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GNOSIS 1/2010
Pianeta security


La sicurezza ‘energetica’


Carlo Stagnaro


Un approvvigionamento energetico permanente, adeguato, economico e affidabile, con un occhiata non secondaria alla salvaguardia ambientale. È il problema che si trovano ad affrontare tutti i paesi avanzati, ma con scarse fonti di energia autonome. In questo quadro, la "sicurezza energetica" incide sulle scelte politiche, economiche e ambientali. E mentre la sicurezza petrolifera è essenzialmente una questione di volumi, oltre che di prezzi, la sicurezza del gas è principalmente un problema di infrastrutture. Rimane poi aperto il tema della "security" classica, come rileva nell'attento esame oggetto del suo intervento, Carlo Stagnaro, Direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni: la convergenza tra pirateria e terrorismo rende i mercati energetici particolarmente vulnerabili, poiché la maggior parte delle rotte petrolifere e del gas attraversano aree infestate dai pirati.
(Foto Ansa)



Il 2009 è un anno importante, nella storia energetica italiana. Nei primi nove mesi dell’anno, la domanda di gas – le cui principali componenti sono la domanda industriale e quella termoelettrica – è scesa del 12 per cento. Si tratta di un crollo drammatico e senza precedenti dalle crisi petrolifere degli anni Settanta: attraverso questo dato, è possibile comprendere l’impatto della crisi economica sulla produzione manifatturiera del nostro paese. Contemporaneamente, il 19 ottobre 2009 è stato inaugurato il terminale di rigassificazione di Rovigo, realizzato da una joint venture tra Edison, ExxonMobil e Qatar Petroleum. Grazie al rigassificatore, che è la prima infrastruttura di adduzione del gas non posseduta dall’ex monopolista, la capacità di importazione italiana cresce di circa 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno, l’80 per cento dei quali proverranno dal Qatar. La restante capacità, secondo gli obblighi regolatori di “third party access” (1) , è stata messa a gara. La prima cessione, per una capacità di 145 mila metri cubi di gas, è andata deserta (2) , anche se la capacità è stata assegnata nella seconda fase della gara (3) .
Le due cose sono, naturalmente, correlate: a causa della crisi, il mercato italiano è strutturalmente lungo. Quindi, la domanda reale di gas, tra l’altro indebolita dalle temperature invernali miti, non giustifica l’acquisto di ulteriori quantitativi. Quali implicazioni ha questo per la sicurezza energetica? Per rispondere occorre anzitutto chiarire il concetto.


