GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2010
L’archiviazione informatica dei dati

Il ‘paper trail’ nella lotta al riciclaggio


Ranieri Razzante


Il dibattito circa l’utilità e l’attualità dei presidi che il nostro ordinamento pone a tutela e prevenzione del riciclaggio di denaro sporco è sempre vivo e solleticante. Come per ogni reato, anche per l’immissione nel circuito dell’economia legale di ricchezze illecitamente accumulate ci si deve misurare, più che con coloro che ne sono rei o partecipi, con le valutazioni sulla giustezza della pena, sull’efficacia dei mezzi di repressione, delle strategie di contrasto, delle risorse a vario titolo messe in campo. È vero poi, anzi è indubbio, che le esigenze di “prevenzione” debbano prevalere su quelle repressive, perché a far prima si spende indubbiamente meno e si conseguono tendenzialmente più risultati. Così come è vero che stringendo le maglie delle misure preventive si possono conseguire, ceteris paribus, successi sempre crescenti; ma non è detto che il rapporto costo-beneficio dell’azione sia sempre conveniente, soprattutto se gli effetti delle norme di presidio portano a “congestioni” di adempimenti per i soggetti interposti, oltre che, ovviamente, per quelli addetti alla sicurezza ed alla vigilanza. I reati finanziari, un po’ come quelli tributari (1) , portano con loro queste considerazioni “metagiuridiche”, legate poi alla politica del diritto in maniera sottile e, a volte, “biunivoca” (2) . Purtroppo, essi coinvolgono spesso in discussioni e polemiche, in verità fuorvianti e sterili, circa la riuscita dell’opera di repressione dello Stato, quasi che i numeri possano dare, da soli, contezza dell’efficacia delle leggi (3) e di quell’opera delle Forze dell’ordine che, soprattutto negli ultimi dieci anni, è inconfutabilmente virtuosa nella lotta al crimine organizzato, il quale si alimenta – come noto – con atti illeciti della specie che qui ci occupa. I reati finanziari, propri dei “colletti bianchi” (4) , sono il genus ormai riconosciuto come quello nel quale si alternano e mescolano l’insider trading e l’usura, il riciclaggio e il market abuse (5) , l’abusivismo bancario e finanziario con le manipolazioni del mercato. Ma se questo è il lato “pubblicistico” della vicenda, ve n’è uno più propriamente “aziendalistico”, se possibile più ampio e trasversale alle diverse discipline di studio e legislative. In più sedi e da anni si è sostenuto, a livello internazionale con maggiore consapevolezza, che la vigilanza sul sistema finanziario, aggiungiamo sulle “imprese finanziarie”, serva da deterrente non solo contro le inefficienze allocative e le asimmetrie informative che producono tradimento del risparmio (6) , ma anche (se non soprattutto) nei confronti del crimine finanziario.

(Foto da www.ecl-ips.com/images/datacentre3.jpg)




La “catena del valore” degli obblighi antiriciclaggio

La normativa contro il riciclaggio, quella di prevenzione, si intende, crea due tipi di soggetti attivi, impegnati sullo stesso terreno ma da angoli visuali (solo apparentemente) opposti, che poi – come si dirà più avanti – tendono alla complementarietà:
- da un lato, le Autorità, anche di vigilanza sui mercati e sulle attività finanziarie, preposte alla delineazione di regole di condotta e di procedimenti sanzionatori per l’inottemperanza alle norme di comportamento in materia (7) ;
- dall’altro, i “soggetti obbligati” (per usare una definizione comune, anche se riduttiva e, a tratti, fuorviante (8) ), ossia quelli finanziari e non, che gli artt. dal 10 al 14 del decreto 231 enumerano come quelli che sono destinatari delle adempienze in subiecta materia.
È qui la ratio delle direttive comunitarie, dei provvedimenti statuali, delle Convenzioni internazionali, delle normative di vigilanza.
In Italia, nella successione delle regole introdotte dalla legge n. 197/1991, dal d.lgs. 56/2004 e, da ultimo, dal d.lgs. 231/2007, la costanza del legislatore, ossequiosa dei precetti comunitari, si è appuntata sui tre “blocchi di cemento” sui quali poggia l’architrave della prevenzione del riciclaggio:
- limitazione al trasferimento di contante e titoli al portatore;
- identificazione e registrazione di rapporti ed operazioni della clientela dei soggetti obbligati;
- segnalazione di operazioni sospette.
