GNOSIS 1/2009
Legge 125/2008 Confisca di prevenzione Gli strumenti per prosciugare i patrimoni della criminalità |
Roberto ALFONSO |
La legislazione vigente in materia di confisca di patrimoni illeciti Com’è noto il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti possono essere disposti, secondo i casi, sia in sede penale sia in sede di prevenzione. Ed invero, le misure di prevenzione patrimoniali costituiscono un efficace strumento di contrasto all’arricchimento illecito e all’accumulo di consistenti patrimoni mafiosi da parte di affiliati a organizzazioni criminali ma, tenendo conto del fatto che spesso “la fragilità” indiziaria su cui esse si fondano impedisce il conseguimento del risultato e che il sequestro disposto dal tribunale della prevenzione in molti casi non giunge a confisca definitiva, il pubblico ministero, per raggiungere quest’ultimo obbiettivo, privilegia, quando l’indiziato è stato già iscritto nel registro degli indagati, la sede delle indagini preliminari per sviluppare anche quelle riguardanti i patrimoni illeciti accumulati dall’indagato, finalizzandole alla richiesta di applicazione del sequestro preventivo dei beni di provenienza illecita, in vista della successiva confisca a seguito di condanna per i reati per i quali si procede. Questa è la ragione per la quale il pubblico ministero, sempre più frequentemente, innesta gli accertamenti patrimoniali nell’ambito delle indagini preliminari: proprio per poter fondare la richiesta di sequestro e di confisca dei beni sulla responsabilità penale dell’indagato in ordine al reato per il quale si procede. Ed è con la precisa finalità di colpire tutte le ricchezze illecite accumulate dalle organizzazioni criminali che il pubblico ministero aggredisce i patrimoni illeciti, utilizzando sempre più spesso la confisca penale o la confisca “allargata”, di cui all’art. 12-sexies, legge n. 356/92, anziché la confisca di prevenzione. Accade anche, altrettanto frequentemente, che il pubblico ministero può percorrere, fin dall’inizio, le due vie: quella della misura di prevenzione e quella delle confische penali, inclusa fra queste quella “allargata” ex art. 12-sexies; ma gli effetti del sequestro e della confisca di prevenzione restano sospesi, a norma dell’art. 2-ter, comma 10, L. n. 575/65, per tutta la durata del procedimento penale e si estinguono ove venga disposta la confisca degli stessi beni in sede penale. La confisca di prevenzione prevista dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, e succ. modificazioni Le misure di prevenzione sono misure limitative della libertà della persona e della sua sfera giuridica patrimoniale, applicabili a soggetti ritenuti pericolosi. Esse hanno finalità di prevenzione speciale, cioè diretta nei confronti della singola persona, per neutralizzarne la pericolosità in modo tale da prevenire la commissione di reati. In sostanza, le misure di prevenzione si differenziano dalle sanzioni penali perché si applicano indipendentemente dalla commissione di un reato, della condanna per il quale non sono, perciò, una diretta conseguenza. La misura di prevenzione della confisca, in particolare, è stata introdotta nel sistema delle misure di prevenzione disciplinata dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, dalla legge 13 settembre 1982, n. 646. Nel tempo, però, le norme che la disciplinano hanno subìto modifiche e integrazioni introdotte da numerose successive leggi, soprattutto in ordine alla gestione e alla destinazione dei beni confiscati e, infine, in ordine ai soggetti ai quali la confisca si applica, alle autorità legittimate a richiederla e ai delitti i cui indizi ne consentono l’applicazione. Va ancora ribadito che la legge 31-5-65, n. 575, e succ. modif., prevedendo la confisca dei beni come misura di prevenzione patrimoniale, non richiede, perché essa sia disposta, alcuna condanna per un qualsiasi delitto pronunciata nei confronti del soggetto proposto per la misura di prevenzione. Né deve esistere alcuna pertinenzialità fra i beni da confiscare e i delitti per i quali esistono gli indizi necessari per richiederla. I soggetti nei cui confronti si può applicare la confisca dei beni Prima dell’entrata in vigore del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, la misura di prevenzione patrimoniale si applicava, ai sensi dell’art. 1 L. n. 575/65, agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, camorristiche e ad altre associazioni dello stesso tipo comunque denominate, in sede locale. L’art. 10 L. n. 125/08 ha modificato gli articoli 1, 2 e 2-ter L. n. 575/65 estendendo l’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali anche ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, c. 3-bis, C.p.p. L’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali era stata, poi, estesa dall’art. 14 della legge 19- 3-1990, n. 55 anche agli appartenenti alle associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti e alle persone indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 1 della legge 27-12-1956, n. 1423, quando l’attività delittuosa, da cui si ritiene derivino i proventi, sia una di quelle previste dagli articoli 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648-bis, o 648-ter del Codice penale, ovvero quella di contrabbando. L’art. 11-ter della legge n. 125/08 ha abrogato l’art. 14 della legge 19-3-1990, n. 55. Resta però in vigore l’art. 19 delle legge 22 maggio 1975, n. 152, in virtù del quale le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni, si applicano anche alle persone indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 1 della legge 27-12-1956, n. 1423, senza la limitazione invece contenuta nell’art. 14 della legge 90/55, e cioè della provenienza dei proventi esclusivamente da alcuni reati espressamente elencati. La disciplina che ne risulta è, dunque, più rigorosa atteso che essa è applicabile a un maggior numero di persone. Che questa sia l’interpretazione corretta e la portata del nuovo disposto normativo è stato confermato anche dai giudici di legittimità (1) . Si è detto che le misure di prevenzione patrimoniali sono applicabili agli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose o ad esse assimilate nonché ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, c. 3-bis, C.p.p.; che presupposto per l’applicazione delle misure di prevenzione, personali o patrimoniali, è la “pericolosità sociale” del soggetto proposto, non già la sua condanna per un delitto, non essendo l’applicazione della misura di prevenzione collegata alla commissione di un reato, ma alla propensione del soggetto a commetterlo. Il primo obbiettivo del procedimento di prevenzione è, dunque, quello di accertare la pericolosità del soggetto in questione attraverso l’accertamento e la valutazione di comportamenti dallo stesso tenuti, sintomatici della sua capacità di commettere reati e della sua propensione criminale. Accertamento che deve necessariamente avvenire mediante l’acquisizione di “indizi”. Si è molto discusso in dottrina e in giurisprudenza sul significato di “indizio” e sulla individuazione degli “indiziati”. Per quanto riguarda “l’indizio” necessario per l’applicazione della misura di prevenzione, il dibattito da tempo lo ha definito come quell’acquisizione probatoria in presenza della quale “il fatto da accertare”, ossia la capacità di commettere reati, deve ritenersi probabile. Si deve trattare, tuttavia, di indizi la cui consistenza e il cui concorso sinergico, devono superare il mero sospetto, le congetture e le illazioni, pur senza raggiungere il livello di vere e proprie prove indiziarie bastevoli per promuovere un processo penale. Insomma, attesa la finalità social preventiva delle misure di prevenzione, il livello probatorio richiesto per l’applicazione di esse è sicuramente meno elevato rispetto a quello richiesto nel processo penale, la cui finalità è invece repressiva, tendendo esso all’applicazione di una sanzione penale in seguito all’accertamento della commissione di un fatto-reato. Ne consegue che “indiziati” debbano ritenersi coloro nei confronti dei quali vengano acquisiti elementi di fatto di sicuro valore sintomatico, atti a rendere ragionevolmente probabile che gli “indiziati” siano in realtà aderenti a un’associazione mafiosa o di tipo mafioso o ad altra associazione fra quelle prima indicate, o si siano resi responsabili di uno dei delitti indicati nell’articolo 1 della legge n. 575/65 e dall’art. 19 della legge n. 152/75, così come modificati dalla legge n. 125/08. L’Autorità proponente Prima delle modifiche introdotte dalla legge 125/08, le autorità che potevano avanzare al tribunale la proposta per l’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali erano il Procuratore nazionale antimafia solo per le misure personali, il Procuratore della Repubblica del circondario ove dimorava la persona pericolosa, il Questore della provincia ove dimorava la persona pericolosa, e il Direttore della DIA, su delega del Ministro dell’Interno (2) . In virtù dell’art. 2 della legge n. 575/65, così modificato dall’art. 10 della legge n. 125/08, le autorità che ora possono richiedere l’applicazione delle misure di prevenzione personali sono il Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale capoluogo del distretto ove dimora la persona, il Questore o il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia (3) . Per quanto riguarda il Questore si ritiene che, in assenza nella norma di specifica indicazione, debba trattarsi di quello della provincia ove la persona dimora; mentre il Direttore della DIA, così come il Procuratore nazionale antimafia, in ragione delle attribuzioni loro affidate dalla legge a livello nazionale, possono proporre l’applicazione della misura di prevenzione nei confronti di persone dimoranti in tutto il territorio nazionale, ovviamente avanzando la proposta dinanzi al tribunale competente secondo il luogo di dimora del proposto. La nuova formulazione dell’art. 2, al comma 3, stabilisce inoltre che all’udienza, dinanzi al tribunale competente per l’applicazione della misura di prevenzione, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal Procuratore della Repubblica di cui al comma 1, e cioè dal Procuratore distrettuale. L’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali può invece essere richiesta, in virtù dell’art. 2-bis legge n. 575/65, così come modificato dal citato art. 10 legge n. 125/08, dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale capoluogo del distretto ove dimora la persona, dal Questore o dal Direttore della Direzione Investigativa Antimafia. Non già dal Procuratore nazionale antimafia, al quale invece l’art. 110-ter O. G., introdotto dall’art. 12 legge n. 125/08, riserva il potere di assegnare magistrati della Direzione Nazionale Antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di procedimenti di prevenzione patrimoniale.
