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GNOSIS 1/2009
LA CULTURA

RECENSIONI

Armi e 'ndrangheta: il ruolo dell'Intelligence


di Alain Charbonnier

 
 
Il commercio delle armi appartiene ad una particolare categoria che coniuga affari, politica, strategia e morale.
Da tempo l’Italia si è dotata di una legislazione che, con riferimento all’articolo 11 della Costituzione, implica un certo tipo di comportamento nei trasferimenti internazionali di beni e tecnologia militare. Carlo Mastelloni, magistrato, e Carmine Lopez, Generale della Guardia di Finanza, ne hanno fatto oggetto di uno studio approfondito, edito da Rubbettino, sottolineando il rilievo dell’azione di controllo e di intelligence per combattere le illegalità nel settore.
Controllo e intelligence che interessano una realtà del tutto diversa, ma di non minore interesse per le sue implicazioni nella vita e nell’economia, non soltanto della Calabria, ma di tutta l’Italia: la ‘ndrangheta. È l’argomento di una collettanea a cura di Mario Caligiuri, edita dall’Università della Calabria, articolata su quattro interventi che esaminano aspetti diversi e connessi della mafia calabrese.


Se, come scriveva Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, non c’è dubbio che il commercio delle armi e di materiali strategici, ovvero tecnologia militare, è un modo di esercitare il controllo su una o più nazioni, senza ricorrere all’uso diretto della forza.
Il commercio di armi, dalle armi leggere ai blindati, alle navi e aerei da guerra, ai radar di ricerca e scoperta, ai visori notturni e via di seguito, da un lato è sottoposto a rigidi regimi di autorizzazione da parte dei Governi degli Stati produttori, sulla base di leggi interne e internazionali (vedi gli embarghi dichiarati dall’ONU verso Paesi belligeranti), dall’altro tende a fuggire a ogni controllo, dato l’alto ritorno economico e politico dell’affare.
Ecco allora che il commercio legale si trasforma in traffico, in contrabbando. Una pratica che a volte si svolge con l’apparente rispetto delle norme, mentre in realtà le aggira: è il sistema delle cosiddette “triangolazioni”.
In termini chiari: l’industria produce un tipo di arma che un Paese chiede per le proprie Forze armate. Ma la fornitura non viene autorizzata perché il Paese richiedente è sottoposto a embargo internazionale, a causa dell’impiego che potrebbe farne, anche se il motivo della richiesta è formalmente “la difesa dei confini contro nemici esterni”.
A questo punto l’industria ha dinanzi a sè due strade: rinuncia alla fornitura, oppure ottiene il permesso di vendere le armi ad un Paese senza problemi, che poi le “girerà” a chi realmente le ha richieste. Tutto apparentemente legale, mentre in realtà è stato violato l’embargo.
Le scelte politiche, soprattutto all’epoca della “Guerra Fredda”, rendevano le “triangolazioni” pane quotidiano per dare supporto militare a quei Governi considerati “amici”, perché schierati nel campo occidentale e spesso oggetto di guerriglie fomentate dal blocco sovietico.
Venute meno le esigenze politico-diplomatiche connesse al confronto Est-Ovest, una nuova coscienza si è fatta spazio nei Paesi a tecnologia avanzata, principali fornitori di materiale per uso bellico, cosicché si è provveduto al varo di norme e disposizioni di carattere interno e internazionale. Insomma, i “mercanti di cannoni” di buona memoria si sono ritrovati, se non disoccupati, quantomeno con le mani meno libere.
L’Italia, in particolare, si è dotata di una legge, la 185 del 1990, che regolamenta le forniture belliche e le sottopone al rispetto del dettato costituzionale, incarnato dall’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

È l’argomento del lavoro di Carlo Mastelloni e Carmine Lopez: “La politica e le iniziative italiane di controllo dei trasferimenti internazionali di beni e di tecnologia militare”, 156 pagine, Rubbettino editore, giugno 2008.
Carlo Mastelloni, Magistrato, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Venezia e il Generale di Brigata della Guardia di Finanza, Carmine Lopez, hanno messo insieme esperienze diverse, maturate nel corso della professione, per spiegare con chiarezza l’estensione e i limiti delle norme che regolano il commercio di armamenti.
Premesso che la legge del 1990 è “un insieme organico di norme che regola la trasparenza e il controllo del commercio italiano in tema di armamento”, notano gli autori: “Si è stabilito, fin dal principio, che tutte le operazioni relative agli armamenti debbano essere soggette ad autorizzazioni e controlli da parte dello Stato obbligando banche ed imprese a fornire ogni anno un rapporto al Parlamento sulle operazioni con l’estero”.
La legge, poi, ha introdotto un’innovazione importante: la relazione annuale al Parlamento sulle operazioni già effettuate, ma anche su quelle autorizzate e non ancora svolte, in tema di importazione ed esportazione di armi italiane, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una norma che, di fatto, fa venire meno il segreto di Stato in materia.
Sottolineata a più riprese l’importanza dei controlli, Mastelloni e Lopez affrontano un capitolo non secondario: “L’esportazione di prodotti e tecnologie a duplice uso”.
Si tratta di prodotti e tecnologie che, sebbene destinati alla produzione civile, “possono essere parimenti utilizzati per la fabbricazione di sistemi d’arma: in quanto oggetto di commercio legittimo, le strutture terroristiche, ormai disseminate nell’intero pianeta, possono cercare di reperirli sul mercato per creare armi biologiche o bombe “sporche”, vale a dire non vere e proprie armi nucleari, ma bombe che una volta esplose possono sprigionare pericolose radiazioni”.
A differenza delle armi vere e proprie, è molto più difficile esercitare controlli sul commercio di prodotti a duplice uso, sottolineano gli autori, in quanto per il divieto legale sarebbe necessario dimostrare preliminarmente che l’utilizzazione finale del bene abbia carattere militare oppure che l’acquirente intenda riesportarlo verso destinazioni vietate.
Da qui il ruolo chiave dell’Intelligence nel seguire le tracciature dei prodotti in questione, oltre all’attenzione posta, a livello politico, in tema di controlli e autorizzazioni in materia.
È ormai dal 1991 con la Legge 410 che i Servizi di Sicurezza italiani, in modo particolare l’allora SISDe e oggi l’AISI, sono impegnati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, soprattutto di tipo mafioso che, per le sue strutture, per il ‘modus operandi’, per la capacità di coinvolgimento e di infiltrazione nelle Istituzioni, costituisce oggettivamente una minaccia all’ordine e alla sicurezza dello Stato.

