Siamo nel 2007. L’operazione “Terra bruciata” condotta dal Nucleo della Polizia Tributaria di Siracusa, porta all’arresto di 70 affiliati al clan mafioso “Bottaro-Attanasio”, per reati vari, come usura, narcotraffico, associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione.
Nell’operazione vengono scoperti beni immobili, autoveicoli, aziende, contanti, di ingente valore intestati a prestanome di membri del clan, subito sequestrati. Questo sembrerebbe semplicemente uno dei numerosi scacchi alla mafia, ma il fatto importante è che quei beni allora sequestrati, nel novembre 2009 sono poi stati confiscati, su disposizione del tribunale di Catania (1) . Così beni per un valore pari a 5 milioni di euro sono stati acquisiti dallo Stato e tolti dalle grinfie della mafia. Un episodio questo, tra i moltissimi, che prendiamo ad emblema di un corso nuovo nella strategia di lotta alle organizzazioni di stampo mafioso. I beni sequestrati possono essere confiscati e destinati a nuova collocazione, in particolare ad uso sociale.
Al di là delle questioni giuridiche complesse – che sono state ampiamente analizzate nel forum – colpisce l’altissimo valore simbolico e l’impatto sociale di questo sistema.
Nell’aprile 2010, ad esempio, due beni confiscati alla mafia sono transitati dal comune di Misilmeri per l’assegnazione, e sono stati collocati. Si tratta di due villette, nella zona di Agrigento, che a seguito di un bando pubblicato dal 10 marzo al 9 aprile sono andate all’associazione Jus Vitae di padre Antonio Garau (2) , che ha vinto con un progetto che vede la realizzazione di un centro di aggregazione per minori e anziani, e all’associazione di volontariato “San Benedetto” che ne farà un centro di formazione.
Anche a Roma succedono cose simili: nel settembre del 2009 è stato inaugurato il “Piccolo Nido” in un appartamento confiscato alla mafia e assegnato all’Associazione Andrea Tudisco, che ospita bambini non ospedalizzati ma in fase di immunodeficienza (3) . Operazione non facile, perché l’appartamento era in condizioni indicibili – era stato perfino dato alle fiamme – al momento dell’assegnazione. Fortunatamente l’associazione ha vinto un bando della Regione Lazio per la ristrutturazione dell’appartamento e il progetto è stato realizzato. Insomma, bisogna crederci in operazioni di questo genere per decidere di impegnarsi in simili imprese.
Non sono percorsi facili, infatti, quelli di coloro cui viene assegnato un bene confiscato alla mafia. La cooperativa “Portella della Ginestra”, ad esempio, cui sono stati assegnati una fattoria e un piccolo locale sequestrati alla famiglia Brusca ristrutturati grazie all’intervento del PON Sicurezza del Ministero dell’Interno, li ha riconvertiti in agriturismo con annesso ristorante: all’inizio ha subito intimidazioni, con incendio di ulivi e altro (4) . Le cosche si oppongono e reagiscono fortemente anche con atti di violenza all’assegnazione dei beni confiscati a enti impegnati in attività sociali, così come è previsto dalla legge 109/1996. Noto il caso della cooperativa agricola Valle del Marro – Libera Terra di Polistena, nata nel 2004 sui 60 ettari di terreno confiscati alle cosche Mammoliti e Piromalli Molè: nel 2007 ha subito danneggiamenti ai capannoni e distruzione di macchinari.
Il recente attentato a Reggio Calabria, con una bomba fatta esplodere davanti alla sede della Procura Generale, è stato letto anche proprio nel senso della reazione alla confisca dei beni. Sembra infatti che si sia trattato di un’azione decisa congiuntamente dalle cosche locali coinvolte nei processi d’appello, colpite da sequestri e confische, e altre cui sarebbe stato chiesto l’avallo dell’attentato (5) .
A questo proposito, il ministro Maroni, cui era stato chiesto come andasse letto l’attentato, ha risposto che si è trattato di una reazione ai risultati delle attività di contrasto, di aggressione ai patrimoni criminali, all’arresto dei super-latitanti, che ne decreta il successo (6) .
