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GNOSIS 2/2010
Condotte tipiche e atipiche

L’esatto discrimine tra ricettazione,
riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti


Giuseppe Amato


Cogliere l'esatto discrimine tra il riciclaggio (articolo 648 bis c.p.) e il reimpiego di capitali illeciti (articoli (articolo 648 ter c.p.) e quello tra questi reati specifici e quello comune di ricettazione (articolo 648 c.p.) pare di fondamentale importanza per una migliore e più ampia applicazione di uno strumentario sanzionatorio che, oggi più di ieri, risulta potenzialmente molto efficace per colpire la criminalità, soprattutto quello organizzata, nel "patrimonio", rimuovendo e sottraendo le risorse acquisite con le attività illecite, sì da impedirne la "ripulitura" e il riutilizzo, vuoi in ulteriori attività criminose, vuoi nel mercato, con effetti, anche pregiudizievoli per la concorrenza. Per una ricostruzione della questione controversa proponiamo il quadro normativo di riferimento.
(Foto Ansa )


Il riciclaggio

Come è noto, con la norma sul riciclaggio (articolo 648 bis c.p.) si punisce, fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque “sostituisce” o “trasferisce” denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo (la specificazione “non colposo” è, in realtà, inutile, giacchè non è dato ravvisare delitti colposi da cui possa scaturire, in via immediata e diretta, il conseguimento di profitti illeciti che possano anche in astratto essere oggetto di condotte di riciclaggio), ovvero compie in relazione ad essi “altre operazioni”, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
È evidente l’ampiezza delle condotte sanzionate. Accanto a condotte “tipiche” di riciclaggio (sostituzione e trasferimento di denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa), il legislatore affianca, infatti, condotte “atipiche”, cioè non predeterminate dalla legge (altre operazioni in relazione ai medesimi beni di provenienza delittuosa). Tutte queste condotte, sia quelle tipiche che quelle atipiche, sono, peraltro, qualificate e ricondotte ad unità attraverso la previsione di una finalità comune: quella di essere volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni che ne costituiscono l’oggetto. In altri termini, la “dissimulazione” della provenienza delittuosa dei beni è la finalità ultima che qualifica ed unifica tutte le condotte, sia tipiche che atipiche, prese in considerazione e sanzionate. Quindi, volendo ulteriormente chiarire, la fattispecie incriminatrice del riciclaggio si articola su due ipotesi fattuali.


Le condotte “tipiche” di riciclaggio

La prima, specifica, consiste nella sostituzione o nel trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo: “sostituire” i capitali illeciti significa rimpiazzare il denaro o i valori “sporchi” con quelli “puliti” e trattasi di condotta che può essere realizzata nei modi più disparati: in particolare, nel modo più semplice, con il versamento presso banche di denaro o di assegni, con il successivo ritiro di denaro contante dell’importo corrispondente (1) ; il ”trasferire” i capitali illeciti evoca, invece, una qualsivoglia condotta che, senza mutare l’oggettività del bene, si limita a movimentarlo onde perseguire il medesimo risultato di occultamento della provenienza: si pensi, volendo esemplificare, allo spostamento delle provviste illecite in conti correnti o altri rapporti bancari diversi da quello originario in modo da impedire di risalire all’origine del compendio così movimentato.
Volendo dettagliare con maggiore precisione.
Nella condotta di “sostituzione”, attesa la genericità dell’espressione, devono farsi rientrare tutte le attività dirette ad incidere sul compendio criminoso recidendo ogni possibile collegamento, oggettivo e soggettivo, con il reato: può trattarsi di operazioni bancarie, finanziarie o valutarie, ma anche di operazioni commerciali, ovvero di attività meramente materiali, attraverso le quali si “cambiano”, si “mutano” le originarie utilità economiche di illecita provenienza con altre apparentemente lecite e “pulite” perchè non più riconducibili, in via immediata e diretta, al reato di cui le prime hanno costituito il profitto o il provento: si pensi, per esempio, all’acquisizione da parte di un soggetto di un’ingente somma di denaro di provenienza illecita che viene fatta transitare sul proprio conto corrente “pulito” e successivamente consegnata all’effettivo destinatario o mediante prelevamento e successiva consegna di contanti o mediante il rilascio di assegni bancari e/o circolari; si pensi, più in generale, a tutte le più svariate forme di investimento di denaro di provenienza illecita in titoli di Stato, azioni societarie, gioielli, oro, oggetti preziosi, opere d’arte, ecc..
Mentre la condotta di “trasferimento”, non è altro che una species di quella di sostituzione, da cui differisce per il fatto che i valori di provenienza illecita non vengono “sostituiti” o “cambiati” con altri valori, di identica o diversa natura, ma semplicemente “trasferiti” o “spostati” da un soggetto ad un altro soggetto (se del caso, ma non necessariamente, anche da un luogo ad un altro luogo), in modo da fare perdere le tracce della loro provenienza (2) .
Vi rientrano, in sostanza, quelle condotte in forza delle quali un soggetto, ricevuta la disponibilità, materiale o giuridica, del compendio criminoso lo ritrasferisce a terzi, nell’identica composizione quantitativa e qualitativa, ponendo in essere un artificioso passaggio volto ad ostacolare l’identificazione dell’effettiva provenienza illecita.
Si pensi, per esempio, all’acquisto di un immobile con proventi criminosi da parte di un soggetto apparentemente “pulito”, diverso da quello cui appartiene il denaro illecito utilizzato per l’acquisto, ed al successivo “ritrasferimento” del bene all’effettivo destinatario, che così non appare nella contrattazione originaria; si pensi, ancora, all’attività del soggetto che, senza essere concorso nel reato da cui derivano i profitti illeciti, si incarica di portare in un luogo sicuro (all’estero, ecc.) il compendio criminoso (oro, pietre preziose, ecc.), trasferendolo dal luogo ove può essere facilmente recuperato dalle Forze dell’ordine.