La catena si chiude da sé, in una giustificazione logico-giuridica di straordinaria e palmare evidenza, laddove si pensi: a) all’effetto “costrittivo” del passaggio del contante per i canali intermediativi tradizionali; b) al (conseguente) censimento di rapporti e operazioni di natura genericamente “economica” presso gli intermediari finanziari ed i nuovi soggetti obbligati, (su tutti) i liberi professionisti; c) alla possibilità (rectius: dovere) (9) , per questi, di segnalare operazioni “sospette” all’Autorità di controllo, oggi l’UIF presso la Banca d’Italia.
La tracciabilità, il deterrente per antonomasia al riciclaggio, viene ad essere garantita da questo sistema reticolare, del quale, se un adempimento viene “bucato”, è facile intuire la fallibilità.
Con queste premesse, doverosamente sintetiche, la nostra attenzione deve spostarsi sul tanto vituperato “Archivio Unico Informatico” (d’ora in poi, AUI), che dà forma e sostanza all’obbligo di registrazione, costituendo – come vedremo – un database insostituibile nella prevenzione e nel contrasto (poi) ai movimenti “anomali” di denaro.
Erroneamente i detrattori dell’AUI ritengono che questo adempimento sia inutile, oltre che non essere adottato negli altri Stati europei.
Non si vede come, ancorché con altri sistemi (sempre informatici), variamente e diversamente denominati, si possa ottemperare ad obblighi comunitari – che ora ricorderemo – di registrazione e, più in generale, di tenuta di informazioni sensibili sulle transazioni finanziarie (10) .
L’unica (giusta?) eccezione è stata prevista per i liberi professionisti e taluni soggetti non finanziari, che sono stati autorizzati a tenere in forma “cartacea” detto registro (11) ; pur sempre però in ottemperanza a direttive internazionali e Ue, come si tenterà di dimostrare in appresso.
Che poi l’adempimento in parola possa oggi risultare farraginoso, a causa di non sempre ordinati interventi del legislatore, sia primario che amministrativo, è fuor di dubbio. Se ne farà un rapido cenno nel prosieguo (12) .


Cenni ricostruttivi sulla normativa internazionale in materia di registrazione

L’Aui ha in realtà origini “antiche”, anche se dovremmo meglio dire che l’obbligo al cui adempimento esso concorre è storico.
Sin dal 1980, infatti, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 27 giugno (13) , che per prima introdusse il concetto di riciclaggio come “problema internazionale” (l’espressione è di chi scrive), chiedeva alle banche di “controllare l’identità dei propri clienti”, “istituire meccanismi di controllo casuali o sistematici per verificare la provenienza del denaro”.
Nel 1988, la Dichiarazione dei Principi di Basilea (14) faceva addirittura riferimento alla identificazione dei “beneficiari effettivi” delle operazioni bancarie, anticipando il tema cardine della terza direttiva europea, attualmente recepito nel nostro ordinamento con il d.lgs. 231/2007 (v. infra).
La “svolta” si ha con la Convenzione di Vienna del 1988 (15) .
Essa introdusse una nuova definizione di riciclaggio ma, per quello che qui interessa, richiese pressantemente agli Stati firmatari un enforcement delle misure di prevenzione e repressione del fenomeno.
Nel 1989 nasce il Gafi (16) , che nell’anno successivo emana le preziose “40 Raccomandazioni” (17) contro il riciclaggio, ancora oggi punto di riferimento essenziale per l’adozione di misure in materia da parte degli Stati membri.
Orbene, tra queste importanti prescrizioni sono contenute quelle esplicitamente riferibili agli obblighi di registrazione, post identificazione. Piace qui ricordare il principio della “conservazione per almeno 6 anni” delle “registrazioni” e della documentazione ad esse relativa, attinente tutte le transazioni nazionali ed internazionali.
In ordine di tempo, merita menzione la Convenzione di Strasburgo del 1990 (18) , ancora dedicata all’adozione di misure sempre più stringenti sulla lotta al riciclaggio, basate sulla cooperazione internazionale e sul rafforzamento delle misure di prevenzione (tra cui, per l’appunto, la tracciabilità).