La sicurezza energetica

Definire la sicurezza energetica è un compito relativamente facile. In senso moderno, la sicurezza energetica supera gli aspetti classici di security fisica – delle infrastrutture, delle rotte e dei pozzi – per abbracciare una serie di questioni più ampie, che si collocano su un orizzonte sfumato tra politica, economia e ambiente (Ercolani 2008). Secondo la Commissione europea, “la strategia di lungo termine dell’Unione europea per la garanzia della sicurezza energetica deve essere costruita per garantire, per il benessere dei suoi cittadini e l’adeguato funzionamento della sua economia, l’ininterrotta disponibilità fisica di prodotti energetici sul mercato, a un prezzo accessibile per tutti i consumatori (privati e industriali), nel rispetto delle preoccupazioni ambientali e guardando allo sviluppo sostenibile” (EC 2001, p. 2; EC 2006). Quello che è complesso è trovare una definizione operativa di sicurezza energetica, poiché tale concetto ha ricadute su una serie di aree e settori, talvolta coerenti l’una con l’altra, spesso in tensione. L’Agenzia internazionale dell’energia descrive la sicurezza energetica nei termini di un approvvigionamento che sia “adeguato, economico e affidabile” (IEA 2002). Negli anni successivi, ha acquisito un’importanza sempre più centrale la dimensione ambientale della sicurezza, in particolare con riferimento alla questione climatica (IEA 2007). Inoltre, l’escalation dei prezzi del petrolio tra i primi anni 2000 e il 2008 ha fatto sì che l’enfasi fosse posta sulla sicurezza dell’offerta di energia: tuttavia, un problema analogo e speculare riguarda la sicurezza della domanda (Alhajiji 2007).
È chiaro come esista un forte rischio di adottare politiche conflittuali per rispondere ad aspetti diversi della sicurezza (Stagnaro 2007). Per esempio, se la capacità rinnovabile installata si moltiplicasse istantaneamente, da un lato si ridurrebbero le emissioni di gas climalteranti, ma dall’altro probabilmente i prezzi energetici crescerebbero esponenzialmente, e l’affidabilità del sistema si ridurrebbe a causa dell’inadeguatezza della rete elettrica: l’impatto sulla sicurezza sarebbe dubbio o negativo. Viceversa, se fosse introdotta una grande capacità di generazione a carbone, probabilmente i prezzi si ridurrebbero, ma crescerebbero le emissioni. È dubbio il rapporto tra dipendenza estera e sicurezza: Müller-Kraenner (2007) sostiene che le politiche ambientali aumentino la sicurezza grazie a una progressiva riduzione della dipendenza esterna, mentre Howell e Nakhle (2007) mettono in guardia contro i rischi di una eccessiva autosufficienza, muovendo dall’esempio del carbone per la Gran Bretagna negli anni Ottanta (sul tema si veda anche Bryce 2008). Questo aiuta a capire che la sfida della sicurezza non è tanto quella della massimizzazione di un parametro, quanto quella dell’ottimizzazione di una serie di parametri. Per una serie di ragioni, in un contesto come quello italiano parlare di sicurezza significa soprattutto parlare di gas naturale.


Il gas, epicentro energetico dell’Italia

In una prospettiva di sicurezza, il gas rappresenta l’anello più debole della catena energetica italiana. Questo essenzialmente per due ragioni: la prima generale, la seconda locale. La caratteristica generale consiste nel fatto che il petrolio è scambiato su un mercato globale e liquido, dove la variabile-prezzo può subire cambiamenti anche molto significativi, ma non compromette la disponibilità e accessibilità del greggio.
Chiunque abbia bisogno di un ulteriore barile di petrolio, può normalmente trovarlo sul mercato, purché sia disposto a pagare abbastanza. Questo non è, però, vero per il gas, almeno sul mercato europeo. Da un lato, la principale modalità di trasporto del gas, il tubo, è evidentemente rigida e non può essere riorientata. Dall’altro, i prezzi sono normalmente guidati dai contratti a lungo termine, che li ancorano a quelli petroliferi sganciandoli, di fatto, dal rapporto tra domanda e offerta. Sebbene vi siano segnali di un progressivo disaccoppiamento dei prezzi del gas da quelli del petrolio (Villa 2009) che si sono intensificati durante la crisi grazie all’istantanea sovrabbondanza di metano sul mercato (IEA 2009, p. 511), il processo è ancora in corso ed è difficile dire se e quando e come arriverà a un definitivo decoupling. La ragione locale deriva dal fatto che, per scelta o per vocazione, per necessità o per virtù, l’Italia ha fatto del gas l’epicentro del suo sistema energetico. Questo è il frutto di una duplice dinamica: nel nostro paese, come in tutto il mondo industrializzato, una quota crescente dei consumi energetici è alimentata dall’energia elettrica. Ma in Italia, a differenza che altrove, elettricità significa sempre più gas e sempre meno tutto il resto (Tabella 1).

Tabella 1. Domanda elettrica per fonte (MWh). Fonte: elaborazione IBL su dati Terna (2008).
 

Nel passato, questa forte dipendenza dal gas ha creato problemi, dovuti all’impatto di shock esterni (come il calo delle forniture dovuto agli scontri tra Russia e Ucraina) e all’inadeguatezza delle infrastrutture di adduzione. Grazie al combinato disposto tra l’effetto della crisi (che deprime i consumi) e l’ingresso in funzione di Rovigo (che incrementa la capacità d’importazione) questo rischio è meno grave, ma non del tutto risolto. Infatti, sebbene su base annuale la capacità di importazione sia oggi adeguata, non è detto che ciò sia vero anche a fronte di picchi di consumo di breve durata. Come ha scritto recentemente il presidente dell’Autorità per l’Energia, Alessandro Ortis, “in caso di code stagionali fredde, l’attuale sistema sarebbe in difficoltà nel fronteggiare il fabbisogno” (4) . Da questi fattori, iniziano a prendere corpo i contorni della questione-sicurezza gas per l’Italia.


