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GNOSIS 2/2009
LA CULTURA

'STUDI' DI INTELLIGENCE

'Equipaggiando le barricate'


di Nicola Pedde

 
La cultura dell’Intelligence è lo strumento attraverso il quale comprendere il ruolo e l’operato dei moderni Servizi di informazione e sicurezza. Strumento dato dall’approfondimento degli studi e delle analisi dei principali think tank, centri di ricerca, Università italiane e straniere.
Questa Rubrica intende, quindi, selezionare e presentare periodicamente i più significativi studi sulle tematiche relative alle strutture di Intelligence, o a queste direttamente connesse, agevolando la comprensione della storia, delle metodologie e delle funzioni delle più moderne strutture di settore.
Un contributo per sfatare i tanti miti e luoghi comuni che da sempre accompagnano l’immagine dei Servizi segreti di tutto il mondo e per acquisirne, al contrario, consapevolezza del ruolo e dell’operato.


aprile - giugno
Manning the barricades
Economist Intelligence Unit, 34 pagine
What Happened to Al Qaeda?
Bitterlemons International, Edition 21, Volume 7, http://www.bitterlemons-international.org/ previous.php?opt=1&id=275.
Uno dei migliori prodotti internazionali di informazione, creato e gestito da un accademico israeliano ed uno palestinese, offre settimanalmente un approfondimento sui principali temi della sicurezza e della politica internazionale. Il numero è dedicato interamente all’apparente crisi di Al Qaeda ed alle sue strategie per la rivitalizzazione della lotta.
Insight into the future of Iran as a regional power
Canadian Security Intelligence Service - Worlkd Watch: Expert Notes Series. Un interessante studio prodotto dall’Intelligence canadese in collaborazione con un gruppo di esperti delle principali università del Paese. Una valutazione complessiva sul ruolo dell’Iran come potenza regionale emergente ed, al tempo stesso, uno sguardo all’evoluzione della politica interna della Repubblica Islamica.
Towards a New Approach of the Economic Intelligence Process: Basic Concepts, Analysis Methods and Informational Tools
Sorin Briciu, Marinela Vrincianu e Florin Mihai - Pubblicato in “Theorethical and Applied Economics”, Vol. 04(533), pp. 21-34. Una ricerca condotta da tre accademici romeni sull’evoluzione della Economic Intelligence e sulla gestione dell’informazione per il vantaggio competitivo. Lo studio approfondisce, in modo particolare, la gestione dell’overflow informativo attraverso la gestione avanzata dei filtri in accordo con i più avanzati modelli di analisi.



Manning the barricades

Who’s at risk as deepening economic distress foments social unrest. Economist Intelligence Unit, March 2009, pagg. 34*

L'Economist intelligence Unit è uno tra i maggiori Enti al mondo specializzati nella ricerca e nell’analisi dei trend economici e politici.
Espressione del celebre settimanale The Economist, l’EIU dispone di oltre 40 uffici nel mondo e di un network di analisti e collaboratori esterni provenienti da Istituzioni governative, economiche e della sicurezza.

* Il volume è scaricabile gratuitamente dal sito dell’Economist Intelligence Unit
alla pagina http://graphis.eiu.com/specialReport/ manning_the_barricades.pdf


‘EQUIPAGGIANDO LE BARRICATE’