Le condotte “atipiche” di riciclaggio

La seconda ipotesi di “riciclaggio”, di carattere residuale, operante come formula di chiusura, incrimina invece qualsiasi condotta - distinta dalla precedente tipizzata nelle condotte di sostituzione e di trasferimento - che sia tale da frapporre ostacoli all’accertamento dell’origine delittuosa della res (3) . Si verte, quindi, in questo caso, in un’ ipotesi di reato a forma libera rientrando tra le “operazioni” rilevanti tutte quelle diverse (“altre operazioni”) da quelle prese in considerazione dalla prima parte della norma incriminatrice, cioè le sostituzioni o i trasferimenti di denaro, beni o altre utilità. Tale concetto di “operazioni”, va soggiunto, non richiede necessariamente una connotazione giuridico-economica o finanziaria, essendo unicamente richiesto che la condotta debba risolversi in ogni caso in un ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa (4) .A ben vedere, è senz’altro condivisibile la scelta del legislatore di attribuire rilievo, accanto alle sopra descritte condotte “tipiche”, anche a “condotte atipiche” di riciclaggio: cioè a qualsivoglia “altra operazione”, diversa dalla sostituzione e dal trasferimento, che si caratterizza sempre per la finalità dell’ essere diretta ad “ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa” del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l’oggetto. In tale modo, il legislatore ha evidentemente inteso attribuire la massima estensione al delitto di riciclaggio, attraverso la possibilità di punire tutte le concrete manifestazioni dello stesso.


La finalità “dissimulatoria”

Ciò che comunque caratterizza e qualifica il riciclaggio è che si tratta di attività, sia quelle “tipiche” della sostituzione e del trasferimento, sia quella “atipica” del compimento di “altre operazioni”, dirette ad ostacolare l’identificazione dei beni di provenienza delittuosa. L’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene è, infatti, proprio l’elemento caratterizzante le condotte del reato di riciclaggio (5) .Questa finalità “dissimulatoria”, va osservato per incidens, distingue la fattispecie specifica del riciclaggio rispetto a quella, generica, della ricettazione (articolo 648 c.p.), caratterizzata da una generica finalità di profitto e non dalla specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita del compendio criminoso acquistato o ricevuto (6) .E concorre a distinguere il riciclaggio dalla fattispecie, sussidiaria per espressa previsione normativa, del favoreggiamento reale (articolo 379 c.p.). Rispetto alla quale, peraltro, sussistono ulteriori differenze afferenti la condotta (il generico “aiuto”, nel favoreggiamento, in contrapposizione alle specifiche attività di “sostituzione, “trasferimento”, “altre operazioni finalizzate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa”, nel riciclaggio) e l’oggetto materiale di questa (nel favoreggiamento può essere costituito da qualsiasi cosa proveniente da qualsiasi reato - sia delitto che contravvenzione -, mentre per il riciclaggio deve trattarsi di cosa proveniente specificamente da un delitto) (7) .