La stessa norma consente al Procuratore generale presso la Corte di appello, se ne fa richiesta il Procuratore distrettuale, di disporre per giustificati motivi, che le funzioni di pubblico ministero per la trattazione delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica, ovviamente non distrettuale, presso il giudice competente. In ordine a tale disposizione contenuta nell’art. 110-ter O. G. si reputa che la formulazione letterale utilizzata dal legislatore nel secondo comma dell’articolo citato ”per la trattazione delle misure di prevenzione”, essendo analoga a quella utilizzata dal legislatore al comma 4 dell’art. 110-bis O. G. ove viene usata l’espressione “trattazione di affari” sia riferibile sia alla fase delle indagini sia alla fase del giudizio, tanto più che il legislatore non specifica la fase come invece fa all’art. 51, comma 3-ter, C.p.p. laddove fa esclusivo riferimento “al dibattimento”. È opinione diffusa, essendo state superate perplessità iniziali, che, in relazione ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, C.p.p., il potere di proposta delle misure di prevenzione patrimoniali ormai appartenga, ai sensi del nuovo art. 2-bis, legge n. 575/65, al Procuratore del capoluogo del distretto e non già al Procuratore ordinario al quale la legge ha invece riservato una specifica competenza all’art. 19 legge 22-5-1975, n. 152, così come modificato dall’art.11 della legge 125/2008. L’orientamento più accreditato, anche in giurisprudenza (4) , è dunque quello secondo cui al Procuratore ordinario sia rimasta esclusivamente l’attribuzione in materia di misure di prevenzione cui fa riferimento l’art. 19 legge n. 151/75, così come modificato dalla legge n. 125/08, che è comunque più ampia di quella contenuta nell’abrogato art. 14 legge n. 55/90, in virtù del quale le misure di prevenzione patrimoniali si potevano applicare anche ai soggetti indicati ai numeri 1 e 2 dell’art. 1, comma 1, della legge n. 1423/56 “quando l’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli articoli 600-601-602-629-630-644-648-bis o 648-ter C.p. ovvero quella di contrabbando”. L’art. 19 legge n. 152/75, non contenendo l’inciso letterale sopra riportato, riguarda pertanto tutti i soggetti indicati ai numeri 1 e 2 dell’art. 1, comma 1, della legge n. 1423/56, a prescindere dal tipo di reato di cui i beni possano considerarsi provento (5) . Infine, deve aggiungersi che la legge n. 125/08, modificando l’art. 371-bis C.p.p., ha attribuito al Procuratore Nazionale Antimafia le funzioni di coordinamento e di impulso anche in ordine ai procedimenti di prevenzione. Funzioni che devono ritenersi di assoluta utilità consentendo esse al Procuratore nazionale antimafia un’adeguata valutazione dello stato e della complessità delle indagini patrimoniali, al fine di poter disporre l’applicazione di magistrati del suo ufficio alla trattazione di procedimenti di prevenzione presso le procure distrettuali. La norma così modificata autorizza il Procuratore nazionale antimafia a richiedere ai procuratori distrettuali notizie e informazioni circa le indagini patrimoniali in corso, finalizzate alla proposta di misure di prevenzione patrimoniali, e di esercitare, in caso di indagini collegate, finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione, le funzioni di coordinamento anche nei confronti delle direzioni distrettuali antimafia e degli Organi di polizia giudiziaria a cui sono state affidate le indagini medesime. La richiesta di applicazione di misure di prevenzione Prima dell’entrata in vigore della legge n. 125/08, l’applicazione della misura di prevenzione personale costituiva presupposto necessario per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, nel senso che non si potevano richiedere il sequestro e la confisca dei beni di un soggetto per il quale non fosse stata richiesta almeno contestualmente la misura di prevenzione personale. Dunque, l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale poteva richiedersi sia contestualmente a quella personale sia successivamente all’applicazione di questa, e poteva essere disposta dal tribunale anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione personale ma prima della sua cessazione. Ora invece, in virtù delle modifiche introdotte dall’art.10 della legge n. 125/08 che ha inserito il comma 6-bis dopo il comma 6 all’art. 2-bis L. n. 575/65, la misura di prevenzione patrimoniale può essere richiesta e applicata anche disgiuntamente da quella personale (6) . Sull’interpretazione di questa norma e sulla sua reale portata si è già acceso, in assenza di decisioni dei giudici di merito e della Corte di Cassazione, un vivace dibattito dottrinario. Allo stato del quale l’orientamento più accreditato sembra essere quello secondo cui il giudice della prevenzione debba comunque valutare la sussistenza dei presupposti di pericolosità sociale delineati dall’art. 1 legge n. 575/65: se così non fosse si porrebbero insuperabili questioni di legittimità costituzionale (7) . Si ritiene perciò che vada comunque provata l’esistenza della pericolosità e che possa applicarsi la misura patrimoniale senza applicare quella personale allorquando la pericolosità non sia attuale o quando essa si manifesti con modalità tali da far ritenere non necessaria l’applicazione della misura personale. La norma, a parere di chi scrive, deve interpretarsi nel senso che, accertata la pericolosità del soggetto, nei suoi confronti si possa applicare soltanto la misura patrimoniale quando risulti inutile, per ragioni all’evidenza desumibili dall’esame del caso concreto, l’applicazione di una misura personale. Se ciò non fosse possibile, come alcuni ritengono (8) , si dovrebbe trovare una spiegazione, convincente anche sul piano costituzionale, del sequestro dei beni di provenienza illecita appartenenti al collaboratore della giustizia, della cui pericolosità può senz’altro escludersi l’attualità. Proprio la normativa sui collaboratori della giustizia (9) offre un precedente significativo nel quale l’ablazione dei beni non è collegata all’attualità della pericolosità del soggetto ma alla illecita provenienza di essi. Né pare possa dubitarsi della natura di misura di prevenzione del sequestro e della conseguente confisca dei beni indicati dal collaboratore della giustizia; prova ne sia che per l’attuazione di tale ipotesi di sequestro il regolamento rimanda alle disposizioni della legge n. 575/65. È appena il caso di ricordare che il collaboratore della giustizia rende normalmente dichiarazioni in ordine ai reati di cui all’art. 51 comma 3-bis C.p.p., compresi quelli associativi, in relazione ai quali non di rado egli assume la qualità di indagato prima e di imputato e condannato poi. Dunque, non può esserci dubbio sulla sua pericolosità, insita nella stessa appartenenza ad associazioni criminali; così come non può esserci dubbio sul fatto che questa pericolosità, con l’inizio della collaborazione, perda la caratteristica dell’attualità. La norma in esame, contenuta nel comma 6-bis dell’art. 2-bis della L. 31.5.1965, n. 575 e ss. modificazioni, non può poi non riguardare quelle persone la cui pericolosità si esprime proprio mediante la gestione di consistenti disponibilità economiche e finanziarie provenienti da attività delittuose, e la destinazione di esse, attraverso reinvestimenti, all’economia legale, che ne resta sicuramente inquinata. La capacità di infiltrazione nell’economia legale, e in special modo in settori vitali come il commercio, l’industria e i mercati finanziari, costituisce anch’essa una forma di pericolosità sociale, che si può neutralizzare