AA.VV.“Intelligence e ‘ndrangheta – Uno strumento fondamentale per contrastare uno dei fenomeni più pericolosi del mondo”, a cura di Mario Caligiuri, Università della Calabria – Dipartimento di scienze dell’Educazione – Centro Dipartimentale di Documentazione Scientifica sull’Intelligence pagine 246, Cosenza 2009, è frutto di un assemblaggio mirato di interventi su quella che è considerata la struttura mafiosa di gran lunga più pericolosa, meglio organizzata e meno infiltrata e infiltrabile.
Il volume si apre con un intervento del professore Pino Arlacchi sul ruolo generale dell’Intelligence che deve spaziare a tutto campo nell’acquisizione e nella trasmissione delle informazioni, cosicché: “la ‘marcia in più’ della ricerca disinteressata, in grado di cogliere verità magari sgradevoli nell’immediato, ma suscettibili di tramutarsi in buone guide per il futuro, è indispensabile se si vuole garantire la sicurezza di tutti”.
Alla breve prefazione di Giuseppe Spadafora, segue l’introduzione di Mario Caligiuri che sottolinea: “Appare singolare che nei tre Atenei calabresi e negli innumerevoli poli universitari della regione, al momento non esista – o non se ne abbia dovuta cognizione – un insegnamento sistematico che affronti il problema dei problemi della società: la ‘ndrangheta. Tale fenomeno è una questione culturale e politica oltre a sovvertire l’ordine pubblico”.
Nonostante da anni sia considerata il referente privilegiato dei cartelli colombiani della cocaina, la ‘ndrangheta è venuta alla ribalta in modo prepotente dopo l’omicidio del vicepresidente della Regione Calabria, Francesco Fortugno e, soprattutto, dopo la strage di Ferragosto 2007 a Duisburg, in Germania, tanto da indurre l’FBI ad inserirla, finalmente, quasi un anno dopo, nella “black list” delle organizzazioni del narcotraffico.
Le quattro ricerche raccolte nella pubblicazione del Centro Studi, analizzano, con profili diversi, il tema dell’Intelligence confrontato con la ‘ndrangheta.
Così, mentre Valerio Giardina affronta in modo diretto il tema con il suo “Intelligence e ‘ndrangheta”, Ciro Niglio imposta il suo lavoro su “Genealogia e ‘ndrangheta”. Seguono Giuliano Ricca con “Pecunia olet” e Giuseppe Romano con “Sodali bianchi e ‘ndrangheta”.
L’approccio diciamo interdisciplinare al fenomeno ‘ndrangheta mette in risalto come gli accordi fra le ‘ndrine, le strutture territoriali di base della mafia calabrese e i vincoli parentali, siano alla base della pax mafiosa. Quando questa si rompe, iniziano le faide che si trascinano per anni e rischiano, come nel caso di Duisburg, di destabilizzare interi rami dell’organizzazione. Giardina ipotizza “strutture di compensazione” derivanti dall’attività di intelligence “coordinata e collegata alla comprensione della rapida evoluzione della criminalità in modo da poter agire tempestivamente e opportunamente”.
Diventa indispensabile, come puntualizza Ciro Niglio, “sapere dove cercare”.
Mercato borsistico, titoli azionari, investimenti in aziende italiane ed estere, costituiscono oggi il “sistema economico” della mafia calabrese, non meno destabilizzante del crimine dispiegato, come i delitti e i sequestri. Da qui la necessità, e ne parla Giuliano Ricca, di una struttura che utilizzi tecnici specializzati, capaci di riconoscere e ricostruire gli affari criminali, così da individuare i luoghi del lavaggio del denaro sporco e i proprietari di quel denaro.
Infine, la crescita e la penetrazione della criminalità organizzata calabrese nella Sanità, nella Pubblica Amministrazione, nel lavoro interinale, nella fornitura dei servizi e nella politica, è oggetto dello studio di Giuseppe Romano convinto che i “colletti bianchi” formino uno “dei veri sodalizi, con un forte legame di appartenenza che, di concerto con i locali della ‘ndrangheta, realizzano la gestione globalizzata del lavoro, dei flussi di denaro e del potere”.
Una collettanea sulla mafia calabrese di estremo interesse, traccia sicura non soltanto per ulteriori studi, ma anche come “memoria” per interventi diretti.



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