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GNOSIS 4/2008
Giuseppe SETOLA
la violenta deriva dei Casalesi


 articolo redazionale

 
Sulla Domiziana il mare s'affacciava con la sua brezza spumosa di speranza, le vie erano allegre di traffici e la vocazione d'emporio dava un futuro a queste terre di mezzo, destinate ad intermediare e far fluire le rotte del potere e dell'economia tra il centro romano e la Campania felix.
Di quei tempi la storia ha disperso le orme, coprendole di polvere e di cemento che oggi dilaga dove un tempo l'onda giocava con la battigia.
In auge per la mafiologia letteraria, poesia del male di vivere di questi lidi ascosi e per la cronaca nera che qui trae motivi e fonte d'ispirazione quotidiana, la Domiziana moderna racchiude, nei suoi argini indefiniti e sfuggenti, i passi dell'evoluzione del cartello dei casalesi, dèmone camorristico che ha resistito ai decenni di indagini e di successi di polizia, rinnovandosi come l'Araba Fenice sulla cenere di momentanee disfatte.
La Domiziana, quindi, e l'intera zona dei "Mazzoni" costituiscono l'epicentro del fenomeno mafioso più resistente e più contraddittorio del Meridione, in cui le vulnerabilità sociali e i tradimenti delle aspettative di crescita hanno suggerito alchimie e precipitati illegali di esponenziale carica eversivo-criminale. I casalesi entrano nel gotha del panorama camorrostico agli inizi degli anni '80, sulla scia del boss Antonio Bardellino che, dopo essersi associato a Cosa Nostra, riesce a trasferire la tradizione mafiosa siciliana nel casertano e a far dura fronda allo strapotere cutoliano sino ad affermarsi, egemone, quale catalisi di una camorra imprenditrice, veleno profondo nelle viscere dello sviluppo locale. L'economia diventa il teatro prediletto delle azioni del Bardellino, non più solo predone antico o parassita estorsivo, ma principe di una industriosità deviata che vuole "ripulirsi" e, con diretto ingegno, diventare mercato.
È dai quei geni lontani che deriva la capacità d'impresa dei casalesi, la promiscuità e l'ambiguità di certa economia guasta, la disponibilità di imprenditori vestiti con il denaro illecito e inviati ambasciatori di nuova concorrenza, anche in aree lontane da quella d'origine.
L'intelligenza del Bardellino, furiosa e salottiera, inaugura il cliché che ancora oggi contraddistingue i novelli boss casalesi. Essi conservano la voluttà della violenza, unica voce ascoltata in una terra affollata di clan da coordinare e ordinare, e l'ebbrezza da colletto bianco, soprattutto se tesa al successo d'impresa, che sfugge alle parodie di certa agiografica camorra e assume efficiente profilo economico nei mercati locali, nazionali e transnazionali. Eppure questa macchina rodata e pronta ad espandersi, come novello riferimento mafioso per tutta la Regione, ha in sé il germe distruttivo dell'ambizione e del tradimento. Quando Cutolo ormai è larva tra le sbarre arrugginite e feticcio di sconfitta, i casalesi scontano l'arroganza e s'ammaliano di gelosie e di pretestuose attese di potere che nel cartello innescano conflitti subdoli e violenti.
è il regicidio il destino avverso dei casalesi. Bardellino, nel lontano e ricco ozio sudamericano, è ucciso dai suoi gregari diretti dal vice Mario Iovine.
Più tardi, le sue mani assassine non frenano il pugnale di altri Bruto, ad Oporto, che fonderanno sul tradimento l'attuale profilo del cartello: Schiavone, Bidognetti, Diana, questo ultimo “poi” eliminato per la sua urgenza di autonomia.
Non meraviglia, quindi, lo scontro finale tra gli Schiavone e i Bidognetti, entrambi mossi dalla volontà di prevalere all'interno del cartello che, pur conservando la tradizionale identità, inizia a sprofondare in sottese logiche di separazione.
Tra queste sverze crescono nuovi volti e si convertono quelli più antichi, come Zagaria, pronti al tradimento, ad occupare spazi vuoti, a mediare, talvolta, solo per utilità. S'apre una nuova stagione di confronti.
I leader storici vengono arrestati, alcuni parenti tradiscono e l'infamia macchia l'onorabilità mafiosa dei ceppi genealogici tradizionali, offrendo occasioni di rivendicazioni e di scalata alla vetta del cartello da parte di soggetti che si ritengono più adeguati.
Da maggio nei Bidognetti iniziano a pagar il conto i circuiti parentali dei boss.
Stupisce la violenza. Eccessiva. Ipertrofica.
Il gotha è in carcere. Gli effetti temuti dell'operazione Spartacus diventano reali, ingombranti, pesanti sulla sempre più leggera architettura del gruppo. Il processo, infatti, inesorabile, s'avvia a conclusione e sulla scorta delle dichiarazioni di vittime e pentiti sono inferti duri anni di condanna. Il gruppo s'affida al coraggio disinibito di un nuovo demone casalese: Giuseppe Setola, finto cieco o forse accecato da straripante rancore e ancora forte di strette reti collusive e della voglia di traghettare il sodalizio dall'ignominia a nuovo temibile rispetto.
è proprio il terrore la nuova frontiera del gruppo.
Terrore ispirato dal folle desiderio di vendetta contro i pentiti, contro i ribelli del pizzo, contro i voltagabbana.
Ce n'è anche per i gruppi stranieri che colorano l'area domiziana e che, un tempo sfruttati nello spaccio, iniziano a tracimare.
Non è scontro etnico.
è indiscriminata azione di recupero del pieno controllo del territorio, con il sostegno degli amici, anche extracomunitari, contro chiunque, anche straniero.
Il 18 agosto, tuttavia, lo scontro dei Setola assume contorni caotici, provocando quell'allarme sociale insostenibile che accelera le reazioni sedimentate dello Stato.
L'omicidio di Antonio Celiento, vicino agli Schiavone, e la strage di Castel Volturno ai danni di sei extracomunitari, rendono il gruppo un pericolo anche per i casalesi.
Gli arresti numerosi isolano il boss Giuseppe Setola e rischiano di emarginarlo all'interno. Rispetto alle scelte strategiche dei setoliani, le altre articolazioni casalesi (specie quelle facenti capo ai noti latitanti Zagaria e Iovine) potrebbero rimodulare le loro posizioni, approfittando dei recenti esiti investigativi per ripristinare assetti più equilibrati e di favore.
Il cerchio casalese non è chiuso, ma si restringe.
La maledizione del tradimento subdola s'insinua nel cartello.
Setola basterà al suo clan?
Greve, la Domiziana veleggia come un girone dantesco su se stessa come una trottola che non spunta…
A Caserta i boss non smettono la loro ombra assassina.



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