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GNOSIS 4/2008
I protagonisti della finanza mondiale

L'economia cinese fra sviluppo e pragmatismo


articolo redazionale


foto Ansa
 
L'attuale crisi finanziaria mondiale si sta caratterizzando anche per il coinvolgimento nel decision-making internazionale di nuovi attori, finora considerati "emergenti". In tal senso, l'Unione Europea ha richiesto alla Cina una partecipazione attiva al contrasto internazionale della crisi ed un impegno nella stesura di nuove norme di comportamento per il sistema finanziario mondiale. Da parte cinese, il Presidente, Hu Jintao, ha sottolineato l'importanza della collaborazione tra Asia ed Europa per entrambe le parti, anche se secondo il Primo Ministro, Wen Jiabao, il contributo che la Cina può dare, oggi, alla crisi globale è vincolato al mantenimento della sua stabilità e del suo sviluppo economico interno. La modalità con cui Pechino intende "partecipare" e "contribuire" alla crisi finanziaria globale è, dunque, nella cautela, nel pragmatismo e nella sostenibilità, alla base delle politiche finora adottate. Priorità è attribuita alla stabilità del sistema economico-finanziario, nell'intento di ridurne la forte dipendenza dall'estero.
Il principale apporto della Cina alla soluzione della crisi finanziaria globale consiste proprio nello spostamento della sua dinamica di crescita dall'eccessiva dipendenza dalle esportazioni verso un livello maggiore di consumi interni. Nel contempo, permane nelle Autorità Centrali di Pechino una forte preoccupazione relativa al rallentamento dell'economia interna.
Un aumento della disoccupazione eleverebbe, infatti, il rischio di disordini sociali. Per questo motivo, è verosimile solo un graduale impegno, anche finanziario, di Pechino nella sua partecipazione al riordino del sistema internazionale, limitato a dichiarazioni generiche e possibiliste che rafforzino la sua influenza politica, concentrando, invece, la sua reale attenzione sulle politiche nazionali efficaci nel conseguimento degli obiettivi macroeconomici interni (politica di gestione del cambio, delle riserve internazionali e di liberalizzazione del settore bancario-finanziario).
Nell'articolo viene analizzata l'evoluzione del sistema bancario-finanziario cinese. Le misure adottate possono essere ritenute indicative della volontà della Cina di risolvere le fragilità interne per poter affrontare con più sicurezza una crisi esogena. A fronte di una scelta partecipativa di Pechino alle "grandi decisioni del mondo", assume importanza, infatti, anche il suo senso di "responsabilità globale", che è influenzato dalla solidità dei suoi fondamentali economici interni.


L’attuale crisi finanziaria mondiale si sta caratterizzando non solo per la modifica nella distribuzione della ricchezza mondiale, ma anche per il coinvolgimento nel decision-making internazionale di nuovi attori, finora considerati “emergenti”. In particolare, l’Unione Europea ha evidenziato il ruolo della Cina con la proposta di una maggiore partecipazione di Pechino nelle decisioni finanziarie internazionali (1) . Nella ricerca di una risposta globale coordinata, il Presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso, ha chiesto a Pechino un impegno a partecipare attivamente sia al contrasto degli squilibri economici mondiali sia alla stesura di nuove norme di comportamento per il sistema finanziario mondiale.
A questa richiesta di Barroso hanno fatto eco le dichiarazioni del Primo Ministro Wen Jiabao, in occasione sia del World Economic Forum di Tianjin (27-28 settembre 2008) sia del VII Asia-Europe Meeting (ASEM) di Pechino (23-24 ottobre 2008) (2) , nelle quali si sottolineava che il “contributo maggiore che la Cina può dare alla crisi economica globale è di mantenere la sua stabilità e lo sviluppo economico interno”. A Wen sono seguiti, dapprima, il Vice Governatore della Banca Centrale, Yi Gang (“parteciperemo con impegno all’attività di salvataggio di questa crisi finanziaria”), poi il Presidente cinese Hu Jintao, il quale ha reiterato la disponibilità della Cina ad una collaborazione costruttiva e attiva, sottolineando come la collaborazione Asia-Europa, nelle attuali circostanze, rappresenti “un’opzione win-win per i due continenti”.
Il dialogo diretto Europa-Cina, qualora sfociasse in posizioni congiunte sulla gestione e sul futuro assetto dei mercati finanziari internazionali, attribuirebbe loro un vantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti, nel delicato momento di passaggio delle consegne a Washington che non consente al nuovo Presidente, Barack Obama, di assumere posizioni forti. Per l’Europa si tratterebbe di veder confermate le proposte di maggiore regolamentazione del sistema bancario e delle società di rating, di maggiore coordinamento internazionale e di un ruolo più incisivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) affinché, avendo a disposizione maggiori risorse, possa intervenire in situazioni di emergenza. Per la Cina, che fa leva sul contributo che il suo potenziale enorme apporto di liquidità può dare e sull’influenza della sua economia a livello globale, si tratterebbe di vedere riconosciuto un ruolo importante nella governance dell’FMI.
La modalità con cui Pechino intende “partecipare” e “contribuire” alla soluzione della crisi finanziaria globale è insita nella posizione “cauta, pragmatica e sostenibile” espressa più volte dalle sue Autorità. La precedenza è attribuita alla stabilità del proprio sistema economico-finanziario (assicurandosi una crescita minima dell’8%) ed alla garanzia di assistenza a livello regionale (per beneficiare di effetti espansivi di ritorno). La Cina è consapevole del rischio di disordini sociali che un rallentamento sistemico ed un aumento della disoccupazione potrebbero causare al suo interno e difficilmente si esporrà in maniera eccessiva nella sua attività in ambito internazionale.
Pechino rappresenta uno dei Paesi più “corteggiati” e, nello stesso tempo, “temuti” dall’Occidente per le sue capacità patrimoniali di investimento estero, la sua enorme disponibilità di liquidità e l’ingente quantità di riserve internazionali amministrate dalla sua Banca Centrale, la People’s Bank of China. Per la maggior parte dei Paesi occidentali, la Cina rappresenta sia un’opportunità (per il potere finanziario a sua disposizione per investire sia direttamente che indirettamente) sia una minaccia (per le leve di potere che possono essere tratte da questa forza finanziaria, a livello strategico, politico ed economico).
Comunque sia, a fronte di una scelta partecipativa di Pechino alle “grandi decisioni del mondo”, assume importanza, al di là della sua forza economica, anche il suo senso di “responsabilità globale”, che è influenzato dalla solidità dei suoi fondamentali economici interni. Tra questi, analizzeremo il sistema bancario-finanziario nazionale, dato il suo ruolo primario nel garantire il necessario equilibrio tra risparmi ed investimenti.


