GNOSIS 4/2008
L'escalation delle stragi Mumbai: messaggi dal terrorismo globale |
Valeria FIORANI PIACENTINI |
Le reazioni Le reazioni a livello sia politico che di stampa e di intellighenzia (studiosi, analisti, ecc.) sono state fra le più disparate, non scevre di polemiche fra loro, spesso anche aspre. Il Vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri del Kuwait, Dr. Muhammad Sabah al-Salem Al-Sabah, ha aspramente condannato gli attacchi della città commerciale indiana mentre incontrava all'aeroporto di Kuwait-City un gruppo di cittadini kuwaitiani - ostaggi in uno degli alberghi di Mumbai - scampati alla strage. A caldo, intervistato, ha definito gli attacchi "crimini contro l'umanità e l'Islam", aggiungendo che "se coloro che hanno compiuto gli attentati lo hanno fatto in nome dell'Islam, ebbene l'Islam sta meglio senza di loro". Dichiarazioni di censura non meno ferme sono state rilasciate da tutti i capi degli Stati musulmani, i quali hanno, altresì, espresso formalmente la propria solidarietà al governo indiano e il proprio apprezzamento per il deciso intervento dei corpi speciali. Anche circoli salafiti e organi di stampa di tendenze radicali hanno a loro volta denunciato apertamente l'attacco terroristico di Mumbai, condannandolo "in toto", un attacco "costato la vita a centinaia di cittadini innocenti, mentre cittadini stranieri venivano usati come scudo umano sulla base di assunti religiosi deviati, per obiettivi che nulla hanno a che fare con l'Islam, invocando ideologie del tutto inaccettabili". Piuttosto variegati sono i comunicati che si possono leggere in diversi siti web musulmani, alcuni dei quali lasciano aperte interpretazioni disparate, dalla Malaysia (prof. Abdullah al-Ahsan, che indugia in una analisi sull'attacco al centro degli "Ultra-Ortodossi" Lubavitch a Nariman House) alla Norvegia (Dr. Sindre Bangstad, Professore Associato all'Oslo University College'). Particolarmente interessante è l'editoriale di Faryal Leghari - Ricercatrice 'Security & Terrorism Studies' - sul "Gulf Research Center-Analysis" del 4 dicembre 2008; l'analista fornisce con distaccata obiettività e precisione di informazione - come è suo stile - il crescere di episodi terroristici dal 18 agosto 2008, giorno delle dimissioni del Presidente Musharraf. Ella sottolinea come la spirale della crisi economica, l'inflazione, carestie e mancanza di viveri hanno alimentato non poche violenze in un'atmosfera di crescente instabilità politica e tensioni rinnovate fra il "Giudiziario", le diverse forze politiche pakistane, l'Esercito, l'ISI; tensioni su cui hanno non poco giocato i generosi interventi economico-finanziari degli Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain e perfino l'Oman. In questo frangente, organizzazioni militanti locali di varia provenienza si sono ristrutturate, contribuendo ad aggravare la congiuntura già critica delle aree tribali e del Kashmir. I Talibani e Al Qaeda sono perfettamente consapevoli di questa instabilità e la considerano una formidabile forza di pressione per capovolgere la politica filo-americana dei policy-makers post-Musharraf e un deterrente dal perseverare in azioni militari contro di loro. La Leghari analizza i vari attentati, sia nella strategia che nelle tattiche, e il forte impatto emotivo e psicologico che stanno avendo su una società civile, esausta dal crescente stato di insicurezza, dai disordini e dal precipizio economico, di fronte a un governo che non lesina spese per continui viaggi all'estero e investimenti non prioritari, un governo in completa impasse e che non prende alcuna iniziativa politica volta a contrastare questa emergenza, ma continua a fronteggiarsi sulla gestione del potere, consentendo bombardamenti non necessari "da parte delle forze USA, su territorio pakistano, con gravi problematiche per la popolazione civile". è questo il quadro dal quale traggono sostegno, ormai non più soltanto ideologico, le nuove forze militanti. Molti ancora hanno scritto e parlato degli "orrori" di Mumbai, da Ahmed Rashid a Nazanin Shahrokni (Berkeley University), da Tarek Fatah ('The Calgary Herald', autore anche di 'Chasing a Mirage: The Tragic Illusion of an Islamic State' - Wiley) a Mirza A. Beg e Shafique