non già con la misura di prevenzione personale ma con la confisca dei beni. Fin qui soltanto alcuni esempi, atteso che la norma è stata introdotta da pochi mesi e la sua interpretazione è ancora oggetto di dibattito dottrinario e che, per tale ragione, la stessa non ha trovato ancora diffusa applicazione. La realtà si incaricherà di porre il giudice in condizione di poter valutare, nel caso concreto, la possibilità di operare una scelta, della quale la giurisprudenza di legittimità, nell’arco di poco tempo, provvederà a verificare la rispondenza al dettato normativo. Conclusivamente, si ritiene che, in virtù della nuova disposizione, la scelta della misura da applicare, personale o patrimoniale, possa ora dipendere dalle modalità di manifestazione della pericolosità, potendo ben accadere che la pericolosità di un soggetto venga neutralizzata esclusivamente dalla confisca dei suoi beni, e non dalla sorveglianza speciale. L’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale anche in caso di morte Sempre il nuovo comma 6-bis, art. 2-bis L. n. 575/65, introdotto dall’art. 10 legge n. 125/08, stabilisce che le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. Il comma 9 dell’art. 2-ter, anch’esso di nuova introduzione, dispone che la confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso. Sul punto alcune precisazioni si impongono. L’art. 2-ter, comma 7, legge n. 575/65 dispone che il procedimento di prevenzione può essere iniziato o proseguito anche nei confronti di soggetto del quale risulti l’assenza oppure la residenza o la dimora all’estero. La proposta può essere avanzata dal Procuratore della Repubblica o dal Questore del luogo di ultima dimora del soggetto interessato ai soli fini dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale ma soltanto per i beni di cui si ha motivo di ritenere che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. È facile osservare come l’ipotesi contemplata dalla norma contenga due deroghe alla regola generale: 1) possono essere aggrediti soltanto i beni di cui si ha motivo di ritenere che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, e non di tutti gli altri di cui il valore sia ritenuto sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica dal soggetto (cfr. art. 2-ter comma 2); il procedimento di prevenzione viene iniziato o proseguito anche in assenza del soggetto proposto. La norma richiamata nulla prevedeva per il soggetto deceduto. La lacuna era stata, però, colmata dalla giurisprudenza di legittimità (10) , dopo numerose oscillanti decisioni e non senza accendere un vivace dibattito dottrinario.
Tuttavia, l’esperienza del contrasto alla criminalità mafiosa consentiva di osservare che la mancanza di una specifica previsione normativa, nel senso che la misura di prevenzione potesse richiedersi e applicarsi anche dopo la morte del soggetto “indiziato”, costituiva per la criminalità organizzata una tentazione troppo forte se l’intestatario dei beni era fittizio e i beni appartenevano al clan o ai suoi capi. Per molto tempo, non è stato infondato il dubbio che in alcuni casi il movente di delitti commessi da appartenenti ad organizzazioni mafiose fosse da ricercare nel fatto che la vittima fosse intestataria fittizia di beni appartenenti all’associazione mafiosa e per tale ragione eliminata dagli affiliati al medesimo clan per evitare che nei confronti di essa potesse essere richiesta la misura di prevenzione patrimoniale. Al di là della sua irrilevante valenza giuridica, suscitava sconcerto nell’opinione pubblica la circostanza che la morte di soggetti, notoriamente considerati, conosciuti e indicati come mafiosi, intervenuta prima che fosse stata riconosciuta giudiziariamente la loro mafiosità e, dunque, la loro pericolosità, mettesse al riparo dalla confisca di prevenzione il loro patrimonio, che, in tal modo, si trasferiva agli eredi, per così dire, legittimamente “riciclato”. Probabilmente, sono state queste le ragioni che hanno indotto il legislatore a introdurre la nuova disposizione. Benché la norma preveda che le misure di prevenzione patrimoniali possano essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione, essa, a parere di chi scrive, deve interpretarsi nel senso che la richiesta di applicazione delle misure possa essere proposta nei confronti di persona già deceduta. L’uso dell’espressione “soggetto proposto” non deve far pensare che la morte del soggetto debba intervenire a procedimento già iniziato, ma con essa deve intendersi anche il soggetto proponendo o proponibile per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale (11) . Questa interpretazione è autorizzata, innanzitutto, dalla seconda parte della medesima norma, laddove essa specifica che “… Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa”. La formulazione di questo periodo della disposizione fa bene intendere che il “caso ordinario” regolato dalla norma è quello in cui la morte giunge prima del procedimento. Ciò si rileva anche dalla disposizione contenuta nel comma 9 dell’art. 2-ter, anch’esso di nuova introduzione, ove si afferma “che la confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso”. Secondo tale disposizione la misura di prevenzione patrimoniale può essere richiesta (in questo caso, per ovvie ragioni, disgiuntamente) addirittura entro cinque anni dal decesso. È ovvio che anche nel caso in cui il soggetto sia deceduto prima della proposta, il giudice deve comunque accertare che si tratti di soggetto che è stato indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa o altra similare, o indiziato di uno dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis C.p.p., verificando, così, l’esistenza del presupposto della misura di prevenzione patrimoniale, ossia la pericolosità del soggetto, oppure verificando che vi sia già stata in un procedimento penale o in altro procedimento di prevenzione l’accertamento della pericolosità. Addirittura, non è mancato chi (12) ha ritenuto che questa disposizione rappresentasse l’unico caso di applicazione disgiunta della misura di prevenzione patrimoniale da quella personale. Altri (13) considerano la nuova disposizione normativa un ulteriore passo avanti nella direzione di accertare, valutare e neutralizzare la “pericolosità della cosa in sé”. L’oggetto del sequestro e della confisca Secondo la nuova formulazione dell’art. 2-ter comma 3, legge n. 575/65, introdotta all’art. 10 lett. d) legge n. 125/08, “Con l’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. La vigente formulazione dell’art. 2-ter, comma 2, dispone che il tribunale, anche d’ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro “dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. Al comma 3 del testo previgente si stabiliva “Con l’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza”. Le due disposizioni, quella relativa al sequestro dettata dal comma 2, e quella relativa alla confisca contenuta nel nuovo comma 3, devono quindi essere sottoposte a una lettura integrata e omogenea, potendosi osservare che, secondo la nuova disposizione, si possono confiscare i beni di cui “non (si) possa giustificare la provenienza”, mentre con la precedente versione del comma 3 si potevano confiscare i beni “dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza”. Al di là delle intuibili implicazioni sull’onere della prova e sugli elementi indiziari attraverso i quali la “prova” debba ricercarsi, che i giudici di merito e di legittimità elaboreranno applicando in concreto la norma, pare che si possa affermare che sul punto il legislatore abbia usato la stessa formulazione letterale già utilizzata