Le origini del percorso legislativo innovativo nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata, risalgono al 1982 quando veniva approvato il disegno di legge 646/1982, presentato da Pio La Torre, insieme a Virginio Rognoni. Quella legge Rognoni-La Torre che introduceva non solo il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, consentendo di perseguire la mafia come organizzazione e per il suo carattere associativo, ma anche le figure giuridiche del sequestro e della confisca di beni illegalmente accumulati.
Secondo i dati diffusi nella Sintesi della Relazione annuale 2009 del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali Cons. Antonio Maruccia (7) , al giugno 2009 sono stati confiscati alla mafia 8.933 immobili e 1.185 aziende. Il totale dei beni immobili destinati dall’anno 1992 al luglio 2009 è pari a 5.462 immobili - il 60% del totale - per un valore totale di 504.801.008,67 euro. Per quanto la cifra appaia ingente, sembra non costituisca che il 10% dell’effettivo patrimonio mafioso, per dare un’idea di quanto il problema sia gigantesco. L’86% è stato assegnato a Enti locali per fini sociali, mentre il 14% è restato allo Stato per fini istituzionali. Sono state assegnate anche 188 aziende [il 32% del totale]. Sul totale, solo l’11% delle aziende è stato destinato alla vendita o all’affitto, mentre l’89% è andato in liquidazione.
La maggior parte delle confische è avvenuta in Sicilia 46,5%, Campania 15%, Calabria 14% e Puglia 8%, ma anche nel Centro e nel Nord, in particolare in Lombardia 7,2% e nel Lazio 3,9%.
Come leggere questi dati (8) ?
Emerge la questione geografica. è preoccupante la diffusione del patrimonio mafioso su tutto il territorio italiano. Che il dato più ingente riguardi la Sicilia, può indicare non solo maggiore radicamento di organizzazioni di stampo mafioso, ma anche strategie di contrasto e metodologie di intervento sul territorio collaudate da parte delle agenzie di sicurezza. Peraltro, proprio la confisca dei beni mafiosi costituisce un eccellente mezzo per identificare le ramificazioni delle attività mafiose. In Trentino Alto Adige recentemente sono stati confiscati beni mafiosi per un valore di un milione di euro: 15, tra esercizi commerciali, piccole aziende edili e attività immobiliari o turistiche (9) .
Che le infiltrazioni mafiose siano ormai diffuse nel nord lo afferma il Rapporto CNEL intitolato “L’infiltrazione della criminalità organizzata in alcune regioni del nord Italia” (10) in cui si parla del fatto che quella parte del territorio italiano è stata erroneamente percepita come “isola felice”, e afferma che è in atto da tempo un flusso migratorio criminale verso il Nord percepito come luogo in cui vi sono concrete opportunità di realizzazione di progetti criminali.
Il riciclaggio. Il meccanismo è basato sull’entrare in contatto con le aziende attraverso agenzie di riscossione crediti che sollecitano l’azienda, cui poi l’organizzazione criminale si offre di fare prestiti. Le aziende in difficoltà possono facilmente cadere nella trappola.
è così che società finanziarie con sede in Campania e Calabria possono espandere le attività in altre regioni.
Tipologia dei beni confiscati: si tratta per lo più di immobili, beni finanziari e beni mobili, sebbene i valori spesso siano desunti da stime. Nella Relazione del Ministro della Giustizia, infatti, si fa preciso riferimento al fatto che le stime dei beni non vengono sempre comunicate, se non nei casi in cui i beni vengano poi effettivamente assegnati dopo la confisca (11) .
è il caso tipico dei beni mobili – camion, imbarcazioni, moto, automobili – che spesso perdono di valore progressivamente perché restano a lungo nei depositi giudiziari. La quantità di beni immobili fa riflettere da un lato sulla scelta di investimento della mafia nostrana, e dall’altro su come contrastare l’acquisizione da parte di organizzazioni mafiose, operando controlli in un contesto di sempre più libero mercato come quello Italiano, Europeo, globale.