La sicurezza gas per l’Italia

Mettere in sicurezza gli approvvigionamenti italiani di gas, dunque, richiede essenzialmente uno sforzo infrastrutturale, che è in effetti in corso. L’aspettativa di una crescita inesorabile della domanda di gas, pure interrotta dalla crisi, ha negli scorsi anni stimolato un gran numero di progetti di nuove infrastrutture: dallo sbottigliamento dei gasdotti esistenti alla realizzazione di nuovi tubi, fino alla presentazione di una dozzina di progetti per la costruzione di terminali di rigassificazione. La stessa costruzione di nuove infrastrutture pone una serie di interrogativi. Anzitutto, è possibile prevedere quali e quando saranno effettivamente realizzate? Il processo autorizzativo in Italia è lungo e poco trasparente, e questa è una delle ragioni per cui così tanti progetti sono stati presentati. È una sorta di corsa, nella quale i primi che vengono estratti – ossia, che sono autorizzati – hanno il biglietto vincente, perché in questa maniera potranno godere del vantaggio del “first mover” nel rispondere alla domanda di gas (Stagnaro 2009).
In presenza di un quadro normativo più certo e prevedibile, tanto negli esiti quanto nei tempi, probabilmente si sarebbe assistito a una corsa meno affollata. È estremamente improbabile, per contro, che tutte le opere attualmente in esame vengano realizzate, anche perché in questo caso ci si troverebbe in presenza di un’offerta sovrabbondante di gas che, se può convenire ai consumatori, metterebbe a repentaglio la solidità finanziaria degli importatori (Clò 2006). L’unica possibilità per coniugare la sostenibilità finanziaria dell’operazione con la realizzazione di tutti, o gran parte, i terminali e le altre opere sarebbe quella, fortemente sollecitata dall’Autorità per l’energia, di infittire le interconnessioni verso nord, in modo da fare dell’Italia una sorta di hub per l’Europa meridionale. La vocazione del nostro paese come transit country rappresenta una sfida affascinante, in termini di collocazione strategica e posizionamento finanziario, oltre che avere ovvi risvolti positivi in termini di sicurezza. Tuttavia, al momento non pare realistico ipotizzare che l’Italia prenderà questa strada nel futuro prevedibile.
Infatti, nel medio termine le infrastrutture esistenti o in via di realizzazione saranno probabilmente in grado di soddisfare la domanda nazionale, ma difficilmente costituiranno una massa critica sufficiente a innescare un ripensamento del ruolo del nostro paese nel panorama metanifero europeo. Mazzei (2009) ha costruito una matrice dei flussi di gas naturale liquefatto (Gnl) sulla base dei progetti esistenti di impianti di liquefazione e rigassificazione: al 2020, l’Italia riceverebbe 2,87 milioni di tonnellate all’anno di gas dalla Nigeria, e 4,70 milioni di tonnellate all’anno dal Qatar. Questo implica che, al rigassificatore Edison/ExxonMobil/Qatar Petroleum di Rovigo, si aggiungerebbe soltanto l’impianto proposto da Enel a Porto Empedocle, già coperto da un contratto col paese africano. In realtà, in un recente intervento il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, non ha citato Porto Empedocle, ma Priolo (Erg/Shell) e Trieste (Gas Natural) come gli impianti “assolutamente sicuri e utili in un’intelligente politica energetica” che si faranno (5) .
Un secondo, e parallelo, problema riguarda l’effettiva capacità dei soggetti proponenti i nuovi terminali di alimentarli con proprio gas, una volta entrati in funzione. Nell’immediato questo non sarebbe un problema, se anche tali infrastrutture fossero operative, poiché sul mercato europeo si registra un eccesso di offerta – Iea (2009) parla addirittura di una “minibolla”. Nel medio termine, ossia nell’orizzonte in cui è possibile che tali infrastrutture divengano attive, ciò non sarà più vero. Quindi un fattore competitivo importante riguarda la capacità delle imprese di assicurarsi le forniture di gas, attraverso la sottoscrizione di contratti a lungo termine. A lungo osteggiati dalla Commissione europea, i contratti a lungo termine sono però necessari a garantire un ragionevole margine di certezza. Non sempre, nel caso dei progetti presentati in Italia, questa condizione è rispettata. Il paradosso, nelle parole di Nicolazzi (2009, p.117), è dunque che “c’è un’isteresi quasi fisiologica tra il momento in cui si manifesta la domanda (e dunque si individua il mercato) e quello in cui si materializza l’offerta (e dunque la produzione e il trasporto diventano realtà)”. L’infrastruttura si ripaga solo se è utilizzata, presumibilmente, a pieno carico o quasi: quindi richiede da un lato un eccesso di domanda, dall’altro la certezza della disponibilità di metano. È questa la ragione per cui il mercato del gas, a differenza di quello petrolifero, in Europa è strutturalmente esposto all’insicurezza. Ed è anche questa la ragione perché i rigassificatori, come si vedrà tra poco, possono contribuire a mutare, almeno nel medio termine, i termini dell’equazione.