L’esperienza comunitaria.

Le tre direttive comunitarie sulla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio riprendono, ovviamente, la gran parte dei principi enunciati in sede internazionale, e li modellano sugli ordinamenti europei (19) .
Riguardo alla “registrazione”, l’obbligo per tutti i Paesi comunitari è stato fin da subito chiaro.
La Prima Direttiva, la n. 91/308/CEE, poi recepita nel nostro ordinamento con l’ottima (e tempestiva!) legge n. 197/1991 (20) , sanciva ineluttabilmente la nascita in Europa dell’obbligo di “Archivi” (ci si passi la volgarizzazione).
Infatti, nell’art. 4 si dice testualmente che “Gli Stati membri provvedono a che gli enti creditizi e finanziari conservino, affinché possano costituire un elemento di prova in qualsiasi indagine in materia di riciclaggio (21) (…), per quanto riguarda le operazioni, le scritture e le registrazioni, (…) i documenti originali e copie aventi analoga efficacia probatoria in base al diritto nazionale, per un periodo di almeno cinque anni dall’esecuzione delle operazioni”.
Con la Seconda Direttiva, la n. 2001/97/CE, recepita in Italia dalla legge n. 56 del 2004 (22) , addirittura si estesero agli ordinamenti europei le norme antiriciclaggio anche ai liberi professionisti, prevedendo pure per questi obblighi di “registrazione e conservazione” delle operazioni e dei loro giustificativi.
La Terza Direttiva, la n. 2005/60/CE, da poco recepita (e ancora in fase di assestamento (23) ) nel nostro sistema con il d.lgs. 231del 2007, ha innanzitutto mutato radicalmente l’approccio, solo abbozzato nelle precedenti due emanazioni comunitarie, alla identificazione della clientela ed al monitoraggio dei rapporti finanziari ed economici a fini di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.
In questa sede non si è solo consolidato l’impianto preventivo esistente, ma si sono introdotti concetti come il “beneficial owner” e la “know your customer(24) , nonché i controlli sulle società di diritto comune ed internazionale con le quali si intrattengano rapporti commerciali.
Il tutto passando per una sedimentazione dell’obbligo di registrazione di quanto già cogente e quanto si va aggiungendo con la “procedimentalizzazione (25) ” dell’apparato antiriciclaggio interno alle banche ed agli altri soggetti obbligati.
La direttiva in questione prevede una formula analoga a quella delle precedenti I e II in materia di conservazione e registrazione dei dati (cfr. art. 30), tenendo presente che il “parco” delle informazioni si è arricchito di tutte quelle previste dall’adeguata verifica.
All’art. 31 si impone addirittura agli enti creditizi e finanziari di applicare nelle loro succursali in altri Paesi comunitari e/o extracomunitari misure “equivalenti” per quanto riguarda, in particolare, “l’adeguata verifica e la conservazione dei documenti(26) .
Ma è l’art. 32 a fornire un ulteriore e più significativo spunto (rectius: conferma) a quanto in questo contesto tentiamo di dimostrare.
Vi si obbligano gli Stati membri ad imporre ai loro enti creditizi e finanziari di “disporre di sistemi che consentano loro di rispondere pienamente e rapidamente a qualsiasi domanda di informazioni dell’UIF o di qualsiasi altra Autorità, in conformità del loro diritto nazionale”.
Ora, come si faccia a ritenere che l’obbligo di tenuta dell’AUI, ovvero di altri “sistemi” – come li chiamano le direttive –, volti al mantenimento presso la sede del soggetto intermediario con il quale il cliente ha operato delle informazioni sulle transazioni e contratti effettuati, sia in qualche modo una “esternazione” della regolamentazione italiana francamente non pare sostenibile.
La discrezionalità conferita (da sempre, come peraltro connaturato alle direttive europee) alle Autorità di vigilanza circa la scelta delle opzioni “tecniche” applicabili Stato per Stato ha fatto propendere, in Italia, verso la “informatizzazione” delle “scritture contabili antiriciclaggio” (se ci si passa questa definizione delle registrazioni in AUI, quest’ultimo inteso come registro obbligatorio proprio come quelli prescritti dalle norme fiscali (v. infra , più in dettaglio).