per la confisca prevista dall’art. 12-sexies: confisca dei beni “di cui il condannato non può giustificare la provenienza” e di cui “... risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. Si aggiunga, comunque, che il tribunale dispone la confisca dei beni anche quando essi risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Dunque, due i parametri di riferimento, distinti fra loro e autonomamente apprezzabili dal tribunale nel disporre la confisca: la sproporzione del valore dei beni oppure la loro provenienza illecita. La confisca per equivalente Un’altra importante novità introdotta dall’art. 10 legge n. 125/08 è rappresentata dalla previsione della confisca per equivalente anche per la confisca di prevenzione. Al comma 8 dell’art. 2-ter, di nuova introduzione, il legislatore ha previsto che “se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possono essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell’esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede”. Come si può osservare, la confisca per equivalente è stata prevista in casi tassativamente indicati: dispersione, distrazione, occultamento o svalutazione dei beni al fine di eludere l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, oppure trasferimento legittimo dei beni a terzi in buona fede, prima dell’esecuzione del sequestro. La disposizione ha, insomma, previsto la confisca per equivalente, la cui funzione è sostanzialmente quella di compensare la mancata acquisizione da parte dello Stato dei beni di valore sproporzionato o di provenienza illecita. Tale funzione residuale e compensativa della confisca convince che essa possa colpire anche il patrimonio di provenienza lecita del condannato. Mentre, il denaro o altro bene corrispettivo della distruzione, della dispersione, dell’occultamento, della svalutazione o del trasferimento dei beni da sottoporre a confisca, potendo tali attività indicate costituire autonome ipotesi di reato (ad es. art. 2-quinques, legge n. 356/92, e succ. modif.), costituiscono provento di reato, e quindi sono oggetto di confisca penale ai sensi dell’art. 240 C.p. o di altra disposizione speciale prevista per l’eventuale reato commesso. La confisca per equivalente deve perciò cadere su beni legittimante acquisiti dal soggetto proposto, o di valore proporzionato al reddito o all’attività economica dello stesso. Il ritorno dei beni nella disponibilità del proposto L’art. 10 legge n. 125/08 ha introdotto il nuovo comma 10 dell’art. 2-ter, secondo cui “Quando risulti che beni confiscati con provvedimento definitivo dopo l’assegnazione o la destinazione siano rientrati, anche per interposta persona, nella disponibilità o sotto il controllo del soggetto sottoposto al provvedimento di confisca, si può disporre la revoca dell’assegnazione o della destinazione da parte dello stesso organo che ha disposto il relativo provvedimento”. Si tratta di una nuova disposizione suggerita dall’esperienza, essendo accaduto che il bene definitivamente confiscato è ritornato al soggetto sottoposto a confisca dopo la destinazione o l’assegnazione di esso ai sensi degli articoli 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/65, e succ. modif., e non è improbabile che la stessa cosa possa accadere in futuro. La nullità degli atti fittizi di trasferimento Sempre l’art. 10 legge n. 125/08 ha introdotto nell’art. 2-ter, i commi 11 e 12: il primo recita “Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con la sentenza che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione”; il secondo aggiunge “Ai fini di cui al comma precedente, fino a prova contraria si presumono fittizi: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione”. Si tratta di disposizioni che vanno poste in correlazione con quella contenuta nel comma 8 dell’art. 2-ter che prevede la confisca per equivalente. Infatti, gli atti indicati nei commi 11 e 12 ben possono costituire lo strumento e le modalità di dispersione, distrazione, occultamento, svalutazione e trasferimento dei beni. Esse, almeno nell’intento del legislatore, dovrebbero pure servire ad evitare strumentali controversie civili, iniziate da presunti terzi “in buona fede”, i quali, rivendicando diritti di proprietà sul bene o tentando di far valere su di essi diritti di garanzia, in realtà tendono ad evitare o ritardare la destinazione dei beni medesimi secondo quanto prescrivono gli articoli 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/65, e succ. modif.. L’Autorità che applica le misure di prevenzione Il Procuratore distrettuale, il Questore o il Direttore della DIA, legittimati a richiedere l’applicazione delle misure di prevenzione, formulano la proposta avanzandola al tribunale del capoluogo della provincia nell’ambito della quale ha sede il comune di dimora della persona proposta per l’applicazione della misura di prevenzione. Essi, al fine di avanzare la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, procedono ad accertamenti e indagini patrimoniali servendosi della Guardia di Finanza e della Polizia giudiziaria. Oggetto dell’accertamento patrimoniale sono il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio, le attività economiche e le fonti di reddito; la titolarità di licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni ad albi, l’erogazione di contributi e finanziamenti pubblici, la concessione di mutui. L’accertamento viene esteso anche al coniuge, ai figli conviventi e alle altre persone (fisiche e giuridiche) del cui patrimonio le persone proposte per la misura possono disporre. Il Procuratore distrettuale e il Questore (e a quanto sembra non anche il Direttore della DIA, non essendo stato modificato il comma 4 dell’art. 2-bis con l’integrazione dell’autorità legittimate a richiedere il sequestro, così come avvenuto per il comma 1 in relazione alla richiesta di applicazione delle misure di prevenzione e alle indagini patrimoniali) possono richiedere al tribunale il sequestro dei beni in vista della confisca e, se vi è pericolo di dispersione, di sottrazione o di alienazione dei beni, possono chiedere al Presidente del tribunale il sequestro anticipato di essi, che però dovrà essere convalidato dal tribunale, sempre in vista della confisca. Il Presidente del tribunale dispone con decreto motivato il sequestro anticipato entro gg. 5 dalla richiesta. Il tribunale convalida il sequestro anticipato entro gg. 30 dalla proposta. Il tribunale dispone il sequestro in via ordinaria. Il tribunale può procedere, se lo ritiene necessario, a ulteriori indagini patrimoniali. Il Procuratore della Repubblica e il Questore nel frattempo possono procedere a ulteriori indagini patrimoniali. Il tribunale dispone la confisca dei beni entro il termine di un anno dal sequestro, prorogabile per un altro anno. Il procedimento per l’ applicazione della misura di prevenzione si svolge in camera di consiglio con la partecipazione del pubblico ministero e del difensore del proposto. Il decreto di applicazione della misura di prevenzione è impugnabile dinanzi alla Corte di Appello, il cui decreto motivato è ricorribile in Cassazione. Il decreto che dispone la confisca dei beni sequestrati diventa esecutivo con la definitività della relativa pronuncia. Va chiarito che nel procedimento di prevenzione assume particolare rilievo il libero convincimento del giudice, il cui unico limite è rappresentato dall’obbligo di motivazione. Ed ancora, essendo il procedimento di prevenzione fondato essenzialmente su acquisizioni documentali, non operano, di norma, le inutilizzabilità di atti di indagine previste per il processo penale, a meno che