Il concorso nel “reato principale”

Il concorso nel “reato principale”Il delitto di riciclaggio può essere commesso da qualsiasi persona, ad eccezione di coloro che abbiano preso parte in qualità di concorrenti al reato dal quale provengono il denaro, i beni o le altre utilità oggetto della condotta: l’esclusione è espressamente contenuta nella “clausola di riserva” normativa, secondo cui la fattispecie di cui all’articolo 648 bis c.p. è applicabile “fuori dei casi di concorso nel reato”.In sostanza, allorchè la condotta tipica del riciclaggio (sostituzione o ostacolo all’identificazione) è posta in essere da uno dei compartecipi ad uno dei delitti “presupposti” da cui provengono i proventi illeciti oggetto di “ripulitura”, essa costituisce fatto successivo (post factum) non autonomamente punibile,in quanto rappresenta la naturale prosecuzione dell’originaria condotta criminosa, volta a ottenere e consolidare (appunro, previa “ripulitura”) il profitto da questa conseguente.È vero che, in presenza di un “accordo” per acquistare, ricevere e comunque sostituire il compendio criminoso derivante dal reato “principale”, non sempre è facile accertare con chiarezza se ci si trova in presenza di un’ipotesi di concorso nel reato presupposto ovvero se invece ricorrono i presupposti del riciclaggio.Poichè, peraltro, il riciclaggio, come la ricettazione (articolo 648 c.p.) ed il favoreggiamento reale (articolo 379 c.p.), ha come elemento costitutivo la sussistenza di un reato presupposto già consumato, un importante ausilio interpretativo può essere trovato verificando il momento in cui è intervenuto l’accordo: se questo si è verificato prima della consumazione del reato presupposto, ci si trova in presenza di concorso nel reato, quantomeno nella forma del concorso morale, sul rilievo che il preventivo accordo sulla collocazione del profitto del reato contribuisce a rafforzare l’originario proposito criminoso, dando sicurezza all’autore o agli autori del reato principale; nell’ipotesi inversa in cui l’accordo è avvenuto dopo la consumazione, nessuna influenza questo presenta sulla realizzazione del reato principale e ricorrono, invece, i presupposti del riciclaggio.Questo criterio temporale è idoneo, a nostro avviso, per risolvere la maggior parte delle situazioni di dubbio.Esso, peraltro, non va applicato in modo rigorosamente meccanico. Qualora, infatti, si accerti che l’eventuale accordo sul riciclaggio dei proventi del reato principale, pur intervenuto prima della realizzazione di questo, non abbia in alcun modo influito, neppure nella forma del concorso morale, sulla determinazione a commetterlo da parte degli autori di questo, dovrà escludersi la sussistenza del concorso e dovrà farsi applicazione del disposto dell’articolo 648 bis c.p.: si pensi,per esempio, ad un sequestro di persona a scopo di estorsione, già progettato nei suoi elementi essenziali (soggetto da sequestrare, modalità del rapimento e della custodia della vittima, ripartizione dei ruoli tra i correi, ecc.), rispetto al quale un eventuale accordo con un terzo per la “ripulitura “ del denaro del riscatto non influisce in nulla rispetto alle modalità oggettive e soggettive di realizzazione e, quindi, non consente di poter considerare il riciclatore come un concorrente (8) .