La ristrutturazione del sistema bancario in Cina

Nel regime di economia pianificata, il sistema bancario-finanziario cinese è stato caratterizzato da un controllo pervasivo da parte dello Stato che, garantendo un’ampia quota di finanziamento bancario a società pubbliche (c.d. State-Owned Enterprises, SOE), a prescindere dalla loro profittabilità, ha contribuito ad alimentare la fragilità del sistema.
La priorità accordata ad esigenze politiche e sociali e la scarsa competitività delle società pubbliche – comprese le banche – hanno accresciuto le rigidità del sistema, già rappresentate dalla sottocapitalizzazione, dalla assenza di best practice e dalla inadeguatezza nell’analisi dei rischi. Di particolare gravità si è rivelata la corsia preferenziale concessa alle SOE, sostenuta anche attraverso un’informazione generalmente incompleta sulle passività di queste ultime, facendo figurare il prestito come un’opzione a rischio contenuto. La debolezza finanziaria delle SOE – da sempre considerate le principali clienti delle banche – e la presenza nei bilanci di prestiti con “denominazione speciale” (ossia classificati come esigibili ma nei quali le condizioni del mutuatario erano deteriori) ha avuto un ruolo determinante nell’aggravare le problematiche del sistema finanziario e bancario cinese.
I primi risultati di questa fragilità del sistema sono stati principalmente l’aumento del rapporto tra prestiti insolventi e prestiti totali (c.d. Non-Performing Loans -NPL- ratio), il deterioramento quali-quantitativo della redditività del sistema bancario, nonché una debolezza diffusa nella corporate governance degli istituti di credito cinesi.
L’alterazione progressiva del sistema ed il dover fronteggiare nuove esigenze di mercato – interno e internazionale – tra cui l’esigenza di adeguamenti normativi necessari all’adesione nel dicembre 2001 alla World Trade Organisation (WTO) hanno richiesto, sin dalla prima metà degli anni ’80 (3) , una massiccia ristrutturazione del sistema bancario con l’obiettivo di incrementare l’efficienza degli istituti di credito e di introdurre incentivi per preparare l’uscita dello Stato dal capitale, affrancando gradualmente le banche dal ruolo tradizionalmente subordinato alla pianificazione centrale.
Con la riforma del 1983, il circuito bancario-finanziario cinese ha iniziato ad essere il canale primario di finanziamento dell’intero sistema economico, portando all’istituzione di un two-tier system, con la Banca Centrale, da una parte e le banche ordinarie, dall’altra (4) . Le banche ordinarie vennero divise in quattro gruppi:
1) banche commerciali di Stato (c.d. State-Owned Commercial Banks -SOCB- o “Big Four”), ciascuna delle quali con il proprio ruolo specifico: la Industrial and Commercial Bank of China - ICBC- specializzata in finanziamento di capitale infrastrutturale ad industrie statali; la Bank of China - BOC - specializzata in finanziamenti commerciali e transazioni in valuta; la Agricultural Bank of China - ABC - specializzata in prestiti al settore agricolo; e la China Construction Bank - CCB - specializzata in finanziamenti a capitale fisso (in particolare costruzioni) (5) ;
2) banche di interesse nazionale(c.d. policy bank), erogatrici di prestiti in base ai piani di politica industriale impiegando fondi provenienti da bilanci statali (tra queste, la State Development Bank of China, l’Import-Export Bank of China, la Agricultural Development Bank of China);
3) banche commerciali costituite in forma di società di capitali (c.d. second-tier commercial banks o Joint Stock Commercial Banks), con bilanci generalmente più sostenuti in termini di qualità degli asset e di profittabilità e con un NPL ratio molto più basso rispetto alle “Big Four” (tra queste, laBank of Communications, la CITIC Bank, la China Investment Bank, la China Everbright Bank, la Hua Xia Bank, la China Minsheng Bank, la Guangdong Development Bank, la Shenzhen Development Bank, la China Merchants Bank, la Shanghai Pudong Development Bank e la Fujian Industrial Bank);
4) 190 City Commercial Banks e 40.000 banche rurali locali o di credito cooperativo rural tra cui, la più importante, la Rural Credit Cooperative of China con 30.000 filiali, dedicate a sostenere lo sviluppo rurale.
Con la prima riforma, il minore controllo da parte del Governo sul settore bancario permetteva alle banche di godere di maggiore autonomia nelle proprie iniziative. La nuova Legge Bancaria del 1995 fu emanata per consentire al sistema bancario cinese di iniziare un processo concreto di rafforzamento dei bilanci patrimoniali delle banche commerciali e delle banche di interesse nazionale, in particolare, con il trasferimento – per quanto riguarda le SOCB – di una parte cospicua di Non-Performing Loans (NPL) a società di gestione statali (6) .
Nel 1999 vennero create quattro società di gestione, le c.d.Asset Management Company (AMC), una per ciascuna delle quattro SOCB (7) con la missione di agevolare la “ristrutturazione” degli NPL. Queste società vennero poste sotto la supervisione della Banca Centrale cinese, della China Banking Regulatory Commission -CBRC-, della China Securities Regulatory Commission -CSRC-, nonché del Ministero delle Finanze. Contestualmente, furono ceduti circa 169 miliardi di dollari di NPL dalle “Big Four” alle AMC che, a loro volta, emisero obbligazioni ottenendo dalla Banca Centrale finanziamenti e garanzie per il rimborso degli interessi sui prestiti obbligazionari.
La Cina si è resa conto dell’importanza di risolvere il problema degli NPL, con la crisi finanziaria asiatica del 1997-98. L’istituzione delle AMC è stata la prima misura concreta per operare la “rimozione” ed il “riciclaggio” degli NPL ed avviare in parte la ricapitalizzazione delle banche statali (8) . Tuttavia, i trasferimenti di NPL alle AMC non ne hanno eliminato la presenza nel sistema: essi risultano, tuttora, nei bilanci delle banche commerciali, in quelli delle AMC, di istituzioni bancarie non commerciali e istituzioni finanziarie non bancarie.
Le AMC (che appartengono al Ministero delle Finanze) sono le istituzioni meno trasparenti, in assoluto, del sistema finanziario cinese. Enormi organizzazioni finanziarie la cui contabilità non è pubblica e che, non essendo soggette ad auditing esterno, non sono obbligate a comunicare la disponibilità di NPL assorbiti e quali procedure e meccanismi stiano usando per collocarli (9) .