N. Virani, da Doug Sanders (columnist del 'Globe and Mail', Canada) a GLORIA (Israele), Y. Tzvi Langermann (Bar Ilan University, Israele) e Yoram Schaweitzer (direttore del "Terrorism Project" all'Università di Tel Aviv - Institute for National Security Studies, ed editorialista del 'Maariv'). E l'elenco potrebbe continuare all'infinito, includendo anche autorevolissime voci italiane come Stefano Silvestri (IAI - Roma). Strategia e tattiche: una nuova forma di terrorismo? Cosa aggiungere? Gli attacchi coordinati al Taj-Mahal Hotel e all'Oberoi Hotel di Mumbai e ad altri punti nevralgici del maggiore centro commerciale e industriale indiano non sono attacchi "eccezionali" quanto a pianificazione, esecuzione, casualità; escono dallo schema, quanto a obiettivi e motivazioni a monte; in altri termini: "chi" ci sia dietro la pianificazione ed esecuzione degli attacchi, al di là della "manovalanza" e delle rivendicazioni. Solo l'analisi dei dettagli e il tempo potranno fornire elementi più solidi su cui fare una ricostruzione reale. Il gruppo dei Mujahedin del Deccan - che ha subito rivendicato la responsabilità dell'intera operazione - è poco o affatto conosciuto, e, molto verosimilmente, è difficile che abbia potuto pianificare da solo un'operazione così complessa. Un attacco di questa grandezza (quello che oggi si usa chiamare anche mega-attack) richiede infatti una strategia diretta a un obiettivo ben preciso, una pianificazione meticolosa, competenza e intelligenza - anche con l'accezione inglese di intelligence ossia "conoscenza del terreno e del territorio", qualità e professionalità nella esecuzione, armamenti ed equipaggiamenti sofisticati, perfetto sincronismo, abilità e disciplina sia nel comando che nella esecuzione, ossia un addestramento meticoloso, e - fattore tutt'altro che trascurabile - ingenti investimenti e forti disponibilità finanziarie. Tutti questi elementi sembrano indicare che l'organizzazione a monte non era composta da "novizi", bensì da persone con esperienza collaudata di simili attacchi: qualità che non ci si può verosimilmente aspettare da un gruppo locale, giovane e alla prima prova del fuoco. Per quanto riguarda un coinvolgimento dell'altro gruppo, quello dei Lashkar-e-Taiba, il discorso è più interessante. Si tratta di un gruppo ben conosciuto, di base in Pakistan, addestrato ad operazioni terroristiche sulla base di un ideologico di militanza jihadista. Pare che le prime cellule risalgano alla fine del secolo XIX e siano ricollegabili alla scuola religiosa islamica di Deoband e all'ideologico della incompatibilità e perenne ostilità fra Hindu e Musulmani. è la teoria cosiddetta "delle due nazioni", quella che nel 1947 - sulle spoglie della perla delle colonie inglesi - portò alla nascita di due Stati distinti: India e Pakistan. è ancora oggi l'ideologia che legittima l'esistenza del Pakistan e che ancora viene insegnata a scuola ai bambini, con le parole di Muhammad Ali Jinna ("Padre della Patria" pakistana). L'indipendenza portò alla divisione artificiale di alcune province tradizionali, come il Punjab e il Sind, e a contenziosi non ancora risolti come il Kashmir. Si crearono forti tensioni (per il Kashmir scoppiarono ben tre guerre), e nel clima che seguì - cui non fu estranea la guerra fredda - si organizzarono vari gruppi di militanza nell'obiettivo di destabilizzare l'avversario. I Lashkar entrarono in azione nel Punjab, strumentalizzati in funzione anti-Indiana e di appoggio alle rivendicazioni pakistane sull'intiero Kashmir. Durante la guerra fredda, ricevettero aiuti consistenti e addestramento dal regime di Zia ul-Haqq - tollerati se non benevolmente assistiti dagli Stati Uniti in funzione anti-Sovietica in Afghanistan. Fu in quegli anni ‘80 del secolo scorso che i Lashkar e gruppi consimili si organizzarono meglio, radicandosi profondamente nel territorio e nell'humus emotivo locale, divennero forze politiche di militanza, influendo sulle elezioni e le vicende del Paese. I Lashkar arrivarono perfino a invocare un "califfato globale" - vecchio motivo della scuola di Deoband - che avrebbe dovuto riunificate l'intero mondo sotto la bandiera dell'Islam. Si trattava di una retorica bombastica, nella quale probabilmente gli stessi leader