Letteralmente potremmo tradurre il titolo di questo documento come “equipaggiando le barricate”, dando immediatamente il senso della gravità del tema trattato. A trattare un argomento così attuale e delicato è, in questa occasione, l’Economist Intelligence Unit, senza alcun dubbio una tra le più importanti e rinomate strutture di Analisi al mondo, famosa per i suoi studi sulla sicurezza, sulla politica e, soprattutto, sull’economia.
Il documento, come sempre in modo molto diretto e puntuale nello stile dell’EIU, parte dalla constatazione di come l’economia mondiale sia interessata da una crisi epocale – unica per dimensioni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – dettata dal crollo della domanda negli USA ed in Europa e dalla contestuale contrazione della produzione nei principali mercati emergenti. Quella che era iniziata come una bolla speculativa immobiliare negli USA, quindi, secondo l’EIU si è ben presto palesata nella sua esatta misura in meno di due anni a livello globale, dimostrando l’insostenibilità di un modello economico senza regole e senza morale.
Questo studio è il terzo di una serie iniziata nel 2007. La prima parte aveva trattato le implicazioni della crisi del credito determinatasi e dell’imminente meltdown finanziario dell’economia globale. La seconda aveva, invece, considerato gli effetti economici su larga scala, prevedendo il rischio di una crisi per gli Stati Uniti simile a quella del Giappone negli anni Novanta. Questa terza parte, invece, si concentra sugli effetti politici della crisi e sulle potenziali ricadute in ambito di sicurezza e stabilità.
Secondo il rapporto dell’EIU, le ricadute in termini di stabilità e sicurezza, generate dal progredire della crisi, potrebbero pareggiare o, addirittura, superare la rilevanza del rischio terrorismo in gran parte del mondo occidentale. La crisi potrebbe addirittura minare alla base la solidità dell’Unione Europea, soprattutto provocando un graduale impoverimento delle regioni ad Est e, di fatto, determinando la creazione di una barriera naturale paragonabile ad una nuova cortina di ferro.
Ma è dal sud est asiatico, in generale, che potrebbero provenire le principali preoccupazioni in tema di sicurezza e stabilità. Milioni di lavoratori, già oggi interessati da salari e condizioni di vita precarie, potrebbero essere in breve tempo disoccupati e con scarse possibilità di reperire alimenti e generi di consumo essenziali. In tal modo una delle aree più popolose al mondo potrebbe trasformarsi nel focolaio della più intensa instabilità mondiale, con effetti nemmeno immaginabili a livello globale.
Altrettanto preoccupante, secondo l’EIU, è la modalità di gestione della crisi da parte dei Paesi occidentali, pericolosamente interessati più all’innalzamento di barriere che non alla ricerca di soluzioni innovative sul piano globale. Con il rischio di rendere la crisi ben più grave, intensa e duratura di quanto già non sia e sarà. Uno dei trend in atto presi in considerazione dall’EIU è, ad esempio, quello relativo alla pressione dei Governi affinché i fondi di salvataggio nazionali si concentrino sulla dimensione locale dei problemi, dando priorità al credito nazionale e penalizzando la dimensione globale. In tal modo amplificando le dinamiche di crisi in modo esponenziale.
Il rapporto illustra, poi, tre ipotesi di scenario per il futuro, essenzialmente basate su altrettanti scenari macroeconomici e valutate percentualmente.
Il primo scenario, con il 60% delle possibilità di avverarsi secondo l’EIU, prevede che i Governi dei principali Paesi industrializzati riescano a coordinare una strategia di contenimento della crisi efficace e strutturata, dando stimolo ed impulso all’economia e generandone una ripresa sensibile a partire dal 2010. Il sistema che risorgerà dalle ceneri di questa crisi sarà, comunque, del tutto differente rispetto al passato e sarà caratterizzato da volumi e trend nettamente inferiori a quelli cui la speculazione ci aveva abituato.
Il secondo scenario, con il 30% delle possibilità di avverarsi secondo l’EIU, prende, invece, in considerazione l’ipotesi del fallimento degli sforzi dei Governi per ridare stimolo all’economia, con una conseguente crescita della deflazione ed una sostenuta contrazione delle principali economie mondiali. Questo scenario, se si determinerà, porterà ad una depressione che si protrarrà per alcuni anni e sarà caratterizzato dal periodico emergere di fenomeni di crescita apparente che – percepiti erroneamente come segni di ripresa – avranno solo il potere di peggiorare le dinamiche complessive.
In questo contesto il ruolo principale dei Governi sarà quello di sostenere le banche e rivitalizzare la richiesta locale attraverso sostegni alla domanda e pressioni politiche per un sempre maggiore protezionismo. Questo trend porterà progressivamente ad una completa e durevole cancellazione dei principi di globalizzazione, trasformando in modo imprevedibile i parametri dello sviluppo a livello locale e regionale.
Il terzo ed ultimo scenario, con il 10% delle possibilità di avverarsi secondo l’EIU, prevede il collasso del sistema del dollaro successivamente alla definitiva perdita di fiducia sulla valuta americana. La ricerca di una nuova valuta di riferimento, in questo caso, fallirebbe e la crisi produrrebbe, in tal modo, condizioni di grave instabilità in oltre 200 Paesi del mondo. In questo caso il rischio di gravi instabilità politiche e militari diviene una variabile concreta e si moltiplicherebbero, esponenzialmente, le conflittualità locali, i disordini e le sollevazioni popolari con l’intento di risolvere i problemi economici attraverso processi di cambiamento politico imposti in modo violento.
Su questi scenari il report dell’EIU formula, poi, ulteriori approfondimenti, indagando a fondo su ogni possibile sviluppo e cercando di immaginare gli effetti, sui mercati e sulle società, di un prolungamento della crisi in chiave critica.
E su questo approfondimento viene sviluppato, sia quantitativamente che visivamente, uno degli elementi più interessanti del rapporto: l’indice politico di instabilità. Questo indice definisce le sollevazioni o le instabilità sociali e politiche come eventi o sviluppi che pongono i Governi di fronte a rischi di natura extra-parlamentare od extra-istituzionale ed, in tal modo, mappa il pianeta attraverso cinque diverse gradazioni di rischio. Appare subito evidente, da una rapida scorsa alla mappa del rischio, come la crisi potrebbe avere effetti devastanti in larga parte del pianeta e, soprattutto, in Africa, Sud America, Europa dell’Est, Asia Centrale e Sud Est Asiatico, interessando contemporaneamente tutti i centri più significativi della produzione mondiale.
Il rapporto si conclude, poi, individuando i rischi “oltre la linea dell’orizzonte”, ovvero tutti quegli effetti secondari che della crisi potrebbero essere il naturale sviluppo. In particolar modo, secondo l’EIU, i rischi connessi alla stabilità degli Stati e dei Governi e quelli relativi all’impatto sulle politiche economiche potrebbero condurre, nel breve e nel medio periodo, ad un incremento dell’instabilità regionale in Europa ed in altre aree a questa prossime, con il rischio di conflitti anche su larga scala.



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