La regolamentazione italiana sull’AUI e la valenza “informativa” dello strumento.

Abbiamo detto che la scelta del legislatore è stata quella di una “archiviazione” dei dati che è stata denominata “informatica”.
L’art. 2 della “vecchia” legge 197/1991 parlava di “unico registro, tento in forma informatica”, e così fa oggi il d.lgs. 231/2007 (cfr. art. 37, rubricato proprio “Archivio unico informatico”.
Con una collocazione sistematica ed un linguaggio più chiaro, il legislatore della 231 ribadisce, poi, che “l’AUI è formato e gestito in modo tale da assicurare la chiarezza, completezza ed immediatezza delle informazioni, la loro conservazione secondo criteri uniformi, il mantenimento della storicità delle informazioni, la possibilità di desumere evidenze integrate, la facilità di consultazione”.
A ben vedere, il dettato risponde a quello comunitario cui sopra si è accennato. La libertà di scelta della forma, non è ultroneo ribadirlo, viene garantita dalle Direttive de quibus.
Si deve rimarcare che i criteri basici per la “gestione dell’informazione sensibile” all’interno delle strutture deputate agli adempimenti antiriciclaggio sono di utilità interna ed esterna.
Servono a contenere il rischio di reato (e ad accrescere la conoscenza della clientela) nelle banche e negli altri intermediari coinvolti, mentre sono di indubbia utilità per le Forze dell’Ordine e la Magistratura nella ricostruzione di movimenti riconducibili ad operatività sospette sia ex ante che ex post rispetto alle indagini (27) .
Senza parlare poi della valenza informativo-statistica generale, e, diremmo, strategica, dei dati dell’AUI per l’aggregazione prevista dall’art. 40 della normativa vigente. L’UIF ne era destinatario da tempo, con la nota cadenza bimestrale, attraverso idonea procedura (28) ; una sorta di “copia” dei dati rilevati dagli intermediari va inviata all’Autorità affinché ne tragga evidenze utili ad “analisi mirate a far emergere eventuali fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo nell’ambito di determinate zone territoriali” e per lo svolgimento degli altri suoi compiti istituzionali previsti dall’art. 6 del decreto 231/2007.
Ma il vero punto di svolta di questa impostazione sta nell’introduzione di due norme significative ex se della validità dell’impostazione del legislatore italiano, che in questo scritto si ha l’ambizione di riaffermare.
La prima è quella – di cui al comma 6 dell’art. 36 del decreto – che consente l’utilizzo “a fini fiscali” delle informazioni contenute in AUI.
Norma troppo “polemizzata”, poiché detto uso – consentito dalle norme fiscali già da sole – non viola alcun principio di riservatezza o contraddittorio.
La GdF, nel corso dell’esame dell’AUI per altre finalità, acquisendo notizia di infrazioni alle norme tributarie, non può certo – all’evidenza – “ignorare” l’esistenza di possibili reati (29) ; in tal caso si veste dell’altra sua funzione, di polizia tributaria, e con la “ritualità” prevista sia dalle norme in materia di accertamento delle imposte sui redditi ed iva, sia dalla disciplina interna al Corpo, acquisisce le informazioni rilevanti e procede attraverso gli appositi reparti del Corpo (nonché le apposite norme di legge) (30) . D’altronde, l’incrocio ed il rapporto di biunivocità, in questi casi, con i dati dell’”Anagrafe dei rapporti” (31) presso l’Agenzia delle Entrate costituiscono oggi la regola delle investigazioni tributarie e finanziarie.
Ma la seconda citazione dell’AUI è ancor più “rivoluzionaria” (32) !
Ci si riferisce all’art. 2, comma 8, del Provvedimento della Banca d’Italia n. 895 del 23 dicembre 2009, recante “Disposizioni attuative per la tenuta dell’AUI e per le modalità semplificate di registrazione d cui all’art. 37, commi 7 e 8, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231(33) .
Vi si legge testualmente: “(…)I destinatari rendono disponibili alle Autorità competenti le informazioni contenute nell’archivio unico informatico ai fini della ricerca e dell’acquisizione delle prove e delle fonti di prova nel corso di procedimenti penali, sia nella fase delle indagini preliminari sia nelle fasi processuali successive, anche per l’applicazione delle misure di prevenzione”.