Le sfide del Gnl

La differenza tra Gnl e pipeline e sta essenzialmente nella diversa flessibilità del mezzo. Un metro cubo di gas trasportato via tubo deve necessariamente spostarsi dal punto A al punto B. Viceversa, una nave metaniera, diretta da A a B, può a un certo punto del suo tragitto cambiare rotta per raggiungere un punto C, dove la domanda e dunque il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare è più alto, in relazione all’offerta disponibile. Sebbene, in entrambi i casi, la finanziabilità delle opere imponga la copertura di contratti a lungo termine, la proliferazione degli impianti di rigassificazione e liquefazione (la cui condizione è forse ancor più critica, e che rischiano di divenire il vero collo di bottiglia al di fuori della portata dei paesi consumatori) può creare una vera e propria rete, fatta di punti di partenza da paesi produttori ed entry point potenzialmente disponibili nei paesi consumatori.
Se il volume di gas trasportato via nave raggiungerà una massa critica, è addirittura possibile – ancorché non semplice né scontato – che mercati oggi isolati, come quello europeo e quello americano, vengano messi in comunicazione, creando un primo embrione di mercato globale e ponendo le condizioni per trasferire le transazioni spot al di fuori del contesto nazionale. Neumann (2009) ha, in verità, riscontrato già ora l’esistenza di un simile processo, che ha innescato delle forme di convergenza, prima inedite, tra i prezzi sui mercati europeo e statunitense.
Va detto che il Gnl, rispetto al tubo, consente una più ampia flessibilità non solo di manovra, ma anche di destinazione e quindi finanziaria. Un tubo lo si realizza solo avendo la certezza di poterlo riempire – cioè disponendo di un contratto a lungo termine a monte, e di un eccesso di domanda a valle. Un rigassificatore può entrare anche in una logica diversa, che spiega in parte l’ondata di investimenti programmati (prima della crisi) da alcune major petrolifere: un terminale di rigassificazione non è solo un’infrastruttura, ma anche un entry point che può essere gestito discrezionalmente, grazie alla più leggera applicazione del Tpa. È possibile che nei prossimi decenni si osservi una “specializzazione”, nella quale il gas trasportato via tubo copre i consumi di base (quelli per cui vi sia sicurezza della domanda), mentre i rigassificatori vengono destinati ad alimentare i mercati spot. Dunque, a essi potrebbe spettare la parte “variabile” (sotto il profilo dei volumi e della disponibilità negoziale) della domanda, e questo di per sé introduce un fattore di stabilizzazione e collegamento tra mercati diversi, nel senso appena indicato.
Per l’Italia, questo può avere implicazioni molto importanti, in almeno due sensi. Da un lato, può contribuire a una maggiore diversificazione degli approvvigionamenti, che attualmente risultano molto concentrati (sia in assoluto, sia se raffrontati al “cugino” petrolio, come mostra la Tabella 2).

