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GNOSIS 2/2009
Alcuni elementi per un'analisi storica

Attualità della NATO a 60 anni dalla nascita


Maria Gabriella PASQUALINI


(Foto Ansa)
 
La fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica con annesso Patto di Varsavia, sembravano aver decretato l’estinzione della North Atlantic Treaty Organization, comunemente conosciuta come alleanza della NATO.
Gli avvenimenti successivi hanno dimostrato non soltanto che la NATO è un’organizzazione vitale, ma che svolge un ruolo di primo piano in un mondo globalizzato, nel quale cresce la richiesta di sicurezza in presenza di conflitti in aree difficilmente controllabili. Un banco di prova fondamentale per il futuro è rappresentato dalla presenza in Afghanistan, che segue l’intervento in Kosovo e altre operazioni di stabilizzazione. Come si evince dall’analisi della professoressa Pasqualini, le prospettive tendono ad allargarsi e il reingresso della Francia nell’Organizzazione ne è un segnale.


In occasione della ricorrenza della firma del Patto Atlantico, 4 aprile 2009, e costituzione della NATO, riviste specializzate e numerosi studiosi di relazioni internazionali in particolare (1) hanno voluto fare alcune riflessioni su un anniversario importante: soprattutto hanno cercato di individuare, con approfondite analisi, quali dovranno o potranno essere le trasformazioni che questa importante organizzazione di difesa affronterà per continuare ad esplicare quel ruolo strategico di grande valenza, ormai non solo a livello atlantico-europeo, che ha avuto fino ad anni recenti e su quali operazioni si potrebbe giocare la credibilità dell’Organizzazione.
Non è certo facile vedere quale sarà la via o le vie future dell’Alleanza Atlantica. I tempi delle decisioni difficili sono ormai imminenti ma, se si guarda al passato, si può ragionevolmente essere ottimisti, considerando la flessibilità altamente pragmatica che il Patto (e coloro che lo implementano) ha dimostrato di saper raggiungere soprattutto da quando, almeno per un periodo di tempo, il mondo ha avuto una relativamente breve vicenda monopolare e non più bipolare.
È interessante anche comprendere le ragioni storiche, o meglio, le lessons learned di tanta vitalità per un Patto firmato sessanta anni or sono, in condizioni mondiali molto particolari: una firma apposta pochi anni dopo un conflitto che aveva lasciato tutte le nazioni belligeranti, vincitrici o vinte, in difficili condizioni economiche, sociali e morali.
Paradossalmente, la guerra e la ricostruzione, che essa comporta, agiscono sempre come volano – difficile da avviare, ma pericoloso, una volta avviato – di una situazione economica che in alcuni casi, cambia radicalmente alcune situazioni, a livello strategico-regionale; si possono creare nuove alleanze, così come lo furono quelle ricercate e attuate alla fine del secondo conflitto mondiale e concretatesi in un patto di difesa che unisse attraverso l’Atlantico, USA e Canada con alcuni Stati di una Europa, appena o quasi, uscita dal conflitto.
Furono 12 le entità statuali all’origine dell’accordo nel 1949 (2) : sono 28 nel 2009 a sessanta anni di distanza, con l’applicazione di quella che, comunemente, viene chiamata la politica della open door, cioè dell’allargamento, su invito della stessa Alleanza, a quei possibili partners che accettano i principi dichiarati nel preambolo e presentano una preparazione professionale tale da garantire una performance accettabile nel mantenimento della sicurezza e stabilità mondiale, quando necessario.
Difficile stabilire quali siano state le ragioni della lunga sopravvivenza di un Patto politico-militare ma, indubbiamente, la politica dell’open door che ha saputo adattarsi alle varie fasi storiche del post-guerra, del bipolarismo, dell’implosione dell’URSS, è stata uno dei fattori determinanti: una pragmatica visione dello svolgersi degli avvenimenti storici che rispondeva in pieno a criteri di analisi geo-strategica di grande lucidità.