non credevano; questa tuttavia ebbe successo e contribuì a mobilitare un numero sempre crescente di giovani soprattutto dalle fasce più povere della popolazione. Sempre a quel periodo si possono far risalire i finanziamenti sauditi. Ben presto, tuttavia, le cose sfuggirono di controllo al regime pakistano. Alla fine della guerra fredda, i Lashkar avevano basi di addestramento sia nel Punjab pakistano intorno a Lahore (pare che il loro quartiere generale si trovi a Muridke) sia in Afghanistan. In quest'ultimo teatro, hanno dato sostegno sia militare che ideologico alle forze talibane, e, verosimilmente, lo danno ancora soprattutto sul territorio pakistano ed europeo. Per quanto riguarda il Punjab, hanno sempre servito gli interessi strategici dello stato Pakistano, soprattutto nel teatro kashmiro contro le forze Indiane, battendosi per un Jammu & Kashmir sovrano, indipendente sia dal Pakistan che dall'India. Si dice che godano della benevola "indifferenza" sia dell'ISI che dell'Esercito, se non del loro aperto appoggio, sebbene il governo pakistano sostenga di avere messo questo movimento al bando. Esistono tuttavia dei segnali che sembrano indicare che i gruppi Lashkar continuino a operare sotto nuova "etichetta", quella di Jama'at al-Dawa', il cui web site è facilmente accessibile su internet; fogli e giornali propagandistici continuano a essere pubblicati, si trovano facilmente sulla piazza di Lahore, e circolano anche all'esterno in lingue Urdu, Inglese e Araba, si stima sulle diverse migliaia di copie. Il loro ideologico attuale è fortemente anti-Indiano e anti-Hindu, e non esitano ad attaccare anche i seguaci di quei movimenti più inclini a una composizione delle vertenze con l'India definendoli non-genuinamente Islamici. Il precipitare della crisi politica, sociale ed economica del Paese - così ben analizzata dalla Leghari - non ha fatto che dare nuova forza materiale e ideologica anche questo movimento, che proprio dalla miseria e dai disagi drena le sue leve migliori. Ed ora veniamo ad Al Qaeda ed ai suoi legami con i Lashkar. Certamente le collusioni non mancano, come si è appena detto. Quanto a un coinvolgimento diretto di Al Qaeda, anche se al momento non è chiaro, non è tuttavia da escludere, soprattutto se si guarda ai possibili target e alla possibilità di auto-finanziamento dell'intera operazione (il narco-traffico). Tuttavia, sebbene gli attacchi di Mumbai siano stati indiscriminati, molto coreografici, altamente letali sul genere di quelli organizzati da Al Qaeda, mancano due elementi essenziali: (1) i suicide bombers, il principale marchio di fabbrica dell'organizzazione. (2) Inoltre, anche se non è ancora chiarito se l'intenzione di barricarsi con ostaggi sia nei due hotel sia nella Nariman House facesse parte dei piani iniziali, se gli attaccanti fossero appartenuti ad Al Qaeda avrebbero chiesto - come di consuetudine - il rilascio di loro commilitoni tenuti a Guantanamo, in Pakistan e in Afghanistan, oltre che la liberazione di Palestinesi trattenuti nelle prigioni o campi di detenzione israeliani. Infatti, Al Qaeda è perfettamente consapevole come siffatte richieste suscitino sempre forti simpatie e consensi in ambito sia arabo che islamico in generale. Viceversa, alcuni schemi sembrano richiamare altri sistemi già adottati e vari teatri di lotta un po’ in tutto il mondo (Europa inclusa), come l'attacco a Luxor (Egitto) del 1997, e altri: largo numero di casualità, nessuna richiesta di riscatto per eventuali ostaggi, combinazione di attacchi veloci e asserragliamento in posizioni fortificate, combattimento frontale fra unità militari e cellule di guerriglia in centri urbani… Sostanzialmente la strategia resta la stessa, cambiano alcune sfumature tattiche. Ad esempio, il pericolo nucleare, se questo dovesse cadere nelle mani di un irresponsabile (l’India ha aderito al ABT, il Pakistan non ancora); la possibilità di richiesta di armi più sofisticate (incluse armi non convenzionali); un modello di escalation del global jihad, sempre più mirato a interferenze dirette negli affari interni di paesi altri. Gli attacchi di Mumbai - così considerati a caldo - sembrano avere avuto tutta una lista di obiettivi ben precisi, e identificabili al di là del