Non a caso l’UE contribuisce allo sviluppo del mezzogiorno italiano erogando finanziamenti per la riconversione dei beni confiscati alla mafia. I fondi rientrano nel piano di finanziamento dell’UE per lo sviluppo regionale, che vede l’Italia al terzo posto tra i beneficiari, dopo la Polonia e la Spagna. Le cifre sono interessanti, perché per il periodo 2007-2013 sono stati stanziati 28.8 miliardi di euro, di cui 21,9 attraverso il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e 6,9 miliardi di euro attraverso il Fondo Sociale Europeo (FSE) (12) . In particolare, attraverso il FERS l’Unione Europea ha già stanziato 64 milioni di euro proprio per riconvertire terreni e altre proprietà della mafia, in particolare in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. La motivazione alla base di questi aiuti finanziari sta nel fatto che l’UE vede lo sviluppo anche come elemento di stabilizzazione e sicurezza, perché individua nella disoccupazione e nella povertà il fattore di vulnerabilità che consente l’affermazione della criminalità organizzata, la quale, a sua volta, impedisce la produttività e intimidisce i potenziali investitori.
Fondi dell’UE sono stati già utilizzati per trasformare 50 beni confiscati in strutture destinate alla formazione, all’agriturismo, alle imprese. Tra questi, a Palermo è stato approvato un progetto per riconvertire beni confiscati a Giovanni Brusca in un parco giochi dedicato alle giovani vittime della mafia (Giuseppe di Matteo, ad esempio). Sono state finanziate anche altre iniziative fortemente simboliche, come quella dell’azienda vinicola “Centopassi”, (nata su un terreno confiscato a Giovanni Genovese) che dedica ogni bottiglia prodotta a una vittima della mafia.
Il valore simbolico è alla base della filosofia della riconversione dei beni, scelta dalle amministrazioni locali e dallo Stato all’intento di far comprendere alla popolazione che è possibile contrastare la criminalità organizzata e creare imprese produttive nella legalità. Un principio che l’UE appoggia fortemente.
Tuttavia, il problema della destinazione dei beni è complesso. La destinazione dei beni avviene sia allo Stato sia alle amministrazioni locali. Per fare un esempio, nella Relazione sui beni sequestrati e confiscati (13) presentata al Parlamento dal Ministro della Giustizia, si legge che nel 2008 ai comuni sono stati destinatari di 115 milioni di euro, mentre allo Stato sono andati 23 milioni, il che sottolinea una scelta di fondo, che è quella di lasciare che le amministrazioni locali facciano scelte sul loro stesso territorio. Vi sono però diversi problemi perché le amministrazioni locali spesso hanno difficoltà nella gestione di tali beni, per questioni di bilancio e di minacce da parte delle organizzazioni criminali in quello stesso territorio (14) . Inoltre, i progetti, come si è detto, non sono sempre facilmente realizzabili, soprattutto per l’alto rischio di reazione da parte delle cosche. Da più parti viene richiesto che i progetti di natura sociale che nascono a seguito della destinazione dei beni vengano maggiormente protetti, proprio nella fase operativa, creando ulteriori sinergie per la difesa dei progetti tra i membri delle cooperative, le associazioni, le istituzioni (15) .
Complessivamente sono stati destinati beni per un valore di 725 milioni di euro [dal 1996] (16) . Ma il vero problema sta come si è detto nella fase successiva, ovvero quando i destinatari devono prendere possesso dei beni. Non sono infrequenti casi di mancato utilizzo dovuto a occupazioni abusive da parte degli stessi mafiosi, ipoteche, difficoltà finanziarie per la riconversione e la ristrutturazione dei beni. Alcune azioni tuttavia sono state messe in atto, come la ricerca di fondi con le amministrazioni locali e regionali proprio per consentire ristrutturazioni e riconversioni, tanto che sono state emanate leggi regionali proprio a questo scopo anche con capitoli di spesa dedicati nel Lazio, in Puglia, in Lombardia e altrove. Nei criteri di protezione come rientrano i problemi finanziari che spesso le associazioni destinatarie dei beni si trovano a da affrontare, legati al pagamento di tasse, spese di gestione e altro, che rischiano di metterle in ginocchio? Molti gli appelli delle associazioni in questo senso.