Vi è anche da sottolineare che al summit di Washington, nel 1999 fu decisa l’attuazione di un Membership Action Plan (MAP), un percorso pluriennale indirizzato a dare sostegno agli Stati che si preparavano (e si preparano (3) ) ad entrare nell’Alleanza, soprattutto per quanto riguarda i parametri della democrazia applicata e la modernizzazione degli strumenti di difesa, per allinearli agli standard operativi NATO.
Quindi, al momento della possibilità di allargamento a Stati balcanici e baltici, che avevano avuto esperienze storiche così diverse in un passato recente, fu previsto un aiuto pragmatico per meglio preparare gli eventuali futuri membri, cercando di ottenerne anche un consenso a largo spettro: la partecipazione al Piano di uno Stato lascia, comunque, libera la NATO di deciderne e ritardarne l’ingresso.
Per rivedere le prime importanti tappe dell’allargamento, bisogna ricordare che solo tre anni dopo la firma del Patto, nel 1952 entravano nell’Alleanza la Turchia e la Grecia.
Per quest’ultima, bisognava fare in modo che Atene, alla fine di una guerra civile, restasse nel novero delle democrazie occidentali, evitandone l’assorbimento da parte del mondo comunista, costituendo un baluardo resistente a quella spinta dinamica geopolitica di espansione verso il Mediterraneo, che era stata anche una costante dell’impero zarista, ben prima dell’avvento dell’ideologia marxista al potere.
La laica Repubblica di Turchia era poi un nodo di notevole importanza, essendo una cerniera strategica tra l’Occidente e il Levante (di ottocentesca memoria) e padrona, dal 1936 (4) , degli Stretti: i convogli militari dovevano avere il suo consenso per transitarvi e, quindi, la flotta sovietica, sempre tesa al passaggio verso i ‘mari caldi’, doveva fare i conti con Ankara, per avere via libera sull’unica via possibile di accesso al Mediterraneo dal Mar Nero.
La Turchia, in seguito, si rivelerà molto importante proprio per questa sua posizione geopolitica, essendo prossima a una regione che ha presentato e presenta tuttora quei forti problemi di instabilità che mettono in pericolo la stabilità e la sicurezza mondiale.
La Turchia, erede dell’impero ottomano, ha da sempre avuto una doppia ‘identità’, europea e asiatica e, quindi, nel settore della difesa collettiva si è rivelata un importante asset per la NATO, ancor di più quando questa è andata oltre i propri originali limiti geografici di intervento.
Nel 1955, superando dopo meno di un decennio dalla fine del conflitto, i termini assai duri imposti dai trattati di pace, la Germania occidentale entrava a far parte dell’Alleanza: non vi sarebbe potuto essere un efficace sistema difensivo se il centro geografico dell’Europa non vi avesse fatto parte. Ecco una prova di lungimiranza delle parti contraenti il Patto: nonostante una storia recentissima di desolazioni, di crimini di guerra, di distruzioni che le forze armate naziste avevano portato in tutta Europa, la nuova Germania democratica entrava da alleato nella NATO.
Nel 1990, eliminato l’anno precedente il Muro di Berlino, con l’ideologia che quei mattoni rappresentavano, una Germania riunificata era parte integra e integrante di un’Alleanza che dopo pochi anni avrebbe intrapreso l’interessante cammino di un ulteriore intelligente allargamento, a garanzia di una necessaria e auspicata sopravvivenza.
La Spagna, altra importante cerniera del sistema, avviata verso un processo di democratizzazione profonda dopo la morte di Franco nel 1975, entrava nel 1982, ‘chiudendo’ così il Mediterraneo nel quadro di difesa collettiva: Gibilterra e gli Stretti erano assicurati all’Alleanza.
Gli anni ‘Novanta’ cambiarono definitivamente l’assetto politico-militare di una vasta regione strategica: l’URSS si dissolse così come il Patto di Varsavia; la ‘Guerra Fredda’ era scomparsa e la NATO avrebbe forse potuto ritenere terminato il suo ruolo.