Tabella 2
 

L’indice di Herfindahl-Hirschman (HHI), un comune indice di concentrazione (6) , mostra chiaramente la differenza. Considerando i paesi esportatori di petrolio e gas come imprese, il mercato italiano petrolifero ha un indice pari a 1973, indicativo di un mercato abbastanza concentrato, mentre per il gas si arriva a 2408, segno di un mercato molto concentrato. Non sorprendentemente, se dai paesi si distogliesse lo sguardo verso le aziende, si avrebbe un risultato analogo: a fronte di una maggiore concentrazione nell’import, si riscontra una presenza monopolistica molto più forte nel segmento della commercializzazione del mercato del gas (anche a causa del dato infrastrutturale), rispetto a quanto avviene per il petrolio.
Al paragone tra gas e petrolio, comunque, non bisogna attribuire un significato troppo profondo, viste le differenze strutturali tra i due mercati e financo tra i due combustibili (cioè: gli usi a cui sono o possono essere destinati e il differente grado di sostituibilità delle fonti di approvvigionamento). Se infatti la sicurezza petrolifera è essenzialmente una questione di volumi, oltre che di prezzi, la sicurezza del gas è principalmente una faccenda di infrastrutture. Come riconoscono lucidamente Hayes e Victor (2006, p. 350), “il ‘nuovo’ mondo caratterizzato da una pluralità di fornitori e utilizzatori e dalla fungibilità del gas, può portare una maggiore sicurezza sia per i produttori che per i consumatori. Tuttavia, il raggiungimento di tale sicurezza richiederà infrastrutture ‘in eccesso’ rispetto ai contratti point to point che erano tipici del ‘vecchio’ mondo”. La sfida del gas, allora, consiste nel “forzare” il mercato verso la creazione di un eccesso strutturale non tanto di offerta attuale, quanto di offerta potenziale, ossia di capacità di produzione o importazione. E, di conseguenza, riguarda il modo in cui il premio sulla sicurezza può essere pagato e il ricorso a strumenti regolatori adeguati. Le autorità di regolazione giocano, in questo, un ruolo altrettanto cruciale delle imprese, e probabilmente più rilevante della stessa politica – nel senso “antico” che poteva avere la politica, internazionale anzitutto, verso le decisioni e gli investimenti energetici. Le citate esenzioni al principio Tpa rientrano in questa logica.


La sicurezza in senso classico

La discussione sulla sicurezza energetica, negli ultimi anni, ha subito un’accelerazione che l’ha portata all’incrocio tra ambiente, mercato e geopolitica. Parlare di sicurezza energetica significa, oggi, parlare soprattutto di economicità degli approvvigionamenti, sostenibilità ambientali e sottostanti alleanze o strategie. Questo non toglie che la “vecchia” sicurezza sia un problema superato. Anzi, proprio la maggiore flessibilità e interdipendenza – che è lo specchio dello svilupparsi di rapporti, di fatto, pluri – anziché bi-laterali – richiama l’attenzione sull’esigenza di garantire adeguata protezione agli snodi logistici. Ciò presuppone tanto la vigilanza contro gli attacchi da parte di pirati “comuni”, quanto quella contro le attività terroristiche che ricorrono a tecniche piratesche (Safe 2009).
La convergenza tra queste due categorie determina la necessità di un nuovo approccio di intelligence e di policing sugli oceani. La pirateria si è rivelata una minaccia particolarmente forte nei confronti delle navi metaniere, destinate a diventare sempre più numerose e a trasportare un carico sempre più critico per l’approvvigionamento energetico dei paesi consumatori. Tornata prepotentemente di attualità con gli attacchi sempre più efferati dei pirati sulle coste somale, durante gli ultimi anni ha conosciuto una nuova crescita, dopo una progressiva riduzione.

Tabella 3. Attacchi da pirati per area geografica (2008). Fonte: IMB (2008).
 