La norma è troppo fresca per essere adeguatamente commentata.
Ci si può però convintamene limitare ad osservare che si è “premiata” l’esperienza dell’AUI facendolo assurgere addirittura a fonte di prova nei processi per i reati nei quali, è indubbio, si parli sia di propedeuticità a riciclaggio, anche se questo non vi è stato, che del reato stesso.
Non a caso, poi, che l‘AUI costituisca una “scrittura contabile” paragonabile a quelle fiscali lo testimonia l’applicazione, nel corso di indagini (rectius: contestazioni) anche su contravvenzioni alla normativa antiriciclaggio (34) , la contestazione del reato di cui all’art. 484 c.p., “Falsità in registri e notificazioni”, laddove è scritto che “Chiunque, essendo soggetto per legge obbligato a fare registrazioni soggette all’ispezione dell’Autorità di pubblica sicurezza (…), scrive o lascia scrivere false indicazioni è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 309 euro(35) .
Ciò vale ad abundantiam ad inserire l’AUI tra gli strumenti di intelligence preventiva e repressiva che la lotta al riciclaggio deve tenere, a nostro avviso, in debita considerazione, senza che per questo si traduca – e qui lo sforzo deve essere degli Organi regolatori – in defatiganti procedure fondate su algoritmi e regole che poco hanno a che fare con detta logica (36) .


(1) Sul tema dell’intreccio tra reati tributari e riciclaggio si veda, intanto, AA.VV., Le funzioni di polizia economico-finanziaria nel contesto europeo: profili di contiguità tra azioni antiriciclaggio e lotta all’evasione fiscale in un‘ottica comparativa, Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, Roma, 2007.
(2) Chi scrive crede che le scelte in materia siano necessariamente (quando non unicamente) condizionate dalle differenti opzioni che ci si è dati, non prescelte, nell’ambito delle azioni di governo dell’economia e del rispetto delle leggi. Le previsioni normative sono legate alle tipologie di reato quanto la fenomenologia del reato è condizionante per l’apprestamento delle giuste misure di contrasto. Per il riciclaggio, infatti, l’evoluzione della regolamentazione internazionale (e poi italiana) appare essere, sino ad oggi, unicamente il frutto dell’incessante mutevolezza delle condotte e degli strumenti utilizzati per attuarle. E diversamente non potrebbe essere, date le peculiarità del reato di cui trattasi.; senza alcun dubbio, il più complesso e “camaleontico” dei crimini finanziari.
(3) Sul punto, amplius, R. Razzante, L’efficacia sanzionatoria dei provvedimenti contro il riciclaggio: qualche riflessione, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1/2009, pagg. 45-54.
(4) Su questo tema corposa bibliografia, e ci si permetta di rinviare a quella citata nel nostro La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 2006.
(5) Sul rapporto tra questi due reati, recentemente, R. Razzante, Il ruolo delle informazioni nel sistema Mifid e nel contrasto al riciclaggio, in IR Top, Journal of Investor Relations, n. 3-4/2009, pagg. 21-25.
(6) Sul punto, da ultimo. R. Razzante (a cura di), Il contenzioso finanziario nell’era Mifid, Giappichelli, maggio 2010 (con la più autorevole bibliografia ivi citata).
(7) Beninteso, non si tratta di regole contenute solo nel codice penale, bensì nelle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia e delle altre autorità di settore, nonché degli ordini professionali e rappresentativi dei soggetti obbligati. Ciò senza dimenticare che, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 231/2007, la Guardia di Finanza ha “acquisito” la qualifica di Autorità di vigilanza di settore, con la principale conseguenza che le sue contestazioni ai soggetti obbligati possono riguardare anche il merito dell’apparato dei controlli e dei singoli presìdi aziendali, accanto alle violazioni di ordine amministrativo-penale. Su tale aspetto, il nostro Commento sub art 7, in “Commentario alla normativa antiriciclaggio”, Cedam, 2009.
