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GNOSIS 4/2008
RECENSIONI

Da Roma alle Twin Towers
come cambia l'Intelligence


Alain CHARBONNIER

I Romani non amavano le spie e nella storia degli anni della Repubblica, da Tito Livio in poi, si parla poco degli agenti segreti di Roma. Ancora oggi è difficile distinguere quello che i romani raccontano da quello che effettivamente fecero. Ci ha provato Rose Mary Sheldon, professoressa al Virginia Military Institute, con il suo “Guerra Segreta nell’Antica Roma”, dove racconta come funzionarono, o non funzionarono, e per chi lavoravano i servizi segreti dei Romani. Con il suo quarto libro sulle spie, “Storia degli 007 dall’Era Moderna a oggi”, l’ambasciatore Domenico Vecchioni delinea la nascita dei moderni servizi segreti e il loro evolversi, fino ai giorni nostri. Interessante il percorso che va dagli anni dello spionaggio affidato alle macchine e al ritorno del “fattore umano”, fino a profetare la necessità di una collaborazione fra “servizi” a fronte dei nuovi e incombenti pericoli.
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Mentre i Romani si preparavano alla guerra contro la Lega Latina e i suoi alleati fuoriusciti da Roma, al seguito dei Tarquini, in Cina Sun Tzu nel trattato “L’Arte della Guerra” insegnava come organizzare un’efficiente rete di informatori clandestini e indicava nello spionaggio lo strumento indispensabile per vincere una guerra. Era il 500 Avanti Cristo. Spie e informatori erano comunemente impiegati già nell’antichità classica, ma con la nascita degli stati nazionali, dal XVII secolo in poi, i servizi di spionaggio e controspionaggio diventano strutture permanenti, vere e proprie istituzioniuasi in contemporanea, singolare coincidenza, sono apparsi in libreria due volumi molto interessanti: Rose Mary Sheldon “Guerra Segreta nell’Antica Roma”, 478 pagine, Libreria editrice Goriziana, Gorizia, e Domenico Vecchioni “Storia degli 007 dall’Era Moderna a oggi”, 190 pagine, Editoriale Olimpia, Firenze.
Professoressa al Virginia Military Institute, Rose Mary Sheldon ha studiato con attenzione l’impiego dell’“intelligence” da parte dei Romani, dall’epoca repubblicana al declino dell’Impero.
Ambasciatore italiano a Cuba, Domenico Vecchioni è già noto ai nostri lettori. Autore prolifico, ha completato il lavoro iniziato con “Spie. Storia degli 007 dall’antichità all’era moderna”, pubblicato nel 2007.
 