In realtà, essa ha valenza principalmente regionale: come emerge chiaramente dalla mappa compilata dall’International Chamber of Commerce (7) , interessa principalmente le africane e del sudest asiatico. Altrove, è sporadica (America Latina) o pressoché inesistente (Tabella 3). Questo non toglie che i numeri siano impressionanti: nei primi nove mesi del 2009 sono stati registrati più attacchi (306) che in tutto l’anno precedente (293) (8) . Più che di aumento, varrebbe la pena parlare di intensificazione: nel senso che il rischio di aggressioni è crescente in alcune aree del pianeta, e quindi viene e verrà scontato tanto nei prezzi del gas, quanto nelle scelte politiche. Inoltre, “la convergenza tra pirateria e terrorismo rende i mercati energetici particolarmente vulnerabili, poiché la maggior parte delle rotte petrolifere e del gas attraversano le aree maggiormente infestate dai pirati” (Forest 2007, p. 247).
Particolarmente rilevante, ai nostri fini, è l’osservazione che – sul totale degli arrembaggi – è cresciuto il numero di quelli aventi per obiettivo navi con prodotti energetici, incluso il Gnl. Questo, per Nincic (2009), indica anche l’acquisizione, da parte dei pirati, di strumenti e conoscenze tecnologiche più sofisticate. Insomma, rischia di scatenarsi una tempesta perfetta dovuta alla convergenza tra tre fattori di per sé indipendenti, ciascuno dei quali più o meno gestibile se preso singolarmente: il rinnovato vigore della pirateria tradizionale, gli attacchi terroristici alle navi energetiche, e la crescente importanza del trasporto non solo di petrolio ma anche di gas via nave. L’efficace garanzia della sicurezza delle rotte costituisce di fatto una precondizione che deve essere soddisfatta, per poter affrontare a tutto tondo la questione della sicurezza energetica nel senso moderno.


Conclusioni

Il dibattito sulla sicurezza energetica ha ormai acquisito una centralità e una dignità che vanno al di là delle sue componenti. Quello di sicurezza energetica è un concetto complesso, che abbraccia – oltre ai temi classici della sicurezza contro attacchi di natura criminale o terroristica – questioni economiche, geopolitiche e ambientali. L’intersezione di questi temi non è semplice da trovare, specie perché, necessariamente, richiede un attento esame dei trade off che è necessario accettare per arrivare a un mix ottimale. Infatti, massimizzare la sicurezza energetica richiede di rinunciare all’obiettivo di massimizzare, individualmente, le sue componenti. Date le forti interdipendenze tra di esse, non sempre lineari e non sempre positive, in alcuni casi premere l’acceleratore su un fronte può significare schiacciare il freno su un altro.
In più, la sicurezza energetica si cala in un contesto di mercato liberalizzato, dove lo spazio per le decisioni politiche è ridotto. Nel “vecchio mondo”, come lo chiamano Hayes e Victor (2006), lo Stato aveva più gradi di libertà, in quanto – vuoi per il diverso quadro delle regole, vuoi per il relativo isolamento dei vari mercati – poteva scaricare gli effetti delle sue scelte sulla loro diseconomicità. Questo in un mondo globalizzato non è più possibile. Nella prospettiva della sicurezza, quindi, occorre individuare dei meccanismi compatibili con un mercato concorrenziale che incentivino l’evoluzione nella direzione desiderata. Per l’Italia, questo significa essenzialmente concentrarsi sul gas, combustibile centrale per il nostro approvvigionamento energetico. E poiché il “nuovo mondo” richiede caratteristiche di flessibilità e competitività che un tempo non erano necessarie, il ruolo dello Stato deve tradursi essenzialmente in una regolazione efficace, e tesa a indurre la creazione di un eccesso di capacità di importazione. Inoltre, è ragionevole immaginare un ruolo crescente per il Gnl, a dispetto delle nuove sfide che esso rappresenta: non solo per i sistemi economici in cui si inserisce, ma anche e soprattutto – in una prospettiva pubblica – per la rinnovata attenzione alla sicurezza delle rotte che esso richiede. Per esempio, il ritorno della pirateria collide coi fini della sicurezza energetica, e quindi richiede un’attenzione speciale.
Infine, il nostro paese deve ancora compiere pienamente alcune scelte strategiche. Una riguarda l’effettiva concorrenzialità del mercato, che nel caso del gas risulta ancora chiuso e opaco (Beccarello e Villa 2009). L’altra è relativa alla decisione se le importazioni di gas – e dunque la relativa pianificazione infrastrutturale, sia essa affidata a scelte pubbliche o investimenti privati – debbano servire il nostro mercato nazionale, oppure puntare a soddisfare parte della richiesta dell’intera Europa meridionale. In questo caso, sarebbe ancora più urgente rendere più certi e trasparenti i processi autorizzativi. L’opacità amministrativa rappresenta una barriera all’ingresso con effetti potenzialmente anticoncorrenziali, e soprattutto rischia di far crescere la percezione del country risk relativo all’Italia.