(8) I soggetti “obbligati” dalla normativa antiriciclaggio,in senso più squisitamente giuridico, sarebbero, in verità, tutti i cittadini (ed anche i non residenti, se si pensa ai pagamenti e trasferimenti di fondi) che si trovino ad effettuare trasferimenti di denaro o beni di valore pari o superiore ai 5000 euro (oggi in virtù della recente modifica all’art. 49 del decreto, recata dal d.l. n. 78 del 31 maggio u.s.) tra privati. Non è superfluo ricordare, soprattutto dopo la cennata modifica legislativa che pare avere anche quella evidenza “sociale” che deve connotare il contrasto al riciclaggio ed all’evasione fiscale, che la limitazione a detti trasferimenti è obbligo previsto dalla normativa contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo. Chi poi è maggiormente “onerato” dall’articolato in questione sono i soggetti cui sopra si faceva cenno, che attraverso la predisposizione di architetture di controlli contribuiscono, con la “collaborazione attiva”, alla prevenzione, ed indirettamente al contrasto, dei crimini in parola. Ci si consenta il rinvio al nostro Riciclaggio, il grande business, in questa Rivista, n. 2/2008, pagg. 159-171; per una rassegna maggiormente meditata dei sistemi di controllo bancari contro i reati della specie si vedano, tra gli altri, M.Arena-R.Razzante, Normativa antiriciclaggio e responsabilità da reato delle società, Esselibri, Napoli, 2009; R. Razzante, Money laundering e controlli interni, in Bancaria, n. 1/2010.
(9) Se la si vede come una “opportunità”, crediamo si possa efficacemente immaginarla come la sintesi di un dovere che si coniuga con una scelta quanto mai doverosa, in chiave – per l’appunto - di “possibilità” che la legge offre. In tali termini l’abbiamo prospettata sin dal nostro Osservazioni sul nuovo regime di segnalazione delle operazioni sospette, in Diritto della banca e del mercato finanziario, n. 1/1998, ed in tutte le pubblicazioni che ne sono scaturite.
(10) Dell’obbligo di registrazione vi è traccia in tutte le normative antiriciclaggio dei principali Paesi europei, degli USA, di Stati extracomunitari. Ad esempio, in Spagna, l’obbligo di record keeping non è limitato a copie documenti di identità, ma si estende a tutti i documenti che permettono la ricostruzione delle singole transazioni. “data such asbeneficiary, address, currency (…) are the features that define the transaction and allow reconstructing the trail in case it originated in previous transactions. Additionally, probative value of records kept is required so that they can be used in judicial proceedings if necessary” (FATF-GAFI, Third Mutual Evaluation Report, 23 giugno 2006). In Russia, esplicitamente è previsto un “transaction record”, per almeno 5 anni, di una serie d informazioni (sostanzialmente quelle della direttiva e del Gafi) sulle operazioni (FATF-GAFI, Second Mutual Evaluation Report, 20 giugno 2008). In Germania, tutte le informazioni di cui ormai sappiamo, compreso il beneficial owner, “must be recorded” (FATF-GAFI, Mutual Evaluation Report, 19 febbraio 2010. Negli USA, il record delle operazioni è ovviamente previsto, con la descrizione altresì dei metodi usati per verificare l’identità. Il tutto con gli specifici requisiti, massimamente stringenti, dell’Usa Patrioct Act (FATF-GAFI, Third Mutual Evaluation, 23 giugno 2006). Nel Regno Unito, il chiaro riferimento a “procedure” per il mantenimento di dati rilevanti per l’antiriciclaggio è contenuto nella “Part 3” della Money Laundering Regulation del 2007, n. 2157.
(11) Si veda, su questo tema, R. Razzante, Antiriciclaggio e libere professioni, in Diritto ed Economia delle Assicurazioni, n. 1/2003, pagg. 141 e ss..
(12) Nel “Libro Bianco sulla normativa antiriciclaggio” che l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio ha appena emanato sono contenute una serie di criticità, e proposte di soluzione, che l’applicazione delle norme sulla registrazione ha generato e sta creando agli operatori. Il riferimento è rinvenibile su www.airant.it.
(13) Atto R 80/10 denominato Misure contro il trasferimento e la custodia di fondi di origine criminale. Sulla ricostruzione internazionale si veda, in particolare, F. De Pasquale-M. Condemi (a cura di), Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 60/2008.; più sinteticamente, il nostro La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, cit., pagg. 30-52, ma anche F. Vedana, D. Contini, R. Lenzi, Il segreto bancario e fiduciario in Italia e all’estero, Egea, Milano 2008.