Per certi versi l’opera della Sheldon e quella di Vecchioni si possono definire complementari. Entrambe consentono un approccio corretto alla comprensione del mondo dell’intelligence attraverso il tempo e, soprattutto, di come i governi hanno apprezzato o disprezzato, ma sempre utilizzato, le “spie”.Roma si era appena affacciata all’orizzonte della Storia e già Sun Tzu scriveva delle spie: “chi non è profondamente saggio non le può utilizzare, chi non è giusto e umano non può farle agire, chi non è sottile e astuto non può ottenere la verità”.A due secoli e mezzo dalla fondazione di Roma, non ancora avvezzi alle sottigliezze dei grandi pensatori, piccoletti, mentalità contadina, capaci di inganni e scaltrezze più da briganti che da condottieri, alieni dai contorcimenti intellettualistici che impareranno con la conquista dell’Oriente, i romani andavano subito al sodo: le legioni in ordine chiuso affrontavano e sbaragliavano in campo aperto qualsiasi nemico. Era la forza la loro carta vincente. Finché il nemico stava al gioco e ribatteva colpo su colpo in campo aperto.
Non c’era posto per lo spionaggio, inteso come attività organizzata. Ai Romani bastavano poche, essenziali, informazioni: dov’era il nemico, quanto era numeroso, dove affrontarlo. Aruspici e divinatori dicevano la loro, dei e semidei davano una mano. Gli storici raccontavano le “res gestae” dei condottieri vincitori, ma si guardavano bene di parlare dell’attività di intelligence messa in campo. Ancora oggi è difficile distinguere in questa fase il Mito dalla Storia, ciò che i Romani raccontano da ciò che effettivamente fecero.
Non è che i Romani in epoca repubblicana non fossero implicati in operazioni di spionaggio e di controspionaggio, sia nei confronti del possibile nemico esterno, sia per individuare eventuali attentati alla “salus reipublicae”.
Per la Sheldon, “i Romani gestivano le informazioni segrete secondo i quattro principi di fondo del ‘ciclo spionistico’ moderno: direzione, raccolta, elaborazione ed analisi, trasmissione”. Ma il “sistema” dello spionaggio non era appannaggio statale, bensì delle tredici grandi famiglie che governavano, di fatto, Roma soprattutto per farsi la guerra fra loro in nome della salvezza della “res publica”. La congiura di Catilina è un esempio di operazione antisovversione che fece di Cicerone l’astro della Repubblica, quando si avviava ormai al crepuscolo.
La fondazione dell’Impero da parte di Augusto comporta la riorganizzazione totale del sistema delle comunicazioni e delle informazioni senza le quali è facile rischiare la catastrofe. La batosta di Teutoburgo rinnovellava le sconfitte della guerra contro i Parti, di pochi anni prima: la carenza, per non dire assenza, di informazioni e l’aver ignorato quelle poche disponibili, avevano propiziato l’umiliazione dell’esercito romano.
Dunque “Servizi” efficienti per combattere i nemici esterni e quelli interni, sventare ribellioni e complotti. I delatores e i vigiles si dimostrarono straordinariamente efficaci per scoprire tentativi di assassinare l’Imperatore e controllare le folle, sempre facilmente soggette alla sobillazione.
E, in nome della sicurezza del principe e dell’impero, la libertà già compromessa cessò di esistere del tutto.
Ma nella Roma tardorepubblicana con compiti di spionaggio vero e proprio e di interventi da “servizio d’azione”, per dirla alla francese, operavano gli exploratores e gli speculatores, dalle orecchie attente e dalla spada pronta, prima per conto di comandanti in campo, poi dei triumviri. Fra il I e il III secolo Dopo Cristo nella storia romana si trovano tracce di un altro tipo di spie: i frumentarii. Con Domiziano è ufficialmente affidato loro il compito di raccogliere informazioni, recapitare messaggi, arrestare persone, attuare le disposizioni imperiali. Inoltre, hanno “licenza di uccidere”. Diventati invisi alle popolazioni e alle stesse autorità, a causa dei loro arbitri, i frumentarii furono formalmente sciolti da Diocleziano. Ma l’Impero aveva bisogno dei loro servizi e nacquero così gli agentes in rebus, che si rivelarono molto più temibili dei predecessori.
“I Romani non erano né migliori né peggiori degli altri – conclude la Sheldon – nella loro storia millenaria è ovvio che qualcosa non funzionò, a prescindere dall’efficienza dei loro sistemi. Anzi, la longevità stessa dell’Impero Romano testimonia che i servizi segreti di Roma sapevano fare il loro mestiere, ma questo non significa che furono l’unico fattore determinante delle fortune politiche e militari di Roma. Anche le informazioni segrete più tempestive non sono garanzia di successo”.
Dopo la caduta dell’Impero Romano in Occidente, per secoli, non si parlerà più di servizi segreti, anche se non mancarono spie e sicari, al servizio di re e imperatori, comuni e signorie, vescovi e papi. In tempi di guerre di conquista e di guerre di religione, di lotta fra il Papato e l’Impero, di confronto fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, di grandi traffici commerciali, fare a meno delle informazioni era una corsa al suicidio.
Fra il 1500 e il 1600 si delineano in Europa le strutture dei primi “Servizi”, nell’Inghilterra di Elisabetta I e nella Francia di Luigi XIII. Francis Welsingham e il Cardinale Richelieu sono le due grandi menti che pensano a un servizio d’intelligence in senso moderno. Il secondo, però, trova il suo ispiratore e braccio operativo nel frate cappuccino François Clerc du Tremblay, conosciuto come “père Joseph”. Le maglie della sua rete sono costituite dai conventi cappuccini e la Congregazione di Propaganda Fidae da lui creata e diretta diventa uno strumento di penetrazione preziosissimo.
In Spagna, nel 1599, viene istituzionalizzata la figura di “Espia Mayor de la corte y superintendente general de las inteligencia secretas”, con l’incarico di gestire in maniera continuativa le attività di spionaggio e controspionaggio.
Per quanto riguarda l’Europa Centrale, Domenico Vecchioni sottolinea che in epoca moderna Federico II di Prussia aveva al suo servizio delle spie, ma non disponeva di un servizio segreto propriamente detto. Maria Teresa d’Austria, al contrario, disponeva di un servizio segreto, ma non di buoni agenti.
Ma sono i russi, scrive ancora Vecchioni “i primi europei a stabilire un posto di stato dedicato allo spionaggio e al controspionaggio, ponendo così le basi dei servizi che cominciano a formarsi attorno alla nuova figura”.
Dal 1600 in poi i Servizi segreti diventano istituzioni stabili, indispensabili per la sicurezza interna ed esterna degli Stati. E, come tutti, gli organismi vivi, crescono e cambiano con il passare del tempo. Al servizio di re illuminati o di despoti sanguinari, di rivoluzioni libertarie o di imperatori ambiziosi, l’intelligence, intesa nell’accezione più ampia del termine, non si dimostra sempre veramente intelligence o all’altezza dei compiti che le sono affidati.
Sono infinite le storie di grandi spie, di traditori, di “agenti rivoltati”, di “onorevoli corrispondenti” che hanno reso immensi servizi ai loro paesi, per patriottismo o per denaro. Uomini e donne senza volto hanno ascoltato conversazioni riservate, letto documenti segreti, hanno fatto parlare le persone più impensate nel tepore di un letto e nell’impeto della passione, ma anche con le droghe e con le torture, fino ai giorni nostri. Guerre civili, guerre mondiali, Guerra Fredda, terrorismo e controterrorismo hanno avuto e hanno tutt’ora l’intelligence come principale protagonista.
Acronimi come “elint”, “comint”, “imint”, a significare lo spionaggio elettronico, delle comunicazioni e delle immagini, sono tutti riconducibili a “sigint”(Signal intelligence). Insieme, fanno da contraltare a “humint”(Human intelligence), le macchine contrapposte all’uomo, la freddezza e l’asetticità del circuito elettronico a fronte dell’emotività del “fattore umano”.
Domenico Vecchioni, nelle conclusioni del libro, sottolinea come “finita la Guerra Fredda il concetto di nemico si diluisce, o meglio, diventa più difficilmente individuabile”.
Due svolte, nell’arco di meno di vent’anni (la fine del confronto est-ovest e l’11 settembre 2001), hanno imposto un ripensamento dell’intelligence, in funzione delle nuove esigenze di sicurezza.
E lo stesso Vecchioni conclude: “a breve e medio termine le evoluzioni e gli adattamenti necessari alla lotta contro gli incombenti, nuovi pericoli, spingeranno i Servizi verso accresciute collaborazioni, tese a sviluppare la necessaria complementarità fra mezzi tecnici e “fattori umani” e a delineare nuove professionalità e nuovi metodi di lavoro”.



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