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GNOSIS 2/2010
Quando il luogo del confronto è il mercato

Geoeconomia e Intelligence
dalla difesa all’attacco


Marco Giaconi


L’intelligence economica è sempre andata di pari passo con tutte le altre forme di intelligence. Nella maggior parte dei casi era considerata uno strumento di difesa dell’economia nazionale e di penetrazione e conoscenza delle iniziative economiche degli altri. Marco Giaconi delinea i cambiamenti dell’Intelligence economica al tempo del mercato globale che ne ha spostato l’asse operativo: oltre all’acquisizione dell’informazione, deve puntare ad influenzare e condizionare le opinioni pubbliche estere, si potrebbe dire la conquista dei cuori e delle menti del Paese bersaglio. L’economic warfare del resto, non conosce limiti nel perseguire l’interesse primario del proprio Paese e l’Intelligence, come sempre, riveste un ruolo fondamentale.
(Foto Redazionale)




L’intelligence economica serve, in linea di massima, a proteggere i sistemi produttivi e i vantaggi comparativi di ogni singolo Paese o area commerciale. Quindi, posto che il modello ricardiano del commercio internazionale prevede che tutti traggano beneficio dagli scambi economici tra differenti Paesi, l’intelligence delle strutture produttive è connessa alla stabilizzazione del vantaggio comparato, alla protezione dei mercati finali dei prodotti-chiave della formula produttiva di un Paese, alla diminuzione dei costi politici, culturali, sociali della gestione dei mercati finali, infine alla creazione di una dipendenza strutturale tra i cicli economici del Paese-bersaglio rispetto al Paese con maggiori vantaggi comparati (1) . L’intelligence economica è il soft power della dipendenza, e crea asimmetrie informative e commerciali che tendono ad aumentare, ceteris paribus, il profitto netto dei beni e servizi indotti nel mercato o nel Paese dipendente (2) .
Si tratta, dunque, di un modello classico, come la teoria ricardiana che lo giustifica. Ma, oggi, i sistemi produttivi sono diffusi, e non possono essere identificati con un solo Paese, l’economia si è progressivamente dematerializzata, il flusso delle informazioni strategiche è ormai globale, la produzione dei beni si va trasferendo nei Paesi “terzi” o nell’area asiatica, e il peso delle considerazioni finanziarie sul complesso delle scelte economiche è maggiore di quanto non accadesse con il capitalismo delle merci (3) . Il vantaggio comparato assume soprattutto un rilievo strategico, politico, culturale, mentre il flusso dei beni si amplifica su un livello ormai mondiale e risulta ingestibile con la creazione di barriere, tariffarie o meno, all’ingresso dei beni e dei servizi.
Quindi, siamo passati da una intelligence economica in postura di difesa, dove il fine delle operazioni era il mantenimento del vantaggio comparativo il più a lungo possibile, anche con meccanismi protezionistici palesi, ad un economic warfare di attacco, dove i meccanismi di condizionamento al consumo, e alla accettazione di beni e servizi in condizioni di quasi-monopolio vengono veicolati con meccanismi di perception management (4) .
Il Dipartimento della Difesa USA definisce il perception management come una serie di “informazioni da convogliare o interdire alle pubbliche opinioni estere per influenzare le loro emozioni, le loro motivazioni e il processo razionale in modo che le classi dirigenti o l’intelligence locali siano indirizzate verso comportamenti favorevoli agli interessi dell’originatore del processo di perception management(5) . Quindi, non si tratta di proteggere un mercato o un vantaggio comparativo, ormai obiettivo quasi impossibile nel sistema globalizzato, ma di indurre comportamenti anche non-economici che inducano a comportamenti economici utili all’originatore del processo di trasformazione della percezione.
È cessata la separazione netta tra guerra e pace, è tramontata la frattura tra guerra economica e conflitto militare, è ormai tenue la differenza tra psywar a carattere politico e strategico e infowar di tipo commerciale (6) .