non si tratti di inutilizzabilità determinate dalla violazione di tutele costituzionali (14) . Un discorso a parte va poi fatto per il principio del contraddittorio dettato dal nuovo art. 111 Cost. per la formazione della prova nel processo penale, il cui scopo è l’accertamento della colpevolezza di un imputato in relazione a un reato. Ciò non toglie tuttavia che di esso principio debba tener conto anche il giudice della prevenzione (15) . La confisca penale Il Codice penale e numerose leggi speciali prevedono la confisca dei beni come misura di sicurezza patrimoniale, quando essi costituiscono pertinenza di un delitto. Presupposti della confisca penale sono dunque, la condanna per un delitto e l’esistenza di un vincolo di pertinenzialità fra il bene da confiscare e il delitto per il quale è stata pronunciata condanna. Il bene è pertinenza del delitto quando ne costituisce lo strumento, il prezzo, il prodotto o il profitto. La confisca prevista dall’art. 240 Codice penale L’ipotesi originaria e generale della misura di sicurezza patrimoniale è rappresentata dalla confisca prevista dall’art. 240 Codice penale, i cui presupposti sono, appunto, costituiti dalla condanna per un reato e dal vincolo di pertinenzialità della cosa rispetto al reato commesso. Essa, unica fra tutte le confische, è di due tipi: facoltativa e obbligatoria. Quella facoltativa può essere ordinata dal giudice, nel caso di condanna, per le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e per le cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato. Quella obbligatoria è sempre ordinata dal giudice per le cose che costituiscono il prezzo del reato, e per le cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Nel tempo, però, il legislatore pressato da spinte emergenziali ha introdotto nel Codice penale o ha previsto in leggi speciali numerose ipotesi di confisca penale, fra queste: la confisca prevista dall’art. 416 bis, comma 7, c.p. (delitto di associazione mafiosa); la confisca prevista dall’art. 644 c. p. (delitto di usura); la confisca prevista dall’art. 322-ter C.p. (delitti contro la pubblica amministrazione); la confisca prevista dall’art. 600-septies C.p. (delitti di riduzione in schiavitù (art.600 C.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis C.p.), pornografia minorile (art. 600-ter C.p.), detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater C.p.), iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies C.p.), tratta di persone (art. 601 C.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 C.p.); la confisca prevista dall’art. 640-quater C.p. (delitto di truffa); la confisca prevista dall’art. 301 D.P.R. 23-1-73, n. 43. (delitti di contrabbando); la confisca prevista dall’art. 12, commi 4 – 8 – 8-bis – 8-ter – 8-quater – 8-quinquies – 9 D. Lgs. 25-7-1998, n. 286, così come modificato dall’art. 2 commi 1-2 D. Lgs. 13-4-1999, n. 113, nonché dall’art. 1 D.L. 4-4-2002, n. 51, convertito, con modificazioni, nella legge 7-6-2002, n. 106 (delitti relativi all’immigrazione clandestina); la confisca prevista dall’art. 31 legge 13-9-1982, n. 646; la confisca prevista dall’art. 11 legge 16-3-2006, n. 146 (reati transnazionali), ed altre ancora. La confisca “allargata” prevista dall’art. 12-sexies D.L. 8-6-1992, n. 306, e succ. modif. Essa è stata introdotta dall’art. 2 D.L. 22-2-1994, n. 123/94, reiterato dal D.L. 246/94 e ancora dal D.L. 20-6-94, n. 399, convertito, con modificazioni, nella legge 8-8-1994, n. 501, subito dopo l’intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 48 del 17-23 febbraio 1994 aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art.12-quinques, comma 2, D.L. 8-6-1992, n. 306 (possesso ingiustificato di valori). A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, il Governo, ispirato dalle medesime ragioni di politica criminale che lo avevano indotto ad emanare l’art. 12-quinques citato, emanava, qualche giorno prima della pubblicazione della sentenza della Corte al fine di evitare, almeno in alcuni casi, la caducazione degli effetti prodotti dalla norma abrogata, il D.L. n. 123/94, reiterato più volte fino a giungere all’ultimo D.L. n. 399/94, convertito nella legge n. 501/94, con il quale, aggiungendo l’art. 12-sexies, introduceva la confisca in questione. Con tale norma in sostanza il legislatore ha voluto perseguire, ancora più incisivamente, l’obbiettivo strategico di fronteggiare il fenomeno gravissimo della criminalità organizzata anche con un efficace e necessario strumento di contrasto quale quello rappresentato dalle misure di carattere patrimoniale, idonee, sul piano della repressione e della prevenzione, ad aggredire le ricchezze delle organizzazioni criminali; tentando in tal modo di individuare e colpire i patrimoni sproporzionati rispetto alle attività economiche svolte dagli appartenenti alle organizzazioni suddette e alle loro capacità di reddito, e comunque illecitamente accumulati e detenuti anche per interposta persona. Il legislatore, con l’art. 12-sexies, però, ha previsto una ipotesi particolare di confisca, il cui presupposto è la condanna o l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 C.p.p. del soggetto per uno dei seguenti reati: associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone (art. 416, comma 6, C.p.), riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi (artt. 600-601-602 C.p.) (16) , associazione di stampo mafioso (art. 416 bis C.p.), estorsione (art. 629 C.p.), sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 C.p.), usura e usura impropria (art. 644 C., così come risulta modificato dall’art. 1 legge 7-3-1996 n. 108 che ha abrogato l’art. 644 bis C.p.), ricettazione (art. 648, c.1, C.p.), riciclaggio (art. 648-bis), trasferimento fraudolento di valori (art. 12-quinques, c. 1, D.L. 8-6-92, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7-8-92, n. 356) ovvero, per taluno dei reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti previsti dall’art. 73, escluse le fattispecie di lieve entità, e dall’art. 74 D.P.R. n. 309/90; ed inoltre, per uno dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis C.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; nonché per il delitto in materia di contrabbando nei casi di cui all’art. 295 c. 2 T.U. D.P.R. 23-1-1973, n. 43, e per delitti in materia di terrorismo. Con la legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 220, legge 27-12-2006, n. 296) sono stati inseriti fra i delitti sopra elencati anche quelli previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325 (ossia quasi tutti i delitti contro la pubblica amministrazione). La stessa legge ha introdotto nell’art. 12-sexies il comma 2-bis in virtù del quale in caso di confisca di beni per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione sopra indicati si applicano per la loro gestione e destinazione le disposizioni sulla gestione e sulla destinazione dettate dagli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/65 (17) . Con l’art. 10-bis della legge 125/08 è stato inserito nell’art. 12-sexies il comma 2-quater, secondo cui le disposizioni sulla gestione e sulla destinazione dei beni confiscati di cui agli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/65 si applicano anche in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per taluno dei delitti previsti dagli articoli 629, 630 e 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del Codice penale, nonché dall’art. 12-quinques dello stesso decreto (d.l. n. 306/92, conv. in l. n. 356/92, e succ. modif.), e dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del T.U. DPR n. 309/90.
