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GNOSIS 4/2008
Una economia globalizzata

USA, UE e Paesi terzi: crisi a 'effetto domino'


Emanuela C. DEL RE


"Sta emergendo il lato oscuro della globalizzazione
ma una via d'uscita esiste,
e una politica basata sui valori
può trovarla"

Giulio TREMONTI, 'La paura e la speranza', Ed Mondadori 2008
(Foto da mediaenvinment.wordpress.com.)


Decine e decine di navi attendono alla fonda nei porti del mondo di essere noleggiate, ma nel porto nulla si muove (1) . È forse questa l’immagine che spiega la crisi finanziaria globale meglio di qualsiasi altra Alcune grandi compagnie di navigazione hanno dichiarato flessioni fino al 30%, rispetto allo scorso anno.
Le materie prime africane si accumulano più velocemente di quanto vengano caricate sulle navi e Suez ha registrato un calo di passaggi del 7%.
A Lagos le navi sono in fila da giorni senza poter scaricare il petrolio e le altre merci di cui sono cariche (2) . Questa, che potrebbe sembrare una metafora, è realtà. L’economia non naviga più a vele spiegate. Eppure, la crisi che sta attanagliando il mondo è nata nelle stanze della finanza e non nelle miniere o nei porti asiatici ed africani.




Origini e storia della crisi finanziaria globale

Si può affermare che l’attuale crisi abbia avuto origine già alla fine degli anni ‘90, quando negli Usa si avvertì l’imminenza di una recessione dovuta allo scoppio della bolla speculativa, che fece precipitare il mercato azionario dei titoli tecnologici.
Per scongiurare la recessione, e limitare i danni, la Federal Reserve decise di abbassare il tasso di sconto. Manovra che rese i mutui più convenienti e incrementò gli acquisti immobiliari facendo, però, salire i prezzi delle case, lasciando intravedere i primi segni di una crisi. Inoltre, milioni di proprietari di case colsero l’occasione per rifinanziare il proprio mutuo, trasformando immediatamente in guadagno la differenza ottenuta tra il tasso più basso e il valore aumentato dell’immobile.
Man mano che il mercato dei mutui cresceva, la qualità e la vigilanza sui mutui stessi calava. Nel 2006, quando i tassi ricominciarono ad aumentare, gli istituti finanziari idearono una pletora di complessi strumenti economici per mettere in circolazione i prodotti a rischio, derivati dalle operazioni immobiliari, e distribuire il rischio sull’intero mercato, guadagnando, allo stesso tempo, sulla vendita di tali pacchetti.
Il primo collasso, nel giugno 2007, fu quello dei due hedge funds (3) di proprietà della Bear Stearns, che aveva pesantemente investito nel mercato dei subprime. Stava accadendo che, con l’aumento dei tassi, i prezzi degli immobili stavano scendendo e, con essi, la possibilità di rifinanziare i mutui a prezzi vantaggiosi. I prodotti derivati, che includevano anche i subprime, o cosiddetti “mutui tossici”, a loro volta contenuti negli hedge funds, stavano crollando, aiutati in questo dal numero eccezionalmente alto di pignoramenti immobiliari in corso di esecuzione.
Nel marzo 2008 la Federal Reserve tenta un salvataggio con un prestito di 30 miliardi di USD alla Bear Stearns che si rivela, però, insufficiente, e così viene acquistata – per soli 10 USD per azione, contro il valore di un anno prima di 133,50 – dalla storica banca JP Morgan. Il prezzo pagato è stato inferiore al valore del solo grattacielo della Bear Stearns. Il seguito è la storia della bancarotta degli altri grandi istituti finanziari: Lehman Brothers, Fannie Mae e Freddie Mac, il gruppo assicurativo American International Group e la Merryl Linch che, per non seguire la stessa sorte, si vende alla Bank of America.
Nel complesso il Governo statunitense ha stanziato 700 miliardi di USD per gli interventi di sostegno al settore bancario ma, nel frattempo, sono andati perduti, solo negli USA, oltre tre milioni di posti di lavoro. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato che per la fine del 2009 verranno persi nel mondo 20 milioni di posti di lavoro (4) .
Secondo il Washington Post, alla base della crisi ci sono anche responsabilità politiche. Che l’importante quotidiano statunitense attribuisce esplicitamente. Nell’articolo intitolato “What went wrong (5) ” (cosa è andato storto), si sostiene che il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, il segretario al Tesoro Robert Rubin e il presidente della SEC (Securities & Exchange Commission) Arthur Levitt, si sono fermamente opposti a qualsiasi regolamentazione dei derivati e affermano inoltre che Greenspan ha tentato attivamente di minare l’operato della Commodity Futures Trading Commission, in particolare sotto la guida di Brooksley E. Born, quando la Commissione ha cercato di avviare la regolamentazione dei derivati. In un suo articolo pubblicato su American Banker, Timothy D. Naegele riporta anche il disappunto di Giulio Tremonti, il Ministro dell’Economia italiano, che afferma: «Greenspan era considerato un maestro. Ora dobbiamo chiederci se non sia stato, dopo Osama bin Laden, l’uomo che ha più ferito l’America (6)
è stato anche molto discusso il fatto che la crisi – peraltro prevista da molti analisti anche con largo anticipo – sia stato il risultato di una sovra-produzione di beni causata dalla globalizzazione. Herman Daly, ad esempio, sostiene che la crisi dipenda da una crescita al di sopra dei limiti ecologicamente sostenibili (7) .
È indubbio che questa crisi ha sollevato questioni anche di ordine etico. I 700 miliardi di USD offerti dall’amministrazione Bush per il salvataggio del sistema finanziario statunitense, hanno suscitato diverse controversie, soprattutto l’impopolarità nell’opinione pubblica che vedeva questo piano come un modo per salvare i colpevoli, mentre l’uomo della strada sarebbe stato lasciato solo a pagare per i propri errori. Non a caso il Congresso, inizialmente, ha rigettato il pacchetto causando onde d’urto in tutto il mondo. C’è voluto un secondo tentativo perché il piano passasse, seppure con emendamenti. Il premio Nobel Joseph Stieglitz ha comunque affermato che il piano è pessimo (8) .
Non sorprende che l’Amministrazione se ne sia uscita con un piano basato su un’economia “colata”: si getta del denaro su Wall Street aspettando che parte di esso coli sul resto dell’economia. È come un paziente che soffre per aver donato una grande quantità di sangue mentre aveva un’emorragia interna: questo non fa nulla per risolvere l’emorragia.
In Europa, a cominciare dalla Gran Bretagna, alcuni Paesi hanno deciso di nazionalizzare del tutto o parzialmente, alcune banche in crisi per ricreare un clima di fiducia. Gli USA hanno dapprima rifiutato questo approccio, perché era contro la visione rigida di mercato libero degli Stati Uniti, ma poi l’amministrazione Bush si è vista costretta a comprare azioni delle banche in crisi. Nonostante il piano da 700 miliardi di USD le banche hanno continuato a mostrarsi riluttanti ad erogare prestiti e questo ha portato la Federal Reserve ad annunciare un altro pacchetto (9) da 800 miliardi di USD alla fine di novembre: di questi, 600 miliardi sono destinati ai titoli ipotecari, mentre 200 miliardi sono destinati a scongelare il mercato del credito ai consumatori. Questo riflette, dunque, come la crisi si è estesa dal mercato finanziario alla “economia reale” ed alle spese dei consumatori.
Gli Stati Uniti si sono già trovati in difficoltà durante l’amministrazione Bush per le sfide poste da Iraq ed Afghanistan e si trovano, ora, ad affrontare una crisi che riguarda la loro leadership globale.
Nel “Trade and Development 2008” (10) , il rapporto annuale della United Nation Conference on Trade and Development (UNCTAD), viene affermato che si sta arrivando ad una recessione globale. La recessione dopo quattro anni di crescita relativamente veloce è dovuta, secondo l’UNCTAD, a un certo numero di fattori: oltre al crollo globale causato dalla crisi finanziaria degli Stati Uniti e al collasso del sistema americano dei mutui immobiliari, vengono presi in esame anche l’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni di consumo, le politiche monetarie sempre più restrittive in alcuni paesi e la volatilità del mercato azionario.
Quello che sorprende della crisi, tuttavia, è che ha colto di sorpresa – nonostante gli allarmi provenienti da più parti – sia il mondo politico sia il settore privato, diffondendosi in tutti gli ambiti. Conseguentemente nel settore privato si è verificata la morte di molte attività commerciali ed una contrazione generalizzata del credito. Un fatto, questo, che secondo alcuni è da imputarsi ad una certa mancanza di lungimiranza, concentrati come si era solo sul breve e medio termine.


La situazione nell'Unione Europea

Uno degli elementi emersi è che questo sistema potrebbe essere accusato di ipocrisia perché basato sulla socializzazione dei costi, privatizzando i profitti allo stesso tempo. Un sistema che naturalmente ha aiutato le istituzioni finanziarie nei guai che, però, erano le stesse che avevano promosso il tipo di politiche lassiste che hanno condotto all’attuale situazione.
Alcuni Governi si sono mossi rendendo più difficile manipolare i mercati con vendite allo scoperto durante la crisi finanziaria, per non peggiorare una situazione già negativa. Altri Governi hanno cercato di rassicurare gli investitori e i risparmiatori affermando che il loro denaro è al sicuro. In diversi Paesi europei, ad esempio, i Governi hanno cercato di aumentare o garantire completamente i depositi dei risparmiatori.
I ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri dell’Unione Europea, riuniti nel consiglio dell’Ecofin, hanno deciso di garantire i depositi bancari dei loro cittadini fino a 50.000 euro. Paesi come l’Irlanda, la Germania, l’Austria e la Danimarca hanno annunciato di voler garantire fino al 100% dei depositi. Dal suo canto, la Commissione Europea auspica di aumentare il tetto dei depositi garantiti da 50.000 a 100.000 euro, assicurando in questo modo la garanzia di circa il 90% di tutti i depositi.
Verso la fine di ottobre 2008 la Banca d’Inghilterra ha affermato che le compagnie finanziarie, a livello globale, hanno perso 2,8 trilioni di USD (11) come risultato della continua crisi del credito. I contribuenti del mondo hanno speso circa 8 trilioni di USD per riparare i danni subiti dai sistemi bancari.
Le autorità tedesche avevano avvertito che l’economia avrebbe potuto subire una contrazione intorno all’1,5% già dal secondo trimestre del 2008, a causa del declino delle esportazioni. L’economia tedesca si è, infatti, contratta non solo nel secondo, ma anche nel terzo trimestre (i dati per il periodo successivo saranno disponibili solo dopo la stampa di questo numero di Gnosis, ma non si aspettano miglioramenti), e la Germania è entrata tecnicamente in recessione (12) . Il governo di Angela Merkel, non senza un acceso dibattito, ha approvato un piano per proteggere l’economia tedesca con uno stanziamento di 50 miliardi di euro (13) : nel più grande tra i Paesi dell’Unione, tuttavia, se in maggio la flessione nella produzione industriale era stimata al 2,4%, gli ordini alle industrie sono precipitati verticalmente nei sei mesi successivi creando, così, la peggior situazione dal 1990 (14) .
In Italia, così come in Grecia, la produzione industriale è calata del 6,6% nell’arco dell’ultimo anno.
L’economia greca però non ha smesso di crescere e continuerà a farlo anche nel 2009: dopo la chiusura del 2008 con un tasso del 3,1%, Eurostat ha previsto una flessione per il 2009 dello 0,6 portandola così al 2,5.
In Italia, tuttavia, la recessione ha avuto inizio nel 2005 (15) . La Fiat ha stabilito una chiusura parziale degli stabilimenti di Torino, Imola, Melfi e Termini Imerese, ricorrendo alla cassa integrazione, a causa della contrazione delle vendite che sul mercato nazionale ha raggiunto il 20% sia nell’ottobre sia nel novembre 2008. Inoltre è stato previsto un piano per aiutare le banche a garantire i depositi e per riavviare il credito. Anche i numeri non sono rassicuranti, con un calo della crescita previsto per il 2009 dell’1,2% (16) .
La Francia ha deciso di concedere una somma considerevole, ovvero circa 40 miliardi di euro, per garantire i prestiti da banca a banca (17) .
La Gran Bretagna ha varato un pacchetto di misure che è stato giudicato particolarmente efficace, basato sull’ambizione di ristabilire la fiducia nel settore bancario. Prevede un programma di 50 miliardi di sterline destinato alla ricapitalizzazione delle banche, ad apportare liquidità e alla garanzia dei prestiti delle banche britanniche. Infatti è la perdita globale di fiducia degli investitori ad essere alla base della situazione attuale e a rendere difficile ogni soluzione. Per arginare la sfiducia ed evitare il crollo, anche nel Benelux si è ricorsi alla nazionalizzazione: la banca Fortis ha ricevuto un’iniezione di liquidità da parte dei tre Paesi di 11,2 miliardi di euro. Fortis aveva fortemente investito in derivati e subprime, dichiarando in gennaio del 2008 di aver perso 1,5 miliardi di euro. Stessa sorte per la Dexia, la seconda banca del Belgio, per la quale Olanda, Belgio e Lussemburgo hanno investito 6,4 miliardi di euro (18) .






La crisi al di fuori dell’Eurozona

Ridurre i tassi di interesse ed abbassare la pressione fiscale sembrerebbe non favorire le banche, poiché con le condizioni favorevoli si incentivano le spese e gli investimenti a discapito del risparmio. In una fase in cui la liquidità del sistema bancario è prioritaria, questa potrebbe anche sembrare un’azione rischiosa, ma il significato di una simile manovra è quello di fornire nuova forza motrice per dare impulso alla circolazione di capitali e, di conseguenza, al consumo e alla produzione. Al centro del sistema economico vi è però il credito, quindi le banche. Senza credito la ripresa sarebbe molto più difficoltosa, perciò l’intervento per evitare il collasso del sistema creditizio è altrettanto importante.La BCE (Banca Centrale Europea) si è associata con le politiche di altre banche centrali, come la FED, le banche centrali della Gran Bretagna, della Svizzera e del Canada sulla base delle direttive per quanto riguarda i tassi. La BCE ha diminuito i tassi d’interesse nella zona Euro.
La concessione dell’aiuto finanziario all’Ungheria di 8,4 miliardi di USD, per esempio, è un fatto senza precedenti nella pratica della BCE, perché è stato erogato ad un Paese che sebbene sia membro dell’UE non è nell’Eurozona. In questo modo l’Unione Europea e la BCE hanno tentato di sostenere le liquidità del sistema bancario di questo Paese e di prevenire la diffusione eventuale delle ricadute della crisi economica ungherese nella regione dell’Europa centrale. L’impatto della crisi sull’Ungheria, infatti, è stato particolarmente violento. Il Paese, che ha il più alto debito pubblico di tutti i 27 membri dell’Unione Europea, ha fondato il suo sviluppo sugli investimenti esteri e sul sistema creditizio che, peraltro, è di proprietà straniera. A causa della recessione diffusa, gli investimenti si sono lentamente ritirati ed il sistema creditizio si è bloccato (19) . Di conseguenza il Fiorino ungherese ha cominciato a perdere terreno sull’Euro, subendo un deprezzamento del 10% nella prima metà del mese di ottobre (20) . Nello stesso periodo il ministro delle Finanze Jànos Veres ha richiesto delle consultazioni con il Fondo Monetario Internazionale alla ricerca di un possibile sostegno. Il 16 dello stesso mese la Banca Centrale Europea ha annunciato un prestito agevolato di 5 miliardi di euro all’Ungheria.
La politica eccezionale adottata dalla BCE in Ungheria ha avuto origine dalla considerazione del rischio che la grave crisi ungherese potesse uscire dai confini magiari e contagiare l’Europa centrale. L’Italia, ma soprattutto l’Austria, hanno forti investimenti nel settore bancario ungherese (21) . Inoltre, Italia e Austria sono fortemente presenti nel settore bancario dei Balcani e, di conseguenza, la crisi ungherese avrebbe potuto avere anche qui serie ripercussioni. Il Primo Ministro ungherese, Gyurcsany, prima dell’intervento della BCE aveva espresso la sua preoccupazione per un collasso del Fiorino (22) . In novembre, il Fondo Monetario Internazionale, ha garantito la liquidità all’Ungheria, con 20 miliardi di euro (23) .
Le economie dei Paesi Baltici (Estonia, Lituania e Lettonia) costituiscono un caso interessante perché fortemente minacciate dalla crisi (24) . Avendo precedentemente raggiunto un tasso di crescita del PIL poco al di sotto dell’11%, l’Estonia e la Lettonia sono oggi in stato di recessione. L’Estonia in particolare, che come l’Ungheria ha basato il proprio sviluppo sugli investimenti esteri e sul terziario, ha anche visto improvvisamente calare drasticamente le esportazioni con la Russia a causa di problemi politico-diplomatici legati al suo vecchio status di repubblica sovietica.
Il Paese che sta soffrendo maggiormente della crisi è forse l’Islanda. La piccola isola ha basato la propria economia quasi interamente sui servizi bancari tra i quali le banche on-line. Il ritiro dei depositi dei risparmiatori stranieri ha gettato il caos tra gli islandesi che hanno dovuto far fronte ad una crisi di liquidità senza precedenti: non c’era più denaro disponibile per loro. Il paradosso è che l’aiuto non è venuto immediatamente dalle istituzioni finanziarie internazionali, ma da un Paese, la Russia, che il 9 ottobre 2008 ha prestato all’Islanda 4 miliardi di USD (25) , proprio nel momento in cui sembrava dovesse scoppiare una crisi diplomatica tra Mosca e Washington per le installazioni antimissilistiche NATO in Polonia e nella Repubblica Ceca (l’Islanda è un Paese membro della NATO).
L’FMI è intervenuto successivamente e ha dichiarato la sua disponibilità ad aiutare i Paesi Baltici così come l’Islanda. Quest’ultima, dopo il deprezzamento della Corona e la nazionalizzazione delle banche, ha cominciato delle negoziazioni con l’FMI per salvare la sua economia e stabilizzare la sua moneta. L’Estonia, la Lituania e la Bulgaria subiscono anche l’impatto dell’aver adottato il currency board. In particolare l’Estonia e la Lituania sono già nel programma ERM2 (Exchange Rate Mechanism 2) il nuovo meccanismo di cambio tra le monete europee e l’Euro in vigore dal 1° gennaio 1999 (terza fase dell’unione economica e monetaria).


Nel resto del mondo

Le attività finanziarie e produttive si intersecano e si intrecciano come a creare una fitta rete che si estende in tutto il mondo. Una rete che si stringe o si allenta in modo più o meno uniforme, avvolgendo anche le economie più lontane. Cina, Giappone, India, solo per citare Paesi ad alto tasso di crescita, devono impiegare anch’essi risorse ingenti per tamponare l’emergenza dovuta alla crisi.
Le previsioni dell’FMI riguardo la Cina per il 2009 – Paese che ha registrato una crescita del 9,5% nel 2008 – dicono che vi sarà una flessione che la farà scendere all’8,2% (26) . Il 9 novembre del 2008 la Cina ha annunciato che avrebbe sostenuto i lavoratori e il consumo stanziando, al tempo stesso, 586 miliardi di USD (4 trilioni di Yuan) per l’aggiornamento delle infrastrutture, in particolare strade, ferrovie, aeroporti e rete elettrica. Le riforme che seguono le misure anti-crisi prevedono anche una riforma dell’agricoltura per incrementare i salari, e un progetto per l’edilizia abitativa e la protezione ambientale. L’ambizioso piano permetterà di introdurre liquidità nel mercato e, al tempo stesso, di rallentare la caduta del tasso di occupazione. Hong Kong, che nel panorama cinese rappresenta il terziario avanzato costruito su servizi, commercio, turismo e finanza, avrà una crescita di appena il 2%, ed il mercato immobiliare ha già perso il 40% del suo valore (27) .
A New Delhi la preoccupazione sembra essere minore che altrove, poiché, grazie alla forte regolamentazione alla quale sono sottoposte le banche indiane, il sistema finanziario nazionale è rimasto sufficientemente isolato dagli effetti dei mutui subprime e dei derivati. Tuttavia, la crisi è arrivata anche in India, la cui crescita economica degli ultimi tre anni si è mantenuta costante al 9%, con una flessione al 6,8% nel 2008 e una previsione per il 5,5% per il 2009. Il governo indiano contribuirà con 4,5 miliardi di USD a risollevare il sistema finanziario per aiutare gli esportatori (28) . Il commercio estero con gli altri paesi asiatici sta, però crescendo, e alcuni analisti sostengono che ciò aiuterà a ridurre l’impatto negativo della crisi. Se il commercio indiano sopporta bene la crisi, altrettanto non si può dire del Giappone, che ha visto calare le esportazioni verso USA ed Europa del 15,4%. I maggiori creditori della fallita Lehman Bothers, inoltre, sono due banche giapponesi (29) .



Ottimismo

Da molti è stato salutato come il protagonista dell’auspicato cambiamento e lui, Barack Obama, quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti, è arrivato alla Casa Bianca con il fardello della speranza di milioni persone. Speranza che vengano imposti limiti severi alle speculazioni perché non si abbiano a ripetere altre crisi così profonde. A pochi giorni dal suo insediamento, ha detto al popolo americano in un discorso sull’economia: ”Proprio il fatto che la crisi sia ampiamente imputabile al nostro stesso agire significa che non è al di là delle nostre possibilità risolverla. I nostri problemi hanno radici in errori commessi in passato, non la nostra capacità di futura grandezza” (30) . Di questo ottimismo ne ha davvero bisogno tutto il mondo perché, come abbiamo visto, la recessione si nutre di pessimismo.


(1) "Global crisis hits shipping hard", in: Ship Chartering, 6 dicembre 2008, in: http://shipchartering.blog-spot.com/2008/12/global-crisis-hits-shipping-industry.html (ultimo accesso: gennaio 2009).
(2) "Crisis in Lagos porta s 65 ships queue to discharge", in: Business Today, 1 gennaio 2009, in: http://www.businessdayonline.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2173:crisis-in-lagos-ports-as-65-ships-queue-to-discharge&catid=85:national&Itemid=266 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(3) Hedge funds o fondi speculativi. Non esiste una precisa definizione giuridica del termine hedge funds e limitarsi alla semplice definizione di "fondi di investimento che utilizzano tecniche di copertura" può essere fuorviante. ll termine anglosassone "hedge" significa letteralmente copertura, protezione e, in effetti, questi fondi nascono proprio con l’intento di gestire il patrimonio eliminando in gran parte il rischio di mercato. Gli hedge funds sono fondi d’investimento che hanno lo scopo di ottenere risultati di gestione positivi, indipendentemente dall’andamento dei mercati finanziari in cui operano.
(4) "Financial crisis to cost 20 mn jobs" in: Expressindia, ottobre 2008, in: http://www.expressindia.com/latest-news/Financial-crisis-to-cost-20-mn-jobs-UN/376061/ (ultimo accesso: gennaio 2009).
(5) A. Faiola, E. Nakashima, J. Drew, "What Went Wrong", in Washington Post, 15 ottobre 2008, in: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2008/10/14/AR2008101403343.html?hpid=topnews&sid=ST2008101403344&s_pos= (ultimo accesso: gennaio 2009).
(6) "Viewpoint: Greenspan’s Fingerprints All Over Enduring Mess" in: American Banker. 17 ottobre 2008, in: http://www.americanbanker.com/article.html?id=20081016X2P0WWQ8 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(7) Cfr.: http://www.reuters.com/article/newsOne/idUSTRE49M58W20081024?pageNumber=1&virtualBrandChannel=0 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(8) "Nobel Laureate Joseph Stiglitz: Bail Out Wall Street Now, Change Terms Later" , in: Democracy Now!, 2 ottobre 2008, in: http://www.democracynow.org/2008/10/2/nobel_laureate_joseph_stiglitz_bailout_wall (ultimo accesso: gennaio 2009).
(9) "EU Proposes E. 200 Billion Stimulus Plan", in: Business Week, 4 ottobre 2008, in: http://www.businessweek.com/globalbiz/content/nov2008/gb20081126_365422.htm (ultimo accesso: gennaio 2009).
(10) Cfr.: http://www.unctad.org/Templates/WebFlyer.asp?intItemID=4579&lang=1(ultimo accesso: gennaio 2009).
(11) "World credit loss ‘£1.8 trillion’’, in: BBC, 28 ottobre 2008, in: http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/7694275.stm (ultimo accesso: gennaio 2009).
(12) "Germany officially in recession as OECD expects US to lead recovery", in: The Guardian, 14 novembre 2008, in: http://www.guardian.co.uk/world/2008/nov/14/oecd-recession-germany-inflation-deflation (ultimo accesso: gennaio 2009).
(13) "Germany agrees on 50-billion-euro stimulus plan", in: France 24, in: http://www.france24.com/en/ 20090106-germany-agrees-new-50-billion-euro-stimulus-plan 6 gennaio 2009 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(14) "German Economy Enters Worst Recession in 12 Years", in: Bloomberg 13, novembre, 2008, in: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601068&refer=home&sid=asVhpVLebe1Q (ultimo accesso: gennaio 2009).
(15) "Italy officially in recession", in: The Times, 10 novembre 2008, in: http://www.thetimes.co.za/ Business/BusinessTimes/Article1.aspx?id=902545 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(16) "Recession warnings ruffle Europe as Germany and Italy stall", in: Daily Telegraph, 11 luglio 2008, in: http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/transport/2792901/Recession-warnings-ruffle-Europe-as-Germany-and-Italy-stall.html (ultimo accesso: gennaio 2009).
(17) "France officially in recession", in: Financial Times, 4 ottobre 2008, in: http://www.ft.com/ cms/s/0/
513d6760-91ac-11dd-b5cd-0000779fd18c.html (ultimo accesso: gennaio 2009).
(18) Ben Shore, "BBC NEWS | Business | Fortis is ‘keystone’ European bank", in: News.bbc.co.uk, 28 settembre 2008, in: http://news.bbc.co.uk/2/hi/business/7640247.stm (ultimo accesso: gennaio 2009).
(19) F. Gustincich, "Dopo l’Islanda, Budapest verso il crack?" in: Liberal, 17 ottobre 2008, pag. 14.
(20) Crf.: http://www.boursorama.com/international/actu_intern_index.phtml (ultimo accesso: novembre 2008).
(21) Cfr.: http://www.stratfor.com/analysis/20081020_hungary_hungarian_financial_crisis_impact_austrian _banks.
(22) Cfr.: http://www.eubusiness.com/news-eu/1225823530.76 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(23) Riportato in AlJazeeraEnglish, 19 novembre 2008, in: http://www.youtube.com/watch?v=FqbHk4Zhh6U (ultimo acceso: gennaio 2009).
(24) D. Mardiste, "UPDATE 3-Estonia follows Denmark into recession in Q2", in: Reuters, 13 agosto 2008, in: http://www.reuters.com/article/rbssBanks/idUSLD17989220080813 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(25) F. Gustincich, op.cit..
(26) "Rapidly Weakening Prospects Call for New Policy Stimulus", in: IMF, 6 novembre, 2008, in: http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2008/update/03/index.htm (ultimo accesso: gennaio 2009).
(27) J. Chan, "Hong Kong enters recession", World Socialist Web Site, International Committee of the Fourth International, 21 novembre 2008, in: http://www.wsws.org/articles/2008/nov2008/hong-n21.shtml (ultimo accesso: gennaio 2009).
(28) L. K. Jha "‘India could benefit from global economic meltdown’", in: Hindustan Times, 15 novembre 2008, in: http://www.hindustantimes.com/StoryPage/StoryPage.aspx?sectionName=HomePage&id=1cfb09f7-2c83-4826-9e04-b18fc10dafed&&Headline=%27India+could+benefit+from+global+economic+meltdown%27 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(29) E. Kaiser, "Lehman fallout threatens deeper wider recession", in: Reuters, 16 settembre 2008, in: http://in.reuters.com/article/businessNews/idINIndia-35488720080915 (ultimo accesso: gennaio 2009).
(30) "The very fact that this crisis is largely of our own making means that it is not beyond our ability to solve. Our problems are rooted in past mistakes, not our capacity for future greatness", in: "Obama’s speech on economy”, 8 gennaio 2008, in: The New York Times, in: http://www.nytimes.com/2009/01/08/us/politics/08text-obama.html (ultimo accesso: gennaio 2009).

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