foto Ansa
 

Gli NPL sono stati acquisiti dalle banche al “book value” (o face value), ossia senza una procedura di sconto cambiario. L’acquisto è stato operato, in parte, in contanti (prestati alle AMC dalla Banca Centrale), in parte, mediante obbligazioni emesse dalle AMC (attraverso il Ministero delle Finanze) per essere sottoscritte dalle banche. L’uso parziale di debiti per pagare i prestiti significava però che le banche erano ancora esposte ai rischi di credito delle AMC (equivalenti al valore originale dello scoperto degli NPL). Per ovviare a questo problema, la Banca Centrale ha garantito le obbligazioni delle AMC accollandosi, a quel punto il rischio di credito (10) .
Questi passaggi sono avvenuti tutti nell’ambito di istituzioni riconducibili al Ministero delle Finanze, dunque senza costi di transazione e hanno semplicemente trasferito il rischio di credito, insito negli NPL, dalle banche ordinarie alla Banca Centrale tramite le AMC (e, quindi, il Ministero delle Finanze). Il risultato del processo è stato uno straordinario rafforzamento dei bilanci delle banche ordinarie, mentre le AMC, che secondo i piani dovevano avere una vita di 10 anni, hanno visto la loro durata estendersi e la loro missione e funzionamento allargarsi ad obiettivi più commerciali (11) .
Dal 2003 le Autorità di Pechino hanno avviato un ulteriore piano di risanamento, basato su modifiche nella struttura proprietaria delle banche e su miglioramenti negli incentivi, nella gestione e nei sistemi di controllo interno. La nuova organizzazione ha subordinato qualsiasi decisione di rifinanziamento alla vigilanza bancaria, funzione trasferita dalla Banca Centrale alla China Banking Regulatory Commission (CBRC), ufficialmente costituita a fine aprile 2003.
Tra il 2003 e il 2005, la Banca Centrale ha impiegato 60 miliardi di dollari in un piano di ricapitalizzazione (12) di tre delle quattro banche commerciali di Stato (la BOC (13) e la CCB hanno ricevuto, rispettivamente, ciascuna 22,5 miliardi di dollari alla fine del 2003, mentre la ICBC ha ricevuto 15 miliardi di dollari nell’aprile 2005), diventando azionista di maggioranza di ciascuna di esse.
Per quanto riguarda l’ABC (unica tra le “Big Four”ad oggi non ancora quotata), il 21 ottobre scorso il Consiglio di Stato ha approvato un piano di rifinanziamento di 19 miliardi di dollari (14) . Il 1° novembre successivo l’operazione è stata completata con un accordo in base al quale, dopo l’aumento di capitale, il Central Huijin (15) e il Ministero delle Finanze detengono entrambi il 50% della ABC (16) . Per migliorare la struttura del capitale (nel suo bilancio sono presenti NPL pari a circa 115 miliardi di dollari), è stata prevista anche l’emissione di obbligazioni subordinate (17) per un valore pari a circa 10-15 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda la presenza straniera nel settore, sempre molto ridotta, dal 1° agosto 2008, con l’entrata in vigore della legge anti-monopolio, la Cina ha regolato, in particolare, con il suo art. 31, l’acquisizione (diretta o mediata) di imprese cinesi da parte di capitali stranieri. Allorquando le concentrazioni (18) siano considerate rilevanti per la sicurezza del Paese viene, infatti, previsto un esame congiunto, sia ai sensi della normativa sulla concorrenza, sia della normativa sulla sicurezza nazionale. Il sostanziale rinvio alla regolamentazione specifica in materia di sicurezza nazionale lascia intendere che Pechino, nel futuro, a fronte di un auspicato ingresso di attori stranieri nel suo sistema economico finanziario, manterrà separati i problemi di sicurezza nazionale da quelli antitrust (19) .


La gestione delle riserve in valuta

a) Politica monetaria
La politica monetaria della Cina, esercitata dalla Banca Centrale, è stata sempre una funzione di supporto degli obiettivi strategici e di pianificazione del Governo. Essa è stata caratterizzata, per anni, dal garantire l’ancoraggio (pegging) a tasso fisso della valuta cinese (Renminbi) al dollaro statunitense. Questo ha rappresentato lo strumento di competitività usato da Pechino a beneficio delle proprie esportazioni, assicurandosi crescenti avanzi di partite correnti. Il mantenimento di un valore fisso del Renminbi ha imposto ovviamente alla Banca Centrale di intervenire continuamente (con operazioni di mercato aperto, acquistando dollari) per “sterilizzare” il livellamento naturale verso il basso del dollaro e verso l’alto del Renminbi, causato dalla domanda mondiale (in dollari) di prodotti cinesi. Il risultato è stato una forte sottovalutazione, nel tempo, del Renminbi. Il conseguente deprezzamento in termini reali del Renminbi, unito al forte tasso di crescita interno in Cina, ha determinato contemporaneamente un aumento progressivo delle riserve in valuta che, tra il 2003 ed il 2004, sono arrivate ad essere pari quasi al 12% del PIL.
Nella teoria economica internazionale, spiegando il concetto di efficacia della politica monetaria, nel suo “Impossible Triangle”, il Premio Nobel Robert Mundell individua l’impossibile coesistenza di 1 una politica monetaria indipendente ed 2 un tasso di cambio fisso, in presenza di 3 piena mobilità dei capitali.
A tale proposito, anche per le Autorità cinesi, il fixed peg del Renminbi al dollaro, è stato insostenibile nel tempo (per i problemi che esso creava al sistema finanziario ed economico interno e per le crescenti pressioni esterne nei confronti di un Renminbi artificiosamente tenuto sottovalutato). Dunque, per garantire indipendenza (nel senso dell’efficacia) alla propria politica monetaria, sono stati compiuti due passi fondamentali:
- la modifica del regime di cambio, passando ad un regime a fluttuazione controllata (“basket peg”);
- l’introduzione della convertibilità in conto capitale.
Il lungo processo di distacco dalle esigenze di pianificazione centrale e la progressiva e cauta liberalizzazione del cambio iniziò alla fine degli anni ‘80. Un primo passo importante fu fatto nel 1988 con la creazione di un centro di cambio semi-ufficiale per consentire alle imprese di avviare il trading sul Renminbi ad un tasso di mercato. Nel 1994, fu allineato il cambio ufficiale con quelli quotati nei centri di cambio attuando una svalutazione ufficiale del Renminbi pari al 33% (portandolo a 8,7:1 con il dollaro statunitense). Nello stesso anno fu creato un mercato interbancario (“Foreign Exchange Trade System”) a Shanghai, che sanciva l’istituzione di un “regime di cambio gestito”.
Il 1° dicembre 1996 fu introdotta la convertibilità per le partite correnti, propedeutica all’ingresso nella World Trade Organisation (1 dicembre 2001). In questa fase, la Cina assunse l’impegno di liberalizzare ulteriormente il regime di cambio, avviando una riflessione sulla sostituzione del pegging fisso al dollaro con un paniere (basket) a cui “agganciare” il Renmimbi.
A partire dal 2004, l’accumulo di riserve valutarie cominciò a generare anche incrementi nell’offerta di moneta per la cui “sterilizzazione” la Banca Centrale cinese dovette aumentare le vendite di titoli denominati in Renmimbi, nonché introdurre controlli amministrativi per limitare l’aumento del credito bancario.