Il reimpiego illecito

Se con il riciclaggio, come si è visto, si puniscono le condotte che mirano a “ripulire” i proventi illeciti, recidendo il loro collegamento all’attività criminosa [delittuosa] da cui sono derivati, onde impedire l’accertamento di tale provenienza, con la previsione sanzionatoria dell’articolo 648 ter c.p. si vuole reprimere, invece, residualmente, il reimpiego in attività economiche e finanziarie dei proventi illeciti, in precedenza “ripuliti”.Quanto alla condotta incriminata, la norma incriminatrice si esprime in termini generici, laddove punisce l’”impiego” del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti da delitto in “attività economiche o finanziarie” (9) .Il termine “impiego” rimanda a nozioni volutamente non tecniche, dovendosi intendere per tale qualsiasi tipo e qualsiasi forma di “utilizzazione” e/o di “investimento” dei capitali illeciti, con l’unica specificazione e limitazione che si tratti di un impiego in attività economiche o finanziarie.È quindi da escludere, tanto per chiarire, che possa configurarsi il reato in parola in presenza di investimenti di capitali in attività ex se illecite (per esempio, nel finanziamento di un sequestro di persona, nell’acquisto di una partita di droga, nell’acquisto clandestino di armi, ecc.): in queste ipotesi, la condotta di investimento e/o di finanziamento non sarebbe punibile in via autonoma ex articolo 648 ter c.p., ma dovrebbe trovare la sua sanzione nelle norme penali che vietano la condotta illegale posta in essere, derivandone la punizione dell’investitore e/o del finanziatore a titolo di concorso nel reato principale.La norma, infatti, vuole chiaramente sanzionare [solo] l’introduzione nel mercato dei profitti illeciti, sia per impedirne il consolidamento in capo agli autori dei reati, sia per evitare le turbative sul piano della libera concorrenza che deriverebbero dall’ingresso di fonti di finanziamento illegali, di tale che le attività economiche o finanziarie che in questa sede rilevano non possono non essere che quelle lecite.


La “clausola di riserva”

A ben vedere, la figura criminosa del reimpiego si pone come “norma di chiusura”, a completamento del sistema sanzionatorio delle attività lato sensu di riciclaggio, ed appare diretta a punire il momento del reinvestimento dei capitali illeciti, in precedenza “ripuliti”, in attività economiche apparentemente lecite.La rilevata residualità emerge, a chiare lettere, proprio dalla clausola di riserva con cui si apre il testo della norma: l’articolo 648 ter c.p. si applica, infatti, non solo fuori dalle ipotesi di concorso nel reato, ma anche allorchè nei fatti non ricorrano i casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis c.p..Proprio il significato della clausola di riserva è il tema controverso su cui vale la pena di soffermarsi per cogliere la valenza operatività della norma incriminatrice dei “reimpiego” e i suoi rapporti con la ricettazione e il riciclaggio.


Il concorso nel “reato principale”

Come per il riciclaggio, i rapporti tra il reimpiego illecito e il concorso nel reato presupposto non presentano difficoltà interpretative particolari.Il delitto di reimpiego può essere commesso da qualsiasi persona, ad eccezione di coloro che abbiano preso parte in qualità di concorrenti al reato dal quale provengono il denaro, i beni o le altre utilità oggetto della condotta: l’esclusione è espressamente contenuta nella menzionata clausola di riserva, secondo cui la fattispecie in questione è applicabile “fuori dei casi di concorso nel reato” (10) . In sostanza, allorchè la condotta tipica del reimpiego (impiego in attività economiche o finanziarie) è posta in essere da uno dei compartecipi al delitto “presupposto”, essa costituisce fatto successivo (post factum) non autonomamente punibile,in quanto rappresenta la naturale prosecuzione dell’originaria condotta criminosa, volta a ottenere e consolidare il profitto da questa conseguente.In presenza di un accordo per il reimpiego del provento dell’attività delittuosa potrebbe però non essere facile accertare con immediata chiarezza se ci si trovi in presenza di un’ipotesi di concorso nel reato presupposto ovvero se invece ricorrano i presupposti del reimpiego.Valgono mutatis mutandis le considerazioni già sviluppate supra relativamente al riciclaggio, dovendosi apprezzare il “momento” in cui interviene l’accordo finalizzato al reimpiego dei proventi illeciti, anche se, come si è visto, il criterio temporale non va applicato in modo rigorosamente meccanico.Qualora, infatti, si accerti che l’eventuale accordo sul reimpiego dei proventi del reato principale, pur intervenuto prima della realizzazione di questo, non abbia in alcun modo influito, neppure nella forma del concorso morale, sulla determinazione a commetterlo da parte degli autori di questo, dovrà escludersi la sussistenza del concorso e dovrà farsi applicazione del disposto dell’articolo 648 ter c.p..