La differenza tra infowar economica e psywar geopolitica viene definita caso per caso, nell’attento dosaggio tra gli elementi di un paradigma militare, economico, psicopolitico (7) .
Le guerre si vincono, senza magari sparare un colpo, inducendo nel Paese dipendente gli stili, i modi di vita, i consumi e il modello di comunicazione politica che più si adattano agli interessi del Paese “originatore”. La tecnica più consueta per creare questa deformazione percettiva è quella che nella Psicologia della Forma (Gestaltpsychologie) viene definita come differenza tra “sfondo” e “immagine”. Se si insegna a riconoscere una determinata figura nello sfondo, con lo stesso meccanismo si induce nel comportamento una differenza tra tratti salienti, obiettivi dell’azione, e elementi secondari o casuali (8) .
Naturalmente, tutto questo non esclude un protezionismo di fatto secondo le regole più consuete dello Stato-nazione otto-novecentesco.
I Paesi che hanno maggiori vantaggi comparativi in alcune tecnologie, come l’informatica evoluta, le biotecnologie, le telecomunicazioni, proteggono questi asset con i criteri di un economic warfare d’attacco: monopolizzano di fatto i mercati finali, utilizzano la corruzione delle classi dirigenti locali, favoriscono la protezione dei mercati finali dei loro beni con asset collaterali favorevoli, sia sul piano geopolitico che in settori economici diversi da quelli nei quali hanno necessità di tutelare le loro tecnologie di punta (9) . La corruzione delle élites, la diffusione di stilemi di massa diffamatori, l’interdizione alla diffusione dei successi raggiunti dal Paese-bersaglio sono poi una tecnica, complessa e codificata, che serve a creare una dipendenza simbolica e economica del Paese più debole.
Esiste un nation branding offensivo, che abbatte la credibilità dei mercati verso un determinato Paese e restringe l’appeal globale dei suoi prodotti a maggior vantaggio comparativo. L’economic warfare di attacco diffonde modi di vita, stilemi, paradigmi di comportamento che cristallizzano la formula produttiva e politica più favorevole al Paese originatore del perception management. Si pensi, per quanto riguarda l’uso politico dei collaterali economici, all’utilizzazione della clausola di most favoured nation nel diritto commerciale USA, o ai meccanismi di protezione economica e di sostegno alla produzione agricola dell’Unione Europea. Ciò che non viene più protetto dalle barriere non tariffarie viene indotto dalle barriere psicologiche e politiche create dall’economic warfare e dalla gestione delle percezioni (10) .
Sul piano monetario, visto che il denaro è un asset altamente simbolico, le tecniche di guerra economica attuali riguardano questi elementi primari: l’acquisizione di capitali freschi per sostenere il debito pubblico o per le imprese, dato che oggi la concorrenza monetaria è basata sull’acquisizione, prima e meglio degli altri, delle grandi masse di liquidità che attraversano il mercato-mondo, e in seconda battuta dall’interdizione di questa massa aggiuntiva di capitali per alcuni Stati concorrenti.
Inoltre è rilevante la gestione dei differenziali tra le valute in modo da modificare sia i prezzi finali che il debito pubblico del Paese-bersaglio, nonché la gestione delle notizie finanziarie riservate in modo da influenzare le élites secondarie (11) .
Infine, e la cosa non è certo di poco conto, la dominance nella guerra economica e finanziaria si acquisisce svuotando di liquidità, e acquisendola, Paesi e aree che siano non omogenei al proprio sistema produttivo o che creino eccessive barriere non tariffarie alla penetrazione dei beni e dei capitali del Paese originatore della infowar economica. Da questo punto di vista, la crisi delle “Tigri asiatiche” nel 1997 è stata significativa.