foto Ansa
 
Come prima fase, il 21 luglio 2005 la Banca Centrale decise una rivalutazione del Renminbi pari al 2,1%. La variazione del regime di cambio modificò:
- la parità di cambio rispetto al dollaro (da 8,28 a 8,11);
- il regime di cambio, da fixed peg sul dollaro (ancoraggio a tasso fisso) a basket peg a fluttuazione spuria (ancoraggio ad un paniere di valute con fascia di oscillazione di ±0,3% rispetto alla chiusura del giorno precedente) (20) .
Nell’agosto 2005, la Banca Centrale autorizzò le banche con licenza (incluse le banche estere) a negoziare, sul mercato interbancario dei cambi, contratti forward e swap in Renmimbi, permettendo alle banche di stabilire i tassi di cambio forward in maniera indipendente.
Nell’ottica di “decentrare e ripartire” l’attività di tutela del cambio, nel gennaio 2006 la State Administration of Foreign Exchange (SAFE) (21) , il dipartimento della Banca Centrale responsabile della gestione delle riserve in valuta, autorizzò la costituzione di un sistema di “market makers”, costituito da banche cinesi e internazionali (22) che avrebbero assicurato (e assicurano tutt’oggi) una quotazione continua del Renmimbi sul mercato interbancario sulla base di ordini di compravendita di Renmimbi contro valute estere. Con questo sistema, nel tempo, la Banca Centrale cinese ha potuto “delegare” ai “market makers” lo svolgimento di operazioni di “sterilizzazione” di fluttuazioni del Renmimbi.
Come seconda fase, a conferma della teoria dell’Impossible Triangle, il 14 aprile 2006 la Banca Centrale cinese introdusse la convertibilità in conto capitale. Questa decisione ebbe, tra i primi effetti, quello di aumentare la mobilità dei capitali creando un afflusso in Cina di capitali con scadenze a breve termine (favorito da uno spread positivo tra i tassi di interesse sulle obbligazioni in Renminbi e quelle in dollari) con conseguente domanda di Renminbi contro dollari. Domanda che, per evitare una spirale ascendente del cambio, la Banca Centrale ha dovuto “sterilizzare” con operazioni di acquisto di dollari ed una conseguente crescita delle riserve in valuta.
I fattori concorrenti all’accumulo di riserve internazionali in Cina possono essere, dunque, ricondotti ad aspetti strutturali (la politica monetaria di Pechino) e congiunturali (presenza di eccessivi avanzi correnti, nonché forti flussi di hot money, ossia investimenti speculativi) (23) .
b) Riserve internazionali e organi di gestione
L’accumulo delle riserve è arrivato negli anni a livelli talmente alti da poter mettere la Cina al riparo da qualsiasi shock finanziario. Secondo i dati più recenti diffusi sulle riviste di settore, ad ottobre 2008 l’ammontare delle riserve risultava aver superato i 1900 miliardi di dollari (24) , con una crescita media mensile di circa 40 miliardi di dollari.
Già dalla prima metà degli anni ’90, la Banca Centrale assegnò il compito della gestione delle riserve valutarie, oltre che del loro deposito, alla State Administration of Foreign Exchange (SAFE), che iniziò ad operare a livello internazionale attraverso le sue “agenzie” di Hongkong (25) , Singapore, Londra e New York. Il modello operativo di queste agenzie era (ed è attualmente) lo stesso della direzione centrale di Pechino: effettuare scelte allocative del patrimonio in valuta estera, preferendo obbligazioni e titoli statali di altri Paesi. L’intermediazione di queste agenzie sui mercati internazionali ha contribuito finora a far sì che gli investimenti operati dalla SAFE e il suo modus operandi sfuggissero allo scrutinio diretto dei media e degli esperti di settore.
Per lo svolgimento delle sue attività di investimento soprattutto all’interno della Cina, la SAFE si è avvalsa del Central Huijin Investment Company Ltd. (26) , posto dalla Banca Centrale sotto il suo diretto controllo. Più tardi, al Central Huijin si è aggiunto il China Jianyin Investment Ltd., interamente controllato dal primo, operante nel settore degli investimenti, delle ricapitalizzazioni di grandi aziende statali, delle società di securities, nonché delle banche e delle attività di intermediazione per le loro fusioni, partnership e investimenti all’estero. Entrambe le società sono passate, nel 2007, dalla SAFE sotto il controllo di quello che in generale viene definito il fondo sovrano cinese, il China Investment Corporation (CIC) di cui si parlerà nel paragrafo successivo.
Nel corso del 2008, le incompatibilità esistenti tra Huijin e Jianyin, hanno indotto ad una razionalizzazione delle rispettive competenze per armonizzare la loro attività con la missione del CIC e con le nuove regole di controllo sulle società di securities (27) e sulle banche. Nella nuova impostazione, il Central Huijin diventa una istituzione politica per gli investimenti finanziari e struttura di supporto nel controllo delle maggiori banche statali, mentre Jianyin deve abbandonare i suoi piani di diventare una holding finanziaria per diventare una piattaforma finalizzata ad agevolare gli investimenti delle società cinesi. Come conseguenza, il CIC ha avviato la redistribuzione di molti asset finanziari (compresi società e fiduciarie), controllati dal Huijin e dal Jianyin (28) .
c) Gestione delle riserve: evoluzione e confronti interni
In generale, si ritiene che la soluzione adottata da Pechino per diversificare l’impiego del quantitativo abnorme di riserve internazionali sia stata la costituzione del fondo sovrano China Investment Corporation (CIC). Questo ragionamento è vero in parte e merita maggiori chiarimenti.
A partire dal 2005, l’impressionante e continua crescita delle riserve ha causato un forte dibattito, a livello di Organi centrali cinesi, in merito alla loro gestione ed alla necessità di diversificare gli strumenti di investimento in un ottica più moderna e redditizia, considerando anche l’idea di investire in settori strategici, non puramente finanziari, come ad esempio quello degli idrocarburi, con un ritorno non solo finanziario.
A livello di Consiglio di Stato fu avanzata l’ipotesi di dotarsi di uno strumento specifico, assumendo ad esempio il modello di portafoglio del fondo sovrano di Singapore Temasek Holdings. Nelle prime intenzioni, sembrava che questo nuovo veicolo di investimento dovesse essere posto sotto la gestione della SAFE (in qualità di responsabile della gestione operativa delle riserve internazionali) ma questa eventualità venne fortemente ostacolata dal Ministero delle Finanze, da sempre in contrasto con la Banca Centrale sull’argomento delle riserve. Di contro, nel 2006, il Ministero delle Finanze avanzò l’idea di costituire un patrimonio sotto il proprio controllo, da dedicare ad investimenti diversificati. L’idea del Ministero delle Finanze guadagnò consensi all’interno del Governo e, alla fine del 2006, venne decisa la creazione di un nuovo soggetto – nella forma di un fondo sovrano – dedicato esclusivamente agli investimenti finanziari della Cina all’estero. La Banca Centrale si mantenne sempre in aperto contrasto sia con il Consiglio di Stato sia con il Ministero delle Finanze, continuando ad opporre resistenza al progetto. Secondo la Banca Centrale, in presenza del Central Huijin, lo strumento di investimento già esisteva, sarebbe bastato solo un ampliamento dell’ambito delle sue attività per avere un fondo di investimento sovrano. Ma le argomentazioni della Banca Centrale non fermarono le manovre politiche già in atto.

