Paolo II, con un complicato intreccio bulgaro-turco, proprio mentre al vertice del Kremlino sedeva Juri Andropov, Direttore del KGB ai tempi degli attentati contro i fuoriusciti bulgari. Quella mattina di settembre, dunque, Markov arrivò alla BBC, prese posto davanti al microfono e cominciò a parlare. Dopo un po’ avvertì vampate di calore e la testa che gli girava. “Un colpo di freddo – disse ai collaboratori e ai tecnici – Meglio me ne torni a casa”. A casa però le normali terapie antinfluenzali non ebbero effetto. La sera la febbre era salita. Aveva dolore alla gamba che la mattina era stata toccata dal puntale dell’ombrello del signore in bombetta. Ed era tutta arrossata. La moglie, Annabel Dilike, spaventata, decise di portarlo in ospedale, mentre la febbre era sempre più alta. Ma perché? I medici non riuscivano a spiegarselo. Finché non arrivarono i risultati delle analisi di laboratorio: “Avvelenamento”. Markov parlò del colpo di ombrello e non ci volle molto a dedurre che la punta doveva essere avelenata. Sì, ma con quale sostanza? Mistero. Quattro giorni dopo Markov morì. A Sofia tirarono un sospiro di sollievo e alla DS arrivarono le congratulazioni di Zhivkov. Anche l’agente “Piccadilly”, il gentleman in bombetta, ricevette le congratulazioni, una cospicua somma di denaro e la medaglia di merito per il contributo dato alla sicurezza della Repubblica popolare di Bulgaria. Un eroe, insomma. Poiché in Inghilterra l’ombrello aveva funzionato bene e il killer pure, al DS pensarono di bissare l’operazione in Francia. “Piccadilly” con licenza di uccidere fu incaricato di una nuova missione: destinazione Parigi, bersaglio Vladimir Kostov. Dieci giorni dopo, nella metropolitana della capitale francese Kostov avvertì una puntura alla schiena. Gli abiti pesanti che indossava impedirono una penetrazione profonda del microago. E benché la lillipuziana capsula con all’interno il veleno fosse comunque penetrata sotto la cute, era rimasta in superficie e la cera che la sigillava non si sciolse. Kostov, letto quanto era accaduto a Markov, si affrettò a recarsi dal medico. La capsula fu rimossa e sfuggì al suo assassino. Sia Scotland Yard sia la Brigade Criminelle della Police Judiciaire indagarono a lungo sull’“ombrello killer”, ribattezzato “ombrello bulgaro”, ma senza troppi risultati. Anche i servizi segreti scandagliarono le filiere dell’est, ma nessuno degli agenti, compresi quelli doppi e gli infiltrati, sapeva dell’“operazione bagnata” contro Markov. Per venire a capo almeno di una parte del mistero ci volle la defezione di una spia sovietica passata ai britannici. Rivelò che i proiettili usati a Londra e a Parigi erano stati realizzati nei laboratori del KGB. La conferma arrivò quando saltò la barricata un personaggio di primo piano, Oleg Kalugin, ex generale del KGB che parlò di ricina, una potenziale arma di distruzione di massa per la sua alta tossicità, facile da reperire e preparare. Proteina presente nei semi della pianta Ricinus communis, la ricina è una potente citotossina naturale, in grado di causare la morte cellulare, bloccando l’attività di sintesi proteica dei ribosomi. La dose letale per l’uomo è generalmente indicata in 0.2 milligrammi. E per ora non si conosce un antidoto efficace. L’Intelligence Service passò l’informazione a Scotland Yard che riaprì le indagini, spinta anche dalle pressioni della vedova di Markov. Con la crisi dei regimi comunisti nei paesi dell’Est, anche in Bulgaria arrivò la ventata democratica e si aprirono gli archivi. Da Sofia giunsero a Londra numerosi documenti della DS fino ad allora top secret. Le indagini condussero gli agenti inglesi a Copenaghen, dove nel 1993 insieme con i colleghi danesi, interrogarono uno strano personaggio: Francesco Gullino, nato nel 1946 a Bra, in provincia di Cuneo, ma con passaporto danese, commerciante di oggetti di antiquariato. Gullino ammise la sua attività di spia, ma negò ogni coinvolgimento nell’omicidio di Markov e nell’attentato a Kostov. Anni dopo, dai documenti trovati negli archivi di Sofia, si venne a sapere che “Picadilly” sarebbe stato addestrato dal dipartimento Pgu, la struttura di spionaggio all’estero della DS, pochi mesi prima dell’attentato contro Markov. C’è un documento che recita: “Io, Francesco Gullino, dichiaro volontariamente che porterò a termine con onestà i compiti affidatimi dagli organi dei servizi di sicurezza dello stato di Bulgaria. Tutto ciò che dovrò firmare, lo farò sotto il nome di Piccadilly”. È il patto di collaborazione – Darzhavna Sigurnost – siglato dalla mano di Gullino. Nel libro “La doppia vita dell’agente Piccadilly”, il giornalista Hristo Hristov, ha raccolto i documenti desecretati su Gullino, rimasti per anni nelle segrete stanze degli archivi bulgari. 97 carte, ha spiegato Hristov, che mostrano i dettagli dell’addestramento di Piccadilly, i pagamenti, i legami strettissimi fra i servizi segreti bulgari e quelli sovietici per l’omicidio Markov. Il KGB provvide all’assistenza tecnica per il veleno e allo strumento sofisticato per inoculare la ricina. L’ombrello fu acquistato da Gullino, ma la tecnologia per farlo funzionare era sovietica. Secondo la DS Gullino era un elemento di estrema affidabilità, “disciplinato, diligente, carattere diretto, dotato di una mente pratica e veloce, coraggioso, cede facilmente all’influenza del suo interlocutore, è ambizioso rispetto al denaro. E per i servigi resi fino al 20 aprile 1990, termine del rapporto dell’agente con il servizio, Gullino avrebbe ricevuto cospicue somme di denaro”. Nel 1993, stempiato, in pensione e con i servizi segreti occidentali alle calcagna, l’ex agente Piccadilly lasciava la Danimarca. A tutt’oggi se ne sono perse le tracce, l’ultima volta è stato visto in Ungheria. Dell’“ombrello bulgaro” rimangono i disegni, ricostruiti sulla base delle confessioni di Kalugin, e la sua sinistra fama.
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Bibliografia
- “Il delitto dell’ombrello bulgaro un documento inchioda il Kgb”, Marco Ansaldo “La Repubblica”, 11 settembre 2008, pag. 36. - Hristo Hristov: “The Double Life of Agent Piccadilly”. - Brunwasser, Matthew, “A Book Peels Bach Some Layers of a Cold War Mystery”, The New York Times, 10 September 2008. |