Anche la Jugoslavia iniziava il suo percorso di dissoluzione che avrebbe portato ad una nuova ridefinizione degli assetti dell’Europa balcanica: le decisioni territoriali che erano state prese dopo la Prima guerra mondiale e mantenute in larga parte dopo la Seconda, erano state messe in discussione e vecchi problemi di etnie e confini si riaccesero.
Nel 1995 fu avviata la prima vera discussione sull’allargamento della Nato a questi ed altri Stati che potessero e volessero allinearsi, prima di tutto, con i valori espressi nel preambolo del Trattato, che avessero convertito il loro sistema politico in modo democratico e che, soprattutto, considerassero non la loro sicurezza personale nel divenire membri, ma la sicurezza in toto della regione strategica ‘allargata’, costruendo anche lo strumento del MPA, sopra ricordato, come elemento sicuramente utile nel preservare l’Alleanza, favorendone un suo adattamento rapido alle mutate condizioni internazionali.
La NATO, oltre agli efficaci precedenti interventi armati nel quadro balcanico (interventi in area) tuttora attivi, decise di sostenere e, quindi, collaborare con alcuni dei Paesi prima appartenenti al Patto di Varsavia: Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia furono invitati a unirsi all’Alleanza nel 1997 – e in effetti ne divennero membri nel 1999 –: Stati che avevano sempre fatto parte integrante dell’Europa per cultura e tradizioni nei secoli passati e che, alla fine del secondo conflitto mondiale, rimasti nell’area d’influenza sovietica, avevano visto brutalmente troncato il loro legame con le democrazie occidentali.
Nel 2004 entravano Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania: altri pezzi di un difficile nuovo ‘gioco’ strategico, che dovrebbe anche accogliere Stati di emergente importanza nell’area caucasica.
Nel 2008 iniziavano le procedure che si sono concretizzate lo scorso aprile 2009 con l’ingresso di Croazia e Albania, rimandando il possibile ingresso della FYROM ad un accordo politico con la Grecia che contesta la denominazione ufficiale di quello Stato, rivendicando il nome di Macedonia per territori greci.
Quasi tutta l’Europa balcanica, ex Patto di Varsavia, dunque è divenuta parte integrante dell’Alleanza: dovranno poi entrare nel futuro anche Montenegro e Bosnia-Herzegovina, per garantire la stabilità della regione balcanica, per ora assicurata proprio da truppe NATO. Sicuramente è ancora troppo presto per parlare della Serbia, ma non si potrà a lungo escluderla dal consesso NATO. Il problema del Kosovo indipendente non favorisce il dialogo e costituisce un vulnus notevole anche nei rapporti NATO-Russia, sempre più delicati.
Nel 2008 furono iniziati anche incontri con la Georgia e l’Ucraina: il loro accesso all’Alleanza, però, non è ovviamente gradito a Mosca, soprattutto per quanto riguarda la prima, per i noti avvenimenti della guerra russo-georgiana.
Dunque, ed è stato ripetuto più volte dagli analisti politici, uno dei primi problemi gravi e urgenti da risolvere è il rapporto NATO-Russia e, cioè, USA-Russia, non potendo ignorare che, almeno per ora, gli Stati Uniti sono il partner più potente sotto vari aspetti.
La precedente rapida sintesi, che meriterebbe maggiore approfondimento sulla base di documenti diplomatico-militari, conferma la flessibilità che la NATO ha potuto dimostrare, appunto adattandosi al momento storico-strategico contingente e che ne ha decretato, per larga parte, la sua sopravvivenza: non senza problemi e rischi.
