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GNOSIS 3/2008
Il FORUM



La galassia
del tifo violento

a cura di Emanuela C. DEL RE


"Catania-Palermo finisce in tragedia: muore poliziotto. Sospesi tutti i campionati" (Il Sole 24 ore, 3 febbraio 2007); "Tifoso ucciso, ultrà uniti contro il nemico comune: la Polizia" (Panorama.it, 11 novembre 2007); "Ultras del Napoli padroni del treno. 'Ferrovie: Danni per 500.000 Euro"(La Repubblica, 31 agosto 2008); "Arrestato un ultras della Roma. Ieri ha accoltellato tifoso Reggina, avrà DASPO per 5 anni" (Corriere dello Sport, 21 settembre 2008); "Aggredirono giornalista, condannati ultras della Lazio" (Gazzetta dello Sport, 31 maggio 2007).]





foto Ansa
A giudicare dai titoli che appaiono sui giornali la parola ultrà (o ultras) appare sempre legata a fatti di sangue, a violenze, vandalismo, e non di proporzioni contenute. Non vi è dubbio che un fenomeno come quello del tifo organizzato, che ha avuto origine negli anni '50, affermandosi poi negli anni '60 e proseguendo fino ad oggi con trasformazioni che hanno seguito quelle della società in cui si è instaurato, abbia una componente di aggressività che può facilmente diventare incontrollabile. Non vi è dubbio che tra le fila degli ultras vi siano persone che arrivano a sfruttare l'evento calcistico, con tutto il carosello che lo accompagna, per perpetrare atti vandalici o violenti.
Eppure, il fenomeno ultrà è anche, soprattutto altro. Dalla ricerca condotta è emerso un mondo estremamente vivace, palpitante, ricco, che costituisce certamente un potenziale sociale importante. Già soltanto pensando al gran numero di persone che ad ogni partita si recano allo stadio per passione, a coloro che decidono di seguire la propria squadra in trasferta, a chi si dedica all'organizzazione di coreografie allo stadio, a chi fa del tifo una ragione di vita, si può cogliere l'enorme stimolo e l'impatto sociale positivo che dal calcio possono derivare. E se poi si esplora la rete, si incontrano blog, siti, video di ogni genere che hanno per oggetto sempre la stessa grande passione per la propria squadra. Un enorme fermento di pensieri, emozioni, in una società che, come sostiene Evelin Lindner, è pervasa da un senso di umiliazione di fronte a un mondo globalizzato da cui è facile sentirsi esclusi e in cui è difficile ritagliarsi un ruolo attivo. Un fermento che non può che costituire uno sbocco positivo per i molti rivoli delle aspirazioni sociali.è vero però che accanto alle speculazioni sull'identità dell'ultrà, sull'ideologia ultrà, sul ruolo di un calciatore in campo, accanto alle informazioni su cosa vuol dire rompersi il menisco con tanto di radiografie, su cosa dovrebbe o non dovrebbe fare il presidente della Lega Calcio o il presidente della tal società e altro, emergono numerosi indicatori preoccupanti. Preoccupanti perché tradiscono non solo un vuoto intellettuale, una visione della società distorta e parziale, ma un odio rancoroso, un livore che sembra non lasciare spazio ad alcun dialogo.
Tra le ingiurie alle tifoserie di squadre tradizionalmente rivali (ma vi sono anche alleanze storiche), emergono insulti razzisti o ispirati a orientamenti politici - a volte anche insieme-, per non parlare dell'insulto di genere velato, con tutte le immagini di donne svestite che imperano. Musulmani, comunisti e laziali sono oggetto, tutti insieme, di un unico odio, ad esempio. Neri, fascisti, capitalisti, altrettanto. Non si tratta di veri e propri orientamenti politici - è infatti quasi del tutto assente un'articolata riflessione politica - si tratta piuttosto di adesioni spontanee che prendono spunto da un senso istintivo di comunanza di idee. Simboli celtici, falce e martello, raramente si esplicano in lunghe dissertazioni: semplicemente stimolano slogan "contro", per definire un'identità, una collocazione sociale che evidentemente non si riesce a trovare altrimenti. La definizione del nemico corrisponde all'auto-definizione. E su questo la società dovrebbe interrogarsi: vi sono lacune sociali che andrebbero riempite, perché non finiscano col canalizzare il loro potenziale sociale positivo in rancore.
Indicatore di questo pericolo è un odio che accomuna tutti coloro che si definiscono ultras: l'ordine costituito. Su questo bisogna interrogarsi. Perché si è creata questa frattura con lo Stato? Come sanarla?
Le misure legislative adottate negli ultimi anni per arginare il fenomeno della violenza negli stadi, hanno radicalmente mutato il mondo del tifo. Dal DASPO (Divieto di Accedere alle Manifestazioni Sportive), misura introdotta con la legge 401 del 13 dicembre 1989, al cosiddetto Decreto Amato (legge 41 del 5 Aprile 2007), l'accesso allo stadio è ormai fortemente sotto controllo, con conseguente disapprovazione da parte degli ultras che ne denunciano l'effetto anti-spontaneità e l'aver reso l'andare alla partita un percorso a ostacoli. Ma le misure erano necessarie, e includono, ad esempio, iniziative come l'introduzione degli steward negli stadi, l'istituzione di un Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive e altro.
Come documenta il Centro Nazionale di Informazione sulle Manifestazioni Sportive (CNIMS), vi è più sicurezza: decremento degli incontri con feriti del 9,4%, una diminuzione progressiva dal 2005, per un totale del 47%. Un risultato importantissimo, ma la frattura resta.
Gli ultras sono, in sintesi, contro l'ordine costituito, il "calcio moderno" e la Pay-TV. Tutti.
Il calcio moderno con gli scandali, la corruzione, gli ingaggi milionari, la commercializzazione, le Pay-TV che portano a vedersi la partita da casa, a pagamento, togliendo all'evento la sua linfa vitale, il tifoso, che viene trasformato in un automa condizionato. E ancora, gli ultras continuano a sentirsi contrapposti alle Forze dell’Ordine, perché sostengono di non essere capiti, di non essere trattati adeguatamente, quando vanno in trasferta, di trovare nelle Forze dell’Ordine un atteggiamento da eccesso di difesa che a loro dire sarebbe ingiustificato e che incomprensibilmente porta a tensioni e azioni repressive esagerate. Ma allo stadio molti vanno con martelli, spranghe, coltelli con lame da quattro dita...
Gli ultras "sani" dovrebbero chiedersi come si può pensare di difendersi da simili individui senza le Forze dell’Ordine, ora che, come gli ultras stessi affermano, il controllo interno alle tifoserie non è più possibile, dato che ormai sono frammentate, non vige più la gerarchia per "anzianità di stadio" e i più giovani sono ribelli e facinorosi.
Il risultato è che la cittadinanza tutta viene continuamente bombardata da immagini e notizie di assalti, aggressioni, ferimenti e altro, con conseguente forte disapprovazione sociale per un fenomeno che invece potrebbe costituire un catalizzatore sociale importante. Difficile distinguere tra ultrà "sano" e ultrà corrotto.
Comprendere il fenomeno, conoscerlo realmente, è essenziale. Pensare a nuovi modi per arginare la violenza e l'aggressività, ma anche per valorizzare un bacino di energie ed emotività sociali forti, è altrettanto importante. In questo senso ci siamo rivolti ad alcuni testimoni privilegiati del fenomeno perché ci si interrogasse insieme su alcune questioni fondamentali, partendo dalla definizione dell'identità dell'ultrà e del suo ruolo sociale e politico, sulle motivazioni alla base della violenza, per poi riflettere insieme sulle misure di sicurezza e giungere, infine, a proposte concrete per il futuro, a linee programmatiche.