(14) Per la “Prevenzione dell’uso criminale del sistema bancario a fini di riciclaggio del denaro”, datata 12 dicembre, e poi in qualche modo recepita in Italia dalla legge n. 55/1990. Su quest’ultima si fa rinvio, ex multiis, a P. L. Vigna, I codici per l’udienza penale; Laurus Robuffo, 2008; così come a G. Nanula, La lotta alla mafia, Giuffrè, Milano, 2009.
(15) Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988 e resa esecutiva nel nostro Paese con la legge 328 del 5 novembre 1990.
(16) Al cui sito si rinvia per le informazioni “strategiche” sulla lotta al riciclaggio internazionale. Per la sua attuale composizione e le funzioni, su tutti valga l’efficace ricostruzione di M. Gara-A. Pavesi, Il Gruppo di azione finanziaria, in F. De Pasquale-M. Condemi, cit., pagg. 51-197.
(17) Che ricordiamo essere state rivisitate sia nel 1996 che nel 2003, e poi integrate con le 9 “Special Reccomendations” sul finanziamento del terrorismo.
(18) Convenzione del Consiglio d’Europa dell’8 novembre 1990, ratificata in Italia con legge n. 328 del 9 agosto 1993.
(19) Per non rischiare di ripeterci, rinviamo a quanto già scritto nel nostro La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, op. cit., ed alla bibliografia ivi contenuta.
(20) Su questo testo normativo, ormai del tutto abrogato, ci sia consentito di rinviare, più per motivi “nostalgici”, al nostro La normativa antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 1996; inoltre, più autorevolmente, a G.M.Flick, Intermediazione finanziaria, informazione e lotta al riciclaggio, in Rivista delle Società, 1991, pag. 433 e ss.; G. Amato, Il riciclaggio del denaro sporco, Laurus Robuffo, Roma, 1993; B. Inzitari, L’antiriciclaggio, in Le nuove leggi civili commentate, n. 5/1993, pagg. 965 e ss..
(21) La scelta del sottolineato è nostra per evidenziare al gentile lettore quanto andremo poi a riprendere in seguito.
(22) Per una sintesi delle altre novità recate dalla normativa de qua si veda R. Razzante, I nuovi soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio, In Le Società, n. 7/2004. Inoltre, D. Mancini, L’estensione degli obblighi antiriciclaggio e le innovazioni del d.lgs. 56/2004, in Rivista GdF, n. 4/2004.
(23) Infatti, il decreto originario è stato oggetto di un primo intervento correttivo mediante il decreto legislativo n. 151 del 25 settembre 2009 e, mentre scriviamo, dal d.l. n. 78 del 31 maggio 2010. Le novità sono state oggetto di un primo commento in R. Razzante-D. de Palma, Il D.L. 78/2010. la tracciabilità dei pagamenti e le modifiche al decreto antiriciclaggio, in Guida ai controlli fiscali, n. 7/2010.
(24) “Titolare effettivo” e “adeguata verifica” nella traduzione italiana, v. infra.
(25) Di questa “procedimentalizzazione” abbiamo delineato l’iter, con il suo impatto sulla governance delle banche, in L’art. 52 del d.lgs. 231/2007: l’equivoco degli organi “incaricati” del controllo di gestione, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 2/2009, pagg. 133 e ss.
(26) Trattasi del comma 1 dell’articolo citato.
(27) Ex ante se si considera l’effetto di una segnalazione di operazione sospetta che venga poi fatta oggetto di approfondimento con il determinante riscontro dell’AUI e delle sue registrazioni; ex post se una indagine è già in fieri e si richieda il contributo della banca per la ricostruzione del “trail” del denaro, la qual cosa è indubbiamente facilitata dalle tracce sull’AUI. Ne costituisce ulteriore riprova l’espressa previsione dell’utilizzo dell’Archivio nella fase di “approfondimento operativo” delle SOS da parte della GdF, così come da Circolare dello stesso Comando Generale dell’agosto 2008.