mero danno fisico e dell'elevato numero di casualità. E molti di questi obiettivi sembrano condurre all'India stessa e ai suoi problemi interni. Da un lato fanno seguito a tutta una serie di attentati in varie regioni del Paese, New Delhi inclusa, e segnali di un malcontento diffuso fra la popolazione indiana. Dall'altro, si distinguono da questi per organizzazione, addestramento, armi impiegate, professionalità nella pianificazione ed esecuzione dell'intera operazione, incluso il reclutamento della "manovalanza" e la perfetta conoscenza del territorio d'azione. Sembrano cioè più che altro rientrare in quello che viene convenzionalmente chiamato il global terrorism fatto di mega-attacks, ossia di attacchi che - coreograficamente pianificati - l'esaltazione dei media porta in tutte le case in tutto il mondo. Mumbai segue cioè il marchio di fabbrica di una vasta cerchia di attentati analoghi non solo locali, e, non ultimi, quelli anche di Madrid e Londra. Come si è detto, la strategia è la stessa, cambiano le tattiche. I Target Tornando pertanto ai target: 1. un obiettivo certamente conseguito è stato quello di minare il senso di sicurezza dei residenti di Mumbai - soprattutto indiani e appartenenti alle fasce più ricche e/o alle professioni della società indiana. 2. Anche la sicurezza nella capacità del governo di proteggere i residenti (indiani e stranieri) ne è uscita profondamente scossa. E sono seguite a catena dimissioni eccellenti. 3. Quanto al fatto di colpire hotel e altre strutture frequentate dagli stranieri, non è un fatto nuovo (l'Egitto e Sharm el-Sheykh, la Giordania, il Marocco, la Tunisia, lo Yemen, l'Indonesia, lo stesso Pakistan ecc.). Rientra nel modus operandi di simili azioni di guerra non-convenzionale. E anche in questo caso, la scelta della stagione turistica indiana per eccellenza non è stata casuale. Gli attacchi hanno indubbiamente inciso su una delle maggiori fonti di reddito nazionali, consentendo per di più dei dividendi morali agli attaccanti, quelli cioè di acquisire prestigio e conclamare una vittoria spirituale. Infatti, i turisti sono sempre stati considerati dai fondamentalisti islamici come elemento di corruzione nei confronti della popolazione locale per i valori edonistici e consumistici di cui sono portatori. 4. Un altro obiettivo certamente conseguito è stato quello di attirare l'attenzione mondiale sull'operato, sfruttando al massimo grado la teatralità degli attacchi e l'impatto mediatico. 5. Porre sotto gli occhi di tutto il mondo la fragilità del "sistema politico-istituzionale India", le collusioni e le ambiguità del sistema, le fratture sociali (l'eterno scontro fra la maggioranza Hindu e la minoranza Musulmana) e le grandi sperequazioni economiche esistenti all'interno della Repubblica Indiana. 6. Aumentare le frizioni fra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari. E, con questo, rallentare se non ostacolare del tutto il fragile dialogo in corso per la soluzione dei contenziosi fra i due Paesi e una stabilizzazione dell'intera regione. E, per concludere, nel n. 3/2008 di Gnosis, Guido Olimpio, nelle sue riflessioni su "Al Qaeda vent'anni dopo…", osserva: "ma la crisi tutta interna all'organizzazione non significa il tramonto di Al Qaeda. Mancata la prova delle Olimpiadi di Pechino, per alcuni analisti sono le elezioni presidenziali americane il prossimo appuntamento con il terrore islamista". E se Mumbai fosse questo appuntamento in una maniera del tutto tipicamente islamista? Le elezioni hanno avuto luogo. Il Paese sta attraversando una contingenza politico-economica particolarmente grave; il Presidente eletto non è per ora "gradito" al mondo arabo e islamico in generale; si è impegnato formalmente a un rafforzamento della presenza "alleata" in Afghanistan e ad una crescente responsabilità nella lotta al terrorismo globale, ad Al Qaeda e ai Taliban. L'India è un paese sostenitore della politica americana, è un attore regionale tutt'altro che secondario sia economicamente che politicamente, fornisce consistenti aiuti diretti e indiretti nella lotta contro i Taliban e Al Qaeda, ha gravi problemi interni anche con la sua "minoranza" musulmana… è un'arena ideale per una risposta indiretta e globale. Foto Ansa |