Al FORUM hanno partecipato rappresentanti di diversi ambiti che incontrano il tifo organizzato per varie motivazioni.
Il Questore di Roma Giuseppe Caruso, che ha la responsabilità di gestire le Forze dell’Ordine in occasione degli eventi sportivi;
il sociologo Franco Ferrarotti, che, nella sua acuta sensibilità scientifica, ha colto da sempre il valore sociale di un fenomeno come il tifo, su cui rifletteva, già nel 1983, con Oliviero Beha nel suo noto "All'ultimo stadio. Una Repubblica fondata sul calcio" (Rusconi, Milano, 1983);
il Presidente della Lazio Claudio Lotito, che ha lanciato una campagna di moralizzazione del mondo del calcio;
il Giornalista Massimo Cecchini, inviato della Gazzetta dello Sport, il quotidiano più letto d'Italia, che segue in particolare la squadra della Roma e quindi vive lo stadio dall'interno;
l'Avvocato Lorenzo Contucci, legale conclamato degli ultras ed ex-ultrà anch'egli, che segue da anni tutte le vicende giuridiche dei tifosi;
Lucio Caracciolo, Direttore di Limes, autentico tifoso tanto da indulgere spesso sui colori della sua squadra nell'elaborazione delle copertine della sua rivista, attento osservatore dei fenomeni sociali e politici;
Carlo Balestri, Responsabile di "Progetto Ultrà", Associazione che opera dal 1995 nel settore del tifo sportivo all'interno dell'U.I.S.P. (Unione Italiana Sport per tutti) dell'Emilia-Romagna e che ha come obiettivi la difesa della cultura popolare del tifo e la limitazione della violenza e dell'intolleranza attraverso un lavoro di tipo sociale, rivolto ai tifosi e portato avanti insieme a loro.