(28) Procedura denominata “SARA”, per la quale si rinvia al sito internet dell’Authority, che ne disciplina con apposite circolari le modalità tecniche, che riteniamo di poter risparmiare nella descrizione di questo lavoro. Non senza citare l’ultima circolare, del 27 aprile 2010, che attua significative modifiche alla procedura de qua, in particolare riferendoci all’inserimento fra i dati aggregati delle operazioni (pari o superiori ai 15000 euro) effettuate da società quotate, nonché delle operazioni in contanti che in ogni caso non si sono aggregate fra loro per superare la soglia di registrazione. Ciò la dice lunga sul supporto che oggi si ritiene l’AUI debba dare al controllo sui movimenti finanziari.
(29) Dato che i delitti fiscali sono fattispecie ben determinate dal nostro ordinamento, al decreto n. 74/2000, e costituiscono – ai sensi dell’art. 648-bis c.p. – reati presupposto di riciclaggio. Si veda il nostro Commento sub art. 36, in Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, cit..
(30) Nell’economia di questo scritto purtroppo non rientrerebbe una approfondita analisi della normativa citata, per la quale rinviamo, ex plurimis, a S. Capolupo, Riciclaggio ed evasione fiscale, in Il Fisco, n. 33/2007; G. Nanula, Riciclaggio, l’evoluzione normativa e l’utilizzo dei dati per scopi fiscali, in Riv. Gdf, n. 1/2008; D. Donato, Elusione, evasione fiscale e riciclaggio nei rapporti internazionali, in Riv. Gdf, n. 5/2007; B. Assumma, Rapporti tra riciclaggio di proventi illeciti e monitoraggio fiscale, in Riv. Gdf, n. 1/2007; O. Cocuzza, Il segreto bancario tra lotta al riciclaggio ed evasione fiscale, EPC Libri, Roma, 1993.
(31) Per la giusta “enfasi” all’anagrafe, si veda quanto da noi affermato in Anagrafe dei conti e dei depositi: guarda un po’ chi si vede?, in Archivio civile, n. 2/2001, pagg. 155-157, nonché, per brevità, la bibliografia citata nel Commentario sopra emarginato in nota. Da ultimo, L. Galluccio-G. Putzu, Indagini finanziarie nelle procedure Gdf, in Guida ai Controlli Fiscali, n. 6/2010, pagg. 38-44.
(32) Come rimarcato in R. Razzante, Gli archivi antiriciclaggio entrano nei processi penali, Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2010.
(33) Pubblicato nella G.U. n. 102 del 4 maggio 2010, ed emanato in esecuzione della delega contenuta nell’art. 7, comma 2, del decreto 231/2007.
(34) In giurisprudenza, per dei riferimenti sul valore dell’AUI, si veda per tutte Cass. Pen, sez. I, 26 febbraio 2007, n. 7952.
(35) Il caso tipico è dell’omessa registrazione dell’effettivo soggetto che abbia operato allo sportello della banca ovvero di indicazione come esibitore di soggetto non presente allo sportello medesimo. In questo caso la valenza probatoria dell’AUI si spinge anche ad ipotesi di reato di falso spesso sottese a coinvolgimenti dolosi di dipendenti degli intermediari in fatti di riciclaggio. Sul punto, R. Razzante, L’efficacia sanzionatoria dei provvedimenti contro il riciclaggio: qualche riflessione, op. cit..
(36) Sarebbe infatti auspicabile una semplificazione, ulteriore rispetto a quella che in verità è contenuta nelle citate Istruzioni della Banca d’Italia, dei “tracciati” dell’AUI, delle procedure di alimentazione, della taratura per soggetto obbligato. È ancora aperta la discussione circa l’inserimento, divenuto obbligatorio dallo scorso 1° giugno, del nominativo del “titolare effettivo” dei rapporti accesi con gli intermediari finanziari. Assodato che non trattasi di violazione di privacy – in quanto il dato in questione è contenuto in formulari obbligatori per il cliente, con in calce l’informativa ai sensi del d.lgs. 196/2003, che ovviamente non prevede consenso -, qualche problema potrebbe crearsi con il segreto bancario in ipotesi di accesso al dato da parte di soggetti diversi dai gestori della relazione (ovviamente interni alla struttura dell’intermediario). L’utilità investigativa, al contrario, appare evidente.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA