GNOSIS 4/2009
All’attenzione dell’Intelligence La finanza tra religione ed etica |
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Il problema dell'etica nella crisi finanziaria Per arginare gli effetti devastanti dell’attuale crisi internazionale, gli operatori finanziari hanno cercato di consolidare o ricercare nuove strategie di investimento che si basassero su criteri differenti da quelli abituali basati sulla massimizzazione del profitto, così da apportare al sistema un certo livello di resilienza di fronte al collasso delle categorie di investimento tradizionali. Una buona miscela tra innovazione e rendimento (nel suddetto senso controciclico) si sono dimostrate essere sia il c.d. “investimento socialmente responsabile” (Socially Responsible Investment, SRI, in Italia comunemente noto come “finanza etica”) sia la finanza secondo la Legge Islamica, la Shari’ah (in Italia nota come “finanza islamica”). Questi due approcci presentano almeno due aspetti analoghi (1) in quanto entrambi: - applicano criteri non economicamente razionali (2) nella selezione degli investimenti; - originano da un desiderio di investitori, individuali ed istituzionali, di traslare valori e principi (religiosi, ideologici, sociali) nelle comuni pratiche finanziarie. Questi, se utilizzati nell’attuale crisi strutturale dei mercati finanziari e reali, sono suscettibili di avere grande seguito. La situazione odierna, infatti, trova origine proprio nell’assenza di etica nei comportamenti che molti manager, analisti ed operatori finanziari hanno posto in essere nell’ultimo decennio. Anche se molte responsabilità dello stato critico dell’economia e dei mercati sono state attribuite all’eccessivo utilizzo di strumenti quantitativi (matematici e statistici) nella finanza, in realtà, qualunque strumento di ausilio alle decisioni produce danno se l’uomo ne fa un uso improprio, spesso strumentale, per giustificare scelte a lui favorevoli e profittevoli (3) . Per questo, il superamento dell’attuale stato di crisi finanziaria e reale, ma anche politica e sociale, passa per il recupero della credibilità e della reputazione di istituzioni e operatori, in quanto è nella qualità delle persone che il mercato può trovare la sua ragione per riprendersi. Ed in tal senso, la finanza socialmente responsabile e la finanza islamica hanno fondamenti importanti per contribuire ad imporre l’inserimento della componente “etica” nella funzione di scelta degli investimenti. Storia e caratteristiche della finanza etica L’attuale movimento di finanza etica richiama una storia di applicazioni di principi religiosi alle scelte finanziarie. Già nel 1760, John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, sosteneva fermamente l’esigenza di legare etica e finanza, ritenendo che gli investitori non dovessero agire come proprietari bensì come custodi dei beni di loro proprietà, senza creare ricchezza a scapito del loro prossimo. Ma solo nel 1928 il Federal Council of Churches statunitense lanciò il Pioneer Fund, primo fondo di investimento socialmente responsabile. La sua politica di investimento escludeva il finanziamento di attività economiche svolte nei settori di produzione di alcolici, tabacco e nel settore della pornografia. Gli investimenti nel fondo furono ristretti ai soli sostenitori del movimento. Fu il Pax World Fund ad introdurre nel 1971 la possibilità di rendere disponibile la sottoscrizione anche ad investitori individuali non necessariamente propugnatori dei motivi “etici” alla base della costituzione del fondo (4) . In Europa, il primo veicolo di investimento etico fu lanciato dalla Swedish Temperance Society, e denominato Ansvar. Come il Pioneer Fund, gli investimenti nel fondo furono limitati agli assertori del pensiero etico alla base dell’organizzazione. Nel Regno Unito, dal 1948 la Chiesa Anglicana iniziò a praticare esclusioni in termini di etica come parte delle proprie regole di investimento. Nel 1983, Friends Provident, una società di assicurazioni, fondata dalla Comunità dei Quakers, istituì il primo fondo etico con criteri di investimento stabiliti da un Comitato esterno. L’iniziativa portò al lancio dello Stewardship Unit Trust, dello Stewardship Life Funded, un anno dopo, dello Stewardship Individual Pension Fund. In Francia, i primi due fondi etici furono indirizzati agli investitori di religione cristiana. Nel 1983, la società di investimento Meeschaert e l’organizzazione no-profit Éthique et Investissement (fondata da un gruppo di monache, tesoriere generali della loro congregazione) lanciarono il fondo Nouvelle Stratégie 50. Anche il secondo fondo (Hymnos), lanciato da Crédit Lyonnais nel 1989, fu dedicato alle esigenze specifiche delle congregazioni religiose. Come si vede, dunque, da questo primo excursus storico, la spinta alla diffusione della finanza etica fu originata da motivazioni legate ai principi cattolici o cristiani e gli investimenti nei fondi furono, in gran parte, riservati a coloro che condividevano le motivazioni etiche e morali delle organizzazioni di raccolta dei fondi. Oggi la situazione è molto diversa. I valori degli asset riferiti ad entità giuridiche di investimento etico, controllate da movimenti religiosi e da Chiese, sono marginali se riferiti a quelli detenuti da investitori istituzionali, quali le società assicurative o i fondi pensione, i quali non condividono necessariamente le convinzioni politiche, sociali, ambientali o religiose, poste alla base dell’investimento socialmente responsabile. L’esempio più noto di fondo di investimento socialmente responsabile è rappresentato dal fondo sovrano norvegese, il Government Pension Fund Global (GPF). Il GPF – di cui è responsabile il Ministro delle finanze norvegese, mentre l’amministratore delegato è la Norges Bank Investment Management (NBIM), dipartimento della Banca centrale – ha un capitale finanziato dagli introiti della bilancia energetica del Paese. Gli investimenti sono realizzati in 42 mercati azionari (sia sviluppati che emergenti) e in strumenti a reddito fisso denominati in 31 valute. A fine 2008, il suo patrimonio copriva lo 0,77% dei titoli globali (5) . Tra le recenti scelte “socialmente responsabili” del fondo, è di rilievo l’esclusione dal proprio portafoglio di investimenti, nel marzo 2009, del gruppo automobilistico cinese Dongfeng in quanto ritenuto tra i fornitori del regime militare della Birmania. Nel contempo, il fondo ha anche posto sotto osservazione il gruppo tedesco Siemens per motivi di mancato rispetto dei valori etici. La scarsa importanza dei movimenti religiosi nell’attualità della finanza etica è da ricondurre al fatto che le origini cristiane dell’investimento socialmente responsabile non si sono mai tradotte in un sistema normativo strutturato, ma si sono limitate ad applicare – ciascun attore in maniera soggettiva – i principi e i valori dell’etica nelle tipologie di investimento di interesse. L’assenza di un sistema unico di riferimento rappresenta una delle maggiori differenze tra finanza etica e finanza islamica. Nell’ambito di quest’ultima, infatti, il sistema di regole è completamente codificato e basato sull’applicazione della Shari’ah, la Legge Islamica (6) . La sfida della finanza islamica all’etica nella finanza In generale, un portafoglio “socialmente responsabile” viene posto in essere selezionando attività in base a criteri di etica (degli affari, religiosa, sociale o ambientale), ponendo l’accento sulla massimizzazione dei rendimenti in una fase successiva. Nel giugno 2008, su questa Rivista (7) si affermò come tra le strategie di asset allocation che contemplano – tra le variabili di scelta – l’offerta di servizi finanziari etici, dovesse essere considerata come preponderante anche la finanza secondo la Legge Islamica, la Shari’ah. Rimandando al sopra citato articolo di questa Rivista per un’analisi delle caratteristiche principali della finanza islamica, va affermato come quest’ultima rappresenti una grande novità nel panorama contemporaneo, avendo proposto uno schema di comportamento economico-finanziario profondamente differente da quello tradizionale. Una delle novità importate dalla finanza islamica, infatti, è ascrivibile proprio all’etica nei comportamenti, caratteristica che trova il proprio riferimento normativo nella religione islamica. Finanza islamica e finanza etica rappresentano, dunque, alternative a disposizione degli investitori in un ipotetico “arbitraggio basato sull’etica”, nonché valide opzioni differenti dalla finanza tradizionale. Questa disponibilità di scelta vale, ovviamente, per operatori sia del comparto legale che di quello illegale dell’economia e della finanza. Diventa importante confrontare le caratteristiche dell’investimento effettuato da fondi etici e da fondi islamici. Nel primo caso: 1. l’investimento etico implica una doppia valutazione: di bilancio e di comportamento. Gli investimenti “etici” sono effettuati principalmente mediante gestioni amministrate (come i trust), le quali operano con le stesse modalità dei trust convenzionali nell’acquisto di panieri di titoli in settori selezionati. La decisione di investire in maniera socialmente responsabile in un determinato comparto dell’economia richiede una valutazione di tipo etico (ethical screening) delle società a maggiore potenziale di redditività. Dato un paniere “etico” selezionato, i portafogli delle società di interesse vengono sottoposti ad una valutazione di tipo finanziario (financial screening). La scelta finale ricade sulle società che risultano potenzialmente più profittevoli, condizionatamente alla garanzia dell’esistenza di determinati criteri etici; 2. obiettivo dell’investimento etico è la massimizzazione della redditività dato un vincolo di responsabilità sociale o religiosa. Obiettivo dell’investimento “etico” è massimizzare la performance nel rispetto dell’etica nell’asset allocation. Importanti fondi etici (quali il M&G Charifund Income Units, il Central Board of Finance della Chiesa d’Inghilterra, il Charities Official Investments Fund ed i Buckmaster&Moore Funds di Credit Suisse) hanno tutti realizzato rendimenti competitivi rispetto agli indici di rilevanza mondiale (come, ad esempio, gli indici del Financial Times) nonché rispetto ad importanti fondi di investimento; 3. la valutazione dell’etica nell’investimento è interna alla governance. In un fondo etico, la decisione sull’eticità di un particolare investimento è assunta dai manager del fondo, basandosi anche sull’informazione acquisita da organismi professionali esterni. Questi tre aspetti assumono connotazioni estremamente diverse nel caso di fondi di investimento islamici: 1. l’investimento islamico antepone la verifica del comportamento del fondo alle norme della Shari’ah alla valutazione finanziaria. I fondi islamici non trattano prodotti finanziari basati sul tasso di interesse e vietano, nelle transazioni, la presenza di ogni forma di rendimento basato sull’interesse (8) ; 2. obiettivo dell’investimento islamico è la massimizzazione della redditività utilizzando gli strumenti previsti dalla contrattualistica islamica. Attraverso le modalità di investimento previste dalla Shari’ah (tra cui i contratti Mudarabah, Murabahah, Musharakah, Ijarah ed Ijara wa iqtina (9) ), i fondi di investimento islamici coprono l’intero spettro delle scelte allocative disponibili ai fondi di investimento convenzionali (etici e non); 3. la valutazione dell’etica nell’investimento è esterna alla governance. L’approvazione finale di ogni investimento islamico è attribuita al Consiglio della Shari’ah (Shari’ah Board, composto da eminenti studiosi della religione islamica), che ha il compito di fornire interpretazioni (vincolanti per il management) sul rispetto della religione da parte di ogni transazione che la società intende realizzare. Per questo motivo, la relazione tra Shari’ah Board ed il management del fondo è di grande importanza, in quanto lo Shari’ah Board deve essere coinvolto nella preparazione e nella revisione di tutta la documentazione finanziaria e legale di ogni transazione. La supervisione da parte del Consiglio della Shari’ah è di primaria importanza e va considerata a tutela dell’investitore, al quale in tal modo viene garantita la “purezza” dell’impiego dei suoi fondi. Per evitare conflitti di interesse, i Comitati della Shari’ah agiscono indipendentemente dai fiduciari (trustee) o dai gestori di portafoglio del fondo. Rispetto ai fondi etici, che vedono nel rischio da investimento azionario (10) la loro principale incognita, i fondi islamici uniscono a quest’ultimo rischio generico (11) , un rischio tipico, ossia il rischio di mancato rispetto della Shari’ah (c.d. Shari’ah-Compliant Risk). Questa seconda tipologia si riferisce alla possibilità che titoli ritenuti inizialmente Shari’ah-compliant, e per questo presenti in un portafoglio di un fondo di investimento basato sulla Shari’ah, possano dover essere riclassificati come Shari’ah non-compliant nella revisione periodica effettuata dal Comitato della Shari’ah. In questo caso, l’assunzione delle modifiche richieste dallo Shari’ah Board (o il ritardo nell’adozione delle stesse) potrebbe influenzare negativamente il valore complessivo del fondo (12) . Una delle principali funzioni dello Shari’ah Board è, dunque, proprio l’esame dei patrimoni amministrati, necessario, ad esempio, quando un fondo di investimento islamico viene incluso in un indice specifico. Questa caratteristica ci consente di introdurre l’approccio di “screening etico” di uno dei più importanti indici finanziari islamici, il Dow Jones Islamic Market (DJIM). Questa procedura è suddivisa in tre livelli: 1. verifica della presenza di attività economiche proibite (haram) nel portafoglio della società da inserire nell’indice del DJIM. Il primo livello di screening da parte del Comitato della Shari’ah del DJIM riguarda l’oggetto dell’investimento: a. la società non deve aver sottoscritto titoli a reddito fisso o altri strumenti finanziari nei quali sia stabilito, in maniera predeterminata, un tasso di rendimento, garantendo il capitale iniziale. Tali elementi distintivi si porrebbero in contrasto con la proibizione della riba (usura) su prestiti basati su tasso di interesse. Ciò vale anche se il business primario della società (emittente dei titoli o delle azioni) è permesso (halal); b. la società non deve disporre di partecipazioni in società il cui business primario sia haram, incluso (ma non limitato a) alcol, tabacco, prodotti alimentari a base di maiale, servizi finanziari convenzionali, difesa, intrattenimento (quali gioco d’azzardo e pornografia) (13) . 2. Analisi delle fonti di reddito tramite filtri finanziari. Una volta che la valutazione del business primario ha eliminato i settori “vietati”, lo Shari’ah Board del DJIM esamina sia la capacità di reddito della società, sia delle sue componenti (incluse tutte le sue divisioni e le sussidiarie) e la posizione di entrambi i fattori nei confronti della Shari’ah. I filtri utilizzati nell’analisi ricercano l’esistenza di livelli di debito “non accettabili” e di redditi da interesse “impuri”. Lo screening del DJIM esclude le società se il rapporto: a. debito totale/capitalizzazione di mercato è superiore al 33% (14) ; b. liquidità + titoli fruttiferi di interessi/capitalizzazione di mercato è superiore al 33%; c. crediti/attività totali è superiore al 45% (15) . 3. Valutazione del Reddito Non Operativo da Interessi (Non-Operating Interest Income, NOII). La terza fase dello screening del DJIM è dedicata alla valutazione del livello del c.d. Reddito Non Operativo da Interessi (Non-Operating Interest Income, NOII) rapportato al reddito totale (R). Nella gestione di cassa, molte società collocano temporaneamente i flussi di liquidità in depositi o in conti fruttiferi di interesse, oppure acquistano titoli a reddito fisso o certificati di deposito a diverse scadenze, oppure effettuano investimenti in strumenti finanziari a capitale garantito ad un tasso di interesse predeterminato. Tali investimenti monetari generano redditi che, in quanto basati sul tasso di interesse, sono considerati haram. L’assenza di una volontà speculativa rende tali forme di reddito non vietate, ma solo impure. Per questo la Shari’ah ne consente il mantenimento, ma ad un livello minimo entro soglie definite dai diversi Shari’ah Board che oscillano tra il 5% ed 15%. È possibile riepilogare quanto detto nella seguente tabella:
La finanza etica in Italia L’obiettivo degli strumenti di finanza etica o, secondo la terminologia anglosassone, degli strumenti di Socially Responsible Investing (SRI) è quello di affiancare, ai tradizionali canoni di selezione degli investimenti, considerazioni di carattere sociale, ambientale ed etico, anche al fine di sfruttare, in termini di performance, eventuali vantaggi competitivi derivanti dall’investimento in titoli di emittenti socialmente responsabili. Negli ultimi dieci anni, il mercato europeo dei fondi etici ha registrato un costante trend di crescita sia in quantità (il numero di fondi esistenti è passato da 159 nel 1999 a 537 nel 2008), sia in dimensione (l’entità del patrimonio gestito è passato da 11,074 miliardi di euro nel 1999 a 48,72 miliardi di euro nel 2008) (16) . Nel decennio considerato, è interessante constatare come, nel periodo di credit crunch e di crisi dei mutui subprime, ed in un momento di estrema difficoltà dell’industria dell’asset management, le masse gestite secondo criteri etici siano rimaste sostanzialmente stabili. Secondo Eurosif (European Social Investment Forum) (17) , il mercato europeo degli “investimenti socialmente responsabili, comprensivo dei fondi etici e di altre categorie di strumenti finanziari con connotazione etica, è cresciuto del 102% negli ultimi due anni (18) . In Italia, sulla base degli ultimi dati pubblicati da Avanzi SRI Research, a giugno 2008, la quota di patrimoni “etici” gestita da asset manager italiani era di circa 2,6 miliardi di euro, pari al 5% del totale europeo. Nonostante l’andamento in costante crescita a partire dai primi anni Novanta fino ad oggi del comparto di finanza etica italiano (da giugno 2003 a giugno 2008, quasi triplicato passando da 1,07 miliardi a 2,6 miliardi di euro (19) ), le sue dimensioni restano più contenute rispetto al mercato europeo. Tale circostanza viene ricondotta da Eurosif a tre fattori principali: 1. la presenza di masse di risparmio gestite in investimenti etici ancora troppo piccole (anche per la scarsa presenza dell’investimento istituzionale nel comparto della finanza etica); 2. la scarsa propensione del settore etico all’innovazione di prodotto e di processo; 3. i pregiudizi e la limitata conoscenza degli strumenti a disposizione. La composizione del settore è ottimamente rappresentata dal Secondo Rapporto sui Fondi Etici in Italia, realizzato dall’Osservatorio finanza etica, primo portale in Italia interamente dedicato all’investimento socialmente responsabile. Secondo l’indagine, il 94,8% dei fondi etici disponibili per il risparmiatore italiano non investe nel comparto relativo alla produzione di armi, il 52% esclude l’industria del tabacco mentre rispettivamente il 33,3% ed il 41% estromettono dall’universo investibile di riferimento il settore degli alcolici e della pornografia. Raddoppia, rispetto all’edizione 2008, il numero di fondi che escludono i titoli di debito pubblico di Paesi in cui viene applicata la pena di morte (da 3 a 7) o che violano le libertà politiche ed i diritti civili (da 12 a 28). Il sistema di rating etico adottato dall’Osservatorio finanza etica comprende fattori quali l’adozione di criteri di inclusione (20) , la trasparenza nelle procedure adottate dal gestore, la presenza di un advisor etico indipendente e l’adozione di politiche di azionariato attivo contro le società che violano i criteri di responsabilità sociale e ambientale (c.d. shareholder activism). In base a questo articolato sistema di valutazione, secondo l’Osservatorio finanza etica il migliore fondo etico azionario collocato in Italia è gestito da Etica Sgr. Seguono i fondi azionari di Dexia, Pioneer Investments, Monte Paschi Asset Management, Aviva Investors e BNY Mellon Asset Management. Fondi di investimento socialmente responsabili: normativa di riferimento in Italia Relativamente ai fondi di investimento socialmente responsabili, la CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) ha introdotto importanti elementi di trasparenza, oggettivamente riscontrabili, sia per verificare l’effettivo grado di eticità del fondo, sia per esercitare un controllo di qualità, pur nella consapevolezza della difficoltà di giungere ad un concetto univoco di investimento socialmente responsabile, dato il differente significato ad esso attribuibile in relazione ai diversi contesti di appartenenza (21) . L’intervento della Commissione si è posto nel quadro del dispositivo normativo introdotto dalla c.d. Legge sul Risparmio (22) , con la quale il legislatore italiano ha inserito nel Testo Unico sull’intermediazione finanziaria (TUF (23) un articolo (24) che delega la CONSOB ad emanare disposizioni in tema di obblighi informativi e di rendicontazione cui sono tenuti tutti i soggetti che promuovono prodotti finanziari etici o socialmente responsabili. Con il successivo recepimento in Italia della Direttiva MiFID (Market in Financial Instruments Directive, 2004/39/CE) avvenuto tramite il D.Lgs. n. 164 del 17 settembre 2007, la CONSOB ha esercitato la suddetta delega, modificando le parti del Regolamento Intermediari (adottato con delibera n. 11522/1998, ora rinumerato 16190) interessate dalle nuove disposizioni. Il provvedimento CONSOB ha portato all’inserimento nel Libro III (“Prestazione dei servizi di investimento e del servizio di gestione collettiva”) parte II (“Disciplina della prestazione dei servizi di investimento e accessori e del servizio di gestione collettiva del risparmio”) del Regolamento Intermediari, di un nuovo Titolo, il II-bis (“Disposizioni in materia di finanza etica o socialmente responsabile”), composto dagli artt. 55-bis (“Obblighi informativi”) e 55-ter (“Obblighi di rendicontazione”). A seguito del recepimento della MiFID, la CONSOB ha modificato il Titolo II-bis in Libro VII (“Disposizioni in materia di finanza etica o socialmente responsabile”), rinumerando gli articoli di cui sopra (da 55-bis ad 89, “Obblighi informativi” e da 55-ter a 90, “Obblighi di rendicontazione”). Ad oggi, secondo la definizione CONSOB, l’ambito della finanza etica è definito come un “processo di investimento fondato su criteri di selezione dei titoli che non si pongono, come fine esclusivo, la massimizzazione dei rendimenti (dato un certo grado di rischio), ma anche la salvaguardia di valori universali di equità sociale, protezione dell’ambiente e salute, svolgimento dell’attività economica nel rispetto degli interessi di tutti gli stakeholder e, più in generale, dei cittadini” (25) . La Commissione, in analogia con il comportamento del legislatore, non ha, dunque, fornito una precisa indicazione delle caratteristiche che i prodotti finanziari etici (o socialmente responsabili) devono possedere per poter essere qualificati come tali, limitandosi a prescrivere per gli intermediari che creano e distribuiscono tali strumenti un duplice obbligo di trasparenza, ex ante e nel continuo. La CONSOB ha motivato le sue scelte evidenziando come dalla normativa primaria emerga unicamente una autorizzazione ad individuare specifici obblighi di informazione e di rendicontazione per i prodotti e servizi qualificati come etici o socialmente responsabili, senza dover determinare le caratteristiche che un prodotto deve possedere per essere qualificato come tale (26) . In tal modo, la CONSOB non si è espressa relativamente ad una valutazione di merito dell’approccio seguito da ciascun soggetto per la qualificazione etica dei prodotti e servizi, nella consapevolezza che sia estremamente difficile, se non impossibile, definire aprioristicamente un concetto di etica che abbia lo stesso significato per tutti i portatori di interesse. Per quanto riguarda gli obblighi di trasparenza ex ante, è previsto che, nel prospetto informativo e nei contratti relativi a prodotti e servizi qualificati come “etici” o “socialmente responsabili”, i soggetti abilitati forniscano le seguenti informazioni: - obiettivi e caratteristiche che qualificano il prodotto o servizio come etico o socialmente responsabile; - criteri generali di selezione degli strumenti finanziari, conformi agli obiettivi e alle caratteristiche delineate; - politiche e obiettivi di azionariato attivo perseguiti; - destinazione dei proventi ad iniziative di carattere sociale o ambientale; - misura dei proventi destinati ad iniziative di carattere sociale o ambientale; - procedure adottate per assicurare il perseguimento degli obiettivi dichiarati (come l’istituzione di organi interni specializzati e l’attribuzione di specifiche funzioni); - adesione a codici di autoregolamentazione, promossi da soggetti specializzati. In relazione agli obblighi di trasparenza nel continuo, questi si sostanziano in obblighi di rendicontazione da assolvere in sede di predisposizione dei rendiconti periodici previsti dalla normativa. In particolare, l’obbligo deve essere rispettato attraverso l’indicazione di informazioni relative a (27) : - illustrazione dell’attività di gestione in relazione ai criteri generali di selezione degli strumenti finanziari detenuti in portafoglio; - esercizio dell’attività di azionariato attivo; - devoluzione dei proventi ad iniziative di carattere sociale e ambientale e relativa misura. Anche la definizione di ASSOGESTIONI (28) si concentra sull’eticità dell’investimento, qualificando come “etico” un fondo che (1) ha una politica di investimento che vieta l’acquisto di un insieme di titoli e/o privilegia l’acquisto di titoli sulla base di criteri diversi dalla sola massimizzazione del rendimento atteso e/o (2) si attiene a un processo di investimento secondo principi diversi dalla sola massimizzazione del rendimento atteso (corporate governance del fondo). Tale definizione è indipendente dalle specifiche modalità di applicazione dei criteri di esclusione/inclusione (comitato “etico” interno, società di consulenza, selezione esterna, benchmark)”. Le procedure di controllo sull’eticità dell’investimento posto in essere si basano su un Comitato etico che, con funzioni consultive e di indirizzo, definisce criteri di eticità e linee guida che una Società di gestione del risparmio (Sgr) deve adottare nell’amministrare uno o più fondi di investimento etici, o all’intervento di un advisor esterno nel processo di gestione. Ulteriori elementi caratterizzanti l’eticità di un fondo sono riscontrabili nell’adesione a linee guida emanate da soggetti impegnati nella diffusione e nel supporto allo sviluppo degli investimenti socialmente responsabili come Eurosif e l’ottenimento di certificazioni da organismi impegnati nel settore, come Ethibel. Mentre sia il legislatore sia la CONSOB hanno rivolto un’attenzione particolare al comparto finanziario etico, la sensibilità dimostrata verso una modifica della normativa per consentire l’introduzione di forme di finanza secondo la Shari’ah è stata finora caratterizzata da una ragionevole prudenza (29) . Il Seminar on Islamic Finance, organizzato dalla Banca d’Italia l’11 novembre 2009, è stato un momento importante al riguardo, in quanto ha avuto come scopo precipuo una prima analisi del complesso meccanismo dell’intermediazione finanziaria islamica, al fine di iniziare a comprendere le peculiarità di un fenomeno non più trascurabile. L’organizzazione del convegno da parte dell’Autorità di Vigilanza nazionale è indicativo di come anche l’Italia stia