GNOSIS 2/2010
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Enzo CALABRIA
Com’è noto la legge 646/1982 (Rognoni-LaTorre) oltre a prevedere il reato di associazione di tipo mafioso ha introdotto nell'ordinamento le misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca) che si sono aggiunte a quelle personali già disciplinate dalla legge 575/1965. L'applicazione della legge ha evidenziato, nel tempo, alcune lacune in ordine alla gestione dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali che spesso andavano in rovina o continuavano a rimanere nella disponibilità dei proposti. Tali lacune sono state in parte colmate con la legge 7.03.1996 n. 109 che ha introdotto l'uso istituzionale e sociale dei beni immobili confiscati stabilendo il loro mantenimento al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico, protezione civile ed anche per altri usi pubblici; ovvero il loro trasferimento al patrimonio del Comune ed, ora, anche della Provincia o della Regione che possono amministrare direttamente i beni o assegnarli in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti nonché alle associazioni ambientaliste. Nel caso in cui il bene confiscato costituisca un bene aziendale può essere mantenuto al patrimonio dello Stato e destinato all'affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività produttiva, o alla vendita, qualora vi sia una maggiore utilità per l'interesse pubblico o la vendita sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso oppure alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l'interesse pubblico o la liquidazione sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso.
La normativa introdotta dalla legge 7.03.1996 n. 109 si applica alle misure di prevenzione patrimoniali ed alle confische di cui all'art. 12 sexies della legge 356/1992, che stabilisce una particolare misura patrimoniale di sicurezza avente ad oggetto la confisca dei beni posseduti da persone condannate per reati associativi e per altri specifici reati nonché, dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, anche a coloro che pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato (legge 15.12.2001, n. 438). Le difficoltà connesse all’applicazione della normativa sulla destinazione dei beni confiscati, avevano portato nel 1999 alla nomina del "Commissario Straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali" che ha operato sino al 2003 con il compito di accelerare le procedure per la destinazione ed assegnazione dei beni, monitorare i beni e formulare proposte di riforma della disciplina. Nel 2007, riproponendosi le medesime difficoltà, fu nuovamente istituito il Commissario Straordinario con il compito di assicurare il coordinamento operativo tra le amministrazioni e gli enti interessati alla destinazione e gestione dei beni confiscati, per la sollecita definizione delle procedure, la corretta gestione dei beni e la ricerca delle risorse necessarie alla loro valorizzazione e sviluppo.
La legge 15 luglio 2009 n. 94 ha poi modificato la competenza in ordine all'adozione del provvedimento di destinazione dei beni confiscati affidandolo al Prefetto della provincia ove si trovano i beni immobili o ha sede l'azienda, anziché all'Agenzia del Demanio per rendere più snello il coordinamento degli enti coinvolti nel procedimento di destinazione. Infine con il Decreto-Legge 4 febbraio 2010 n. 4 convertito nella Legge 31 marzo 2010 nr. 50 è stata istituita l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. L'istituzione dell'Agenzia Nazionale, approvata dal Parlamento all'unanimità, risponde all'esigenza di assicurare l’effettiva restituzione alla collettività dei beni confiscati attraverso il loro rapido ed efficace utilizzo istituzionale e sociale mediante un soggetto con competenza generale nella materia che si occupa di tali beni dalla fase del sequestro giudiziario fino alla destinazione.
I compiti dell'Agenzia sono individuati in tre principali attività: monitoraggio, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. 1) Il monitoraggio è la prima e più importante attività che dovrà svolgere l'Agenzia per avere l'esatta misura, in termini quantitativi e qualitativi, dell'impegno che l'attende procedendo: – all'acquisizione dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nel corso dei procedimenti penali e di prevenzione; – all'acquisizione delle informazioni relative allo stato dei procedimenti di sequestro e confisca; alla verifica dello stato dei beni nei medesimi procedimenti. Basti pensare che solo negli ultimi due anni sono stati sequestrati e confiscati oltre 23 mila beni per un valore che supera gli 11 miliardi di euro. 2) Per quanto concerne la gestione dei beni questa sarà distinta in due diversi momenti del procedimento: – nella fase procedimentale del sequestro l'Agenzia coadiuva l'Autorità giudiziaria nell'amministrazione e custodia dei beni sequestrati; – dalla confisca in poi, invece, amministra direttamente i beni. Il campo di applicazione è individuato nel corso del procedimento di prevenzione (L. 31.5.1965, n. 575) o nel corso dei procedimenti penali per i delitti (ex art.51, c. 3-bis, del c.p.p) ai quali si applica l'articolo 12-sexies del DL n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, e successive modificazioni. 3) Per l'ultimo aspetto – quello della destinazione – l'Agenzia dovrà: – accertare la consistenza, la destinazione e l'utilizzo dei beni; – avviare una programmazione dell'assegnazione e della destinazione dei beni confiscati; – analizzare i dati acquisiti e le criticità relative alla fase di assegnazione e destinazione; – adottare iniziative e i provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione dei beni confiscati, anche attraverso la nomina, ove necessario, di commissari ad acta. L'Agenzia, posta sotto la vigilanza del Ministro dell'Interno, ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia organizzativa e contabile. La sede principale è a Reggio Calabria, ma è prevista l'apertura di sedi secondarie (Roma, Napoli, Palermo e Milano).