Il rientro della Francia – che ha sempre partecipato, peraltro, con suoi contingenti alle missioni in Bosnia, Kosovo, Afghanistan – nella struttura militare integrata (5) , è un segno importante della rinnovata fiducia nell’importanza della ‘difesa collettiva’ che questa volta esce dai limiti geografici stabiliti all’origine, l’Atlantico, per rivolgersi anche verso Paesi del Medio Oriente che, pur non essendo rivieraschi del Mediterraneo, hanno comunque notevole influenza su questo mare: Iraq e Afghanistan.
Si continua a concretare la ricerca di una stabilità dell’area atlantica-europeo-mediterranea allargata che ricorda, ancora una volta, quella sicurezza nel Mediterraneo da sempre peraltro voluta, nel passato, dalle potenze europee che, con il loro ‘concerto’, permettevano missioni interforze ante litteram (6) .
Dunque l’allargamento ha comportato e comporta allo stato attuale una responsabilità che si esercita prevalentemente fuori area (7) , non solo nel Medio Oriente e prime propaggini di Asia Centrale, ma ora anche in mari certamente lontani dall’Atlantico come, ad esempio, la lotta alla pirateria al largo del Corno d’Africa con la Operation Allied Protector, non ancora molto conosciuta, ma operativa, che ha già avuto alcuni successi interessanti (8) .
È impossibile in queste brevi pagine fare poi un’ampia disamina di quello che è stato l’ammodernamento di sistemi d’arma e di standard operativi, che hanno reso anche in questo settore lo strumento NATO molto flessibile e adattabile alle varie situazioni di intervento e cioè, tra l’altro, la creazione di Forze di Reazione Rapida: dal primo Allied Command Europe Mobile Force (AMF) del 1960 alla NATO Response Force (NRF) di questi tempi, è stata fornita, in varie occasioni di pericolo per una regione strategica, una risposta rapida come deterrenza, oltre che come difesa, atta anche a rassicurare il contesto internazionale.
È in questa rapidità di pianificazione e proiezione (che deve assicurare anche il giusto amalgama tra le Forze multinazionali presenti), forse una delle sfide professionali più difficili, ma che garantisce a sua volta la sicura sopravvivenza dell’Alleanza: non bisogna dimenticare che il Patto ha una parte politica-diplomatica e un’altra militare senza la quale la diplomazia non potrebbe implementare gli scopi e gli obbiettivi del Patto stesso.
Secondo l’opinione di Charles Kapchan, delCouncil of Foreign Relations, e di molti altri studiosi, analisti e politologi, le sfide della NATO sono attualmente la situazione in Afghanistan, i rapporti con la Russia e l’obbiettivo delle sue globali ambizioni.
Da varie parti anche si commenta che Kabul rappresenta un banco di prova importante, forse ora il più importante, per la stessa validità dell’Alleanza.
Effettivamente la politica militare da essa perseguita in Afghanistan è una delle più pragmatiche possibili con la costituzione e l’addestramento di polizia locale, di Forze armate locali con gruppi di ufficiali afgani addestrati in Crisis Response Group per meglio affrontare e combattere il terrorismo nel loro paese, attuale gravissima minaccia alla sicurezza internazionale, la cui distruzione è uno degli obbiettivi della stessa Alleanza atlantica, dentro e fuori quelli che sarebbero i suoi confini di intervento e che ora concretamente non esistono più.
Inoltre, sia per l’Iraq sia per l’Afghanistan, la NATO ha una serie di programmi, peraltro non tutti a carattere militare (ad esempio i Programmi di Ricostruzione con équipe specializzate miste civili-militari) che possano permettere a forze locali civili di sviluppare progetti, di migliorare l’economia, l’istruzione della popolazione, la sanità nazionale, affinché accanto agli sforzi militari per combattere il terrorismo, vi siano quelli di una normale società il cui unico prodotto non sia in larga misura l’oppio, come peraltro è sempre stato.
L’Afghanistan è un banco di prova particolarmente complesso e difficile, se si pensa alla sua storia, almeno degli ultimi due secoli: un territorio alternativamente invaso da qualche potenza straniera che, però, non è mai riuscita a occuparlo in modo duraturo, subendo dure sconfitte dai guerrieri-guerriglieri locali.