riflettendo sull’introduzione di modifiche legislative atte ad agevolare l’utilizzo degli strumenti finanziari secondo la Shari’ah. Interessante, al riguardo, la posizione espressa dalla CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana (30) secondo la quale, piuttosto che implementare parti della Shari’ah all’interno dell’ordinamento economico, “il legislatore nazionale dovrebbe considerare l’apporto che economisti, tecnici e saggi dell’Islam possono dare per una visione più ampia dei problemi connessi al processo di globalizzazione e della sua governance”. Secondo la COREIS, “la vera integrazione della finanza islamica con un sistema giuridico interno nazionale non si realizza con l’inserire regole islamiche in un mondo che non potrà mai essere islamico nella sua totalità, ma piuttosto con il beneficiare della saggezza racchiusa nella prospettiva islamica sull’economia”. La COREIS auspica, nel citato documento, una nuova etica economica che tenga conto delle esigenze dei molteplici soggetti sociali che ne fanno parte. L’Islam, al di là di ogni mistificazione fondamentalista, può offrire una visione fondata su principi di equità e di ricerca del bene per l’umanità intera che travalicano il semplice piano materiale. Etica e religione come supporto alla crisi: il ruolo dell’Intelligence Nel contesto delineato, il ruolo dell’intelligence economico-finanziaria statale è quello di verificare che le scelte di investimento effettuate dai fondi “socialmente responsabili” siano coerenti con la fiducia che il risparmio pone nelle istituzioni etiche, nei loro risvolti per la sicurezza dello Stato (senza entrare nelle competenze di tutela del risparmio esercitate dai regulator bancari-creditizi). La fiducia è un elemento non finanziario o intangibile, fondamentale per garantire la crescita del sistema economico. La crescita della fiducia in una collettività verso il comparto etico non è funzione di politiche di regolamentazione, bensì della percezione di integrità e coerenza nelle scelte di finanziamento e di investimento da parte dei fondi di investimento socialmente responsabili. La forte attenzione ed il consenso sempre più ampio che la finanza etica sta ricevendo induce, dunque, ad elevare l’attenzione nei confronti del fenomeno al fine di verificare i margini di uso strumentale che interessi illeciti o criminali potrebbero disporre. Il comparto, infatti, trova nella fiducia e nei valori, la sua ragion d’essere, e per questo va tutelato ancor più degli altri. Mentre nella finanza islamica la funzione di tutela sopra citata viene esercitata dal Comitato della Shari’ah, nella finanza etica il Comitato etico non sembra disporre di analoghi poteri. Non esiste, infatti, né a livello nazionale, né a livello internazionale, una precisa definizione, anche legislativa, di fondo comune etico – come, più in generale, di finanza etica –, né si riscontrano, agli stessi livelli, indicazioni normative dei criteri di selezione da adottare o di strumenti di accertamento del livello di responsabilità sociale dell’investimento. È sufficiente, dunque, la dichiarazione del soggetto emittente dell’utilizzo di criteri di selezione, qualificabili come etici sulla base del senso comune attribuito a tale termine, per garantirsi l’attribuzione della qualifica di eticità (31) . L’esistenza di procedure di controllo e di conformità all’etica all’interno dell’organizzazione del soggetto emittente costituisce ulteriore elemento, non sempre necessario, per considerare etico uno strumento finanziario. Il fenomeno “etico” diventa rilevante anche per l’intelligence dello Stato nel momento in cui le attività – ad esso riferite – da parte di entità pubbliche o private vadano a riguardare la sicurezza nazionale. Le imprese interessate ad investire eticamente (per opportunità o necessità), infatti, sono a rischio di utilizzo di fondi di dubbia provenienza (raccolti per finanziare dette politiche), in particolare in un ciclo di stagnazione/recessione come quello attuale. La vulnerabilità è maggiore se si fa riferimento a realtà locali le quali, una volta sviluppate, potrebbero creare pericolose commistioni nel settore “etico”. Il rischio sopra citato è accentuato dal panorama evidenziato dai risultati del primo “Report sulla responsabilità e sulla competitività” stilato dalla società di consulenza RGA, secondo il quale – su 31 Paesi presi in esame a livello mondiale – l’Italia si colloca al 26mo posto nell’applicazione di strategie aziendali socialmente responsabili. L’indagine evidenzia come la responsabilità sociale sia interpretata in modo significativamente diverso in Italia rispetto a quanto accade in altri Paesi. Le imprese italiane, infatti, pongono sì l’accento sul versante reputazione ma senza considerare il potenziale in termini di competitività del fenomeno. Secondo i risultati del Report in Italia, la responsabilità sociale è una mera questione di immagine che non si riflette nelle politiche aziendali di competitività e sviluppo. Peraltro, oltre al rischio-finanziamento (ex ante), vi è anche il rischio-investimento (ex post). La limitazione delle scelte allocative di portafoglio da parte di procedure di screening prevalentemente a carattere etico è suscettibile di rendere maggiormente difficoltoso garantire l’ottenimento di performance finanziarie adeguate (32) . In generale, finanza islamica e finanza etica rappresentano possibilità a disposizione degli investitori in un ipotetico “arbitraggio basato sull’etica”, nonché valide opzioni alternative alla finanza basata su criteri di scelta razionale. In Italia, l’assenza di una normativa che consenta l’operatività secondo la Shari’ah, riduce la disponibilità di scelta limitata alla finanza etica come alternativa alla finanza tradizionale. In presenza di un arbitraggio per operatori sia del comparto legale sia illegale dell’economia e della finanza, l’attenzione della CONSOB più sull’eticità dell’investimento, meno sull’eticità dei finanziamenti dei fondi etici stessi, crea una vulnerabilità nella commistione tra risparmi “etici” e finanziamenti “criminali” (dunque, non etici). Una applicazione di modalità di riciclaggio di proventi derivanti da attività illecite mediante finanziamento dei patrimoni dei fondi etici potrebbe causare gravissime ripercussioni in termini di credibilità, proprio sul bene intangibile alla base dello strumento finanziario etico, ossia la fiducia. Tali contraccolpi sarebbero ben superiori (dato il target specifico) a quelli causati dalla finanza tradizionale nell’attuale crisi internazionale. |
(1) Cfr. Novethic, Islamic finance and SRI: any crossover? (2009).
(2) In economia, una scelta è considerata razionale se realizza una allocazione ottimale delle risorse a disposizione (c.d. efficienza paretiana), ossia un’allocazione caratterizzata dal fatto che, date le usuali ipotesi sulle preferenze, o sulla tecnologia, è impossibile migliorare il livello di benessere di un individuo, o la produzione di un’impresa, a scapito di un altro individuo o di un’altra impresa. (3) L’accusa è stata spesso generata da una carenza di conoscenza nei confronti dei meccanismi di funzionamento di questi modelli, nonché nei confronti dei loro schemi applicativi alle dinamiche economiche e finanziarie. Questi ultimi, infatti, talvolta basati sulla statistica, talaltra sulla fisica quantistica, si sono sempre posti a disposizione dell’uomo nelle scelte decisionali e, da soli, non hanno provocato più danni di quanti analoghi strumenti non finanziari (ad esempio, giuridici) abbiano consentito. (4) Le basi dell’investimento di questo fondo si legarono soprattutto a motivi politici, ossia di protesta contro le società che traevano profitto dalla guerra in Vietnam. (5) Cfr. Paolo Savona, Patrizio Regola, Il ritorno dello Stato Padrone. I Fondi sovrani di ricchezza e il Grande negoziato globale, Rubettino (2009). (6) La Shari’ah (Pratiche e Attività) è uno dei tre elementi dell’Islam insieme ad Aqidah (Fede e Credo) ed Akhlaq (Moralità ed Etica). La Shari’ah, legge divina come rivelata dal Corano e dalla Sunnah, si compone in due insiemi di regole: Ibadah (pratica obbligatoria di preghiera) e Muamalat (aspetti di vita quotidiana ulteriori rispetto agli obblighi dell’Ibadah). Parte della Muamalat è relativa ai comportamenti da tenere nell’economia e nella finanza. Cfr. “Costi e opportunità della finanza islamica in Italia”, Gnosis 2/2008. (7) Cfr. “Costi e opportunità della finanza islamica in Italia”, Gnosis 2/2008. (8) Esistono molti riferimenti anche nella Bibbia che vietano l’applicazione dell’“interesse” in quanto riconosciuto come “usura”. Per esempio, nell’Esodo (22:25-6), nel Levitico (25:35-37), nel euteronomio , nei Salmi , nei Proverbi o in Ezechiele . (9) Per un’analisi estensiva della contrattualistica islamica, cfr. “Costi e opportunità della finanza islamica in Italia”, Gnosis 2/2008. (10) Il rischio da investimento azionario riguarda l’esposizione delle istituzioni finanziarie al deprezzamento del valore dell’investimento causato da una dinamica avversa dei prezzi di mercato. (11) I contratti Musharakah e Mudarabah, ad esempio, possono incorrere nel rischio da investimento azionario a causa della caratteristica di condivisione di profitti e perdite (tra l’istituzione finanziaria ed il partner nell’investimento). Nel dettaglio: - nei contratti di Musharakah permanente, la partecipazione di entrambe le parti al capitale di rischio implica la partecipazione ai profitti e alle perdite dell’investimento. Ogni variazione dei corsi azionari può modificare l’equilibrio delle partecipazioni delle parti, con guadagni e perdite addizionali per l’istituzione finanziaria secondo la quota detenuta; - nei contratti di Diminishing Musharakah, dovendo acquistare il partner tutte le quote azionarie ad un prezzo fisso predefinito, ogni disequilibrio tra corsi azionari rispetto ai prezzi di mercato espone l’istituzione al rischio azionario; - nel Mudarabah, ogni incapacità di proseguire il business può spingere il prezzo delle azioni ad un livello minore di quello nominale. (12) Generalmente, il tempo consentito da uno Shari’ah Board per modificare (o rimuovere) eventuali partecipazioni in società ritenute non rispettose della Shari’ah è dai 30 ai 60 giorni -talvolta anche 90. (13) Non esiste un consenso universale tra gli studiosi della Shari’ah riguardo la proibizione relativa all’industria del tabacco e della difesa. (14) La regola ritiene che il giusto livello sia una proporzione minore di un terzo, grazie ad una tradizione (hadith), originata da Al-Bukari, secondo la quale il Profeta Maometto affermò che: “...a third is a great deal”, quando gli fu chiesto a quanto potesse essere pari la giusta eredità al di là di quanto prescritto. (15) La Shari’ah vieta la pratica dello sconto crediti, in quanto basata sull’attualizzazione mediante tasso di interesse. Lo strumento alternativo proposto è il contratto Murabahah nel quale un’azienda ed un venditore si accordano sulle condizioni di una transazione. Il compratore si rivolge ad una banca islamica per il finanziamento dell’operazione. Dopo le procedure di due diligence, la banca islamica, se soddisfatta, acquista il prodotto dal venditore e lo rivende al compratore ad un prezzo predeterminato su una base rateale. I profitti per la banca sono insiti nel prezzo di acquisto a rate per il compratore. (16) AVANZI, SRI Research, Green, social and ethical funds in Europe, November 2008. (17) Eurosif è un network pan-europeo no-profit che sostiene la crescita delle pratiche di investimento socialmente responsabili. Esso promuove l’adesione da parte delle Società di gestione del risparmio (Sgr) alle linee guida europee sulla trasparenza dei fondi socialmente responsabili, basate sulle best practice correnti. (18) Cfr. EUROSIF, European Sri Study, 2008. (19) AVANZI, SRI Research, Green, social and ethical funds in Europe, October 2007. (20) Le prassi relative ai criteri di selezione degli investimenti fanno riferimento a: - criteri positivi (o di inclusione), in base ai quali vengono selezionati gli emittenti da scegliere per la destinazione degli investimenti. I fondi che adottano criteri di selezione positivi effettuano la selezione delle imprese e degli Stati in cui investire le proprie risorse in base all’orientamento social responsible mostrato prevalentemente in tre diversi ambiti: ambientale, sociale, di governance; - criteri negativi (o di esclusione), in base ai quali vengono individuati gli emittenti i cui titoli non sono oggetto di investimento. I fondi che adottano criteri di selezione negativi determinano la loro asset allocation escludendo le imprese che operano in settori economici non socialmente responsabili (produzione o commercializzazione di armi, tabacco, alcolici, organismi geneticamente modificati, prodotti lesivi della dignità umana come la pornografia, o che operano in settori come il gioco d’azzardo e l’energia nucleare) e i Paesi che assumono una condotta non etica (violazione di diritti umani, civili e politici). (21) Cfr. Mariantonietta Intonti, Antonella Iannuzzi, Analisi qualitativa e modalità di pricing dei fondi comuni di investimento etici in Italia, Università di Bari (2009). (22) Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (“Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”). (23) Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”). (24) Art. 117-ter (Disposizioni in materia di finanza etica): “La CONSOB, previa consultazione con tutti i soggetti interessati e sentite le Autorità di vigilanza competenti, determina con proprio regolamento gli specifici obblighi di informazione e di rendicontazione cui sono tenuti i soggetti abilitati e le imprese di assicurazione che promuovono prodotti e servizi qualificati come etici o socialmente responsabili”. (25) CONSOB, Regolamento Intermediari, Disposizioni attuative dell’art. 117-ter del TUF, introdotto dalla legge n. 262/2005, in materia di finanza etica, Documento di consultazione, 7 febbraio 2007. (26) Cfr. Mariantonietta Intonti, Antonella Iannuzzi, Analisi qualitativa e modalità di pricing dei fondi comuni di investimento etici in Italia, Università di Bari (2009). (27) Art. 90, “Obblighi di rendicontazione”, Reg. Consob n. 16190. (28) ASSOGESTIONI, Guida alla classificazione, 2003. Cfr. anche ASSOGESTIONI, Guida italiana al risparmio gestito, www.assogestioni.it, 2007. (29) Per un’analisi della potenziale compatibilità tra regole della Shari’ah e l’ordinamento italiano, cfr. “Costi e opportunità della finanza islamica in Italia”, Gnosis 2/2008. (30) Cfr. “Fraternità, sviluppo economico e società civile. I musulmani italiani rispondono all’appello del Papa rivolto a tutti gli uomini di buona volontà” (Settembre 2009). La CO.RE.IS. ha costituito un Comitato Scientifico sulla Finanza Islamica che riunisce esperti musulmani italiani di Economia e Commercio, ricercatori delle Università di Milano, Torino, Venezia, Genova e Bologna, dipendenti dell’ENI, del Gruppo Intesa San Paolo, delle Assicurazioni UGF Unipol, il cui scopo è quello di studiare e sviluppare prodotti finanziari eticamente connotati per il mercato europeo e per il grande pubblico musulmano, favorendo così il dialogo e le relazioni tra le civiltà del Mediterraneo. (31) In Italia, Assogestioni fornisce una definizione della qualifica di eticità che fa riferimento alle caratteristiche della politica e del processo di investimento, sottolineando come ambedue risentano della “definizione operativa del concetto di eticità” che è propria, e dunque soggettiva, del fondo. ASSOGESTIONI, op. cit., 2003. (32) Cfr. Mariantonietta Intonti, Antonella Iannuzzi, Analisi qualitativa e modalità di pricing dei fondi comuni di investimento etici in Italia, Università di Bari (2009). L’investimento socialmente responsabile si caratterizza per un processo di diversificazione più limitato, dovendo rispettare determinati vincoli qualitativi nella selezione dei titoli. Tale circostanza, nel momento in cui ciò avesse ripercussioni sulle performance ottenibili, rappresenta un “costo” che il risparmiatore sopporta quando decide di investire in un fondo etico. Il pricing dell’investimento socialmente responsabile ha, quindi, una duplice valenza: - esplicita, se connessa con il regime delle commissioni applicate e pagate dall’investitore; - implicita o figurativa, qualora l’attenzione venga rivolta alle caratteristiche di rischio e rendimento di tali strumenti finanziari. Cfr. L. Renneboog, J. Ter Horst, C. Zhang, “The Price of Ethics: Evidence from Socially Responsible Mutual Funds”, Social Science Research Network (2007); F. Minnetti, Studi e Note di Economia, n. 2/2004. |