La guerra economica attuale è tra la Cina, la “fabbrica del mondo”, l’UE e gli USA. Pechino detiene attualmente 895 miliardi di titoli USA, ai dati del marzo 2010, seguita dal Giappone con 784,9 mld e, dopo la Gran Bretagna, dai Paesi esportatori di petrolio in area OPEC con 229,5 mld (12) . La crisi greca è stata l’inizio della crisi della BCE, che è la tesoreria della Banca Centrale di Atene.
La caduta del bilancio greco è stata gestita da un sistema informativo che ha coperto una esposizione del debito estero di Atene detenuto al 70% fuori dalla Grecia, mentre i suoi titoli sono stati venduti per oltre 20 miliardi di Euro (fino al 25 gennaio 2010) per quelli a cinque anni, a tasso fisso.
Le banche dei paesi meridionali europei possiedono bonds greci, per esempio quelle portoghesi hanno attivi greci per il loro 23%, mentre la Francia è al 13%, insieme all’Irlanda, per la proprietà di asset greci nel capitale bancario (13) . E quindi la caduta al 50% del valore del debito di Atene costerebbe alle banche di Lisbona, per esempio, la perdita di circa il 12% del proprio capitale. Il debito di Spagna, Grecia, Portogallo verso le banche europee è di 800 miliardi di Euro, con l’Olanda che, con 100 milioni di crediti, ha la maggiore esposizione rispetto al suo PIL. Le esposizioni reciproche delle banche europee sono, di solito, oltre il 12%.
Quindi, sul piano dell’ economic warfare la questione è semplice: i paesi detentori di surplus commerciale, che è l’unica fonte che genera, oggi, liquidità reale, sono attaccati o dall’Euro, se provengono dall’area nordamericana o dal Dollaro USA, la “contro divisa” dell’Euro, visto che la moneta unica europea è ormai prima rispetto alla divisa statunitense per la gestione dei pagamenti internazionali e i bonds esteri.
Alla fine del 2006, il 40% e il 30% di tutti i depositi erano denominati in Euro, che è statisticamente più stabile del Dollaro USA. Attaccare la Grecia, dopo averla “drogata” con i titoli collaterali sul debito sovrano, vuol dire attaccare l’Euro e, in particolare, la Germania, che ha un surplus commerciale in crescita, fino a 17,2 miliardi di Euro ai dati del marzo 2010.
Più surplus, più capacità di scambio favorevole e possibilità di attrarre capitali nuovi, più deficit, minore attrattività delle strutture produttive nazionali. Il deficit commerciale degli USA è stato, al 12 maggio 2010, di 40,4 miliardi di USD. Quindi, l’”operazione Euro” è ormai strettamente necessaria: evita la crescita di un’area economica capace di sfidare gli USA, e l’azione sul debito greco costringe la Germania e l’area più economicamente evoluta dell’UE a sostenere il debito di Atene per evitare la caduta della moneta unica europea, che ha permesso proprio alla Germania una “svalutazione di fatto” che l’ha premiata rispetto anche ai suoi concorrenti infra-UE. Gli scenari futuri hanno quindi un alta probabilità di realizzarsi a breve. O Berlino ricostruisce un suo Deutschmark, affidabile ma privo di concorrenza rispetto al dollaro, che deve rimanere, per permettere il “doppio deficit” (bilancia dei conti correnti+conti pubblici) stabile ma privo di rayonnement geopolitico, il che permetterebbe alla Germania di evitare il futuro bailout di tre miliardi di Euro di debiti del “Club Med” europeo, con una esposizione delle banche tedesche verso l’area di 500 milioni. Ma questo vorrebbe dire provincializzare l’economia tedesca, mentre la Cina ritorna a comprare titoli di stato USA, quando l’economia statunitense ritorna a segnare indici positivi (14) .