Al vertice della struttura è posto il Direttore, scelto tra i prefetti e nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (attuale Direttore è il Prefetto Mario Morcone). Vi è poi il Consiglio direttivo, composto da un rappresentante del Ministero dell'Interno, da un magistrato designato dal Ministro della Giustizia, da un magistrato designato dal Procuratore Nazionale Antimafia e dal direttore dell'Agenzia del Demanio o un suo delegato, ed un collegio dei revisori. I più importanti atti dell'Agenzia vengono adottati con delibera del Consiglio direttivo mentre il collegio dei revisori provvede al riscontro degli atti di gestione ed alle verifiche di bilancio e cassa. Gli organi dell'Agenzia restano in carica 4 anni, rinnovabili una sola volta. Entro il prossimo 5 agosto dovranno essere emanati i regolamenti che disciplinano l'organizzazione, le risorse umane e strumentali nonché i flussi informativi e le modalità di comunicazione tra l'Agenzia e l'Autorità Giudiziaria mentre nella fase transitoria, disciplinata dall'art. 7, la dotazione organica è fissata in trenta unità comprese quelle dirigenziali. La stessa norma transitoria ha stabilito che le funzioni del Commissario Straordinario sono assunte dal Direttore dell'Agenzia. Antonio MARUCCIA
Nell'ordinamento giuridico italiano l'azione di contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata attivata dallo Stato, si snoda essenzialmente attraverso due distinte fasi. La prima è quella relativa all'aggressione dei patrimoni e riguarda le indagini per l'individuazione, il sequestro e la confisca delle ricchezze delle mafie. Forze dell'ordine e magistratura hanno segnato successi importanti in questo campo, pur operando con strumenti e normative non adeguate al grado di modernità con cui le mafie occultano e reinvestono le loro ricchezze. La seconda tipologia di esecuzione del contrasto, non meno importante della prima, riguarda la destinazione di quelle ricchezze alla collettività, attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico. Una prospettiva, questa, di grande significato democratico indicata dalla legge 7 marzo 1996, n. 109, legge unica nel suo genere nel panorama internazionale. Molto importanti sono i valori di questa legge: si indeboliscono in modo essenziale le organizzazioni criminali; si afferma in modo concreto e visibile il principio di legalità proprio nei luoghi in cui la mafia aveva affermato il suo potere; si rende chiaro il falso mito dell'invincibilità delle mafie perché si dimostra che anche le ricchezze della mafia sono colpite dall'azione dello Stato; i beni, poi, costituiscono in concreto una risorsa per il territorio, un'opportunità di sviluppo e di crescita civile. Insomma, attraverso l'attuazione degli obiettivi della legge 109/96 si consolida il rapporto di fiducia dei cittadini nelle istituzioni. L'importanza di questi valori è tale che la scelta della restituzione con l'uso sociale dei beni confiscati è stata estesa, con la finanziaria per il 2007, ai delitti contro la pubblica amministrazione, alle ipotesi di confisca penale ex art. 12 sexies L 306/92 e, da ultimo, anche ai beni sequestrati e congelati alle organizzazioni terroristiche. Ma se, da un lato, l'uso sociale dei beni confiscati diventa in via tendenziale principio generale dell'ordinamento, dall'altro gli strumenti operativi e lo stesso apparato normativo non risultano adeguati alle necessità. Come ognuno sa,dimostrare concretamente che l'affermazione della legalità non è solo espressione della capacità repressiva ma anche strumento di sviluppo, non è cosa facile. L'applicazione della normativa – e nonostante la buona volontà dei soggetti istituzionali a vario titolo competenti nell'attività di gestione dei beni – è apparsa irta di ostacoli e sicuramente parziale rispetto alla complessità della problematica ed ha lasciato irrisolte una lunga serie di criticità, che si sono rivelate un vero e proprio boomerang nei confronti delle istituzioni. Le lacune della legislazione hanno determinato numerose incongruenze nelle prassi applicative della normativa di specie: quel che è apparso evidente è la mancanza, a livello centrale, di una linea direttiva uniforme e coerente, una cabina di regia nazionale che orienti l'azione delle istituzioni verso l'utilizzo effettivo del bene. A tale esigenza ha voluto fare fronte il Governo, nel giugno del 2007, nominando il Commissario straordinario del governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali istituito con il DPR 6.11.2007. Si tratta di un organismo centrale di coordinamento operativo di tutti i soggetti pubblici coinvolti nelle procedure amministrative al fine della corretta gestione, celere destinazione ed effettivo utilizzo dei beni confiscati. Al Commissario è stato attribuito il compito innovativo di promuovere intese con le Autorità giudiziarie, nel pieno rispetto delle loro prerogative di autonomia, al fine di raccordare i procedimenti amministrativi di destinazione con i procedimenti giudiziari e contribuire, sin dalla fase giudiziaria, ad una proficua gestione, anche individuando e mettendo a disposizione dell'Autorità giudiziaria ogni possibile risorsa, attraverso protocolli ed accordi con soggetti pubblici e privati.
Sono proprio le conseguenze di questa liberazione del territorio dalla politica a portare a quella incultura, a quel senso comune intollerante, a quel narcisismo estremo che con insofferenza scopriamo quando questi comportamenti fanno irruzione nei salotti della TV. Ma che succede quando gli stessi comportamenti proiettano sulla strada, invece che alla TV, quel non-sapere istintivo e spontaneo? Si coagulano in culture di strada e in gruppi sociali di diversa natura che sulla strada trovano il loro modo di organizzarsi e le ragioni della loro azione che é, comunque e sempre come accade in Italia, irrorata da una rabbia sociale e anti-istituzionale. Per questo il ‘fare società’ diventa per queste figure sociali una pura astrazione, una proposta di vita astratta lontana dai loro obiettivi non fosse altro perché non permetterebbe, da una parte, quella libertà di movimento che costituisce la posta in gioco di ogni cultura metropolitana e, dall’altra, di salire a quel ruolo di soggetti non sociali ma socialmente forti al quale aspirano. E se non c’é alcuna categoria dell’agire politico, allora c’é l’odio a produrre società, a innescare le rivolte sociali, a scatenare la violenza, a determinare una visione del mondo, a disegnare gli spazi pubblici della metropoli contemporanea.
Il fondamentale compito del coordinamento operativo delle diverse competenze amministrative finalizzato a velocizzare le procedure e favorire l'utilizzo dei beni, è stato perseguito attraverso il Protocollo nazionale sui beni confiscati, uno strumento di concertazione che, su base consensuale, punta a ricondurre i diversi attori all'unità di azione, attraverso un tavolo periodico (che può fungere da conferenza di servizi) sotto la direzione e la responsabilità del Prefetto. Il Protocollo proposto dal Commissario ha innovato – a legislazione invariata – le procedure vigenti ed ha anticipato la riforma introdotta all'unanimità dal Parlamento con la legge n. 94 del 2009 (il cosiddetto pacchetto sicurezza). Nei suoi due anni di vita (2008/2009) l'Ufficio del Commissario(1) ha svolto una costante attività di monitoraggio e di intervento rivolta al complesso dei beni, con il fondamentale concorso delle Prefetture, cosicché, da un lato si è avuta la possibilità di disporre di elementi informativi estesi a tutto il territorio nazionale e dall'altro si è potuto contribuire all'adozione di interventi di correzione, da parte delle prefetture e della stessa Agenzia del Demanio in relazione a situazioni nelle quali l'effettivo utilizzo del bene contrastava con il provvedimento di destinazione a suo tempo adottato. In tale contesto si è anche proceduto a segnalare e incentivare attività di liberazione di beni occupati senza titolo dai proposti o da soggetti a loro collegati. È stata così rivolta attenzione non solo a superare le criticità che impediscono l'utilizzo dei beni formalmente ancora non destinati (dunque in gestione all'Agenzia del Demanio), ma anche di quelli che sono stati formalmente destinati e consegnati ai Comuni, agli Enti Pubblici o alle Amministrazioni statali e che tuttavia, di fatto, non risultano utilizzati. Per la la prima volta, forse, a livello centrale si è guardato, in modo sistematico, alla fase successiva alla destinazione ed alla consegna dei beni, quella dell'utilizzo effettivo. I risultati raggiunti sono molto incoraggianti. Considerando che il totale dei beni immobili destinati dall'anno 1992 al 13.07.2009 è pari a n. 5462 immobili e n. 78 aziende, si rileva che: a) in diciotto mesi di vita dell'Ufficio sono stati destinati n. 1468 beni immobili e n. 8 aziende, per un valore complessivo (stimato dall'Agenzia del Demanio) di € 230.363.596,22); b) nei sedici anni precedenti ( dal 1992 al 2007) sono stati complessivamente destinati n. 3994 beni immobili e n. 70 aziende, per una valore complessivo di € 504.801.008,67. Nel periodo di attività del Commissario Straordinario, dunque, l'incremento netto della media annuale delle destinazioni dei beni immobili confiscati è pari al 284% (il numero delle aziende è poco significativo). Pertanto il valore totale del destinato in soli diciotto mesi (230 milioni di euro) è pari quasi alla metà del valore complessivo del valore dei beni destinati nella gestione dei sedici anni precedenti (500 milioni).
Dunque i dati sulla velocizzazione delle procedure appaiono del tutto soddisfacenti (come rende ben evidente il grafico) ma è chiaro che non basta, burocraticamente, destinare i beni. L'azione è stata altresì diretta ad assicurare l'effettivo utilizzo dei possessi (nei limiti dei poteri e delle risorse dell'Ufficio). Non sempre, infatti, alla destinazione segue la consegna reale, condicio necessaria per avviare l'utilizzo concreto del bene immobile da parte del destinatario e anche dopo la consegna i beni assegnati ai comuni restano inutilizzati. A tal proposito l'Ufficio del Commissario ha svolto una indagine, la prima nel suo genere, mirata ad accertare l'effettivo utilizzo dei beni confiscati consegnati ai Comuni. Molto preoccupanti i risultati del monitoraggio: sui complessivi 3.796 beni consegnati ai 480 comuni assegnatari, si è avuta risposta relativamente a 3.141 beni (362 Comuni): dunque il dato è statisticamente molto attendibile. Ebbene, su 3.141 beni immobili, 1.489 beni (47,41%) sono effettivamente utilizzati, mentre i restanti 1.652 (52,59%) risultano inutilizzati per gravi criticità (beni inagibili, confische pro quota, pendenze giudiziarie civili o penali, mancanza di risorse, ipoteche). Le principali cause del mancato utilizzo, sulle quali si è diretta l'azione del Commissario, sono dunque: a) le occupazioni abusive. L'attività dell'Ufficio di monitoraggio e impulso è stata diretta alla liberazione dei beni dalle occupazioni abusive, spesso dagli stessi mafiosi: proprio a queste ultime si è data la priorità nel Piano di azione avviato presso le Prefetture con risultati significativi: nel periodo del mandato del Commissario sono stati liberati in totale n. 295 beni immobili abusivamente occupati. b) I beni gravati da ipoteca. Oltre la metà dei beni immobili già in gestione al Demanio è gravata da ipoteche. Molti beni , specie in passato, sono stati consegnati ai Comuni dal demanio con questa e/o altre criticità. Per tutelare i beni confiscati dalle azioni esecutive promosse in sede civile dai creditori ipotecari (istituti bancari o società di factoring) onde impedire che, spesso a prezzo vile, i beni ritornino nella disponibilità dei proposti che li acquistano alle aste giudiziarie, il Commissario, ha elaborato una direttiva indirizzata ai prefetti (2). Questi ultimi hanno provveduto ad interessare i sindaci nei cui Comuni insistono beni confiscati ipotecati sottoposti ad esecuzione immobiliare, al fine di avviare concrete iniziative giudiziarie di tutela assicurando ogni ulteriore attività di collaborazione dell'Ufficio ( quei Comuni, infatti, non godono del patrocinio dell'Avvocatura erariale). Tale iniziativa è stata già sperimentata da questo Commissario Straordinario a Palermo, relativamente alla tenuta agricola confiscata al noto capomafia Michele Greco, detto il papa, nel Comune di Polizzi Generosa. Il carattere generale del tema richiede tuttavia iniziative di sistema per reperire le risorse finanziarie necessarie per le transazioni con i creditori ipotecari dei quali sia stata accertata la buona fede. A tal riguardo l'Ufficio ha promosso le iniziative indicate nel punto seguente, in particolare presso le Regioni. c) La carenza di risorse finanziarie. La mancanza di risorse finanziarie da destinare alla ristrutturazione e alla riconversione dei beni (normalmente vandalizzati prima del rilascio) è un'altra – la fondamentale – causa di non utilizzo dei beni. È stata avviata un'attività di ricerca di ulteriori e diverse fonti di finanziamento regionali per progetti di riutilizzo dei beni confiscati, coinvolgendo le Regioni, attraverso intese e protocolli con le Regioni Lombardia (finanziamento di 4 milioni di euro nel biennio per transazioni con creditori ipotecari di buona fede e contributi per riconversioni), Lazio (stanziamento di 7 milioni nel triennio e legge istitutiva di un'agenzia regionale). Per le Regioni dell'Obiettivo Convergenza (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) si è fatto riferimento,inoltre, alle risorse del Programma Operativo Nazionale PON Sicurezza, Obiettivo operativo 2.5, del quale con scelta lungimirante, L'Autorità di Gestione individuò quale Responsabile proprio il Commissario. La linea di finanziamento per la riconversione/ristrutturazione di beni confiscati pari a € 91.546.293 ha costituito, dunque, la dotazione finanziaria direttamente utilizzata per importanti progetti di riutilizzo a fini sociali istituzionali. In particolare, il Commissario, a seguito di una richiesta avanzata alla Commissione Europea – Direzione Generale Politiche Regionali – ha ottenuto la possibilità di finanziare con i fondi del PON Sicurezza – Obiettivo 2.5. un intervento, per ogni Regione Obiettivo Convergenza, finalizzato alla ristrutturazione di presidi di Polizia fino ad allora non ammessi a contributi europei. Sono state avviate, inoltre, concrete iniziative con le Regioni: Sicilia Puglia. (Bando "Libera il bene" che prevede l'assegnazione di 20 milioni di € dalle risorse del POR Puglia nella programmazione 2007/2013). Campania (in attuazione del Protocollo Don Peppe Diana, sottoscritto dal Commissario con il Ministro dell'Interno on. Roberto Maroni e con il Presidente della Regione Antonio Bassolino sono in corso di definizione una serie di progetti che potranno attingere alle (limitate) risorse della specifica legge regionale 23/03, ai fondi del P. O. Nazionale sicurezza ed eventualmente anche ai fondi FAS che la Regione Campania ha previsto, circa 25 milioni di euro, sul proprio Programma Attuativo Regionale). In Calabria, progetto strategico integrato a regia regionale di finanziamento a fini produttivi dei beni confiscati elaborato, insieme alla Prefettura di Reggio Calabria.
