GNOSIS 1/2010
Operazione "Paesan Blues": "La Merica di Cosa Nostra" |
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Iu parru sulu la lingua to, e partu e vaju assai luntanu unni si parra sulu amiricanu (FrancoTrincale, Sicilia a Brooklyn) Dal finestrino dell’aereo le rotte per l’America sono invisibili derive di nuvole, così diverse dal clamore dei bastimenti e dalle correnti afre di salsedine che cent’anni fa assistevano l’esodo severo e disperato degli old-time Sicilians. Come allora, tra i nodi italo-americani di gente e sogni onesti, carsicamente alligna il morboso parassita mafioso che tesse orditi stretti e resistenti e si perpetua, gattopardescamente, apparendo diverso per rimanere identico. Il boss attraversa il cielo e porta l’ansia della sua” famiglia” palermitana nei lidi americani, cercando nel Nuovo Mondo le segrete chiavi e le soluzioni ad una crisi ormai radicale del sistema mafioso. A Palermo sono stati arrestati quasi tutti i più importanti capifamiglia. Non resta che la riserva della riserva. Giovani desiderosi di conquistare la prima fila, senza avere l’esperienza e la maturità che un tempo erano alla base della selezione dei leader. Lo ha detto al suo compare: “…e bisogna ritagliarsi nella vita... una storia... se no... una persona non è nessuno… senza storia non è nessuno... è inutile che uno cerca di giudicare...”. La sente sulle spalle la sua storia. Si specchia nei riflessi del finestrino e si immagina, come Cosa Nostra, sospeso tra due universi – la Sicilia e l’America – annodati da rapporti storici e da speranze future. Sente scorrere nell’anima la furia dei Motisi, dei Morello, dei Cascio Ferro che nella prima ondata migratoria siciliana avevano reinventato Cosa Nostra nelle cities, da New York a Chicago, a New Orleans, sino a polverizzarsi in molti Stati. Con l’abito dei commercianti trasportavano merce redditizia, dai prodotti agricoli per i mercati alimentari agli emigranti corregionali alla ricerca disperata di una nuova vita, coniugando l’abilità di racketeers a quella di uomini d’affari sempre più sofisticati. Dall’underworld reietto e sempre più aborrito dalla società ospite, Cosa Nostra assume con le nuove ondate di migranti una fisionomia più autonoma che non rinuncia al mito del Padrino e al codice identitario siciliano, ma si americanizza e assurge all’agiografia affaristica più spinta. È il tempo dei Gambino, dei Lucchese, dei Colombo, dei Bonanno e dei Genovese in cui le famiglie assorbono altre matrici italo-americane diventando vere e proprie holding gestite da leader più integrati e flessibili. La storia… è importante la storia… All’Hotel delle Palme di Palermo, nel lontano 1957, i siciliani e gli americani si accordano come buoni cugini – non più fratelli – per accaparrarsi il più grande affare dal dopoguerra, il traffico di droga. Negli incontri si discute anche di cupola, necessaria ad aggregare in un solo polo strategico la volontà delle famiglie sparse sul territorio. La storia è importante… anche quando le pagine si tingono di scuro, come l’assurda guerra civile dei “corleonesi” che insanguinò la Sicilia negli anni ’80 e cancellò una parte di Cosa Nostra, forse la più tradizionale, la più aristocratica… Si trasferì l’ammazzatina anche in America e in America trovò una soluzione per i sopravvissuti degli Inzerillo, troppo parenti dei Gambino per poter sparire del tutto. Gli “scappati”… li chiamano così quelli riparati a New York, ostracizzati e controllati perché non rinascesse il desiderio di vendetta… A Santa Maria di Gesù, però, sono tornati, e avrebbero fatto scoppiare un caso bellico se non avessero avuto l’appoggio di Provenzano e Lo Piccolo e… chissà... anche il sostegno di qualche cugino americano pronto a garantire ancora in cambio di qualche nuovo affare. Oggi a Palermo di boss veri non ce ne sono più. Bisogna contentarsi di vedere la saga del “Padrino” al cinema per eccitarsi un po’, per immaginare quello che il mafioso sarebbe potuto diventare, quello che, forse, potrebbe diventare con un po’ di fortuna, con un po’ di sostegno anche americano, con un po’ di coraggio dei vecchi che oggi rimangono i sacerdoti di una fede in crisi. È trascorso molto tempo e per il boss i destini della Sicilia e di Little Italy si incontrano ancora… Oltre ai carichi di droga cui si affida la tenuta economica dell’organizzazione si tenta di recuperare il senso di una tradizione che vuole organizzarsi e diventare prassi. A Palermo come negli Stati Uniti, quel patrimonio genetico che ha trasformato i “viddani” in Sicilia e i greasers o greseballs a New York in uomini di rispetto, può dare la forza di superare il Niente in cui oggi i mafiosi sembrano annegare. L’aereo sta atterrando. Il boss mette in tasca la brochure che ha portato per i sommeliers statunitensi. All’interno è nascosto il biglietto da visita del suo compare…E’ ansioso, non vede l’ora di incontrare i cugini americani, deve partecipare ad un incontro storico… Non si accorge dello sbirro che dall’ultima fila lo tiene d’occhio dalla partenza. Il poliziotto guarda la statua della Libertà… pensa a Petrosino, al suo collega italo-americano di cent’anni fa, ucciso a Palermo su mandato dei boss siciliani di New York… In tasca ha il biglietto da visita del suo collega dell’FBI, John, vecchio amico di tante indagini in comune. |