D. Sono emerse sfaccettature, interpretazioni, opinioni diverse. E soprattutto, proposte articolate, programmatiche, concrete. Un significativo slancio verso il futuro per la società, per gli ultras, insieme. Per comprendere il fenomeno degli ultras, credo sia importante partire da una definizione. Chi è l'ultrà?

Giuseppe Caruso
- Io mi ritengo un ultrà, nel senso che anche io sono un appassionato tifoso. Per fare il tifo, un tifo sano, coinvolgente, ironico, non c'è bisogno necessariamente di evidenziarsi, di fare del tifo danneggiando, percuotendo, ledendo, eccetera. Quindi, si può benissimo seguire una squadra facendo un tifo da persone per bene, sicuramente con maggiore soddisfazione, e tra l'altro, se così fosse, penso che sarebbe ancora più coinvolgente perché anche le famiglie con i bambini frequenterebbero lo stadio.
Massimo Cecchini
- Chi è l'ultrà? Difficile dirlo. Secondo chi partecipa a questa categoria, è un personaggio che risponde a dei modi di pensiero e a delle norme di comportamento ben specifiche, anche nei tipi di trasgressione alle leggi vigenti che paiono necessarie per la definizione del "personaggio". Vero? Fino ad un certo punto. Ad esempio, nelle aree in cui il tasso di criminalità è parecchio alto oppure la penetrazione del calcio è meno intensa, riscontriamo fenomeni di aggregazione in "stile ultrà" senza che questo assuma connotazioni sportive. Ad esempio, i fatti di Pianura relativi ad un paio di mesi fa (la lotta alle discariche e la caccia al Rom) oppure le frequenti rivolte nelle banlieux di Parigi, entrambi con un livello sociale e con delle modalità di espressione assai ultrà, inteso come espressione d'illegalità. Per limitarci al calcio, comunque, anche certe regole non scritte ormai hanno perso territorialità. Altro esempio: gli ultras generalmente non usano coltelli (in gergo, lame) ma a Roma questa è la modali
tà prevalente di aggressione al "nemico", e questo viene rimproverato alla tifoseria giallorossa ed a quella biancoceleste anche dai "colleghi" di altra fede. Un dato per tutti: solo alle partite interne della Roma ci sono stati 35 accoltellati negli ultimi 26 mesi. Che tipo di accoltellamenti? La cosiddetta "puncicata", cioè l'affondo in direzione di coscia o gluteo. Atto "scientifico" perché, in caso di arresto, non può portare all'accusa di tentato omicidio, visto che mosso verso una zona "bassa". Buoni e violenti? Difficile dirlo, credo molto alla teoria del branco.
Lucio Caracciolo
- Il tifoso è un guardiano della fede. Come tutti i guardiani della fede, se necessario ricorre alla violenza per difenderla. Lo fanno anche i frati francescani o i comboniani - vedi ad esempio, ma non solo, la Croazia o il Sudan. La differenza non è fra buoni e cattivi, ma fra chi è in grado di ricorrere alla violenza e chi, per limitazioni fisiche, non ce la fa. Chi pensa di avere limitazioni morali non è un tifoso ma uno spettatore.
Lorenzo Contucci
- Io sono stato un ultrà, ma ora non lo sono più. La mia storia personale inizia quando avevo cinque anni, perché mio padre mi portava allo stadio, in tribuna, a vedere la partita e, quindi, è stato fatale che intorno al '79, a 13 anni, nel momento in cui uno si sente un pochino più grande, io abbia iniziato ad andare da solo, prima in Tribuna e poi in curva. La mia permanenza in curva è durata fino al 2003, e l'unica volta che mio padre mi fece la tessera di tribuna perché non voleva che andassi in curva per quel che lì accadeva, io con la tessera di tribuna andavo in curva comunque. Lì ho conosciuto tutta Roma e mi sono costruito caratterialmente: la curva è stata la mia seconda famiglia, la mia seconda casa. Ora non più. Perché io non credo di essere cambiato, ma è cambiato il mondo intorno a me, si è evoluto e si è evoluto il calcio, i ragazzi: io giocavo con il Subbuteo e non avevo giochi elettronici, giocavo con le figurine del wrestling o con le tartarughe ninja e con i soldatini, insomma ero un ragazzo
classico della vecchia generazione. Il calcio era un calcio fatto di bandiere, di sentimenti forti, cosa che adesso non è più, e non mi trovo più neanche con i ragazzi che frequentano la curva, pur mantenendo un filo emotivo che fa si che io sia un fratello maggiore per molti di loro, anche tramite il mio sito web. è un'anzianità che mi viene riconosciuta perché io, come tifoso di curva, sono abbastanza noto, perché, come nei partiti politici, la militanza viene vista e riconosciuta dai ragazzi, e questo è il fatto che fa sì che una voce venga ascoltata. Sono cambiati i valori, sempre riferiti al calcio, ma i valori dei ragazzi nell'ambito di una curva sono sempre gli stessi, e cioè la lealtà e l'amicizia fra di loro, il fare quadrato contro tutto e contro tutti e quindi un fortissimo spirito aggregativo e di bandiera.