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La soluzione scelta dal Governo centrale, per evitare di alimentare attriti e rivalità istituzionali, fu quella di porre il nuovo soggetto, denominato China Investment Corporation (CIC), sotto il diretto controllo del Consiglio di Stato mantenendolo completamente indipendente sia dal Ministero delle Finanze che dalla Banca Centrale. In questa ottica, anche tutte le sue acquisizioni (ivi comprese le banche) sarebbero state formalmente sottratte al controllo del Ministero delle Finanze e della Banca Centrale. A fronte di questa indipendenza “formale”, rappresentanti del Ministero delle Finanze e della Banca Centrale sarebbero potuti entrare nel Consiglio di Amministrazione e nell’Esecutivo del CIC, al fine di condizionare le strategie e le politiche di investimento.
Fino alla creazione del CIC, la Banca Centrale aveva esercitato il potere assoluto sulle riserve e sugli investimenti all’estero e nei contrasti – non sempre espliciti – con il Ministero delle Finanze in materia, essa era sempre riuscita a prevalere grazie alla sua autonomia e autorevolezza e alla sua elevata reputazione (rafforzata dai successi dei vari interventi negli istituti bancari cinesi (29) ). Come vedremo, la Banca Centrale è riuscita ad affermare la propria competenza sulla gestione delle riserve anche dopo la costituzione del CIC.