In verità la nuova disposizione appare inutile atteso che già il comma 4-bis stabilisce che ai casi confisca previsti dai commi da 1 a 4 si applicano le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati previste dalla legge n. 575/65 e succ. modif., e quindi anche quelle di cui agli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies. Poiché fra i delitti presupposto della confisca, indicati dal comma 1, vi sono anche quelli di cui agli articoli 629, 630 e 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del Codice penale, nonché dall’art. 12-quinques dello stesso decreto (d.l. n. 306/92, conv. in l. n. 356/92, e succ. modif.), e dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del T.U. DPR n. 309/90, anche in tal caso valgono dunque le osservazioni già svolte con riferimento al comma 2-bis (18) . Le altre condizioni richieste dalla norma perché possa disporsi la confisca sono l’esistenza di un complesso di elementi patrimoniali attivi costituiti da denaro, beni o altre utilità di cui il soggetto sia titolare o abbia, anche per interposta persona fisica o giuridica, la disponibilità di essi a qualsiasi titolo; il valore sproporzionato di tale complesso patrimoniale rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o all’attività economica svolta; la mancata giustificazione della provenienza dei beni suddetti. L’art. 10-bis della legge n. 125/08 ha inserito nell’art. 12-sexies, dopo il comma 2-bis, il comma 2-ter secondo cui “Nel caso previsto dal comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca in applicazione delle disposizioni ivi richiamate, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato”. Con tale ultima disposizione il legislatore ha previsto la confisca per equivalente o di valore anche nel caso di confisca allargata prevista all’art. 12-sexies. Sennonché, si ritiene di poter osservare che la formulazione letterale della disposizione appare impropria atteso che, come già detto, in tale ipotesi di confisca non vi è vincolo di pertinenzialità fra il bene confiscato e il reato presupposto della confisca medesima, nel senso che il bene oggetto della confisca non è prodotto, profitto o prezzo del reato per il quale è intervenuta condanna, ma è un bene che è di valore sproporzionato rispetto all’attività economica o al reddito del soggetto nei cui confronti è stata disposta la confisca e di cui egli non ha giustificato la legittima provenienza (19) . Sulla base dei presupposti e delle condizioni di applicabilità della confisca allargata di cui all’art. 12-sexies L. n. 356/92, non pare possa dubitarsi della natura giuridica di misura di sicurezza patrimoniale della confisca in questione; la quale per quanto possa ritenersi una ipotesi speciale che deroga, ai sensi dell’art. 15 c. p., alla norma generale posta dall’art. 240 c. p., mantiene tutti i connotati propri della misura di sicurezza patrimoniale (20) .
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(1) C. Cass. Sez. I Pen. cc del 4-2-2009 (Sent. n. 472/09, dep. 11-2-2009, n. 6000/09): <<Deve in primo luogo osservarsi che tale abrogazione (art. 14 della legge n. 55 del 1990) non ha prodotto alcun effetto sulla norma di riferimento generale di cui all’art. 19 della legge 152 del 1975, visto che tale norma è sempre rimasta in vigore nel suo testo originale e che la “restrizione” di efficacia individuata nell’art. 14 della legge n. 55 del 1990 è stata frutto di interpretazione giurisprudenziale e dottrinale. Ne consegue che il venir meno della norma speciale fa rivivere nella sua pienezza l’operatività della norma generale che non è mai stata modificata o abrogata, per cui priva di pregio è la tesi difensiva prospettata secondo cui una volta abrogato l’art. 14 l. n. 55/90, non sussiste più alcuno strumento legislativo che consenta di estendere a soggetti ritenuti affetti da “pericolosità generica” le misure previste per i soggetti portatori di “pericolosità qualificata”. A parere del collegio non sussiste alcuna ragione per modificare l’interpretazione che la giurisprudenza di legittimità aveva già maturata sulla efficacia applicativa dell’art. 19 della legge 152 del 975, prima dell’entrata in vigore della norma speciale ora abrogata (art. 14 l. n. 55/90), nel senso che l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali della legge n. 575 del 1965 riguardasse tutti i soggetti individuati dall’art. 1, n. 1 e 2, legge n. 1423 del 1956>>.
(2) Si trattava di un’attribuzione affidata all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa dall'art. 1-quinques D.L. 6-9-82, n.629, convertito con modificazioni, nella legge 12-10-82, n. 726, aggiunto dall'art. 2 della legge 15-11-1988, n. 486, secondo cui l'Alto Commissario poteva "proporre al tribunale del luogo in cui la persona dimora l'applicazione delle misure di prevenzione ai sensi degli articoli 1 e 2 della legge 31-5-1965, n. 575, e successive modificazioni. L'art. 2, comma 2-quater, D.L. 29-10-91, n. 345, comma così sostituito dall'art. 1 comma 3 della legge 7-8-92, n. 356, stabilì invece che le funzioni dell'Alto Commissario sarebbero cessate il 31-12-1992 e che dal giorno successivo le sue competenze sarebbero state attribuite al Ministro dell'Interno con facoltà di delega nei confronti dei Prefetti e del Direttore della DIA. (3) Si tratta ora di un'attribuzione affidata alla DIA direttamente dalla legge. (4) C. Cass. Sez. I penale cc 4-2-2009, dep. l'11-2-2009, n. 6000/09, secondo cui l'art. 11 legge n. 125/08 ha introdotto la competenza a proporre l'adozione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di soggetti di cui all'art. 1, n. 1 e 2, legge n. 1423/56, del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del circondario ove dimora la persona. Secondo la Corte il legislatore ha avuto quindi ben presente la fattispecie prevista dall'art. 19 legge n. 152/75 e ha voluto confermarla introducendo questa competenza proprio all'art. 19 comma 1. È appena il caso di ricordare che di tale ultima norma si era occupata in passato la Corte Costituzionale (decisione n. 675 del 9-6-1988) che l'aveva ritenuta conforme al dettato costituzionale, affermando che essa aveva lo scopo di impedire l'eventuale ingresso nell'economia legale del denaro proveniente da attività delittuose, e che pertanto non era affatto irragionevole la scelta del legislatore del 1975 di estendere le misure di prevenzione antimafia ad alcune categorie di persone individuate dall'art. 1, comma 1 e 2, legge n. 1423/56. (5) In questo senso, ancora C. Cass. Sez. I penale cc 4-2-2009, dep. l'11-2-2009, n. 6000/09. (6) A tal proposito A. Gialanella, in "La Corte di Cassazione e l'Incompiuta della prevenzione patrimoniale antimafia, tra razionalità garantista e relativismi funzionalistici". Incontro di studio del CSM su "Dalla tutela del patrimonio alla tutela dei patrimoni illeciti". – Roma, 24-26 settembre 2008 – testo dattiloscritto: “È, certo, molto scabra la generalizzante petizione, contenuta nel primo inciso del comma 6 bis dell'art. 2 bis della l. 31.5.1965, n. 575 e ss. modd., in forza della quale"… le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente". Tale petizione deve senza dubbio riferirsi al caso, subito dopo contemplato dal secondo inciso del medesimo comma 6 bis, della confisca dei beni del deceduto nel corso del procedimento di prevenzione, sul quale ci si è sinora soffermati, sicché la stessa rintraccia, dunque, un primo confine della sua portata concettuale che nulla innova rispetto al sistema anteriore alle suddette modifiche legislative, quale già interpretato dai Giudici di legittimità.Nello stesso senso, inoltre, nessun elemento di novità introduce l'inciso in esame nel suo necessario riferimento a tutte le ipotesi, contemplate dall'art. 2-ter della l. 31.5.1965, n. 575, e ss. modd. che, anche nella nuova formulazione della norma ora detta, prevedono espressamente che la confisca dei beni sequestrati sia ordinata con l'applicazione della misura di prevenzione personale (3° comma, I parte); così come nessun elemento di novità introduce l'inciso in esame nel suo implicito rinviare ai casi in cui sono consentiti, entro determinati limiti invalicabili, il sequestro e la confisca successivi all'applicazione della misura personale (6° comma), purché