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GNOSIS 2/2009
Il FORUM



Media e sicurezza

a cura di Emanuela C. DEL RE


Le questioni della sicurezza, oggi, non possono essere affrontate se non tenendo conto della comunicazione. Comunicare nel campo della sicurezza è cruciale quanto elaborare strategie di contrasto. Anzi, la comunicazione stessa costituisce una strategia – eventualmente anche di contrasto – perché influenza la creazione del clima sociale in cui operano tutti gli attori nel campo della sicurezza.

Emergono allora questioni centrali, di cui paradossalmente si parla poco in modo ordinato, tanto che, come affermava Stefano Rolando già nel 2007 e viene confermato da chi scrive oggi, persino Internet delude quando sui “motori di ricerca” si cercano le parole “informazione, comunicazione, sicurezza, cittadini” collegate <A Href='javascript:carica("1")' name="(1)" ; onClick='AvviaNota(1)' >(1)</A> perché porta a risultati frammentati e dispersivi – la sicurezza alimentare, dispositivi di sicurezza e altro – lontani da quello che si cercava. <br>
Si parla, invece, molto del tema comunicazione e sicurezza quando vi è discrasia tra i dati e le valutazioni dell’informazione mediatica e di quella politica, ma ci si sofferma spesso più sugli effetti di questa discrasia informativa sui media e sulla politica che sull’impatto a largo spettro sull’opinione pubblica. Un’opinione pubblica che da un lato fruisce e da un lato produce comunicazione, non restando più inerme di fronte alle questioni di sicurezza, ma esprimendosi in blog, uploading di video e altro, spesso con criteri diversissimi (fino agli estremismi) da quelli suggeriti dai media o dalla comunicazione dell’Istituzione pubblica. Quello che accade in Iran in questi giorni ne è conferma: è inarrestabile il flusso delle comunicazioni, nonostante vi sia un forte tentativo di impedirlo. Le immagini di disordini e di gravi episodi girate con telefoni cellulari fanno il giro del mondo su Internet anche quando i media ufficiali vengono bloccati. Il ciclo delle informazioni vede oggi l’individuo straordinariamente protagonista ovunque.<br>
Bisogna allora interrogarsi sul ruolo e sul peso dei media e delle Istituzioni pubbliche nella comunicazione delle questioni di sicurezza, tenendo conto del contesto italiano in cui il rapporto tra media e Istituzioni pubbliche, media e cittadini e Istituzioni pubbliche e cittadini, è influenzato da approcci che riflettono la storia del Paese. <br>
Ad esempio, la comunicazione dell’Istituzione pubblica si è intensificata solo negli ultimi anni, soprattutto attraverso i nuovi media, che permettono larga diffusione ma prevedono anche proposte di ampia fruibilità che non tradiscano le aspettative della cittadinanza. Se, infatti, i media possono influenzare l’agenda setting, la comunicazione da parte delle Forze dell’ordine è cruciale per la determinazione del rischio effettivo, per l’esatta informazione e la conseguente fiducia del cittadino nel sistema. <br>
D’altro lato, la necessità di rassicurare sembra, a volte, contrastare con il modo in cui i temi della sicurezza vengono comunicati oggi. V’è sempre maggiore attenzione verso la cronaca nera, ad esempio, rendendo fatalmente più distanti agli occhi dell’opinione pubblica le strategie e le operazioni di contrasto. <br>
Come comunicare i temi di sicurezza allora? I concetti di allarme e rassicurazione si impongono nell’analisi della comunicazione della sicurezza. </i>]

Discutono con noi sul tema in questo forum Mario MORCELLINI, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università ‘Sapienza’ di Roma, uno dei massimi esperti di comunicazione che ha condotto numerosi studi sul tema, Maurizio MASCIOPINTO, Primo Dirigente della Polizia di Stato, Gianni CIPRIANI, Direttore di D-News e Lucio CARACCIOLO, Direttore di Limes.
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D. I media, inclusi i nuovi, influenzano effettivamente l’opinione pubblica sulla sicurezza?

Mario Morcellini
Negli ultimi anni, i media studies fanno rilevare una rinnovata centralità dei media nei processi di costruzione della percezione individuale della sicurezza, che contribuiscono in modo determinante a orientare le richieste dell’opinione pubblica nei confronti dei policy makers. Questo particolare tipo di influenza appare talmente importante e, in qualche modo vincolante, da costringerci a rivedere criticamente alcune radicate convinzioni teoriche sulla presunta capacità del pubblico di opporre una “resistenza interpretativa” agli allarmi veicolati da e attraverso i media. Per quanto riguarda l’opinione pubblica italiana, l’attuale situazione è questa: a fronte di un andamento sostanzialmente stabile dei reati, negli ultimi due o tre anni l’attenzione dei media nei confronti delle notizie che riguardano fatti di cronaca nera e criminalità è più che raddoppiata, e, insieme, si è registrato un forte aumento del sentimento di insicurezza tra i cittadini. Il crescente sentimento di ansia generalizzata molto spesso tende ad oggettivarsi nei termini di paura nei confronti dell’altro, che viene vissuto come una minaccia latente verso la propria sfera individuale: relazioni affettive, lavoro, salute, incolumità fisica. E chiaramente, rischia di soffiare sul fuoco del conflitto sociale. Il funzionamento di questo meccanismo diventa più acuto e particolarmente evidente nei momenti di attivazione dell’attenzione pubblica, ad esempio nell’ultimo segmento della campagna elettorale per le elezioni politiche. Nel 2008, quei soggetti che hanno tentato di portare alla ribalta i dati diffusi dai maggiori istituti di ricerca, che dimostravano la sostanziale stabilità dei fenomeni criminosi, hanno dimostrato con la loro sconfitta che i dati non parlano affatto da soli. Al contrario, il centrodestra e in particolare la Lega hanno riarticolato in qualche misura la loro rinnovata sintonia con il sentimento comune degli italiani capitalizzando quella correlazione tutta moderna tra aumento del benessere e diminuzione della fiducia. Inutile dire che si tratta di un terreno scivoloso anche per la ricerca, ancora in buona parte da esplorare, che interpella i diversi ambiti disciplinari della sociologia, della politologia e delle scienze della comunicazione, le cui categorie interpretative sembrano sempre meno in grado di spiegare la radicalizzazione dell’individualismo come esclusione dell’altro dal proprio orizzonte cognitivo e il trionfo del presentismo come incapacità di progettare il futuro.
Maurizio Masciopinto
I cittadini sono sempre più protesi a vivere all’esterno della propria casa e dalla propria famiglia. Basta guardare i dati della cosiddetta mobilità stradale per verificare che oggi si è sempre più in movimento, si viaggia, si circola in città, ma si va anche di più al ristorante, in discoteca o in palestra. La forte esternalizzazione della propria vita collegata a fenomeni sociali nuovi, quali l’immigrazione da Paesi poveri o la nascita dei cosiddetti reati predatori, ha fatto sì che nella gente si sia formato un nuovo bisogno: la sicurezza. Per sicurezza si intende oggi comunemente quella condizione che lo Stato deve garantire affinché ciascuno possa serenamente estrinsecare il proprio vivere sociale, garantito nei diritti fondamentali, libera circolazione ed espressione del pensiero, proprietà. È chiaro come l’informazione influisca in modo dirompente sull’opinione pubblica in tema di sicurezza. Le notizie diffuse dagli organi di informazione determinano la condizione psicologica della comunità e le sue percezioni. Questo ancora di più oggi che con l’ingresso di nuovi media è cambiato il modello comunicativo. Si va verso un’informazione interattiva che superi la diffusione delle notizie in broadcast per puntare ad un ruolo attivo dell’interlocutore. Tutti utilizzano Internet anche per raccogliere informazioni sul ristorante o sul negozio di abbigliamento. Quindi, certamente, questo flusso di informazioni può condizionare scelte individuali, quali la meta di un viaggio, ma anche scelte che riguardano la collettività, quindi politiche, cioè istituzionali, industriali o culturali. Si aggiunge a questo il grande carico emozionale con cui viene accompagnata ogni notizia per colpire maggiormente il ricevente, poiché più l’informazione lo suggestionerà e più sarà socializzata ad un amico od un conoscente con la velocità delle moderne tecnologie. Inevitabilmente questa “socializzazione immediata delle emozioni” influenza la percezione della sicurezza.
Gianni Cipriani
Non penso che possa esistere una quantificazione scientificamente stabilita. Oppure se ci sono state ricerche approfondite sul punto, non le conosco. Tuttavia è indubbio che i media – ma io preferirei riferirmi, in generale, alla categoria della comunicazione di massa – influenzino, e non poco, l’opinione pubblica. Tutte le riflessioni sul divario che esiste tra la sicurezza reale e la cosiddetta sicurezza percepita ne sono una valida testimonianza. Inoltre esistono recenti ricerche che dimostrano come, in molti casi, la sensazione di insicurezza è più alta se riferita ad una realtà più ampia (ad esempio la città) mentre è più contenuta se riferita ad una dimensione più limitata (ad esempio la propria strada). È la testimonianza più valida di come, spesso, le suggestioni esterne siano prevalenti rispetto all’esperienza personale riguardo la percezione complessiva. Sul “come” il discorso sarebbe assai complesso: mi limito a dire che in molte occasioni la comunicazione sui temi della sicurezza ha seguito i dettami della iper-semplificazione e della etichettatura, tipiche della propaganda, piuttosto che sforzarsi di raccontare il fenomeno in maniera meno sensazionalistica e più ragionata.
Lucio Caracciolo
L’influenza dei media è fondamentale. Tanto è vero che le stesse autorità di sicurezza ricorrono spesso ai media per comunicare con l’opinione pubblica. Altrettanto importanti sono i media per chi punta al disordine e al terrore, anzi per loro si tratta dell’obiettivo principale: ottenere un’eco mediatica. Per cui la lotta più efficace contro il terrorismo sarebbe, in teoria, il diniego dell’accesso ai media. Ma, salvo casi estremi, in democrazia questo è impossibile.


D. L’influenza dei media incide anche sulla definizione dell’agenda, ovvero sulla definizione delle priorità di cui le Istituzioni devono occuparsi? Penso, ad esempio, alle grandi tradizioni americane come il muckraking, per cui Upton Sinclair all’inizio del ‘900 con le sue indagini giornalistiche sull’industria della carne in scatola portò addirittura ad una nuova legge...

Maurizio Masciopinto
La politica, intesa come risposta ai bisogni della gente, e i cosiddetti fenomeni sociali sono totalmente influenzati dalla comunicazione mediatica. Recentemente fenomeni come la violenza sulle donne o quello dell’immigrazione hanno dimostrato che non è più la statistica a determinare i cosiddetti allarmi sociali, bensì lo spazio che televisione e radio dedicano ad un evento. Una volta la statistica poteva considerarsi un elemento guida, una sorta di mirino nel quale inquadrare gli eventi. Adesso non è più così. Del resto anche le grandi inchieste giornalistiche del passato, a cui fa riferimento la domanda, tendono sempre più ad uscire dalle abitudini sia dei reporter sia dei lettori. Oggi l’informazione ha ricevuto una violenta accelerazione e il sistema mediatico punta alla velocità della circolazione della notizia, rispondendo alla sempre maggiore richiesta di istantaneità a scapito dell’accurato lavoro d’indagine del giornalista. Prevale il pugno nello stomaco rispetto all’approfondimento, con la conseguenza che il reportage d’inchiesta è stato sostituito da una informazione prevalentemente scandalistica. Da ciò deriva probabilmente anche la crisi della carta stampata che oltreoceano si annuncia in questo periodo preoccupante in quanto si parla di un calo di lettori attorno al 40%. In considerazione di ciò, per non evadere alla domanda, bisogna constatare che l’agenda delle Istituzioni è costretta molto spesso ad inseguire gli effetti di quei pugni nello stomaco dell’informazione cui ho fatto cenno.
Lucio Caracciolo
I media sono decisivi nel determinare l’agenda politica. Basti pensare ai recenti scandali come quello dei ministri britannici costretti alle dimissioni di massa. Per certi aspetti, potremmo dire che nelle democrazie occidentali i media hanno conquistato un ruolo centrale nella rete del potere e non intendono abbandonarlo.
Gianni Cipriani
I media influiscono molto. Talora in maniera positiva, ma spesso proiettando sulla sede istituzionale, in particolare la politica, isterismi e richieste da “piazza”, che poi non raramente trovano sponda in decreti, proposte di legge e quant’altro. Il caso giudiziario efferato, una vicenda di cronaca e così via, spesso hanno, in molti casi, rappresentato la molla emotiva di provvedimenti dettati dall’urgenza di dare un segnale all’opinione pubblica, ma in maniera scomposta e poco efficace.
Mario Morcellini
Anzitutto, sarebbe da chiedersi se in Italia, nella situazione attuale si possa configurare un’effettiva terzietà dei media rispetto alla politica, alle Istituzioni e agli interessi economici, che costituisce il prerequisito affinchè i media possano esercitare, agendo in nome e per conto dell’opinione pubblica, una “sana” influenza nei confronti della politica e delle Istituzioni. Diversamente da quello che accade negli Stati Uniti, in cui storicamente il rapporto tra media, politica ed economia si caratterizza per una chiara distinzione dei rispettivi ruoli e da un rispetto reciproco, in Italia il livello di sovrapposizione spesso tende a rendere impercettibili questi confini: sui temi rilevanti si registra un forte collateralismo, che ormai più che una patologia sembra diventato un elemento di sistema nel funzionamento dei nostri media. Questo diventa particolarmente evidente se si parla di sicurezza; con le dovute eccezioni, si profila il rischio che la prospettiva dei media come “avvocati” dell’opinione pubblica venga ribaltata, e che la politica utilizzi strumentalmente i media per influenzare l’agenda dei cittadini. Una prova di questo rischio può riassumersi nei dati emersi da una ricerca in corso sulle percezioni di sicurezza tra i cittadini della Regione Lazio, cui la Facoltà che dirigo sta attivamente collaborando. Sembrerebbe, infatti, che circa due terzi dei cittadini tendano a percepire una generalizzata diminuzione della sicurezza in Italia; ma se, invece, si chiede se questo si verifichi anche nel proprio comune di residenza o nel proprio quartiere, questa percentuale appare dimezzata. C’è, in altre parole, un forte scarto di percezione tra la “realtà” accessibile attraverso l’esperienza diretta e la porzione di “realtà” che può trovare riscontro solo attraverso le rappresentazioni mediali. Per quanto un singolo dato non possa riassumere un lavoro che appare particolarmente complesso, è evidente come sia sufficiente a far scaturire dubbi e domande.


D. In questo senso bisogna allora interrogarsi sul peso della comunicazione dell’Istituzione pubblica nei temi della sicurezza, e chiedersi se l’Istituzione pubblica nella comunicazione sia in grado di assumere un ruolo propositivo, ad esempio intervenendo a interrompere un eventuale ciclo di tensione, pur dovendo gestire un enorme flusso di informazioni.

Lucio Caracciolo
La comunicazione è spesso pubblicitaria, quindi soffre del gap di legittimazione sopra evocato. La cultura del dialogo non appartiene alla nostra tecnocrazia, salvo nobili eccezioni.
Gianni Cipriani
La comunicazione istituzionale potrebbe svolgere un ruolo davvero positivo se non fosse pensata e gestita come “ufficio stampa” di questa o quella Istituzione. Voglio dire che la poca efficacia e – diciamolo con franchezza – credibilità della comunicazione istituzionale è dovuta alle sue numerose omissioni e timidezze.
Maurizio Masciopinto
Per quanto concerne le questioni della sicurezza, la comunicazione istituzionale assume sempre più un ruolo determinante, sebbene non abbia nel nostro Paese una forte esperienza nel saper trasmettere la propria progettualità e i propri obbiettivi. In particolare, chi è preposto a compiti di sicurezza per tradizione ha sempre sostenuto che la più efficace risposta è quella operativa, quindi ha affidato poco alla comunicazione il compito di rassicurare i cittadini. Per essere concreti: alla recrudescenza di un fenomeno criminale in un determinato territorio quella della cattura dei responsabili rappresentava la migliore risposta. Quasi che dinnanzi al male commesso i cittadini fossero solo in ansia della risposta forte ed aggressiva dello Stato. Oggi, invece, che i bisogni della gente sono fortemente mutati ed una sempre maggiore mobilità della società induce a esigenze di sicurezza di tipo diverso, ci si aspetta dalle Istituzioni una attività informativa sempre più evoluta. Per fare un esempio che chiarisce forse meglio quello che accade, basta citare cosa avviene oggi nella Sanità. Le malattie sono sempre meglio controllate ma il giudizio sulla soddisfazione dei cittadini è sempre più basso. Questo probabilmente perché l’evoluzione culturale della società fa sì che quando si va dal medico oltre che la prescrizione il malato si aspetta una spiegazione della propria malattia. Il fatto che il malato non sia anch’esso un medico non significa che è un ignorante e, quindi, in grado di non capire quali sono le sue problematiche di salute. Ma il medico con i tempi ristretti a sua disposizione non può indugiare in spiegazioni, per cui il malato alla fine completa la visita in uno stato di grande insoddisfazione. Analogamente nella sicurezza vi è una tradizione della riservatezza delle informazioni e quindi chi è preposto a compiti di responsabilità investigative sceglie di parlare solo quando ha nelle mani risultati operativi concreti. Ciò non è sicuramente al passo con i tempi. Oggi la stampa e tutti gli organi di informazione chiedono chiarimenti su tutto, interpretando una voglia di conoscere dei propri lettori o ascoltatori. Anche perché la mancanza di spiegazioni viene identificata come una incapacità di affrontare le problematiche.
Fortunatamente questo modello storicamente arroccato sta cambiando. Personaggi come l’attuale Capo della Polizia, il Prefetto Antonio Manganelli, rappresentano il giro di boa epocale nel rapporto tra Istituzioni e società. Basti citare il titolo di un articolo che fu pubblicato all’atto della sua nomina: “Arriva Manganelli lo sbirro del dialogo”, per comprendere come la comunicazione costituisca una reale innovazione per le Istituzioni preposte a garantire la sicurezza.
Mario Morcellini
Nelle situazioni di crisi, di emergenza o di conflitto il ruolo della comunicazione istituzionale è fondamentale. Tra i suoi compiti c’è anche quello di rassicurare i cittadini sulla reale entità delle minacce, fornire indicazioni concrete sui comportamenti da tenere, garantire flussi di informazioni credibili e verificate sull’andamento della situazione. È fondamentale far sapere alle persone che le Istituzioni ci sono e sono capaci di “stare accanto” alle persone, specialmente nei momenti di difficoltà. Per quanto riguarda il tema della sicurezza, ciò si traduce in un atteggiamento di particolare responsabilità da parte degli operatori, che non può essere né quello dei pompieri né quello degli incendiari. Nascondere non serve e tende anzi ad amplificare la portata dei problemi, ma enfatizzare le minacce tende a moltiplicare la sensazione d’allarme, sollecitando domande e creando nuove aspettative che non è possibile ignorare.


D. Più parti sostengono però che in Italia manchi una tradizione nelle Istituzioni pubbliche di comunicazione sui temi sociali rivolta ai cittadini, sebbene negli ultimi anni però le Istituzioni pubbliche siano più presenti nell’area della comunicazione sociale. Ma la comunicazione dell’Istituzione pubblica raggiunge la cittadinanza?

Gianni Cipriani
Proprio per quello che ho detto prima, ho i miei dubbi che questo tipo di comunicazione raggiunga davvero i cittadini. Con l’eccezione dell’equivalente delle vecchie pubblicità-progresso, sui diritti e le opportunità dei cittadini, dei pensionati, dei malati e così via. Ma si tratta di contesti piuttosto limitati.
Lucio Caracciolo
L’informazione istituzionale risente del grado modesto di efficienza e legittimazione delle Istituzioni. Dunque serve a poco, in certi casi può essere anche controproducente. Tanto più secca e neutrale, tanto più utile. Non è questa, ad oggi, la prassi delle Istituzioni. Ciò vale in particolare per la comunicazione sociale. In generale, è la società che comunica con se stessa, non si fida delle Istituzioni, anche se esisterebbe una domanda in tal senso se le Istituzioni fossero più credibili.
Mario Morcellini
Non si può dire che in Italia manchi l’interesse di studiosi e Istituzioni nei confronti della comunicazione, c’è un diffuso interesse nei confronti della comunicazione che, anzi, ha prodotto numerosi filoni e gruppi di ricerca. C’è un dibattito scientifico molto vivace ed aperto su questi temi, e c’è un crescente interesse anche da parte delle Istituzioni, che si traduce in diversi appuntamenti convegnistici di livello nazionale in cui ogni anno vengono presentati i risultati delle sempre più numerose e qualificate esperienze realizzate in questo ambito da enti e amministrazioni locali. Tuttavia, occorre fare una distinzione tra la comunicazione sociale e le campagne di comunicazione di pubblica utilità, che rappresentano due ambiti non sempre sovrapponibili e sui quali il dibattito scientifico non ha trovato un punto d’accordo. Le Istituzioni, com’è ovvio, tendono ad investire in comunicazione per supportare le strategie di inclusione sociale, per rafforzare le azioni di prevenzione e contrasto al consumo di droga o all’abuso di alcool, per migliorare la sicurezza stradale o per combattere fenomeni odiosi come le truffe ai danni degli anziani. Ma non è scontato che queste campagne siano efficaci se non sono capaci di entrare in sintonia con i linguaggi e i bisogni dei cittadini. Qualche volta è accaduto in passato che la comunicazione istituzionale tradisse, nella formulazione dei messaggi, intenti pedagogici o stigmatizzanti che inevitabilmente rischiavano di comprometterne l’efficacia, ma oggi è molto più difficile che possa accadere perché, anche per effetto della legge 150/2000, le culture della comunicazione si sono affermate come asset indispensabile nelle competenze e nelle sensibilità dei dirigenti e dei manager delle Istituzioni pubbliche. Tra gli esempi più recenti di come si possa fare una buona comunicazione di pubblica utilità, è di particolare importanza la campagna contro gli stupri, il cui messaggio è pensato per rendere le donne più consapevoli dei processi di vittimizzazione ed autocolpevolizzazione che rendono più difficile non solo perseguire i colpevoli, ma anche recuperare l’autostima e restituire un senso di normalità alla propria vita.
Maurizio Masciopinto
Lo sportello pubblico ha sempre rappresentato nell’immaginario collettivo la barriera insormontabile tra il cittadino e lo Stato. Questa barriera, difficile da abbattere, si è modificata nel corso degli anni. Si è cercato di raggiungere i cittadini utilizzando sempre più gli strumenti di comunicazione di massa, quali televisione e radio. Tale comunicazione ha riguardato, però, le cosiddette campagne informative di massa, cioè quell’informazione che lo Stato riteneva opportuno socializzare all’intera collettività. Queste campagne, poi, nel tempo sono state sempre più mirate a bisogni più specifici di categorie o fasce sociali per dare un segnale, da parte dello Stato di attenzione anche a problematiche di carattere particolare. Quindi la comunicazione diventa strumento di avvicinamento delle Istituzioni al cittadino quando assume un carattere funzionale rispetto alle necessità della collettività. Le nuove tecnologie possono rappresentare la chiave di volta di questo cambiamento epocale. Infatti è completamente inutile informare un cittadino telefonicamente dei documenti di cui ha bisogno per assolvere ad una procedura amministrativa se poi sarà comunque costretto a fare ore di fila davanti ad uno sportello. I fornitori di servizi, quali telefonia od energia hanno inteso per primi questa difficoltà ed hanno trasformato, già da alcuni anni, i loro uffici con interminabili file in accoglienti negozi affollati di giovani e gradevoli promotori.


D. Le Forze dell’ordine hanno investito molto negli ultimi anni sulla comunicazione, tanto che i siti Web di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza sono considerati di ottimo livello. Che risultati ha portato questo investimento?

Maurizio Masciopinto
L’investimento nei settori del Web è stato significativo ed ha prodotto ottimi risultati, i siti istituzionali delle Forze dell’ordine risultano sempre ai primi posti per accessi e gradimento dei cittadini. Abbiamo avuto la fortuna che chi oggi è al vertice del Dipartimento della Pubblica Sicurezza quando inseguiva i mafiosi oltreoceano ha percepito con attenta sensibilità l’investimento che strutture come l’FBI stavano facendo nelle nuove tecnologie e ha subito innestato nella nostra struttura i semi di questa ramificata pianta che oggi si divide in due grandi tronchi: quello dell’investigazione e quello della comunicazione sulla Rete. La Polizia di Stato ha realizzato progetti innovativi che oggi rappresentano best practices in tutto il mondo. All’ultima conferenza mondiale sul crimine informatico, realizzata dall’Interpol, i rappresentanti cinesi nel presentare il loro sito per il contrasto ai crimini informatici hanno detto di essersi ispirati al Commissariato on-line della Polizia italiana. È importante però che l’utilizzo delle tecnologie penetri e pervada la cultura delle Istituzioni che garantiscono sicurezza, ma è anche importante che si affianchi un cambiamento delle procedure amministrative le cui disposizioni non possono essere mutate autonomamente da Polizia, Carabinieri o Guardia di Finanza. Un’indagine svolta a livello europeo ha dimostrato che in nessun Paese le denunce via Web hanno realmente sostituito quelle cosiddette ”classiche”, fin quando resta necessario andare presso un commissariato a ratificarle apponendo personalmente la propria firma. Quindi prevale ancora in modo sostanziale una comunicazione sulla Rete di tipo informativo.
Lucio Caracciolo
I siti delle Forze dell’ordine sono ben strutturati, ma non “mordono” nei media e appaiono, quindi, poco influenti. Lo scopo di quei siti dovrebbe essere, non solo quello di fornire servizi, ma anche quello di orientare l’opinione attraverso i media.
Mario Morcellini
Il miglioramento degli strumenti di comunicazione on-line delle Forze dell’ordine va fatto rientrare in una strategia più ampia di miglioramento delle relazioni con l’opinione pubblica e i singoli cittadini, che oggi si può realizzare soltanto utilizzando più canali, linguaggi e formati rispetto al passato. La Rete, in questo senso, ha rappresentato una grande opportunità, che ha sollecitato le amministrazioni pubbliche ad investire tempo e risorse economiche ad integrare le competenze comunicative nella formazione dei quadri e dei dirigenti. Non è certo per una casualità che da molti anni le competenze comunicative siano diventate un asset considerato indispensabile nella formazione dei dirigenti della Polizia di Stato, della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno e degli ufficiali della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale, esperienze che da qualche anno impegnano diversi docenti provenienti dalle Facoltà di Scienze della Comunicazione. Questi interventi formativi hanno contribuito a creare le condizioni di una maggiore sensibilità culturale nei confronti della comunicazione e dei suoi linguaggi e, spesso, hanno costituito l’occasione di sperimentare in prima persona la progettazione e la realizzazione degli strumenti di comunicazione on-line. Certamente, iniziative come il “commissariato di PS on-line” o “Stazione CC Web” rappresentano esempi d’eccellenza perché, oltre che parlare al pubblico, consentono al pubblico di parlare con l’Istituzione e, soprattutto, di accedere a dei servizi senza i vincoli fisici e temporali legati alle sedi e agli orari. È certamente un modo efficace per rafforzare la reputazione e la credibilità delle Forze dell’ordine, per migliorare la percezione di sicurezza del cittadino e per contrastare in modo più efficace alcuni fenomeni criminali che, per vari motivi, tendono a rimanere nell’ombra. Ma è giusto ricordare come questa strategia comunicativa includa anche attraverso la presenza in televisione, le campagne di pubblica utilità, i prodotti editoriali e una gestione sempre più accorta e professionale delle relazioni con i media informativi.
Gianni Cipriani
Non c’è dubbio che la comunicazione delle diverse Forze di polizia sia assai migliorata nel corso degli anni. Ed è migliorata anche l’immagine. Un ruolo considerevole è stato svolto dal cinema e dalla fiction. Si pensi solo quanta popolarità ha portato all’Arma la figura del maresciallo Rocca. C’è però da aggiungere che questi filoni si stanno eccessivamente inflazionando e, forse, sarà bene frenare la moltiplicazione di fiction, altrimenti la percezione propagandistica del fenomeno potrebbe diventare prevalente rispetto all’effetto simpatia. Ad ogni modo credo che l’immagine delle Forze di polizia dipenda in gran parte dalle risposte che sono in grado di dare ai cittadini.


D. Quanto possono dirsi influenzate le strategie delle Forze dell’ordine dai media, in merito alle priorità, ad esempio?

Maurizio Masciopinto
Abbiamo già detto che la sicurezza costituisce oggi quasi un bisogno sociale e i partiti ne fanno palesemente oggetto delle loro campagne elettorali. Ma abbiamo anche visto come le emozioni ed i sentimenti dei cittadini siano influenzati dalle informazioni e, pertanto, cadono sulle spalle delle Forze dell’ordine gli effetti di eventi che colpiscono la società. Le priorità diventano quelle di cui si parla maggiormente: bisogna perciò stare molto attenti a non farsi condizionare completamente dai mass media. Chi è al vertice è preposto a saper trovare il sapiente equilibrio tra questi bisogni. Quindi occorre dare risposte a fenomeni che colpiscono la società ma non bisogna tralasciare quelli che fanno meno notizia ma rappresentano altresì un rischio per la società. Per esempio il 26 marzo scorso il Capo della Polizia ha realizzato un concerto-evento rivolto ai giovanissimi per porre alla loro attenzione i rischi derivanti dall’uso delle droghe sintetiche nelle discoteche. È stato questo un modo per trattare una tematica delicata che impegna numerose risorse operative anche con grandi e positivi risultati che non riempie le prime pagine dei giornali ma che, sicuramente, è un tema di primo piano nella sicurezza.
Gianni Cipriani
Avendo fatto per molti anni prima il cronista di nera e poi di giudiziaria, so bene che ci sono operazioni di polizia fatte ad uso e consumo dei media. Ovvero, fatte per rispondere ad una esigenza evidenziata dalla stampa. In alcuni casi ciò può rappresentare, in positivo, una sensibilità a temi posti dalla società civile attraverso giornali e televisioni. Talvolta i cosiddetti “pattuglioni” e controlli con telecamere e cronisti al seguito – magari all’indomani di qualche evento tragico – possono gettare “fumo agli occhi”
Mario Morcellini
È una domanda alla quale non è possibile dare una risposta univoca. Ciò che invece è sicuro, è che la politica e i media sollecitano continuamente e, talvolta, provocano l’opinione pubblica sui temi della sicurezza, qualche volta a ragione, altre volte a torto. Il risultato, spesso, è di costringere le Forze dell’ordine a esercitare il proprio mandato nei tempi e nei modi delle fiction come CSI, in cui alla fine della puntata, immancabilmente, la prova del DNA risolve il caso e smaschera i colpevoli dei delitti. C’è, insomma, un forte rischio di sovrapposizione tra le indagini investigative e i processi mediali, impropriamente celebrati nei programmi di approfondimento e nei talk show , anziché nelle aule dei tribunali. La realtà è molto diversa: basti pensare all’incredibile vicenda giudiziaria dello stupro della Caffarella a Roma e al fatto che Loyos e Racz siano stati per oltre un mese accusati ingiustamente di uno stupro che non avevano commesso. Poche, pochissime le voci nei media che hanno avuto il coraggio di dissociarsi dal processo sommario che è stato allestito a loro danno, o di scusarsi per aver contribuito ad esso. Fortunatamente, c’è stato anche qualche segnale positivo, che si è manifestato nel modo in cui alcuni media , ad esempio il quotidiano “Il Tempo”, hanno cercato di dare conto di quello che è successo dopo che i due erano stati scagionati dalle gravi accuse che gli erano state rivolte. È un segnale in controtendenza: solitamente non c’è alcuna forma di restituzione nei confronti dei “mostri da prima pagina” risultati innocenti: i proscioglimenti, le assoluzioni non fanno notizia come le notizie degli arresti o le foto delle manette. Su questi temi sembra sempre di ricominciare da capo, come se non avessimo imparato nulla da vicende come quelle di Gino Girolimoni, un fotografo che durante il regime fascista fu ingiustamente accusato di aver violentato ed ucciso numerose ragazzine, macchiando indelebilmente la sua reputazione e rovinando per sempre la sua esistenza. E, recentemente, è anche intervenuto il Garante per le Comunicazioni, che ha promosso una riflessione su questi rischi, riunendo attorno a un tavolo giuristi, studiosi di media , giornalisti e rappresentanti di imprese televisive per ragionare di questi problemi, che hanno elaborato e sottoscritto un codice di autoregolamentazione che ci aiuterà, forse, ad avere una giustizia ed un’informazione migliori. Resta però una questione di fondo, che non si esaurisce nel codice. La politica e i media hanno avuto negli ultimi anni una straordinaria libertà d’azione nella costruzione e nella definizione dei problemi della sicurezza, che le Forze dell’ordine non hanno e, che per inciso non possono avere, perché legate ad un preciso mandato istituzionale, alla Costituzione e alle leggi dello Stato. In una situazione come questa è facile che le Forze dell’ordine diventino l’anello debole su cui si scaricano enormi attese da parte dei cittadini. Creano i presupposti culturali che sostengono l’idea di una giustizia impropriamente amministrata dai cittadini anziché dai giudici, con un evidente rischio di arretramento del diritto e di legittimare la riduzione della libertà individuale a favore di un malinteso concetto di sicurezza. Un tema che più di due secoli fa già era motivo di preoccupazione per i padri fondatori della nascente democrazia statunitense e che ha, peraltro, impegnato a lungo la filosofia politica europea. C’è un sintetico ed illuminante aforisma di Benjamin Franklin, citato tra l’altro nell’incipit di un importante libro di Friederich von Hayek, che ricorda l’importanza di questa lezione: “Quelli che abbandonano la libertà per conquistare una temporanea sicurezza perdono sia la libertà che la sicurezza”.


D. Quando si parla di sicurezza, media e politica si trovano spesso ad agire nello stesso ambito comunicativo, in contesti mediatici in cui la politica può trovare canali espressivi diretti come i talk show, pur veicolati da mezzi di comunicazione. Non vi è il rischio che la politica invada il terreno dei media? O sono i media che impongono modelli di comunicazione alla politica?

Gianni Cipriani
Media e politica si influenzano reciprocamente. I media, talora (non sempre) sono subordinati alla politica e la politica ha bisogno dei media e ne adotta il linguaggio. La semplificazione è un’esigenza reale dei media. L’eccesso di semplificazione, però, porta alla banalizzazione. Dai ragionamenti agli slogan, possibilmente ad effetto. Ed è quello che sta accadendo. I metodi e la tecnica del cosiddetto “panino” televisivo ne sono la migliore esemplificazione.
Maurizio Masciopinto
Molti dicono che la politica oggi è cambiata, in realtà è mutato il modello della comunicazione politica. La piazza reale dei comizi è stata sostituita dalla piccola piazza del talk show che viene poi amplificata dalla televisione, a questa si è aggiunta la piazza virtuale della Rete. Il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che lui stesso durante la campagna elettorale ha risposto a migliaia di messaggi di posta elettronica. Quindi la politica stessa si sposta sempre più dal broadcast verso l’active-learner, cioè l’interscambiabilità di informazioni tra eletto ed elettore. Allora cosa accade: chi fa politica non è immune da quei pugni nello stomaco che produce l’informazione ad effetto di cui abbiamo parlato e si sente obbligato a esternare in tempo reale ai cittadini la sua posizione proprio sui temi che rendono rovente l’istantaneità dell’informazione.


D. Si potrebbe dire che sia facile comunicare allarme, meno facile comunicare un senso di rassicurazione, soprattutto perché eventi positivi della quotidianità non “fanno notizia”. La comunicazione della sicurezza può avere una funzione rassicurante?

Gianni Cipriani
Così come distruggere è più facile che costruire, per la comunicazione di massa suggestionare è assai più semplice che far riflettere profondamente. Per quanto superate, le intuizioni di Gustav Le Bon sulla psicologia della folla, a mio giudizio, restano valide nella loro essenza di fondo. Del resto pubblicità e propaganda seguono questi schemi. Quindi comunicare sicurezza è difficile. Si può rassicurare l’opinione pubblica? Forse. Ma solo riuscendo ad essere credibili e autorevoli, come dicevo prima. C’è poi da aggiungere che una delle ragioni della paura è spesso il senso di disorientamento rispetto ad eventi o situazioni emotivamente molto coinvolgenti o stressanti. Il timore di non poter prevedere una situazione e, soprattutto, saperne gestire le conseguenze. Una comunicazione “orientante” potrebbe, in questa ottica, svolgere un effetto rassicurante. È lo stesso meccanismo psicologico per cui, in molti casi, chi siede accanto al guidatore ha più timori del conducente stesso.
Maurizio Masciopinto
Come hanno scritto autorevoli giornalisti il bene fa poca notizia il male fa molti lettori. Questa affermazione sicuramente è vera ma in questo senso gioca un ruolo determinante la televisione; un conto sono i telegiornali e la cronaca ordinaria, altra cosa sono le trasmissioni televisive che raccontano la cronaca. Queste trasmissioni sicuramente possono avere un ruolo determinante per la creazione di modelli positivi. Oggi, sempre più, in queste piccole piazze della tv diventano “personaggi” persone che recitano un ruolo che può essere quello della bellona o del belloccio latin lover e costoro si trasformano in modelli da imitare. Ciò detto bisogna porsi l’obbiettivo di comunicare modelli positivi: una poliziotta di Milano due mesi fa, raccontando il suo intervento mentre era in servizio su una volante, ha fatto il record di ascolto della trasmissione televisiva a cui partecipava. Allora la rassicurazione può essere l’esposizione di questi modelli positivi che compiono quotidiani atti di eroismo mettendo, in ogni turno di servizio, la propria vita al secondo posto. Questo credo che sia l’obbligo morale di chi fa informazione: mostrare non solo modelli di riferimento tra coloro che fanno spettacolo ma anche tra chi ispira il proprio lavoro con grandi valori sociali.
Lucio Caracciolo
La rassicurazione non può essere comunicata che con i fatti. Con la presenza costante delle Istituzioni al fianco del cittadino. Quando ciò avviene, comunicare è molto più facile. Altrimenti è abbastanza inutile. La cultura della comunicazione dipende dalle diverse Istituzioni. Spesso, a livello locale, le Istituzioni mostrano una certa cultura della comunicazione che manca, invece, a livello centrale. In casi di emergenza, alcune Istituzioni come la Protezione Civile e le Forze dell’ordine sono comunque sufficientemente attrezzate a tal fine. È nell’ordinaria amministrazione che manca l’impulso.
Mario Morcellini
Vi sono numerose ragioni storiche e psicosociali che spiegano la tendenza del giornalismo a privilegiare le “bad news” sugli eventi positivi, come ha convincentemente dimostrato Altheide. Tuttavia, tenuto conto di questo fatto, non bisogna dimenticare che i media rappresentano per i moderni una inesauribile risorsa contro l’incertezza. Ne consegue che comunicare l’impegno della politica e delle Istituzioni per migliorare la sicurezza effettiva e la sua percezione da parte dei cittadini è un passaggio fondamentale. In questo senso, il mancato superamento dell’importanza della Tv come strumento di coltivazione dell’opinione comune attraverso elementi quali la gigantografia della cronaca nera è paradigmatico. Da un lato, l’investimento dell’informazione televisiva nella direzione di generare un senso di panico morale trova un ritorno concreto nell’instaurarsi di forme di voto di scambio comunicativo. Dall’altro, a questo sforzo di costruzione di scenario non sembra corrispondere, nell’offerta più generale di informazione e intrattenimento, una carica innovativa paragonabile, così da giustificare in qualche misura la stanchezza ripetitiva dei contenuti della vetrina della comunicazione.


D. Come si comunicano le questioni di sicurezza nell’emergenza? Come si imposta la comunicazione in un contesto sociale di per sé già allarmato?

Mario Morcellini
Ci sono poche, semplici regole da seguire: non tentare di nascondere o minimizzare l’entità dell’emergenza, fornire informazioni con continuità, controllare la coerenza e la credibilità delle informazioni veicolate, fornire informazioni effettivamente utili. Ma la regola più importante è, forse, quella di non lasciare sole le persone di fronte all’incertezza e alla paura. Gli antropologi e i sociologi che si sono occupati di rischio, penso a Mary Douglas, Aaron Wildawsky, ma anche a Niklas Luhmann o ad Ulrich Beck, hanno evidenziato come la vulnerabilità di un sistema sociale posto di fronte ad un’emergenza o all’incombere di un evento rischioso dipende anche dal modo in cui la situazione viene elaborata attraverso la cultura. In altre parole, il sistema culturale – di cui i media fanno parte a pieno titolo – può produrre una diversa capacità di risposta alla crisi e, di conseguenza, diventare una risorsa per circoscrivere i danni. È sufficiente pensare al Giappone, paese in cui una lunga convivenza delle popolazioni con fenomeni sismici, anche importanti, ha prodotto una forte capacità di prevenirne e limitare gli effetti negativi. I giapponesi, quando la terra trema hanno reazioni assai più misurate, e questa confidenza li aiuta ad affrontare meglio l’emergenza, preparandosi nei periodi di normalità. Possiamo imparare molto da queste lezioni e i media hanno un ruolo importantissimo. Il modo in cui si sono attivati nei giorni immediatamente successivi al terremoto in Abruzzo, malgrado alcune inevitabili contraddizioni, rappresenta un esempio interessante di come la comunicazione possa mobilitare le energie, la solidarietà e l’intervento delle Istituzioni. È anche per questi motivi che su questo tema abbiamo avviato specifiche attività di ricerca.
Maurizio Masciopinto
Un contesto allarmato non deve mai essere considerato un contesto incosciente. Una febbre altissima può spesso essere placata da una Tachipirina. Quindi l’informazione è determinante, la paura può spesso essere il frutto di una serie di fattori che vanno sviscerati uno ad uno. Per questo è necessario un adeguamento del modello informativo. Il Dipartimento della P.S. ha, in tal senso, voluto la creazione dei cosiddetti portavoce presso le questure, perché non è sempre utile che a dare l’informazione sia proprio il preposto alla risoluzione del problema, in quanto ne potrebbe essere fortemente suggestionato dalle proprie convinzioni operative. Come già detto è indispensabile evitare che la mancanza di informazioni fornite da chi è deputato a garantire la sicurezza possa essere interpretata dalla comunità come incapacità a gestire l’emergenza. Oltre ciò, una corretta informazione crea un ulteriore determinante elemento: quello della condivisione della strategia di risposta alle situazioni di crisi. La condivisione delle azioni favorisce il successo delle stesse sia per chi le adotta ed è chiamato a porre in essere azioni operative, sia per i cittadini che si sentono, in tal modo, partecipi delle politiche della sicurezza.
Lucio Caracciolo
In generale, specie di fronte a minacce o attentati terroristici, la questione centrale è canalizzare la paura e produrre un effetto di rassicurazione. In casi estremi, questo può implicare anche reazioni immediate o quasi (vedi invasione dell’Afghanistan dopo l’11 Settembre), per dimostrare che le Istituzioni ci sono.
Gianni Cipriani
Intanto, cambia da situazione a situazione. Un terremoto? Una epidemia? Un attentato? Io penso che, in questo caso, le Istituzioni dovrebbero prevedere una comunicazione unificata, rapida, completa, autorevole e trasparente. Che sia soddisfacente per l’opinione pubblica e per chi, come i giornalisti, deve poi coglierne gli aspetti più significativi e tradurli in notizie e analisi.


D. Morcellini ha più volte richiamato l’attenzione sull’eccesso di cronaca nera nei media italiani. Questo porta ad una forte attenzione al problema della sicurezza urbana, molto concentrata sulla dimensione locale anche quando si parla di fatti in cui sono coinvolti attori internazionali. Perché oggi non vi è un equilibrio nella proposta di notizie, tra questioni locali, internazionali e altro? Perché un singolo fatto di cronaca spesso riesce a orientare l’opinione pubblica, mentre le strategie legate alla sicurezza vengono percepite come distanti?

Mario Morcellini
Le documentazioni di ricerca di cui dispongono gli studiosi rilevano come la cronaca nera stia cambiando, non solo in termini quantitativi, visto l’impressionante aumento del “genere” nell’offerta informativa di stampa e telegiornali ma, soprattutto, in termini qualitativi. La tendenza è quella di raccontare il crimine come “eccezionalità priva di causa”, come ho sostenuto tra l’altro in un articolo recentemente pubblicato su “Psicologia Contemporanea” (2) . C’è una tendenza, da parte dell’informazione, a tipizzare il fatto criminoso come manifestazione di una devianza individuale indipendente dal contesto esterno, come se la violenza galleggiasse in una sorta di vuoto sociale. Questa contraddittoria tendenza si coglie attraverso alcuni indicatori: per esempio, inizia ad essere rilevabile una diminuita capacità dei media di leggere la criminalità come fenomeno complesso: curiosamente, nonostante il grande successo del libro di Roberto Saviano, e fatte salve le numerose eccezioni, sembra diminuire l’attenzione complessiva del giornalismo nei confronti della camorra e, più in generale, della criminalità organizzata. Ci si concentra, più che in passato, su casi singoli, più difficili da leggere come epifenomeni di un disagio sociale più ampio. E quando il racconto fa riferimento alle complesse influenze dell’ambiente, tende ad utilizzare etichette ad alto tasso di stereotipizzazione, che accreditano pericolosi luoghi comuni che hanno a che vedere, ad esempio, con la nazionalità dell’aggressore o della vittima, piuttosto che alla sua origine etnica. L’altra strada per spiegare il crimine è quella della fuga nella retorica della “crisi dei valori”, un concetto sempre più sbiadito, che viene spesso utilizzato per generici sociologismi. Una spiegazione pericolosa perché fintamente omnicomprensiva, simile per certi versi a quella di certi medici che tendono ad attribuire qualsiasi disturbo alla causa per eccellenza, cioè lo stress. L’Università in questo senso, non può sottrarsi al suo ruolo, che è anche quello di animare il dibattito culturale su temi così rilevanti, di opporre la sua “facoltà di critica” attraverso lo studio e la ricerca
Maurizio Masciopinto
resentano l’insieme dei cittadini e quindi, come detto più volte, l’allarme di una piccola comunità diventa prima l’allarme della cittadinanza e poi della società. Ma questa caratterizzazione tipica della nostra carta stampata può influenzare i fruitori della sicurezza, ma fortunatamente non determina affatto in questo momento le politiche della sicurezza. Il Capo della Polizia Prefetto Manganelli, pur riuscendo a non tralasciare mai nessuna problematica, sta dando sempre più una impostazione sovranazionale alle strategie della sicurezza. In tutte le sue iniziative traspare la conoscenza che nessuno dei fenomeni criminali ormai si ferma alle frontiere fisiche di ciascun Paese. Lui che, come detto, intuì subito quanto le nuove tecnologie potevano influenzare le attività di polizia ha, altresì, percepito in anticipo il valore aggiunto dell’esigenza del collegamento strategico con le altre Forze di polizia. Il rapporto diretto tra donne ed uomini che condividono un lavoro comune è l’unico strumento in grado di far superare le difficili barriere determinate dalle differenze legislative e procedurali tra nazioni diverse. L’informazione che si accompagna a questa attività certosina, pur non occupando sempre le prime pagine cammina comunque come un utile “tam-tam” che contribuisce ad accrescere la fiducia reciproca tra le polizie straniere e quella italiana.
Gianni Cipriani
Concordo totalmente con il professor Morcellini. La questione riguarda aspetti generali che ho trattato prima: c’è una tendenza a leggere una situazione generale nell’ottica degli eventuali e possibili ricaschi sul piano personale. Ma, anche in questo caso, l’immagine prevale sulla sostanza. Le morti sul lavoro non provocano allarme sociale. Gli scippi e le violenze sessuali sì. Quando un operaio muore in un cantiere, difficilmente si pensa che possa toccare allo stesso modo ad uno di noi o a noi vicino. Quando c’è uno stupro tutti pensiamo alle nostri mogli, fidanzate, figlie, nipoti. Sono meccanismi ampiamente studiati in psicologia sociale e che non riguardano solo l’Italia, la società e la stampa italiana. Il fatto di cronaca, soprattutto quando suscita questo tipo di immedesimazione, evoca una immagine elementare ed immediata ed è, per questo, percepito. Una strategia non evoca immagini, né tantomeno può essere percepita in maniera immediata. E questo – nell’ambito della comunicazione di massa – rappresenta un ostacolo.


D. Non si dovrebbe allora porre maggiore attenzione oltre che alla gestione dei flussi comunicativi – target, codici e altro – anche sulla “alfabetizzazione” della popolazione sui media vecchi e nuovi, perché l’opinione pubblica sia più consapevole?

Gianni Cipriani
Sicuramente si dovrebbe. Ma la vera domanda è: si può? Se guardiamo alle televisioni e ai programmi di insulti, pernacchie e storie inventate che fanno ascolti in maniera direttamente proporzionale alla bassa qualità, possiamo pensare a quale opinione pubblica ci si rivolge? Talora temo che l’allarme del professor Sartori sull’homo videns – ossia di un’opinione pubblica capace di ragionare solo per immagini e priva di capacità di astrazione – sia stato largamente sottovalutato. Pensiamo poi alle difficoltà dell’editoria di garantire prodotti qualificati, ai bassi indici di lettura, alle difficoltà della scuola, dell’università. E allora sono io che domando e mi domando: opinione pubblica più consapevole sì. Ma come?
Lucio Caracciolo
Per far sentire il cittadino protagonista, occorre ascoltarlo. È quanto finora le nostre Istituzioni stentano a fare, anche per colpa dei cittadini, ormai disillusi e, quindi, refrattari al dialogo. È un problema di pedagogia nazionale, che va affrontato fin dalla scuola e sviluppato negli anni della formazione.
Maurizio Masciopinto
Ormai la popolazione è divisa in due grandi fasce: i nativi e gli immigrati della Rete Internet. I nativi sono le generazioni attuali che non hanno ancora superato i venti anni: la loro vita, dalla prima infanzia, è stata pervasa dai sistemi informatici, dal videogioco all’Ipod; tutti gli altri si stanno adattando chi con maggiore e chi con minore difficoltà. Quindi la comunicazione va orientata a seconda delle capacità di chi si vuole raggiungere. Dal 9 maggio scorso la Polizia di Stato è presente sui social network come Facebook e dispone di un proprio canale su YOUTUBE ma non tralascia l’informazione stampa. Anzi. Quest’anno in occasione delle celebrazioni del 157° anniversario della Fondazione della Polizia, il Prefetto Antonio Manganelli ha deciso di puntare proprio sulla rivista Poliziamoderna per documentare i risultati delle attività delle tante componenti della Polizia di Stato, relativi al 2008. La brochure che tradizionalmente riportava ogni anno il compendio dei dati è diventata così l’apertura del mensile, arricchita da quadri statistici e servizi fotografici. Quindi si guarda al futuro ma non si tralasciano assolutamente modelli di comunicazione tradizionali, ma non per questo meno efficaci.
Mario Morcellini
La risposta non può che essere positiva. Personalmente ritengo che i segnali più incoraggianti vengano oggi dai giovani e dalle loro capacità di prefigurare il mutamento sociale, anticipando di cinque o dieci anni le tendenze di produzione e consumo di contenuti mediali di una popolazione. E c’è un capitolo importantissimo aperto dalla “media education”, una disciplina a cavallo tra la pedagogia e la comunicazione che punta a formare individui sempre più consapevoli e capaci di gestire i codici e i linguaggi della comunicazione.


D. Il tema che abbiamo discusso, “comunicazione e sicurezza” ci riporta sempre alla dimensione di “immanenza” delle questioni di sicurezza che incidono sul modo in cui queste vengono comunicate dai vari attori. Tuttavia, negli studi sui conflitti molta attenzione viene posta oggi alla prevenzione, non solo alla risoluzione dei conflitti. Si può allora immaginare una forma di “comunicazione preventiva”, che proponga costantemente ai cittadini chiavi interpretative cui essi possano ricorrere quando si verificano fatti eclatanti, evitando così la tensione…

Gianni Cipriani
La comunicazione preventiva è una sfaccettatura della comunicazione orientante di cui parlavo prima. Varrebbe la pena investirci e studiare adeguate strategie comunicative. Ma andando alla sostanza e sapendo passare dalle teorie generali alle applicazioni pratiche. Giorno per giorno e caso per caso.
Maurizio Masciopinto
La comunicazione istituzionale è stata storicamente protesa, in tema di sicurezza, a raccontare i successi e i risultati, nonché a illustrare i propri modelli organizzativi per dimostrare l’adeguatezza degli stessi ai fenomeni ordinari ed emergenziali. La tensione oggi si allenta, invece, con una comunicazione costante ed informativa ma, soprattutto, bidirezionale. Una grande innovazione voluta dal Capo della Polizia quest’anno nelle celebrazioni del 157° anniversario a Piazza del Popolo è la riduzione degli spazi riservati all’esposizione e mostra delle strutture della Polizia di Stato, in cambio della creazione di uno spazio di ascolto, cioè una piccola piazza dove sulle tematiche della sicurezza i cittadini sono stati chiamati a raccontare le proprie problematiche, le proprie ansie e timori. Hanno avuto l’occasione di illustrare i propri dubbi e si sono allontanati con un bagaglio di conoscenze che li aiuterà nelle piccole difficoltà quotidiane. Sicuramente i nuovi modelli del futuro che si realizzeranno in tema di sicurezza dovranno tenere conto del vissuto comunicatoci dai cittadini ed, in particolare, dei loro futuri bisogni ed aspettative.
Mario Morcellini
È una prospettiva possibile, praticabile e sperimentata. Basti pensare alla storia recente del Sudafrica, che anche grazie ad una particolare attenzione alla comunicazione e al corretto funzionamento dei media è riuscita più facilmente a lasciarsi dietro le spalle un passato fatto di violenza e oppressione, superando la vergogna dell’apartheid, le violenze tra neri e bianchi e i conflitti etnici che tuttora scuotono questa giovane ma robusta democrazia. Ma è una prospettiva interessante anche quando riguarda gli stili della comunicazione interpersonale, che aiutano a migliorare il clima delle relazioni affettive, familiari e lavorative. Scegliere di lavorare sulla comunicazione equivale, in questo senso, a compiere un investimento sul benessere individuale e collettivo.


(1) S. Rolando, Media, Istituzioni e cittadini. Sulla sicurezza l’informazione è un’arma a doppio taglio, in: Comunicazione Pubblica, n. 34, 2007, pp. 5-9.
(2) M. Morcellini, Il nero della cronaca nera. Il crimine efferato nella lente dei media, in: Psicologia contemporanea, n. 212, marzo-aprile 2009, pp. 20-27.

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