La Cina nel riordino del sistema
finanziario internazionale


In occasione del World Economic Forum(WEF) di Tianjin, il Primo Ministro cinese Wen Jiabao ha affermato che “il maggiore contributo che la Cina può fornire all’economia mondiale nelle attuali circostanze è di mantenere sostenuta e stabile la crescita interna, e di evitare fluttuazioni eccessive” (30) . Wen ha posto l’enfasi sulla “sostenibilità” della crescita interna della Cina attribuendo rilevanza agli aspetti legati all’occupazione, allo sviluppo infrastrutturale ed all’ambiente. In questo senso, la solidità dei “fondamentali” economici interni cinesi può avere un’influenza positiva sul “senso di responsabilità globale” di Pechino, allorquando fosse inclusa nelle “grandi scelte del mondo”.
In occasione dell’ASEM, e successivamente durante il G20 di Washington, Pechino si è appellata ad uno “spirito di globale condivisione delle responsabilità” da parte di tutti i Paesi, inclusi i Paesi emergenti, da raggiungere mediante il coordinamento delle politiche macroeconomiche interne. Un coordinamento e una condivisione da sempre sostenuti dalle autorità cinesi e concretizzati, nell’ottobre 2008, con la riduzione dei tassi di interesse “coordinata” tra la Cina e le Banche Centrali del G7.
Per quanto riguarda il rapporto con Washington, cruciale per il sistema bancario-finanziario di Pechino, la Cina ha interesse alla stabilità dell’economia statunitense. Ciò si è reso evidente anche nelle dichiarazioni rilasciate recentemente dal portavoce della Banca Centrale cinese (“la Cina e gli Stati Uniti condividono interessi comuni nello stabilizzare i mercati finanziari globali e auspica un maggior coordinamento e una più proficua collaborazione con gli Stati Uniti”) (31) .
L’interesse cinese per l’economia statunitense è connesso allo stretto legame esistente tra le due economie. Questo rende consapevole Pechino delle conseguenze che una consistente diversificazione dei propri investimenti in securities/asset dal dollaro statunitense verso valute diverse potrebbero avere a livello socio economico sia al suo interno che negli Stati Uniti (32) .
D’altro canto, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha già ammonito affermando che“gli scambi commerciali con la Cina procederanno su canali positivi solo se Pechino ne rispetterà le regole”. Rispondendo in campagna elettorale al National Council on Textile Organizations, una lobby statunitense direttamente interessata al rapporto tra Washington e Pechino, l’allora Senatore Obama ha evidenziato come, per garantirsi tassi di crescita sostenuti ”la Cina debba affidarsi meno alle esportazioni e più alla domanda interna” anche “modificando le proprie politiche di cambio” (33) . L’affermazione di Barack Obama in North Carolina, dove l’industria tessile costituisce una grossa parte dell’economia locale, rappresenta una forte motivazione a credere che, in futuro, la nuova Amministrazione sosterrà le rivendicazioni interne contro le presunte manipolazioni del valore del Renminbi da parte di Pechino.
Come contropartita ad un suo ruolo attivo nella soluzione della crisi, la Cina, dunque, ha bisogno di un maggiore potere contrattuale nei meccanismi di funzionamento delle Istituzioni finanziarie internazionali. In tal modo, Pechino intende spostare a suo favore le scelte e i giudizi della comunità finanziaria internazionale ed essere più forte anche nel contenzioso con Washington (34) .
Un motivo di discussione potrebbe essere un compromesso tra una partecipazione cinese al finanziamento multilaterale (35) contro un aumento dei diritti di voto (voting share) di Pechino in ambito FMI (36) ed una voce più forte nelle decisioni della Banca Mondiale e del WTO.
Di fronte alla crisi finanziaria globale, la Cina, pur vivendo anch’essa una difficoltà (causata dai riflessi negativi sull’interscambio commerciale delle interdipendenze globali e non da fattori endogeni al suo sistema), può svolgere un ruolo importante partendo da sé stessa, ovvero dalla realizzazione di obiettivi di crescita interna sostenuta (8% circa) e di stabilità monetaria (equilibrio tra crescita e inflazione).
Il prezzo che la Cina potrebbe dover pagare per un suo maggiore interventismo internazionale potrebbe avere elevati costi sociali interni.
Il potenziale danno che potrebbe essere arrecato a Pechino nella mancata attenzione alle sfide interne è sicuramente maggiore rispetto a quello che potrebbe arrecare una ridotta partecipazione alle decisioni internazionali, in quanto intaccherebbe la solidità dei fondamentali del sistema economico.
L’annuncio del financial package da 586 miliardi di dollari destinato, nel biennio 2009-2010, a progetti di sviluppo di nuovi aeroporti, alla ristrutturazione della rete ferroviaria, di centrali nucleari e idroelettriche e all’assistenza sociale (37) , va inteso nel senso di una modifica del precedente orientamento di politica economica (politica fiscale prudente e politica monetaria restrittiva) in un nuovo schema più aggressivo (politica fiscale proattiva e politica monetaria moderatamente accomodante).
Nel futuro, dunque, sarà sicuramente il mantenimento di un equilibrio macroeconomico interno la priorità di Pechino, con l’obiettivo di un aumento della domanda interna e dei consumi.
Durante l’ASEM, Wen Jiabao ha affermato che in Cina “l’impatto della crisi è limitato ed è sotto controllo” ma il timore di ripercussioni della crisi sul sistema socio-politico cinese è forte al punto da prevalere su un suo impegno pratico e attivo a livello internazionale.
La necessità di mantenere l’ordine sociale, e quindi la crescita economica interna, potrebbe, quindi, assorbire gran parte delle risorse finanziarie cinesi (38) . I costi politico-sociali per la Cina di una crisi interna o di una perdita di fiducia della popolazione nello sviluppo del Paese sarebbero elevatissimi. La forza e la legittimità del Partito Comunista Cinese (PCC) risiede, infatti, anche nella sua capacità di garantire una crescita economica e di riequilibrare la distribuzione della ricchezza tra le zone costiere sviluppate e le zone interne ancora arretrate. Il rallentamento dell’occupazione (già in atto negli ultimi mesi con la chiusura di numerose aziende manifatturiere per mancanza di ordini dall’estero) (39) crea motivi di seria preoccupazione per la leadership cinese. Le previsioni ufficiali per il 2009 sono al limite della tolleranza per il sistema cinese (tra il 5% e l’8%) (40) e richiedono interventi urgenti da parte delle Autorità centrali.
Relativamente al financial package, ad esempio, nonostante la forte risonanza mediatica ricevuta, il vero significato del pacchetto rimane ancora da capire, in quanto non sono chiari né i meccanismi dei finanziamenti (chi finanzia che cosa e in che misura) né la scelta dei progetti che vi sono stati inseriti. Le dichiarazioni ufficiali indicano come settori da finanziare gli stessi che, anche in tempi recenti, hanno già ricevuto aiuti e che li avrebbero ricevuti in ogni caso. Rimane da chiarire quanti dei progetti inclusi nel pacchetto rappresentano davvero nuovi investimenti e quanti invece erano già previsti negli stanziamenti di bilancio: stime del China Economic Review indicano come valore effettivo dell’incentivo la cifra di 191 miliardi di dollari (e non 568). La quota finanziata dal Governo centrale, inoltre, sarebbe, in realtà, pari solo al 25% del valore del financial package, lasciando il resto a carico di autorità provinciali, investitori privati e banche.


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Conclusioni

Il principale apporto della Cina alla soluzione della crisi finanziaria globale risiede nel riequilibrio della propria economia, spostando la sua dinamica di crescita dall’eccessiva dipendenza nei confronti delle esportazioni verso un maggiore apporto di consumi interni.
La necessità di concentrare i propri sforzi sulle misure per mantenere una crescita interna non inferiore all’8% e sulla esigenza di mantenere la propria stabilità socio-politica, suggeriscono che la Cina tenderà a limitare inizialmente il proprio contributo a livello internazionale a dichiarazioni generiche e possibiliste che rafforzino la sua influenza politica, per concentrare la propria attività sulle politiche nazionali più direttamente efficaci nel conseguimento degli obiettivi macroeconomici, tra cui la politica di gestione del cambio, delle riserve internazionali e la politica di liberalizzazione del settore bancario-finanziario.
Sono proprio le misure adottate nel campo bancario-finanziario che mostrano la volontà della Cina di risolvere le fragilità interne per poter affrontare con più sicurezza una crisi esogena.
Questo richiede un rafforzamento degli organismi finanziari nazionali, l’adozione di adeguate politiche di erogazione del credito e di valutazione del merito di credito, il miglioramento dei controlli sulle banche e sulle loro esposizioni al rischio, l’assicurazione che le banche abbiano sufficienti riserve, il tutto finalizzato a costruire un sistema finanziario che esprima fiducia e tuteli gli interessi degli investitori.
Certamente la politica cinese sarà cauta e progressiva perché richiederà un costante bilanciamento tra la sua ambizione ad acquisire potere internazionale e la sua consapevolezza di non disporre ancora né di una situazione socio-economica stabile ed indipendente, né di un sistema finanziario-bancario consolidato.