tale misura non sia nel frattempo cessata e la confisca differita a dopo l'applicazione della misura personale (3° comma, II parte) purché non oltre un anno prorogabile di un altro anno con provvedimento motivato, dalla data del sequestro. Ed ancora: non è dubbio che siffatto primo inciso del comma 6 bis dell'art. 2 bis della l. 31.5.1965, n. 575, e ss. modd. abbia riguardo ai casi già definiti di c.d. affievolimento o mancanza del nesso tra misure personali e quelle patrimoniali di prevenzione che avviene in alcune ipotesi, già inseriti nella l. 575 del 1965 e mantenuti integri dalla riforma in esame: l'art. 2-ter, settimo comma, che consente di instaurare o proseguire il procedimento nei confronti di persona assente, residente o dimorante all'estero, alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione personale, ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti patrimoniali di sequestro e confisca; l'art. 2-ter, ottavo comma, che estende la medesima possibilità nei confronti dei beni di persona già sottoposta a misura di sicurezza detentiva o a libertà vigilata; gli artt. 3 quater e 3 quinquies, i quali, per potenziare la difesa contro fenomeni di ingresso nell’attività economica e di strumentalizzazione della stessa da parte della criminalità di tipo mafioso, prevedono la possibilità di sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni e, poi, eventualmente, la loro confisca anche in ipotesi nelle quali i beni sottoposti alla misura non siano nella disponibilità di persone pericolose, ma vengano impiegati per agevolarne l'attività. Or dunque: tutto ciò posto, e preso atto che l'inciso in esame evoca tutte tali ipotesi già contemplate dal sistema, è certo, tuttavia, che siffatto primo inciso del comma 6 bis dell'art. 2 bis della l. 31.5.1965, n. 575, e ss. modd. integri, comunque, gli estremi testuali di un intervento additivo del legislatore, volto a rompere quella che i giudici della Consulta della succitata decisione n. 335 del 1996 definivano la regola generale del binomio misure personali – misure patrimoniali; intervento additivo che deve, dunque, intendersi mirato all'enunciato scopo di rendere autonoma l'azione giudiziaria di prevenzione reale da quella di prevenzione personale. Sennonché, quali siano, in concreto, nell'intendimento del legislatore, i confini concettuali dell'operatività concreta di tale intervento additivo, e se tali confini siano più ampli di quelli che circoscrivono le ipotesi già contemplate dal sistema e dinanzi ricapitolate, non è dato desumere dalla norma stessa, i contenuti della quale, sul punto, si diceva, appaiono lapidari; con l'effetto per il quale, non potendosi iscrivere tale nuova norma nel contesto di un franco intervento riformatore di sicura portata dirompente – magari in coerenza agli auspici della dottrina che si sono dinanzi già evocati –, la norma in esame non sembra dotata, per l'effetto, di quel grado di determinatezza sufficiente, allo stato, a fornire all'interprete una rotta indiscussa nell'individuare nuovi percorsi applicativi del sistema della prevenzione patrimoniale ed a superare, in concreto, gli equilibri interpretativi più avanzati, già stabiliti dalla Corte di legittimità in forza della lezione della stessa Corte che si è dinanzi ripercorsa. Sul punto, per l'effetto, e pervenuti a questo punto dell'evoluzione, non v'è che da assumere che sulla giurisprudenza ricade, allo stato, ancora una volta, il compito di assegnare un contenuto concreto allo scabro segmento normativo così di recente introdotto dal legislatore e pur così gravido di potenzialità interpretative. Rispetto a tali conclusioni, nessun significativo ausilio pare essere offerto, al momento, dai primi commenti dottrinari intervenuti in materia, ove si è sottolineato il carattere di 'estrema opportunità' della norma del comma 6 bis dell'art. 2 bis della l. 31.5.1965, n. 575, e ss. modd., che si dice essere intervenuta " … a regolare in maniera diversa il rapporto tra le due tipologie, costituendo una piccola rivoluzione normativa", senza tuttavia dar conto concreto di quale sia l'effettivo ambito di tale evocata rivoluzione. Né l'esame dei lavori parlamentari pare offrire migliore chiave interpretativa>>. (7) Così G. Pignatone, in "L'efficacia ed il coordinamento degli strumenti di contrasto all'accumulo delle ricchezze illecite", Incontro di studio del CSM del 4-6 marzo 2009 su "I patrimoni illeciti: strumenti investigativi e processuali. Il coordinamento tra il processo penale e di prevenzione" – testo dattiloscritto in www.csm.it. (8) C. Vincenti, in "Standard probatori del sequestro e ella confisca nel procedimento di prevenzione", Incontro di studio del CSM del 4-6 marzo 2009 su "I patrimoni illeciti: strumenti investigativi e processuali. Il coordinamento tra il processo penale e di prevenzione" – testo dattiloscritto in www.csm.it – afferma che il "pacchetto sicurezza" << Dopo avere enunciato il principio della possibilità di applicare disgiuntamente le misure personali e le misure patrimoniali, senza ulteriori precisazioni, dà attuazione al principio soltanto con la previsione appena richiamata (ndr nel caso di morte del titolare); che recepisce il risultato di un ampio dibattito giurisprudenziale, che era arrivato a sostenere la confiscabilità di beni anche in caso di morte, quando il presupposto della pericolosità e della indimostrata provenienza dei beni fosse stato già accertato. L’innovazione introduce il concetto di bene in sé, a prescindere dal collegamento con un soggetto pericoloso, ed apre la strada ad ulteriori allargamenti. Allo stato, tuttavia, non sembra possibile applicare misure patrimoniali a soggetti non pericolosi (ad esempio, per carenza di attualità della pericolosità), come invece il legislatore della novella sembra volesse prevedere, essendo rimasto immodificato l'art. 2-ter, che prevede tra i presupposti del sequestro l'indizio di appartenenza (quindi attuale) all'associazione mafiosa>>. (9) L'art. 12, comma 2, lett. e), legge n. 82/91 e succ. modificazioni introdotte dalla legge n. 45/01, impone al collaboratore l'obbligo di specificare dettagliatamente tutti i beni posseduti o controllati, direttamente o per interposta persona, le altre utilità delle quali dispongono direttamente o indirettamente, nonché, immediata mente dopo l'ammissione alle speciali misure di protezione, versare il denaro frutto di attività illecite. L'autorità giudiziaria provvede all'immediato sequestro del denaro e dei beni ed utilità predetti. Il D.M. 24-7-2003, n. 263 (Regolamento recante disposizioni attuative degli articoli 19 e 24 L. n. 45/01) all'art. 2, stabilisce che “per quanto non espressamente previsto dal regolamento, alle procedure previste dagli articoli seguenti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge n. 575 del 1965”. (10) C. Cass. S.U. cc 3-7-96, dep. 17-7-96, sent. n. 18, Rv 205262 – Simonelli e altri. Secondo la Corte la confisca dei beni rientranti nella disponibilità di soggetto proposto per l'applicazione di una misura di prevenzione personale – una volta che siano rimasti accertati i presupposti di pericolosità qualificata del soggetto stesso, nel senso della sua appartenenza a un'associazione di tipo mafioso, e di indimostrata legittima provenienza dei beni confiscati – non viene meno a seguito della morte del proposto, intervenuta prima della definitività del provvedimento di prevenzione. L'orientamento espresso dalle S.U. con la sentenza citata è stato ribadito più volte dalla Corte a Sezioni semplici in altre numerose decisioni fra cui C. Cass. Sez. I, cc 13-11-1997, dep. 26-1-1998, sent. n. 6379, Rv 209556, Di Martino e altri. Nello stesso senso C. Cass. Sez. I cc 24-11-1998, dep. 4-3-199, sent. n. 5830, Rv 212668, Marchese e altri, ove è stato affermato il principio in forza del quale, anche in presenza della morte del soggetto sottoposto, con decreto divenuto definitivo, a misura di prevenzione personale intervenuta anteriormente all'irrevocabilità del provvedimento di confisca dei suoi beni patrimoniali, quest'ultima misura di prevenzione non viene caducata, in quanto, una volta che siano rimasti accertati i presupposti di pericolosità qualificata (nel senso di indiziato o imputato di appartenenza a un'associazione per delinquere di tipo mafioso) e di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, le finalità perseguite dal legislatore non prescindono dalla preesistenza del soggetto e neppure possono ritenersi necessariamente legate alla sua persistenza in vita, dal momento che la "ratio" del provvedimento di applicazione della confisca è quella di colpire con tale misura ablativa beni e proventi di natura presuntivamente illecita per escluderli dal circuito economico collegato ad attività e soggetti criminosi (sempre nello stesso senso, C. Cass. Sez. I, sent. n. 5092, cc 22-9-1999, dep. 28-10-1999, Rv 214427, Calamia e altri; C. Cass. Sez. II, sent. n.1790, cc. 14-4-1999, dep. 8-7-1999, Rv 214130, Fici; C. Cass. Sez. II, sent. n. 20323, cc 16-1-2002, dep. 23-5-2002, Rv. 221556, Di Marco). (11) Così anche G. Pignatone, in op. cit., <<L'uso del termine "proposto" non deve ingannare, non deve cioè far ritenere che è necessario che l'applicazione della misura di prevenzione sia già stata "proposta" nei confronti di un soggetto (ancora) in vita>>. (12) C. Vincenti, in op. cit., pag. 12 dattiloscritto, <<Il richiamato "pacchetto sicurezza" ha inoltre introdotto la possibilità di aggressione dei patrimoni anche nel caso di morte del titolare, purché entro cinque anni dalla morte. Dopo avere enunciato il principio della possibilità di applicare disgiuntamente le misure personali e le misure patrimoniali, senza ulteriori precisazioni, da attuazione al principio soltanto con la previsione appena richiamata, che recepisce il risultato di un ampio dibattito giurisprudenziale, che era arrivato a sostenere la confiscabilità di beni anche in caso di morte, quando il presupposto della pericolosità e della indimostrata provenienza dei beni fosse stato già accertato. La innovazione introduce il concetto di bene pericoloso in sé, a prescindere dal collegamento con un soggetto pericoloso, ed apre la strada ad ulteriori allargamenti>>. (13) Fra questi, C. Vincenti, in nota n. 12. (14) Così C. Vincenti, in op. cit, <<Non può tuttavia negarsi la estensione della inutilizzabilità dettata in funzione della tutela di valori costituzionali ritenuti di rango prevalente o equivalente rispetto ai valori alla cui tutela è orientata la normativa antimafia. Si può in proposito fare riferimento alla previsione generale di inutilizzabilità degli scritti anonimi (art. 240 C.p.p.), degli atti acquisiti in violazione delle garanzie di liberà del difensore (art. 103 C.p.p.), degli elementi raccolti attraverso condotte illegali. Ma, più in generale, la questione della inutilizzabilità va posta distinguendo le ipotesi che certa dottrina processualistica definisce "patologica" rispetto alle ipotesi di inutilizzabilità "fisiologica". La inutilizzabilità patologica è quella che discende dalla modalità illecita di acquisizione della prova (previsione generale di cui all'art. 191 C.p.p.). La inutilizzabilità fisiologica è quella per cui le prove raccolte nella fase delle indagini preliminari non valgono nella fase dibattimentale, improntata al principio del contraddittorio; mentre esplicano tutta la loro efficacia nell'ambito della fase (ai fini cautelari) e nelle fasi successive ove si acceda a riti alternativi. Mentre la seconda non si estende al procedimento di prevenzione, certamente non improntato al principio del contraddittorio nella formazione della prova, la prima si estende al procedimento di prevenzione, non potendosi ammettere che un risultato probatorio frutto di attività non consentita dall'ordinamento possa sortire comunque un effetto pregiudizievole per il cittadino. Mentre quindi non potrebbero essere utilizzate prove acquisite attraverso intercettazioni o perquisizioni illegittime, lo sono ad esempio i verbali di dichiarazioni assunte non in contraddittorio>>. (15) Ancora C. Vincenti, in op. cit. <<Non può tuttavia disconoscersi che la previsione a livello costituzionale del "principio" del contraddittorio… costituisce espressione del recepimento da parte del legislatore costituzionale del risultato della più moderna elaborazione gnoseologica, secondo la quale il metodo del contraddittorio è quello più efficace nella ricerca della verità: poiché il principio non prescrive un modello di condotta, ma indica comunque un atteggiamento da assumere ed un orientamento da seguire, anche in materia di misure di prevenzione bisognerà attribuire maggiore efficacia dimostrativa all'elemento acquisito nel contraddittorio delle parti, rispetto a quello frutto della unilaterale iniziativa di una parte>>. (16) Delitti introdotti dall'art. 7, comma 3, legge 11-8-2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. (17) L'art. 1, comma 220, della legge 27-12-2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), prevede l'inserimento fra i reati alla condanna per i quali consegue la confisca anche i delitti di cui agli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325 c. p.; dopo il comma 2 dell'art. 12-sexies inserisce il comma 2-bis, con il quale viene specificato che <<in caso di confisca di beni per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis e 325 Codice penale si applicano le disposizioni degli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies della legge 31-5-65, n. 575 e succ. modificazioni>>. Orbene, mentre è apprezzabile l'estensione della confisca di cui all'art. 12-sexies legge n. 356/92 e succ. modif. ai delitti contro la pubblica amministrazione, lascia molto a desiderare la tecnica legislativa con la quale è stata redatta la norma. Infatti, la disposizione che regola le gestione e la destinazione dei beni confiscati è già contenuta nel comma 4-bis della norma prima vigente; per cui sarebbe bastato inserire i nuovi delitti nel comma 1 dell'art.12-sexies perché in caso di confisca dei beni del condannato ad essi si applicassero le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati previste dalla legge 31-5-65, n. 575, e successive modificazioni. Le disposizioni richiamate dal comma 2-bis, così come inserito nella disposizione dell'art. 12-sexies, riguardano, invece, esclusivamente la destinazione dei beni confiscati e non anche la loro gestione, regolata invece dagli articoli 2-sexies, 2-septies e 2-octies. Si spera che tale formulazione letterale non induca ad interpretare la norma nel senso che le disposizioni di cui agli articoli 2-sexies, 2-septies e 2-octies non si applicano ai beni confiscati in seguito a condanna per uno dei reati contro la pubblica amministrazione, ai quali invece dovrebbero applicarsi le norme del Codice di procedura penale. (18) Vale la pena notare che nel d.d.l. n. 2180 AC all'art. 29 è prevista la modifica del comma 4-bis nel senso che esso specifica che il riferimento alla legge n. 575/65 contenuto nel testo vigente viene sostituito con il riferimento espresso agli articoli 2-quater, 2-sexies, 2-septies, 2-octies, 2-novies, 2-decies 2-undecies e 2-duodecies della legge n. 575/65, eliminando dunque qualsiasi possibilità di sovrapposizione di norme o di errore nell'interpretazione di esse. È auspicabile che le modifiche proposte vengano accolte dal legislatore. (19) A tal proposito non è fuor di luogo segnalare che nel d.d.l. n. 2180 AC all'art. 29 è prevista la modifica del comma 2-ter nel senso che esso viene riscritto nel modo seguente: <<il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e di altre utilità per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona>>, eliminando dunque qualsiasi riferimento al prodotto, profitto o prezzo del reato, e quindi al vincolo di pertinenzialità. (20) La stessa Corte di Cassazione ( Sez. VI 28-2-1995 – Nevi – Cass. pen. 1997 n. 210) si è espressa nel senso indicato, affermando: << La confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, introdotta con il d.l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito con la l. 8 agosto 1994, n. 501, così come in linea generale, la confisca prevista dall'art. 240 C.p., ha natura di misura di sicurezza patrimoniale e non di pena sui generis o pena accessoria e perciò non si applica ad essa il principio di irretroattività proprio della pena, ma il principio della applicazione della legge vigente al momento della decisione, fissato dall'art. 200 C.p...>>. |