La guerra economica è, oggi, come abbiamo visto, una lotta per acquisire risorse fortemente scarse, come la liquidità. Lo scenario 2 implica invece l’abbandono dell’Euro da parte delle economie “ClubMed”. Avere la possibilità di generare liberamente inflazione sarebbe la soluzione, ad Atene, per far pagare i debiti ai propri cittadini e evitare lo squilibrio monetario con l’Euro e i suoi Paesi di riferimento. Se i Decisori USA e tedeschi, nella fase delle guerre balcaniche post-1989, hanno impostato una geopolitica della dissociazione, per costituire Paesi sufficientemente piccoli da essere penetrati economicamente da Berlino o da Washington (15) , e per evitare un linkage tra medie potenze balcaniche e Federazione Russa, oggi la dissociazione è una “strategia indiretta” di tipo geoeconomico, per separare in due l’area Euro e per evitare che la moneta unica UE possa diventare concorrente diretto del Dollaro USA e, infine, lender of last resort negli scambi internazionali. L’altro aspetto geopolitico con il quale dovremo continuare a fare i conti è quello della economic warfare del terrorismo qaedista.
Dalla sua fondazione, l’organizzazione di Osama Bin Laden vuole creare una destrutturazione del sistema economico europeo e USA, che leghi le economie occidentali al ciclo del petrolio e permetta, al contempo, una forte spesa in azioni militari, aiuti, sostegni a paesi “amici” dell’Ovest per far deflagrare i conti pubblici nazionali, in condizioni soprattutto di forte oil burden, e isolare le economie USA e UE dal flusso dei nuovi capitali che si generano nell’asse tra la Cina, l’Asia centrale, il Golfo Persico e il Medio Oriente. La linea di Osama Bin Laden è quella dell’accerchiamento economico e finanziario per poi passare alla fondazione del Califfato e alla destrutturazione del sistema geoeconomico prima europeo e poi nord-americano (16) .
Le diverse strategie di Al Qaeda nelle aree maghrebine, nel Corno d’Africa, in Medio Oriente e in Yemen sono il riflesso di queste differenti scelte di geoeconomia del terrorismo islamico.



(1) V. A.K. Gupta, V. Govindarjan, H. Wang, The Quest for Gòlobal Dominance: Transforming Global Presence into Global Competitive Advantage, London, Jossey Bass, 2008.
(2) V. E.Hennessy, Market Warfare, Leadership and Domination over Competitors, New York, American Book Publishing Group, 2008.
(3) V. Leo Panitch, M. Konings (eds.), American Empire and the Political Economy of Global Finance, London, Palgrave Macmillan, 2009.
(4) V. K. Agarwal, Perception Management: the Management Tactics, New Delhi, Global India Publications, 2009
(5) V. Department of Defense Dictionary of Military and Associated Terms, Joint Publication 1-02, 12 April 2001.
(6) S. Cymbala, Military Persuasion in War and Policy, the Power of Soft, London, Praeger, 2002.
(7) C. Paul, Information Operations, Doctrine and Practice, a Reference Handbook, London, Praeger, 2008.
(8) V. W. Kahler, H. Kopfermann, L. Kahler, Die Aufgabe der Gestaltspsychologie, Berlin, de Gruyter, 1971.
(9) V. K. Hodkinson, Protecting and Exploiting New Technology and Designs, London, Spon Press, 1987.
(10) V. T. Rid, M. Hecker, War 2.0, irregular warfare in the Information Age, London, Praeger, 2009.
(11) Y. Brooks, Financial Warfare, How to Fight and Win, Bloomington, iUniverse, 2009.
(12) V. Ph. Lowe, Recent Economic developments, Bank of International Settlements, Basel, 2010 in http://www.bis.org/review/r100518f.pdf.
(13) V. J. Funk Kirkegaard, A default by Greece: Why and When? Washington D.C., Peterson Institute for International Economics, 16th May 2010.
(14) Michael Collins, Economic Warfare? Europe versus Wall Street, The Agonist, 10 March 2010, in www.agonist.org.
(15) R. C. Nation, War in the Balkans, 1991-2002, US Army War College, Strategic Studies Institute, Carlisle Barracks 2003.
(16) Gal Luft, Al Qaeda’s Economic War against the United States, Institute for The Analysis of Global Security, Potomac, 2005.

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