(1) Ben Blanchard, Gernot Heller, EU presses China to show leadership in crisis, 23.10.2008.
(2) Al VII Asia-Europe Meeting hanno partecipato 45 Paesi Membri, inclusi i 27 paesi dell'Unione Europea, la Presidenza della UE, 16 paesi asiatici e il Segretariato ASEM.
(3) Cfr. Elena Beccalli, La ristrutturazione del sistema bancario in Cina, in Mondo cinese, n. 127 (2006).
(4) Fino a quel momento, la People's Bank of China svolgeva contemporaneamente il ruolo sia di Autorità di vigilanza, sia di organo di finanziamento del sistema.
(5) Negli anni recenti, la specializzazione settoriale delle “Big Four” ha cessato la sua ufficialità, pur permanendo una forte preferenza verso asset interni nei loro portafogli di prestito.
(6) Nel 2004 la China Banking Regulatory Commission (CBRC) valutava il peso degli NPL al 20% dei prestiti totali.
(7) Great Wall AMC per Agricultural Bank of China; Orient AMC per Bank of China; Huarong AMC per Industrial and Commercial Bank of China; Xinda AMC per China Construction Bank.
(8) La ricapitalizzazione delle banche ha previsto l'utilizzo di vari strumenti (in particolare, emissioni di obbligazioni da parte delle AMC e del Ministero delle Finanze ed operazioni di rifinanziamento).
(9) Cfr. China Brief (Vol. 6 n. 24, 2006).
(10) V. Reusens, “The Chinese Banking System: survival or collapse?”, Fortis Bank (2002).
(11) Cfr. “AMCs and NPL activity in China” in “The Second Forum for Asian Insolvency Reform” (Bangkok, 16-17 dicembre 2002). Vedi anche “China NPLs: Trends and Future issues” su www.deacons.com.hk.
(12) L'operazione di ricapitalizzazione effettuata nel 2003 è stata fortemente voluta, pianificata e realizzata da Lou Jiwei, Xie Ping e Wang Jianxi (oggi tutti al vertice del fondo sovrano cinese China Investment Corporation - CIC) ed ha impiegato riserve in valuta estera.
(13) Bank of China era interamente controllata dal Governo centrale per le partecipazioni del Central Huijin Investment e del National Council for Social Security Fund. Nel 2005, in preparazione della sua IPO del 2006, sono entrate nel suo capitale, la Royal Bank of Scotland (3,1 miliardi di dollari, meno del 10% di partecipazione), UBS e Temasek Holdings. La sua offerta pubblica alla Borsa di Hongkong (1 giugno 2006) è stata la più grande IPO che si ricordi a livello mondiale dal 2000 con una raccolta di 9,7 miliardi di dollari.
(14) Cfr. Zhang Dingmin, Luo Jun, Agricultural Bank of China Gets $19 Billion Bailout, bloomberg.com (2008).
(15) Creato nel dicembre 2003, amministrato dal Ministero delle Finanze e inizialmente controllato dalla Banca Centrale, Central Huijin è stato concepitoa come strumento di investimento del Governo per ricapitalizzare e stabilizzare – tramite acquisizione, gestione e controllo di partecipazioni – le “Big Four”.
(16) Cfr. Luo Jun, China caps bank overhaul with Agricultural Bank aid, bloomberg.com (2008). Vedi anche www.news.xinhuanet.com/english/2008-11/6/content.
(17) La categoria delle obbligazioni subordinate comprende le obbligazioni che, in caso di insolvenza dell'emittente, sono rimborsate dopo tutte le altre. Esse comportano un rischio maggiore per l'investitore e offrono un ridotto livello di garanzia rispetto ad altri titoli obbligazionari. A fronte del maggiore rischio, all'investitore viene data la possibilità di beneficiare di un tasso di interesse (o di un rendimento) superiore a quello previsto per obbligazioni ordinarie della medesima durata.
(18) La legge definisce (art. 3) come comportamenti monopolistici, gli accordi monopolistici tra operatori economici; l'abuso di posizioni dominanti di mercato da parte degli operatori economici; le concentrazioni tra operatori economici che hanno o potrebbero avere l'effetto di eliminare o limitare la concorrenza. Gli “operatori economici” sono definiti (art. 12) come le persone fisiche o giuridiche o altre organizzazioni che si occupano di produzione e commercio di beni o fornitura di servizi. Analogamente, i “mercati rilevanti o di riferimento” sono rappresentati dai prodotti (o dall'area territoriale) entro cui gli operatori economici competono tra di loro per un certo periodo di tempo per specifici beni o servizi.
(19) Un approccio simile a quello statunitense della Exon-Florio, mantenuta separata dalle revisioni sulle concentrazioni previste dalla Hart-Scott-Rodino. Cfr. Nicholas Pettifer, Baffling rules. The implementing regulations for concentrations guarantee confusion, International Financial Law Review, September 2008.
(20) Il 23 settembre 2005 la Cina ha ampliato la banda di oscillazione del Renminbi rispetto alle valute diverse dal dollaro fino al ±3%.
(21) SAFE è stata costituita a Pechino nel marzo 1979 dal Consiglio di Stato e posta sotto il controllo della People's Bank of China fin dall'agosto 1982. Ha gli uffici centrali a Pechino e altri 36 uffici amministrativi e 298 sub-branches dislocate in tutto il Paese.
(22) Il sistema è costituito da ventuno banche commerciali, di cui tredici cinesi (Bank of China; China Construction Bank; China CITIC Bank; China Merchants Bank; Industrial and Commercial Bank of China; Bank of Communications; Agricultural Bank of China; Industrial Bank; Shanghai PuDong Development Bank; China Everbright Bank; China Minsheng Banking Corp Ltd; Huaxia Bank Co Ltd e China Development Bank) e otto estere (la filiale di Guangzhou di Bank of Montreal Ltd.; la filiale di Shanghai di Citibank; la filiale di Shanghai della ABN Amro N.V.; la filiale di Shanghai della Hongkong and Shanghai Banking Corporation -HSBC-; la filiale di Shanghai di Standard Chartered Bank; la filiale di Shanghai della Bank of Tokyo-Mitsubishi UFJ; la filiale di Shanghai della Sumitomo Mitsui Banking Corp.; Deutsche Bank AG).
(23) Uno studio pubblicato dal FMI nel 2005 indicava che quasi il 75% delle variazioni dei flussi di capitale si basavano più su categorie di flussi sensibili alle aspettative di mercato che sulla tendenza futura del tasso di cambio Renmimbi/dollaro statunitense.
(24) Cfr. “Q&A with Zheng Bingwen, Senior Research Fellow at the Chinese Academy of Social Sciences”, www.oxfordir.org.uk (2008).