I rapporti tra il “reimpiego” e il riciclaggio

L’elemento differenziale del reimpiego rispetto al riciclaggio è essenzialmente di ordine temporale: la condotta criminosa punita ex articolo 648 ter c.p. ha per oggetto capitali illeciti “già” in precedenza fatti oggetto di un’attività di “ripulitura”, tale da farli apparire di provenienza lecita e quindi, solo a questo punto, reinvestiti in operazioni economiche o finanziarie.In questa prospettiva, allorquando il reimpiego sia esso stesso strumento di “ripulitura” del bene di provenienza illecita, la clausola di riserva porterà ad applicare la sola norma incriminatrice del riciclaggio.È fin troppo evidente, peraltro, che l’assorbimento del reimpiego nel riciclaggio potrà realizzarsi solo allorquando la condotta sia “la stessa”, per identiche modalità di realizzazione e per l’assenza di soluzioni di continuità [può farsi l’ipotesi, per esemplificare, di chi “ripulisca” il denaro di provenienza illecita investendolo direttamente in un’attività finanziaria].Diverso discorso dovrebbe farsi allorquando si verta in ipotesi di condotte diverse, pur commesse dallo stesso soggetto: ciò che può verificarsi nel caso in cui questi, dapprima provveda alla “ripulitura” del provento illecito [ponendo in essere un delle condotte di sostituzione, di trasferimento o di ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa prese in considerazione dall’articolo 648 bis c.p.] e, poi, con successiva determinazione, provveda al reimpiego del provento così ripulito. In tale evenienza non potrebbe ammettersi l’“assorbimento” della seconda attività nella prima, diversa per modalità anche temporali di realizzazione, imponendosi la concorrente applicabilità di entrambe le fattispecie incriminatrici (11) .


I rapporti tra il “reimpiego” e la ricettazione

Non dissimili considerazioni possono farsi per cogliere i rapporti tra il reimpiego e la comune ricettazione, che, come è noto, punisce la condotta di chi, al fine di profitto, acquista o comune riceve beni di provenienza delittuosa.Perchè si abbia reimpiego, sotto il profilo della condotta incriminata,occorre qualcosa di più rispetto alla mera ricezione che caratterizza la ricettazione: è necessario che i beni siano effettivamente reimpiegati in attività economiche o finanziarie. Diversamente, il fatto sarà punibile solo come ricettazione comune.A ciò dovendosi aggiungere, sotto il profilo soggettivo, che l’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 648 ter c.p. è integrato non solo dalla consapevolezza della provenienza illecita del denaro [che è comune alla ricettazione, laddove tale consapevolezza “entra” a comporre il dolo del reato, che è specifico perché qualificato dal “fine di profitto”], ma anche dalla volontarietà di impiegare tale denaro in attività economiche o finanziarie (12) .In altri termini, la clausola di riserva “a favore” della ricettazione potrà operare solo allorquando la condotta di ricezione non si sia sostanziata nella coeva o successiva attività di reimpiego in attività economiche o finanziarie.È evidente e non controverso, infatti, che il generico impiego del provento della ricettazione rappresenta un post factum non punibile dell’attività incriminata, in quanto rappresenta a ben vedere una modalità di soddisfazione concreta della finalità di profitto che qualifica la condotta punita dall’articolo 648 c.p. Ma deve essere altrettanto evidente la portata specifica e specializzante del reato di reimpiego, che trova ragione nel fatto che ciò che qualifica la condotta è un impiego “specifico” del bene di provenienza illecita in una attività economica o finanziaria: proprio tale “specificità” del reimpiego assume rilievo per il fondamento della incriminazione penale ex articolo 648 ter c.p..Detto altrimenti: la ricettazione e il reimpiego hanno in comune la ricezione di denaro o di altra utilità di provenienza illecita, ma, mentre la ricettazione richiede una generica attività di profitto che giustifica l’impiego che del denaro o dell’altra utilità l’agente abbia fatto, proprio per perseguire l’anzidetta finalità di profitto [per l’effetto tale impiego costituirebbe un post factum non punibile], nel reimpiegol’elemento specializzante [e penalmente rilevante] è rappresentato dalla specificità dell’impiego “in attività economiche o finanziarie” (13) .