Il D.P.R. istitutivo, (art. 1, lett. d), pone al Commissario straordinario il compito di promuovere intese con le Autorità giudiziarie competenti al fine di raccordare i procedimenti amministrativi di destinazione con i procedimenti giudiziari limitatamente alla fase del sequestro e della confisca non definitiva dei beni, ed altresì, al fine di ricomprendere nelle iniziative di cui al punto c) del medesimo D.P.R., i beni medesimi e di porre a disposizione degli organi dell'Amministrazione giudiziaria ogni risorsa onde assicurare una proficua gestione economica dei beni, nel rispetto di ogni prerogativa dell'Autorità giudiziaria. È un compito innovativo, particolarmente qualificante del rilievo istituzionale del commissario, abilitato da una norma ad una interlocuzione avente ad oggetto scelte processuali relative ai beni in sequestro. Il raccordo. Al fine di velocizzare il flusso delle comunicazioni relative alle confische definitive, l'Ufficio, secondo quanto previsto dall'art. 1 del DPR istitutivo, ha definito un accordo tecnico con il Ministero della Giustizia (26.03.2008) per l'accesso alla banca dati "SIPPI" (sistema informativo Procure e Prefetture cui partecipa anche l'Agenzia del Demanio), ha stipulato il relativo protocollo il 17 settembre 2009, ha ottenuto la collaborazione della Corte Suprema di Cassazione (circolare dell'8.05.2008 e nuovi modelli di comunicazione definiti d'intesa) ed ha sottoscritto una convenzione con la D.N.A. (9.04.2008) per lo scambio di informazioni ed ha anche avuto due incontri, il 21.05.2008 con i Presidenti delle Sezioni Misure di Prevenzione ed il 27.05.2008 con i Procuratori della Repubblica per l'art. 12 sexies L. 356/1992. Con la circolare anzidetta, il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha impartito nuove direttive alle cancellerie penali, disponendo altresì l'invio all'Ufficio del Commissario dei decreti e delle sentenze di primo e secondo grado, nonché la sentenza della Cassazione. Si è poi dato corso, d'intesa con il Primo Presidente della Suprema Corte, all'aggiornamento delle modalità di comunicazione dei provvedimenti definitivi di confisca , dopo le leggi del 2008 e 2009. Infine, il Ministero della Giustizia accogliendo le sollecitazioni dell'Ufficio del Commissario ha emanato, in data 17 febbraio 2010 una circolare sugli adempimenti successivi alla confisca (reperibile sul sito www.beniconfiscati.gov.it) finalizzata a velocizzare il passaggio dalla fase giudiziaria a quella amministrativa. Il sostegno alla gestione proficua dei beni e delle aziende nella fase giudiziaria. Questo ambito di competenze del Commissario è stato sviluppato con iniziative di collaborazione attivate per sostenere una proficua gestione delle aziende sequestrate e confiscate, sia con il DISET, (Dipartimento per lo sviluppo delle economie territoriali della Presidenza del Consiglio dei ministri) con il quale è stata conclusa un'attività di ricerca sullo stato e le condizioni di gestione delle società di capitali confiscate, con l'individuazione anche di alcune proposte normative ed organizzative sia con INVITALIA, (società interamente partecipata dal Ministero dello sviluppo economico) per l'individuazione in modalità di supporto alla gestione fin dalla fase del sequestro, in collaborazione con i Tribunali della prevenzione di Palermo e Reggio Calabria. In tali casi la realizzazione di modalità di gestione idonea a consentire all'impresa confiscata di entrare pienamente in un circuito legale, si riflette a vario titolo sui vari soggetti coinvolti dal procedimento di confisca e si risolve in una oggettiva tutela anche delle loro posizioni giuridiche (fornitori dell'impresa, lavoratori occupati). In particolare, l'ufficio del Commissario straordinario del Governo, a seguito della sottoscrizione del Protocollo di collaborazione con il Dipartimento per lo Sviluppo delle Economie Territoriali della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 6 marzo 2008, ha proceduto all'analisi delle problematiche connesse alla gestione delle aziende in sequestro ai sensi della L. 575/1965, per le quali, secondo i dati disponibili, si evidenzia che solo il 6% circa delle stesse perviene nella disponibilità dello Stato con capacità operative. L'analisi effettuata è stata circoscritta alle società di capitali sequestrate ai sensi della L. 575/1965, nel rispetto delle disposizioni a tutela dei dati personali e delle norme processuali, non essendo ancora esaurita la fase giurisdizionale con un provvedimento definitivo di confisca (o di restituzione dei beni). La limitazione dell'indagine alle società di capitali discende dalla possibilità di effettivo confronto di dati contabili sulla base di bilanci redatti con criteri uniformi ed è stata indirizzata alle aziende in sequestro (e non a quelle già confiscate) al fine di individuare le criticità nella fase "iniziale" del percorso giudiziario che si conclude nella confisca. Con il fondamentale apporto tecnico-scientifico del DISET, si è proceduto ad inviare a tutti gli uffici giudiziari competenti in materia di misure di prevenzione un questionario rivolto, per il tramite del Giudice Delegato, agli Amministratori Giudiziari di società di capitali ancora in fase di sequestro. I quesiti proposti hanno riguardato in particolare la situazione economico-patrimoniale e finanziaria delle aziende dalla data di sequestro al 31 dicembre 2007, l'assetto organizzativo e le problematiche connesse ai rapporti di lavoro, le specificità connesse al settore di impresa e ai rapporti commerciali e del credito. In base all'analisi delle risposte sono state effettuate interviste ad alcuni amministratori giudiziari dirette alla migliore comprensione dei dati, all'evidenziazione delle principali criticità riscontrate dagli stessi e al confronto su proposte di iniziative di correzione e intervento su tali criticità. I risultati complessivi dell'analisi, elaborati dal DISET, hanno permesso di rilevare che: - settori di attività prevalenti sono circoscritti a ristrette tipologie di attività commerciali e di servizi (edilizia e terzo settore); - nel periodo intercorrente dalla data del sequestro all'ultimo bilancio approvato, risulta in genere una consistente riduzione del fatturato, cui si accompagna la riduzione del totale delle attività e del patrimonio netto; - il numero di occupati, nella fase di sequestro, non appare nel complesso subire modifiche, malgrado la variazione negativa degli output produttivi; - le scelte operate dagli amministratori