(25) La SAFE Investment Co. Hongkong, con sede ad Hongkong, è stata costituita nel 1997 con lo scopo di formare, come le “agenzie” dislocate in altri paesi, un avamposto all'estero della SAFE. L'obiettivo della sua creazione, ufficialmente ammesso dalla Banca Centrale, è quello di “salvaguardare l'ancoraggio (peg) del Renmimbi e del dollaro di Hongkong al dollaro statunitense per tutelarlo da speculazioni internazionali”.
(26) I suoi asset sono valutati in circa 15 miliardi di dollari statunitensi.
(27) Nell'aprile 2008, il Consiglio di Stato ha ratificato nuove misure per impedire a due società strettamente collegate di perseguire lo stesso business senza uno speciale permesso. E' stata una prima mossa per incoraggiare le due controllate del CIC a scorporare le nove società di securities che attualmente sono sotto il loro controllo (tre sotto il Huijin e sei sotto il Jianyin, quasi tutte ricapitalizzate e ristrutturate).
(28) Nell'ambito di questa trasformazione, dal Jianyin saranno scorporate la Zhejiang International Trust Investment Company, che era diventata una sua sussidiaria, e la partecipazione (9%) in China Construction Bank, che era stata consolidata. Contestualmente, il China Everbright Industrial Group dovrebbe staccarsi dal Jianyin e ritornare al China Everbright Group. L'origine di questa partecipazione risale alla fine del 2007 in occasione del rifinanziamento da parte del Central Huijin a beneficio della China Everbright Bank. In quell'occasione si decise che dalla sussidiaria della banca, il China Everbright Group, sarebbero state scorporate una holding finanziaria, la Everbright Financial Holding (di cui il Central Huijin è diventato azionista) ed una holding industriale, la Everbright Industrial (rilevata dal Jianyin). Sempre nel contesto del riassetto in questione, la banca di investimenti China International Capital Group (CICC) che passerà sotto il controllo del Huijin.
(29) Nell'ottica di contrastare le iniziative del Ministero delle Finanze, la Banca Centrale ha cercato di consolidare, tra la fine degli anni '90 fino a tutto il 2007, le proprie posizioni nel sistema bancario cinese, acquisendo partecipazioni nelle principali banche statali, fornendo apporti di capitale a ricapitalizzazione e, soprattutto, sottraendo parte del sistema bancario al controllo del Ministero delle Finanze.
(30) Cfr. Merrill Lynch, What will China do in this global financial crisis?, Economic Analysis (2008).
(31) Queste dichiarazioni, nel riaffermare il sostegno della Cina nei confronti degli Stati Uniti, erano tese anche a declinare le indiscrezioni, circolate ai primi di ottobre 2008 e pubblicate sul giornale di Hongkong “Mingpao”, di un'intenzione del Governo cinese di finanziare 200 dei 700 miliardi di dollari stanziati dal Governo statunitense per il salvataggio delle proprie istituzioni finanziarie.
(32) La Cina detiene circa il 20% del debito statunitense. Nel 2006 il surplus commerciale della Cina rispetto agli USA era di 232 miliardi di dollari e nello stesso anno 105 sono stati i miliardi di dollari investiti in securities statunitensi (1/3 di tutti gli investimenti nel Tesoro statunitense).
(33) Greg Hitt, Issue of trade with China is thrust into U.S. races, The Wall Street Journal, 2.11.2008.
(34) Un primo passo in questa direzione è stato il ritiro richiesto e ottenuto dalla Cina di un rapporto dell'FMI su presunte manovre della Banca Centrale cinese per mantenere basso il valore della sua valuta.
(35) In sede ASEM è stato approvato un fondo di 80 miliardi di Euro, che sarà messo a disposizione dell'FMI e a cui contribuiranno la Cina, il Giappone e la Corea, per aiutare i paesi con forti problemi di liquidità. Il senso del contributo per la Cina (irrisorio nella spesa rispetto alle sue disponibilità) è fortemente politico in quanto le consentirà nel tempo di accrescere la sua capacità di pressione sul FMI relativamente ad alcuni temi ritenuti cruciali, in primis le sue strategie di politica monetaria.
(36) Nella revisione operata l'1 marzo 2008 è rimasta una forte differenza in termini di ponderazione dei diritti di voto tra la Cina (3,7% dei diritti di voto totali nell'ambito del FMI) e gli Stati Uniti (17,1%) e l'Asia in generale (11,5%).
(37) Questa misura si aggiunge ad altre misure, quali la riduzione dei tassi di interesse delle banche o la riduzione del coefficiente di riserva obbligatoria, liberando fondi da impiegare nei finanziamenti all'impresa.
(38) A conferma di questi timori, Zhu Min, Vice Presidente della Bank of China, ha affermato che “la flessione globale delle maggiori economie del mondo avrà un enorme impatto sulla Cina e il timore è che la crisi finanziaria sia solo un preludio tecnico dello sconvolgimento economico e politico che avverrà nei prossimi 8-12 mesi. Le banche cinesi, benché non coinvolte nella crisi dei subprime nella stessa misura in cui lo sono le loro controparti americane, sono tuttavia esposte al rischio delle transazioni in valute straniere che mettono a rischio i loro asset all'estero”. Cfr. Peter Bachmann, Downturn Hits China Hard, The News, BizChina Update Direct, (3.11.2008). Bank of China deterrebbe 3,3 miliardi di dollari statunitensi in securities legate ai subprime e 6,2 miliardi di dollari in debito collegato a Freddie Mac e Fannie Mae.
(39) Un improvviso declino nella domanda di beni cinesi ha causato la bancarotta di molte aziende nei settori manufatturieri del Paese in corrispondenza delle coste orientali e meridionali della Cina. Nelle città, molti progetti immobiliari sono entrati in una fase di stallo e la fiducia dei consumatori è rallentata.
(40) Credit Suisse, UBS e Deutsche Bank valutano che il PIL cinese nel 2009 crescerà in misura non superiore al 7,5%. Secondo Royal Bank of Scotland, invece, la crescita potrà raggiungere l'8%, ma, in uno scenario negativo, potrebbe anche fermarsi al 5%. Il Fondo Monetario Internazionale ha abbassato le sue previsioni di crescita dell'economia cinese per il 2009, portandole dal 9,7% all'8,5%. Cfr. Peter Bachmann, Stimulus Package Approved, The News, BizChina Update Direct (11.11.2008).

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