L’impiego in attività economiche o finanziarie

Ed allora la vera chiave di lettura interpretativa per cogliere il proprium del reimpiego, e le differenze rispetto alla ricettazione comune, passa necessariamente attraverso il significato normativo da attribuire all’espressione “attività economiche o finanziarie”, che, nel difetto di esplicite indicazioni ricavabili dallo stesso articolo 648 ter c.p., si deve necessariamente trarre da altre norme, contenenti la relativa definizione, dalle quali possono trarsi significativi spunti interpretativi ai fini che qui interessano.Al riguardo, un’importante ausilio per poter dare concretezza al concetto di “attività economica” lo si trova nell’articolo 2082 del Codice civile che, nel definire la nozione giuridica di imprenditore,qualifica come tale colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”, e nei successivi articoli 2135 e 2195 dello stesso codice che, a loro volta, qualificano l’imprenditore agricolo e quello commerciale: è imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse, cioè le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura; è imprenditore commerciale, invece, chi esercita un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi o un’attività intermediaria nella circolazione dei beni o un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria o un’attività bancaria o assicurativa o, infine, un’attività ausiliaria alle precedenti. Perchè pertanto possa parlarsi di attività economica [anche ai fini sanzionatori del “reimpiego” illecito] occorre si sia in presenza di un’attività finalizzata alla “produzione” o allo “scambio” di beni o di servizi, dovendosi intendere per tale, comunque, non solo l’attività produttiva in senso stretto, ossia quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche l’attività di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, ed altresì ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle surrichiamate norme del codice civile. In una tale ottica, in questo concetto di attività economica rientra anche l’attività di finanziamento (cioè l’attività in forza della quale un soggetto presta professionalmente denaro a chi lo richieda, mediante contratti di mutuo od altri contratti di credito), che è tipica attività attività di scambio, in quanto nel contratto di mutuo e, più in generale, nei contratti di credito la dazione del denaro è effettuata a titolo oneroso. Anche tale attività può rilevare ai fini del “reimpiego” illecito, giacchè è a questa che la norma incriminatrice si riferisce allorquando richiama la nozione di “attività finanziaria”. Nel difetto di indicazioni in senso contrario contenute nel testo dell’ articolo 648 ter c.p., perchè si possa parlare, ai fini che qui interessano, di impiego penalmente perseguibile in attività economiche e/o finanziarie non è neppure imposto un limite quantitativo minimo al valore dell’investimento: può configurare pertanto l’elemento oggettivo del reato anche il reimpiego di una modesta somma di denaro provento di una qualsiasi attività delittuosa.Un limite che deve ritenersi sussistente concerne, invece, le modalità e la direzione dell’impiego.Se questo deve essere effettuato nell’ambito di “attività” economiche o finanziarie, occorre in sostanza che si sia in presenza di condotte professionali, caratterizzate dai requisiti della stabilità e/o della non occasionalità: non può così ritenersi sussistente il reato di cui all’articolo 648 ter c.p. nel comportamento di chi, occasionalmente, abbia speso in un esercizio commerciale una somma di denaro proveniente da delitto: tale soggetto sarà chiamato a rispondere normalmente di ricettazione, in relazione alla precedente condotta di ricezione della somma, ovvero di riciclaggio, laddove l’intento perseguito sia stato quello della “ripulitura” del compendio crimoinoso.Laddove l’investimento sia effettuato nell’ambito di “attività” economiche e/o finanziarie nel senso suindicato deve invece ribadirsi l’irrilevanza dei profili quantitativi dello stesso, che possono semmai essere tenuti in considerazione ai fini della determinazione della pena: ricorrerà quindi il reato di cui all’articolo 648 ter c.p. nel comportamento di chi investa i proventi illeciti (pur quantitativamente modesti) nell’ambito della propria attività imprenditoriale, organizzata e gestita professionalmente, mentre la pochezza quantitativa della somma reimpiegata potrà essere tenuto in conto ai fini del trattamento sanzionatorio e/o della concessione delle circostanze attenuanti generiche.