giudiziari risultano generalmente motivate dall'obiettivo di mantenimento dei livelli occupazionali; - la maggior parte delle aziende in sequestro sono localizzate al Sud d'Italia. In dettaglio si riportano le specifiche problematiche emerse e le possibili soluzioni che possono essere valutate per definire utili e validi strumenti e modelli operativi finalizzati a creare un sistema adeguato di governance delle aziende in sequestro: 1. Tensioni di liquidità. I creditori e in particolare gli istituti bancari, a seguito del provvedimento di sequestro, tendono a perdere fiducia nelle potenzialità di durata e di competitività economica delle stesse aziende e riducono gli apporti finanziari e il credito erogabile. Si ritiene proponibile l'istituzione, con apposita previsione normativa, di fondo rotativo, al quale possano accedere gli amministratori giudiziari delle aziende sottoposte a sequestro per poter sopperire alla temporanea tensione di liquidità. La norma dovrebbe disciplinare la fase istruttoria di accesso al fondo, anche attraverso pareri vincolanti di soggetti terzi, nonché stabilire i termini massimi di rimborso dei finanziamenti erogati al fine di assicurare e programmare la possibilità di alimentare altre richieste di prestito. L'istituzione di un fondo rotativo non comporterebbe oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato, potrebbe avvenire attraverso la stipula di convenzioni con una o più aziende di credito, che vedrebbero garantiti i propri crediti da apposite fideiussioni. 2. Gestione delle risorse umane. La gestione degli amministratori giudiziari è tesa ad evitare il più possibile, riduzioni occupazionali anche in presenza di contrazioni marcate degli output produttivi. In tal modo si è riscontrato che anche nei casi di crisi aziendale dovuta sia alle vicende giudiziarie che alla riduzione delle attività di mercato, al momento della chiusura l'entità degli occupati non si discosta molto da quella riscontrata al momento del sequestro. Si propone di predisporre piani di comunicazione circa le possibilità di ricorso ai cd. "ammortizzatori in deroga", anche attraverso la rete degli uffici del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e dell'INPS, così come potrebbe essere apprezzata l'introduzione di strumenti premiali in favore della emersione da lavoro irregolare. 3. Criticità connesse agli adempimenti di natura amministrativa e contabile nella fase di immissione in possesso dei beni aziendali e nel successivo breve periodo. In tale fase iniziale gli amministratori giudiziari sono in genere particolarmente impegnati nel comprendere la reale consistenza dei beni aziendali, le caratteristiche gestionali dell'azienda e quali azioni di intervento formulare al Tribunale, a specifico vantaggio della continuità dell'attività imprenditoriale. Tali difficoltà potrebbero essere superate attraverso l'emanazione di specifiche disposizioni legislative che prevedano una sospensione temporanea delle scadenze di natura amministrativa successivamente alla notifica del decreto di sequestro. Tale sospensione potrebbe, altresì, operare in maniera automatica (al verificarsi delle condizioni previste dalle norme, ad esempio a decorrere dalla data di iscrizione del sequestro sui libri societari dell'azienda), ovvero in maniera facoltativa a richiesta dell'Amministratore Giudiziario ai rispettivi Uffici di competenza per gli adempimenti. Le difficoltà riscontrate dagli Amministratori Giudiziari all'atto dell'immissione in possesso, oltre che con la richiamata sospensione dei termini degli adempimenti, potrebbero essere superate attraverso la istituzione di "tavoli territoriali", composti dagli stessi Amministratori Giudiziari e rappresentanti di vertice delle diverse Amministrazioni pubbliche presenti sul territorio (INPS, Agenzie fiscali, Comune, Provincia, Regione, Ministeri, etc.). La finalità di questi tavoli sarebbe quella di risolvere questioni particolarmente complicate che prevedono il coinvolgimento di numerose Amministrazioni pubbliche e che necessitano di condivisi percorsi (gestionali e amministrativi) e del loro costante monitoraggio. Trattandosi di un intervento per il quale non necessiterebbe l'emanazione di una norma specifica, i citati "tavoli territoriali" potrebbero rientrare nelle competenze e nell'ambito dei poteri attribuiti ai prefetti, quali Autorità locali di Governo. Tale attività di coordinamento permetterebbe di rafforzare e migliorare i meccanismi di collaborazione tra uffici pubblici e amministrazioni giudiziarie. Si tratterebbe, altresì, di un'azione senza oneri per lo Stato che potrebbe contribuire ad agevolare il lavoro degli Amministratori Giudiziari. Ulteriore contributo al possibile mantenimento delle attività aziendali, anch'esso senza ulteriori aggravi per il bilancio pubblico, potrà derivare: - da una sensibilizzazione istituzionale – sia a livello centrale che a livello locale – delle diverse categorie di imprese operanti nei settori dei servizi reali (revisione e certificazione, check-up aziendali, consulenze di marketing, etc.) affinché offrano la loro qualificante opera a prezzi concordati e comunque maggiormente competitivi; - dall'incentivazione di reti di associazioni di categoria aventi lo scopo principale di informare i potenziali stakeholder sulle caratteristiche dei prodotti delle aziende sequestrate e sull'importanza di evitare possibili ritrosie negli acquisti anche in ragione degli aspetti occupazionali. La positiva esperienza dell'Ufficio Commissario prosegue ora, in uno scenario del tutto differente quanto a poteri e quadro normativo di riferimento, con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, istituita con la legge L. 31 marzo 2010, n. 50 che ha convertito, con significative modifiche, il decreto Legge 4 febbraio 2010 n.4. L'istituzione di un'Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità, che subentra nei rapporti giuridici attivati dall'ufficio del Commissario, risponde all'esigenza unanimemente avvertita di razionalizzare il sistema e dotare l'ordinamento di un soggetto giuridico capace di farsi carico, nel delicato settore del contrasto patrimoniale alle organizzazioni criminali e di stampo mafioso, della necessità di assicurare la proficua gestione e la restituzione delle ricchezze sottratte alla criminalità, attraverso il loro effettivo, rapido riutilizzo sociale e istituzionale. Le numerose problematiche sollevate nel corso del dibattito parlamentare per la conversione del decreto legge n.4/2010 – e nelle prime occasioni di riflessione sulla riforma – pongono la necessità di un tempestivo rafforzamento dell'Agenzia Nazionale sul piano della dotazione organica, finanziaria e della strutturazione territoriale. Le impegnative competenze di amministrazione e destinazione oggi assegnate all'Agenzia, richiedono strumenti e risorse adeguate. Ma, soprattutto, occorre completare il disegno del nuovo soggetto prevedendone un ruolo da protagonista nella fase dell'utilizzo dei beni e delle aziende, ad esempio attraverso la creazione di un fondo alimentato con parte delle risorse provenienti dagli stessi beni confiscati. Per modo che l'Agenzia possa sostenere la riconversione e l'effettivo utilizzo dei beni e delle imprese permettendo al comparto di produrre "ricchezza", economica e sociale. Alberto CISTERNA