Il ruolo principale deciso dalla Nato (9) e implementato attraverso il mandato delle Nazioni Unite ISAF (International Security Assistance Force), è quello di assistere il governo di Kabul nell’esercizio e nella progressiva diffusione della sua autorità e influenza su tutto il Paese, per portare alla sconfitta del terrorismo locale e di importazione, con una ricostruzione concreta e valida dell’economia: forse l’unico modo possibile per vincere la sfida afgana.
Non si dovrebbe però mettere la posta della validità NATO tutta su questo territorio: la via tracciata è una delle migliori possibili, ma la storia induce solo ad un cauto ottimismo.
Seguire lo stesso percorso in Iraq è sicuramente quello più vicino alla soluzione del problema della stabilità irachena.
Guardando al futuro, vediamo che le sfide alla sicurezza internazionale sono molte e di quelle dovrà occuparsi anche la NATO, di propria iniziativa o su mandato delle Nazioni Unite.
Non dimentichiamo, peraltro, quanto scritto nel preambolo del Patto sottoscritto nel 1949:
Le parti in questo trattato riaffermano la loro fiducia negli scopi e nei principi della Carta delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e tutti i governi… e ribadito nell’Articolo 1: Le Parti si impegnano, come stabilito nella Carta delle Nazioni Unite, a risolvere ogni disputa internazionale, nella quale potrebbero essere coinvolti, con mezzi pacifici in modo da non mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la giustizia internazionali, e ad astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dalla minaccia o dall’uso della forza in alcun modo che sia incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite’.
L’Alleanza ha uno stretto legame con le Nazioni Unite, che si è ancor più rinsaldato recentemente, appunto, con l’assunzione di responsabilità militari e civili in e fuori area: guardando alla storia passata e alle vicende dell’ultimo decennio, pur non nascondendosi i gravi problemi e i rischi connessi, la NATO rappresenta uno degli strumenti migliori consegnato ai governanti attuali, per assicurare il mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionale.


(1) Interessante per contributi scientifici di qualità il seminario organizzato dal prof. De Leonardis, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, dell’omonima Facoltà dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in Milano, 1949-2009, sessantanni di Alleanza Atlantica tra continuità e trasformazione, 12-13 marzo 2009.
(2) Oltre a USA e Canada firmarono Francia, Islanda, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Gran Bretagna, Portogallo, Italia.
(3) Attualmente è parte del programma solo FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia).
(4) Convenzione di Montreux del 20 luglio 1936 che entrò in vigore il 9 novembre dello stesso anno.
(5) Ne era uscita nel 1966, sotto la presidenza De Gaulle.
(6) Una per tutte, la missione nell’isola di Creta, contesa fra Atene e Costantinopoli, alla fine del secolo XIX, nel 1896, quando scoppiarono violente sommosse che minacciavano di mettere in crisi la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo: le potenze europee non intendevano permettere alcun mutamento dello status quo, e intervennero con proprie truppe che per un certo periodo (fino al 1906 circa) furono attori e garanti della stabilità isolana, pensando anche alla costituzione di una Gendarmeria locale, che avrebbe dovuto in seguito sostituire operativamente i militari stranieri.
(7) Nel seminario di cui alla nota 1 ha trattato questo argomento, in particolare, Gianluca Pastori con una relazione in pubblicazione, avuta in manoscritto per la cortesia dell’autore.
(8) Per maggiori notizie in merito, cfr. sul web: http://www.natochannel.tv e ovviamente http://www.nato.int.
(9) La NATO ha preso il comando di ISAF nel 2003 ed ha espanso progressivamente la propria competenza, originariamente limitata alla capitale, su tutto il territorio afghano. I militari di ISAF erano all’inizio 5.000, raggiungendo in seguito il numero di circa 50.000, con truppe che provengono da 41 paesi, includendo i 26 membri NATO.

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