Conclusioni

Queste considerazioni ci sembra risolvano ogni questione interpretative dei rapporti tra il reimpiego, da un lato, e il riciclaggio e la ricettazione, dall’altro, senza confinare l’ambito di operatività del primo reato in termini oltremodo ristretti. I rapporti del reimpiego con il riciclaggio sono facilmente risolti, giusta quanto osservato, nel caso in cui l’attività di “reimpiego” abbia ad oggetto beni già [da altri] riciclati, ossia ripuliti.Mentre allorquando il reimpiego (ad opera del medesimo soggetto) sia esso stesso strumento di “ripulitura” del bene di provenienza illecita, la clausola di riserva porterà ad applicare la sola norma incriminatrice del riciclaggio.Va però ribadito, con chiarezza, che l’assorbimento del reimpiego nel riciclaggio potrà realizzarsi solo allorquando la condotta sia “la stessa”, per identiche modalità di realizzazione e per l’assenza di soluzioni di continuità.Diverso discorso dovrebbe farsi allorquando si verta in ipotesi di condotte diverse (pur) commesse dallo stesso soggetto: ciò che può verificarsi nel caso in cui questi dapprima provveda alla “ripulitura” del provento illecito (ponendo in essere un delle condotte di sostituzione, di tradsferimento o di ostacolo all’identificazione dell provenienza delittuosa prese in considerazione dall’articolo 648 bis c.p.) e, poi, con successiva determinazione, provveda al reimpiego del provento così ripulito. In tale evenienza, non potrebbe discutersi di “assorbimento” della seconda attività nella prima, diversa per modalità anche temporali di realizzazione, imponendosi la concorrente applicabilità di entrambe le fattispecie incriminatrici.Quanto ai rapporti del reimpiego con la ricettazione, come si è argomentato, ciò che assorbentemente rileva è la modalità di investimento del provento illecito: la specificità dell’impiego in una attività economica o finanziaria renderebbe senz’altro applicabile la specifica disposizione incriminatrice dell’articolo 648 ter c.p., a prescindere dal momento in cui sia sorta la determinazione dell’investimento rispetto a quella della ricezione del compendio illecito; mentre (solo) gli impieghi di altra natura potranno rilevare (solo) come post factum non punibile rispetto alla condotta di ricettazione ovvero potranno importare la configurabilità del riciclaggio laddove l’intento perseguito sia stato quello della “ripulitura” del compendio criminoso (e purchè, beninteso, la condotta materiale si sia sostanziata in una delle attività tipiche prese in considerazione dall’articolo 648 bis c.p.).


Le prospettive sanzionatorie

Perché è importante distinguere esattamente tra il riciclaggio, il reimpiego e la ricettazione? Non solo, come è ovvio, per la corretta qualificazione del fatto dal punto di vista squisitamente sanzionatorio penalistico. Ma anche perché, (solo) per il riciclaggio e il reimpiego, come opportuna (ulteriore) risposta sanzionatoria, di recente è stata introdotta, con l’articolo 648 quater c.p. (inserito dal decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231), la confisca “obbligatoria” dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, con la ulteriore possibilità, nel caso in cui risulti impossibile accertare la specifica provenienza delittuosa del bene, di procedere alla confisca “per equivalente”, ovvero attingendo dal patrimonio del trasgressore beni (qualsiasi bene, indipendentemente dalla accertata provenienza) per un “valore equivalente” al prodotto o al profitto del reato. Si tratta, come è ovvio, di uno strumentaro realmente efficiente per contrastare la criminalità organizzata, cui in tal modo possono sottrarsi le risorse illecitamente acquisite e potenzialmente riutilizzabili.Solo per completezza di informazione, va poi ricordato un altro importante strumento sanzionatorio che l’ordinamento fornisce agli operatori. Sia per il riciclaggio ed il reimpiego, ma stavolta anche per la ricettazione, è prevista una ipotesi di responsabilità amministrativa a carico dell’ente nel cui interesse o vantaggio tali reati siano stati commessi (cfr. articolo 25 octies del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, introdotto dal citato decreto legislativo n. 231 del 2007). Al processo penale a carico del trasgressore si affianca quindi un procedimento a carico dell’ente, in nome e nell’interesse del quale il trasgressore ha agito, che può concludersi con pesanti sanzioni pecuniarie o interdittive a carico dell’ente. È uno strumentario molto utile, specie relativamente al riciclaggio ed al reimpiego, giacchè tali reati, soprattutto se posti in essere nello svolgimento di attività professionali, lo sono attraverso l’utilizzazione dello schermo societario: grazie alla richiamata disciplina è così possibile colpire anche la società utilizzata per l’attività illecita, e non solo il reo in sede penale.