Quando nel dicembre del 2006 le Sezioni unite della Corte di cassazione esaminarono il ricorso proposto avverso un decreto di confisca emesso dal tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, erano trascorsi 11 anni da quella prima decisione ed ancora la battaglia giudiziaria non si era conclusa. Anzi la decisione della Corte di legittimità riapriva ulteriormente la partita rimettendo il fascicolo ai giudici di merito per un'ulteriore valutazione. Se non mi fosse toccato in sorte, 11 anni prima per l'appunto, di presiedere quel collegio di prime cure e di motivare il decreto di confisca, probabilmente la sentenza della Cassazione non si sarebbe impressa nella mia memoria in modo così durevole. Eppure si trattava di beni di scarso valore, sperduti tra i vicoli diroccati di un piccolo paese dell'entroterra calabrese; nulla che potesse giustificare le ingenti spese giudiziarie sostenute dalle parti che avevano subito la confisca e davano battaglia per l'ennesima volta in Cassazione. Sia consentito dire che non c'era alcuna proporzione tra l'ingente ammontare delle spese in avvocati e patrocinatori sostenute dai titolari di quei beni e il danno economico inflitto da quella confisca cui ci si voleva sottrarre. La battaglia giudiziaria, a prescindere da ogni valutazione di merito, è divenuta a miei occhi la metafora di quanto sia rilevante l'impatto dell'attività di contrasto che lo Stato ha concentrato sui patrimoni di mafia. Non importa che si tratti di decine di immobili e di aziende con fatturati milionari o di piccoli cespiti allocati in anfratti sperduti, poiché in gioco è l'epifania del potere mafioso, la simbologia dell'intangibilità delle cosche mafiose da salvaguardare ad ogni costo. Gli uomini delle 'ndrine o della mafia e della camorra hanno piena consapevolezza che se lo Stato sottrae loro i simboli visibili del loro potere è lo stesso prestigio ad essere incrinato e vulnerato nelle collettività meridionali, è l'immagine di impunità che si sono faticosamente costruiti in anni di spietato delinquere ad entrare in fibrillazione.
Il discorso a questo punto merita una precisazione: esistono due differenti dimensioni del contrasto ai patrimoni di mafia. Uno riguarda la struttura imprenditoriale delle organizzazioni mafiose, la loro capacità di infiltrare settori vitali dell'economia, di riciclare gli ingenti profitti delle attività illegali creando schermi e congegni sempre più sofisticati di mediazione economica tra l'area "nera" dei delitti e quella "grigia" delle allocazioni legali. L'altro prende in considerazione la simbologia mafiosa, è – per intenderci – la casa di Gaetano Badalamenti assegnata alla cooperativa intestata a Peppino Impastato. Si tratta di un'operazione parimenti rilevante e d'imponente rilievo sociale. Spesso le popolazioni vessate dalle mafie percepiscono il dato immediato della confisca dei beni che sul territorio rappresentano più o meno visibilmente il potere dei boss e dei loro affiliati. Sottrarre una villa o un supermercato o un distributore di benzina, può apparire un'operazione di scarso rilievo nella "contabilità" pubblica dei sequestri e delle confische tenuta dagli investigatori, ma ha un enorme peso nelle comunità che colgono la valenza simbolica di quell'ablazione e della successiva destinazione sociale del bene. È questo un aspetto che, a decorrere dal 1996 e per merito dell'associazionismo antimafia, ha fortemente connotato la legislazione in tema di assegnazione e di destinazione dei beni confiscati. La legge 50/2010, istitutiva dell'Agenzia nazionale per i patrimoni mafiosi, accentua questo aspetto segnalando che l'effetto risarcitorio per le collettività locali delle destinazioni dei beni confiscati rappresenta un aspetto saliente della sconfitta d'immagine che occorre infliggere alle cosche, per sminuirne il prestigio ed il potere. Quindi ben vengano i processi orientati a bonificare i contesti sociali del Mezzogiorno dalla presenza ingombrante dei patrimoni mafiosi, fermo restando che l'aggressione al capitalismo mafioso che inquina i grandi mercati e le risorse finanziarie del Paese è una priorità parimenti rilevante che si muove con obiettivi e orizzonti diversi da quelli di cui si discute.
Mi preme molto mettere in risalto i tratti distintivi di queste congiunte e contestuali attività investigative, poiché esse puntano a conseguire risultati tutto sommato diversi e diversamente "misurabili". Mentre le indagini "di scenario" mirano a destrutturare le neoaccumulazioni mafiose e a svelare l'area delle pericolose contiguità economiche ed istituzionali, le investigazioni "di bonifica" tendono a sfregiare il potere mafioso nei suoi santuari, a incrinare il consenso delle cosche, a violare l'intangibilità dei protettorati mafiosi. Talvolta i beni confiscati sono vere e proprie enclave in territorio nemico, aree in cui coraggiosi operatori sociali svolgono un'azione incisiva nel tentativo di offrire alle comunità servizi di cui non disponevano. La partita è decisiva da questo punto di vista; lo sradicamento delle organizzazioni criminali dai territori in cui operano costituisce, infatti, la premessa indispensabile per la loro sconfitta. I boss (da Provenzano a Tegano, da Lo Piccolo a Schiavone) vivono in modo intenso, talvolta ossessivo e perverso, il rapporto con le zone ad essi soggette; nei momenti di difficoltà, come nelle lunghe latitanze, è il territorio d'influenza ad esercitare un insostituibile ruolo di protezione e appoggio. Ed è su quel territorio che bisogna incidere con confische se si vuole indirizzate anche verso cespiti di scarso valore, ma comunque capaci di mettere in discussione la "forza intimidatrice" (art.416-bis Cp) delle famiglie mafiose.