Altro problema sono i tempi di destinazione. Per anni vi sono state lentezze nelle destinazioni, ma stando ai dati, dalla creazione del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali vi è stato un incremento del 284% della media annuale delle destinazioni (17) .
Nel quadro che si è tentato di delineare emergono alcuni nodi critici, che devono essere discussi. Un momento di riflessione e dibattito sulla questione dei beni confiscati alla mafia è stato suscitato da un recente servizio trasmesso nel marzo 2010 dalla nota trasmissione televisiva Striscia la Notizia. Il servizio, firmato da Stefania Petix, affermava che a Palermo vi sarebbero casi in cui la destinazione di beni a fini sociali va a finire in realtà nelle mani di associazioni inesistenti o a fini di lucro. Altre associazioni, tra cui “Contro tutte le mafie” (18) , hanno poi affermato che il problema sarebbe diffuso in tutta Italia. La questione sarebbe anche legata al fatto che gli stessi enti che firmano protocolli con le prefetture per la assegnazione di beni confiscati possono avere punti deboli. Nel caso di quegli enti che hanno la natura di consorzi, ad esempio, magari con sede legale lontana dal luogo in cui avviene la destinazione dei beni, il rischio che qualche ente malavitoso entri surrettiziamente nel consorzio aumenta.
Altro nodo critico è la questione della vendita dei beni confiscati. è stata firmata nel novembre 2009 una interrogazione bipartisan in cui viene chiesto un miglioramento delle procedure di vendita dei beni confiscati (19) . L’interrogazione segue il fatto che nella Finanziaria 2010 è stata inserita una nuova norma che prevede anche la possibilità di vendita dei beni confiscati, non contemplata nella 109/96. Alle preoccupazioni sollevate da più parti, il Ministro Maroni ha risposto con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, allo scopo di assicurare l’effettiva restituzione alla collettività dei beni confiscati, e nel caso di vendita, che la normativa adottata prevede solo in casi eccezionali, che si adottino tutte le precauzioni perché non tornino nelle mani dei mafiosi (20) .
Che lo strumento della confisca sia decisivo non vi è dubbio, ma la mafia ha le sue risorse, e si sposta su terreni meno tangibili dei beni immobili, concentrandosi su operazioni finanziarie, investendo all’estero, con movimenti di denaro nascosti in operazioni commerciali. D’altra parte è così che si muove la mafia russa, ad esempio, e quella italiana si riorganizza allontanandosi dal tradizionale investimento nel mattone per esplorare nuove strade. Le cosche oggi separano l’attività di narcotraffico dalle attività finanziarie – che servono a finanziare il narcotraffico e a investire i proventi dei traffici illeciti – in questo modo rendendo difficile l’effettiva confisca dei beni a seguito di un sequestro.
L’ultima proposta di Don Ciotti, presidente di Libera e storico promotore del movimento di pensiero attorno alla legge 109/96, è quella di prevedere la confisca internazionale dei beni dei mafiosi, perché le mafie investono all’estero (21) . La Germania, ad esempio, è diventata terra di conquista dalla riunificazione sia per operazioni di riciclaggio, sia per sfuggire alla legge italiana, perché in Germania sarebbe più difficile applicare la confisca dei beni (22) .
L’impulso che lo strumento della confisca dei beni ha dato alla lotta contro il crimine organizzato è importantissimo. I nodi critici fanno parte del necessario continuo assestamento ai nuovi scenari che si presentano con i mutamenti della società, ai quali purtroppo seguono anche ridefinizioni delle strategie della mafia.
È tuttavia evidente il successo proprio contro le nuove strategie della mafia, che deriva certamente dal coordinamento tra le forze istituzionali in campo, ma soprattutto da quell’aspetto veramente vincente, che costituisce il vero elemento di novità degli ultimi trent’anni di storia italiana: la solida sinergia che si è creata tra società civile e istituzioni nella lotta contro la mafia. Entrambe sono impegnate insieme in un ciclo inarrestabile, che va dal sequestro alla confisca, alla destinazione a chi è impegnato nel sociale, in questo modo smuovendo le zolle di un campo che poteva sembrare sterile, e invece fruttifica.