(1) cfr. Cassazione, Sezione IV, 30 gennaio 2007, Cazzella ed altri.
(2) Per un’esemplificazione, Cassazione, Sezione I, 15 ottobre 1998, Daoudi.
(3) Cfr. Cassazione, Sezione II, 23 settembre 2005, Carciati ed altri, che, per l’effetto, ha ritenuta corretta la contestazione del reato di riciclaggio in relazione alla condotta degli imputati, i quali, al fine di far perdere le tracce dell’origine illecita di assegni indebitamente sottratti in un ufficio postale, avevano provveduto a falsificare la girata dei beneficiari e ad incassare gli assegni, prima che fosse sporta denuncia, su conti correnti appositamente aperti a tale scopo.
(4) Cfr. Cassazione, Sezione VI, 18 dicembre 2007, Gocini ed altri.
(5) Cassazione, Sezione II, 23 febbraio 2005, De Luca.
(6) Cfr. Cassazione, Sezione IV, 23 marzo 2000, Ascieri; Sezione IV, 13 ottobre 1999, Caliskan ed altri; il rilevato rapporto consente di ritenere ammissibile, in caso di contestazione del reato di riciclaggio, la condanna per quello di ricettazione, senza alcuna violazione del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza: Cassazione, Sezione V, 21 febbraio 2001, Gabrielli ed altri.
(7) Cfr. Cassazione, Sezione II, 16 aprile 2002, Andriola.
(8) Per utili spunti, sulla non necessaria “esaustività” del criterio temporale dell’accordo, cfr. Cassazione, Sezione V, 10 gennaio 2007, Gualtieri.
(9) “Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis c.p., impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito…”.(10) Cfr., in generale, Cassazione, Sezione VI, 14 luglio 1994, Misto.
(11) Sotto questo profilo, non convincono appieno le conclusioni di segno diverso cui di recente è pervenuta la Cassazione, con la sentenza della Sezione II, 11 novembre 2009, Maldini ed altro, secondo la quale: in ragione della “clausola di sussidiarietà” prevista nell’articolo 648 ter c.p., la fattispecie incriminatrice del reimpiego illecito non sarebbe applicabile a coloro che abbiano già commesso il delitto di ricettazione o quello di riciclaggio e che, successivamente, con determinazione autonoma (al di fuori, cioè, della iniziale ricezione o sostituzione del denaro), abbiano poi impiegato ciò che era frutto già di delitti a loro addebitati: in tale evenienza, il reimpiego del denaro si atteggia, infatti, come post factum non rilevante. Per converso, secondo il giudice di legittimità, la norma incriminatrice del reimpiego sarebbe invece applicabile a coloro che, con unicità di determinazione teleologica originaria, abbiano ricevuto o sostituito denaro di provenienza illecita per impiegarlo in attività economiche o finanziarie: in tale evenienza nel reimpiego è “assorbita” la precedente attività di ricezione o di sostituzione. A nostro avviso, infatti, il voler patrocinare, nel caso di che trattasi, la soluzione diametralmente opposta dell’assorbimento del “successivo” reimpiego del provento in precedenza “ripulito” finirebbe con il trascurare dal punto di vista sanzionatorio un segmento importante della complessiva attività criminosa, qualificando come post factum non punibile un fatto autonomo, materialmente e temporalmente, rispetto a quello precedentemente consumato di [mera] ripulitura del profitto. In questa prospettiva, il richiamo alla “clausola di riserva” contenuta nell’articolo 648 ter c.p., come operato dalla Cassazione, non sembra corretto, laddove la “sussidiarietà” potrebbe essere utilmente invocata – a ben vedere – solo in presenza di un condotta unitaria.
(12) Cfr. Cassazione, Sezione VI, 24 novembre 2003, Proc. gen. App. Roma ed altri in proc. Pellegrinetti ed altri.
(13) Cfr. Cassazione, Sezione II, 10 gennaio 2003, Sirani; sul diverso elemento soggettivo qualificante la ricettazione e il reimpiego, cfr. anche Cassazione, Sezione IV, 23 marzo 2000, Ascieri ed altri.

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