Da questo punto di vista la delega che si intende conferire al Governo nell'ambito del Piano straordinario antimafia, approvato all'unanimità alla Camera e in scrutinio al Senato, per modificare la legislazione sulle misure di prevenzione, anche alla luce della costituzione della menzionata Agenzia nazionale, costituisce un'occasione importante per rimodulare le attività di destinazione dei beni confiscati a secondo del valore aggiunto che si deve loro riconoscere nei termini ora ricordati. Si rende, forse, necessario un supplemento di normazione al fine di poter intervenire con maggiore efficacia sui patrimoni sottratti alle cosche nei loro territori, mettendo a disposizione degli enti locali e delle associazioni tutte le risorse economiche indispensabili per assicurarne la piena riconversione sociale. In fondo si dovrebbe tracciare una linea di demarcazione tra le risorse fluide del capitalismo mafioso transnazionale e le fortezze mafiose del Sud d'Italia, aiutando le piccole comunità e i quartieri vessati dalle cosche a risorgere ed a insorgere. Luciano SCALETTARI
È una fase cruciale, quella attuale, per la questione dei beni sequestrati alle mafie. La nuova Agenzia nazionale – che dovrà gestire le proprietà e le aziende bloccate dalla magistratura alla criminalità organizzata dal momento del sequestro fino all'assegnazione – è stata istituita da pochi mesi (nel gennaio 2010). Dopo il primo annuncio che la collocava a Reggio Calabria, il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha chiarito che l'organismo avrà altre sedi a Palermo, Napoli, Roma, Milano. Ma la sua struttura è ancora in fieri: uomini e mezzi sono ancora in fase di definizione e di organizzazione. Inoltre, questo periodo di transizione viene dopo ben due cambiamenti di "gestione", avvenuti in poco più di un anno: prima i beni confiscati venivano gestiti dall'Agenzia del Demanio; poi la responsabilità è passata alle prefetture; ora, infine, alla neonata "Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità". Quindi, due passaggi di mano, due trasferimenti di competenze che necessitano ora di un riordino della situazione e di una rapida messa a regime della neonata realtà di gestione. Si apre, quindi, una fase nuova, che eredita i 14 anni di storia, di risultati raggiunti e successi conseguiti, ma anche di difficoltà e nodi da sciogliere in relazione ai meccanismi e ai tempi di assegnazione, come pure alle questioni giuridico-legislative rimaste aperte.
Momento delicato, quindi: i magistrati in prima linea nella lotta alla mafia continuano a ripetere che l'efficacia dell'azione repressiva nei confronti del fenomeno mafioso dipende in misura non trascurabile dalla possibilità di colpire il potere mafioso nel suo "cuore" economico, di cui la sottrazione dei beni e il riutilizzo sociale sono una parte rilevante. È in questo ambito che si colloca la legge 109/96, quella appunto che stabilisce le norme per la confisca, la gestione e la ri-assegnazione dei beni tolti alle mafie. Una legge fortemente sostenuta da Libera, la rete di associazioni contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti, che costituì un importante risultato della mobilitazione della società civile italiana: fu raccolto un milione di firme che portò, 14 anni fa, alla legge. Quella stessa società civile ha a lungo invocato la creazione dell'Agenzia nazionale, che ora sta diventando realtà.Il nodo centrale, ora, è vedere se la nuova istituzione sarà in grado di risolvere le criticità che si sono evidenziate in questi anni. "Nonostante i problemi, vi sono molti frutti importanti nati dalla ri-assegnazione dei beni mafiosi alla collettività sociale", sottolinea Lorenzo Frigerio, responsabile di Libera Lombardia e coordinatore di Libera Informazione. A proposito della messa in vendita dei beni sequestrati, progetto in gran parte rientrato e rimasto in piedi come ipotesi residuale della rassegnazione, Frigerio sottolinea l'alto rischio che, tramite prestanome o forme di aggiramento dei controlli, i clan mafiosi possano tornare in possesso dei beni che sono stati loro sequestrati. "Va sviluppata, invece, anche con nuovi strumenti di sostegno e accompagnamento, la filosofia portata avanti finora della restituzione alla comunità di quei beni", continua Frigerio. "Non solo per il valore simbolico, peraltro fortissimo, ma anche perché la formazione di cooperative sociali e di lavoro, consorzi, comitati di gestione, come si è visto in questi anni, è un volano che crea lavoro e un tessuto di economia sana su un bene nato da un'economia malata".
Ma qual è innanzitutto la fotografia della situazione, in termini di dati? Gli ultimi disponibili sono al 31 dicembre 2009, forniti dal Commissario straordinario Antonio Maruccia su dati dell'Agenzia del Demanio. Il totale dei beni immobili confiscati è di 9.198 (per un valore stimato di oltre 600 milioni di euro), di cui 3.096 ancora in gestione al Demanio, 704 destinati ma non consegnati, 5.022 quelli destinati e consegnati (di cui la stragrande maggioranza – 4.370 – trasferita agli enti locali, il resto mantenuta in gestione allo Stato). Quanto alle aziende, in totale ne sono state sequestrate 1.223, delle quali 201 sono in gestione al Demanio, e solo 39 hanno completato l'iter di destinazione alla vendita o all'affitto. Dei beni immobili consegnati ai Comuni (in tutto 3.141), il 47,41 per cento viene utilizzato, il 52,59 per cento ancora no. Va notato che, fra i diversi motivi del mancato utilizzo, il prevalente è la carenza di fondi degli enti locali: circa un terzo dei beni rimane in abbandono per mancanza di risorse o perché in attesa dei finanziamenti. Quanto alle proprietà sequestrate e inutilizzate la relazione del Commissario Maruccia indica le ragioni della mancata destinazione e consegna: il 35,49 per cento è gravato da ipoteche (da parte di banche o società finanziarie), il 23,36 risulta occupato (spesso dagli stessi mafiosi), il 31,08 è bloccato da procedimenti giudiziari in corso. I nodi critici, quindi, non sono pochi né semplici da sciogliere. Anche sotto questo aspetto non può sfuggire – oltre al danno in termini economici e sociali alla collettività – la valenza simbolica del mancato utilizzo: da parte della criminalità organizzata è sempre stata la forte volontà intimidatoria affinché fosse evidente il principio secondo cui "o lo usiamo noi, o non lo deve utilizzare nessuno". In base ai dati 2009 del Commissario Maruccia i tempi richiesti per l'assegnazione dei beni già destinati è stato di