Bibliografia

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- Stagnaro, C. (ed.) (2009). Il mercato del gas naturale. Soveria Mannelli, CZ: Rubbettino e Facco.


1) Le infrastrutture essenziali sono soggette all’obbligo di "third party access" (Tpa), cioè devono consentire l’accesso a condizioni non discriminatorie a tutti i competitor. Le nuove opere vengono generalmente esentate secondo la regola dell’80-20, cioè l’80 per cento della capacità può essere utilizzata a discrezione dell’operatore per un periodo di 20 anni. Si veda Beccarello e Piron (2008).
(2) "Gnl Rovigo, quel 10 per cento disponibile alla vendita", Quotidiano Energia, 24 novembre 2009.
(3) "Gnl Rovigo, allocata la capacità di dicembre", Quotidiano Energia, 25 novembre 2009.
(4) Alessandro Ortis, "Potenziare i gasdotti resta una priorità", Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2009.
(5) "Gnl, Scajola spinge per Priolo e Trieste", Staffetta Quotidiana, 20 ottobre 2009. Sul rigassificatore di Trieste esiste un contenzioso internazionale con la Slovenia, che si oppone all’impianto. In merito, Scajola ha affermato: "abbiamo più volte provato a spiegare le nostre ragioni alla Slovenia e non ci pare di aver scorto alcuna motivazione che possa sostenere le tesi di non costruire l’impianto. Abbiamo scontato veti miopi all’interno, non possiamo permetterci di scontare anche quelli dall’esterno se non giustificati".
(6) L’indice di Herfindahl-Hirschman viene costruito sommando le quote di mercato, espresse in percentuale, delle aziende che competono in un dato mercato. Quindi, in un contesto monopolistico, dove una sola impresa controlla il 100 per cento del mercato, l’HHI assume un valore pari a 10.000. In un mercato perfettamente concorrenziale, è prossimo allo zero. Nella pratica, un mercato viene considerato concorrenziale se l’HHI ha un valore inferiore 100; non concentrato se non supera 1.000; moderatamente concentrato tra 1.000 e 1.800; concentrato se è superiore a 1.800, e tanto più concentrato quanto più si allontana da tale soglia. L’HHI fu sviluppato indipendentemente da Hirschman (1945) e Herfindahl, che nel 1950 lo impiegò nell’ambito della sua tesi di dottorato (inedita) su "Concentration in the US Steel Industry". Ulteriori dettagli sono disponibili in Hirschman (1964) e Calkins (1983). L’HHI è ampiamente utilizzato nell’ambito del diritto antitrust, che presume legittima qualunque operazione che determini un incremento dell’indice inferiore ai 100 punti, mentre ritiene necessario ulteriore scrutinio quando si verifichi un aumento maggiore della concentrazione. A questo proposito si veda Alese (2008).
(7) http://www.icc-ccs.org/index.php?option=com_fabrik&view=visualization&controller=visualization.googlemap&Itemid=219
(8) "Unprecedented increase in Somali pirate activity", International Maritime Bureau, 21 ottobre 2009.

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