circa 5 anni e mezzo. I tempi di attesa di quelli non ancora destinati di oltre 6 anni. Merita di riportare quanto ha dichiarato don Luigi Ciotti nel gennaio scorso, proprio all'indomani dell'annuncio da parte del ministro Maroni dell'istituzione dell'Agenzia nazionale sui beni confiscati: l'organismo, aveva detto il presidente di Libera, nasce "per rendere più efficace, veloce e incisiva la legge sulla confisca dei beni". "Un'Agenzia", ha aggiunto, "che deve accorciare i tempi e ridare ordine a tutta questa materia". Don Ciotti poi propone: "deve essere accompagnata da ulteriori provvedimenti come un testo unico in materia della confisca dei beni; il rafforzamento degli strumenti per le indagini patrimoniali e non ultimo, che venga data concreta attuazione a quella norma approvata nella Finanziaria del 2006 che prevede la confisca dei beni ai corrotti e il loro riutilizzo ai fini sociali. Ci sono ancora tante criticità e interrogativi che aspettano delle risposte: il 36 per cento dei beni confiscati alla criminalità organizzata è sotto l'ipoteca delle banche e il 30 per cento è occupato dagli stessi mafiosi o da loro prestanome, così come la difficoltà di stare sul mercato delle aziende confiscate, la maggior parte delle quali sono rimaste chiuse e fallite. Speriamo che l'Agenzia sia capace di dare risposte a questi interrogativi". Sulla questione delle ipoteche bancarie si sofferma anche Lorenzo Frigerio, il coordinatore di Libera Lombardia: "Ci chiediamo", dice, "come sia possibile che i mafiosi o i loro prestanome siano riusciti a ottenere dagli istituti bancari questi mutui e finanziamenti. Credo sia urgente che ci si sieda attorno a un tavolo per trovare una soluzione normativa. Anche perché il problema nuoce a tutti: alle banche perché comunque il bene rimane bloccato e il credito inesigibile; alla collettività perché non vi può essere la riassegnazione e l'utilizzo sociale del bene immobile. Questa è una delle priorità, secondo noi, dell'Agenzia, sulla quale si deve trovare una via per snellire e sveltire le procedure di sblocco".
In conclusione, occorre dare uno sguardo a quella "strada maestra" che don Ciotti indica per la restituzione alla collettività dei beni sequestrati alla mafia. Nel febbraio di quest'anno è stato pubblicato, da parte dell'Agenzia per le Onlus in collaborazione con Libera Informazione, uno studio intitolato "Beni confiscati alle mafie: il potere dei segni. Viaggio nel paese reale tra riutilizzo sociale, impegno e responsabilità", che prende in esame 116 diverse realtà nate dalla riassegnazione dei beni sequestrati. È interessante la valutazione finale di queste "buone pratiche": "È evidente", sottolinea la ricerca, "il ruolo propulsivo di associazioni, cooperative e fondazioni – il cosiddetto "terzo settore" – le cui quote riaggregate rappresentano il 73,3% totale. Il quadro è completato da enti, istituzioni e consorzi, che con un 26,7% complessivo forniscono un'immagine confortante circa l'impegno da parte del settore pubblico e delle istituzioni". Chi ha beneficiato di questi beni? "Il 21,7% viene invece utilizzato per azioni di Contrasto al disagio sociale", specifica lo studio, tra cui "le esperienze di intervento diretto al contrasto di molteplici forme di disagio: minori e famiglie svantaggiate, tossicodipendenti, anziani". Ecco poi le altre tipologie di utilizzo dei beni: "Promozione culturale/Aggregazione (spazi adibiti a laboratori artistico-espressivi, alla produzione culturale, luoghi di incontro e sport), Pubblica utilità (beni usati da enti e istituzioni), Educazione alla Cittadinanza, Inserimento lavorativo, Produzione/Sviluppo territorio, Volontariato/Terzo settore (le strutture sono a diretto beneficio delle realtà associative per uso uffici o per attività prevalentemente interne), Integrazione delle disabilità, Integrazione interetnica, Sostegno imprenditoria", tra cui servizi di assistenza a commercianti vittima di estorsioni. Insomma, conclude l'analisi dell'Agenzia per le Onlus, "nel 37,7 per cento delle esperienze analizzate le attività di uso sociale sono destinate alla cittadinanza nella sua totalità. Si tratta di un segnale significativo, dal valore non solo simbolico ma anche di trasformazione reale delle condizioni di vita delle persone che trovano spazio e voce negli spazi liberati dall'oppressione mafiosa. Le categorie più specifiche sono: Disabili psico-fisici (21,1% delle realtà), Infanzia e adolescenza (14%), Giovani (14%), Minori a rischio di esclusione sociale (11,4%)".
Il significato di questa ricerca lo sintetizza lo stesso Stefano Zamagni, economista e presidente dell'Agenzia per le Onlus: "Uno, dieci, cento passi di legalità. Tante sono le buone pratiche presentate in questa ricerca". Un messaggio, aggiunge Zamagni, "dell'impegno e dell'intelligenza profusi dai soggetti del Terzo Settore nel dare concreta applicazione alla legge 109/1996". Gli fa eco il Commissario Maruccia che interviene anche in questo forum: "I risultati raggiunti", scrive, "dimostrano che quando le istituzioni e la società civile si muovono con lo stesso passo è possibile liberarsi dall'opprimente presenza della criminalità. Le esperienze descritte mostrano come sia stato possibile sviluppare una sana occupazione e servizi per il territorio mediante il riuso dei beni confiscati e che tali fruttuosi esempi rappresentano un moltiplicatore di fiducia per i cittadini e, in particolare, per i giovani. La trasformazione dei beni serviti a rafforzare la criminalità organizzata in attività gestite da giovani e da associazioni che si ripropongono finalità sociali o di pubblico interesse, ristabilisce quel clima di fiducia nelle istituzioni alla base del progresso e dello sviluppo di una società libera che vuole crescere nel più assoluto rispetto della legalità". "Il compito di tutti noi, istituzioni e società civile", conclude Maruccia, "è quello di evitare il depauperamento delle ricchezze confiscate alle mafie". Questo, ora, il compito. E la scommessa su cui si gioca la credibilità e l'efficacia della nuova Agenzia Nazionale.
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(1) Si rinvia , per la completa disamina dei compiti, delle attività e dei risultati del Commissario Straordinario, alle relazioni annuali del 2008 e del 2009 reperibili sul sito www.beniconfiscati.gov.it
(2) Nella Relazione Annuale 2009 al tema delle ipoteche sui ben confiscati dell'accertamento della buona fede e della tutela dei terzi è dedicato uno specifico approfondimento cui si rinvia. |