D. A quali cambiamenti si riferisce in particolare?

Lorenzo Contucci
- Sono cambiati i valori di riferimento nell'ambito del calcio perché mentre per la nostra generazione la Roma veniva sopra ogni cosa perché era una passione che non veniva contrastata da altri fattori. Mi riferisco al fatto che c'erano dei giocatori, delle bandiere, delle regole che impedivano ad un giocatore di cambiare squadra, non c'era tanto calcio in TV e quindi dovevi per forza andare in trasferta a vedere la Roma. Non c'era l'attenzione dei media così spasmodica su ogni cosa che accadesse allo stadio e, quindi, c'era una libertà maggiore anche nell'esprimere se stessi. Si potevano fare coreografie, si poteva fare il tifo in modo colorato e si poteva fare un tifo diverso nello stadio, che è grigio. Era una vera e propria comunità che adesso sta scomparendo. La partita è una volta alla settimana. Ci sono molti ragazzi in curva che hanno impegni politici, fanno volontariato, altri che rapinano le banche, altri che sono avvocati, altri che sono medici... uniti da un livello emotivo che chi ne viene attinto se lo porta dentro fino alla tomba.


D. Ma cosa unisce individui tanto diversi?

Lorenzo Contucci
- L'amore per la propria squadra. È qualcosa che lega le persone come noi sia alla squadra sia alla propria realtà territoriale. Morris ex cantante degli Smiths ha, secondo me, con grande finezza, descritto gli ultras inglesi come un movimento di patrioti. Io credo che le realtà ultrà siano ancora adesso delle piccole comunità, i ragazzi del muretto che sostengono anche la squadra locale. È l'unica realtà forte ancora territoriale che lega i ragazzi. L'ultrà va oltre la squadra, è uno spettatore appassionato che segue degli schemi comportamentali imposti e consapevolmente accettati. L'ultrà è un elemento di rottura perché diventa una realtà a se stante e vuole essere parte del gioco in modo attivo tifando e sostenendo la squadra, un po' come la Chiesa italiana e la Chiesa americana dove celebrano la messa in modo attivo, animato con i gospel e cose del genere. Sono due modelli molto diversi ed è ovvio che i più giovani preferiscano aderire ad un modello comportamentale più attivo. È la stessa differenza che ci
può essere tra un concerto di musica classica ed un concerto di musica rock scatenata. Nel concerto di classica, che anche un giovane può apprezzare, viene messo seduto e con attenzione a determinati fattori, un concerto rock invece viene seguito fisicamente con il ballare, con il saltare con il crowd-surfing e cose di questo genere.


D. Dunque se il collante è l'aggregazione, il gruppo è coeso e può diventare un attore sociale importante. Una coesione tanto forte potrebbe far pensare agli ultras come a un attore anche politico?

Franco Ferrarotti
- Io ringrazio di essere interrogato su questo tema che è un tema importante e che è finalmente considerato seriamente non soltanto da singoli intellettuali. Come scrivevo già anni fa, non penso che la situazione sia radicalmente e qualitativamente mutata. Il calcio come fenomeno di massa supplisce a certe carenze di una società tecnicamente progredita, ed in particolare oggi - più che venti o trent'anni fa - la nostra società è ormai una società caratterizzata per certi aspetti positivi, ma anche negativi, dalla crisi, dalla caduta delle grandi ideologie. Parlo non solo delle ideologie della sinistra, ma anche dei grandi ideali religiosi... pensiamo a cosa ha significato la crisi della Parrocchia, la crisi delle sezioni di partito, la crisi dei sindacati. Sono venuti meno i luoghi naturali dell'aggregazione. Che cosa è rimasto? Due fenomeni, straordinari, che non a caso hanno luogo nelle stesse dimensioni fisiche e spaziali: da un lato le grandi adunate, per così dire, dei cantautori, ad esempio, quando centinaia di migliaia di giovani alzano le braccia e sembrano invocare il Dio ignoto che non si sa bene se arriverà o meno, e poi sul palco c'è il cantautore salvifico che si ostina a cantare pur non avendo voce; dall'altro, le partite di football, di calcio... straordinariamente importanti oggi, perché hanno una funzione di supplenza come momento di aggregazione civile. Ora, apro una parentesi personale, la longevità ha molti inconvenienti noti, come gli acciacchi, ma ha un vantaggio: consente di coprire oggi l'arco evolutivo del fenomeno sportivo del calcio, dalla partitella nell'oratorio parrocchiale, per me che, per esempio, era la ProVercelli, fino ai grandi campioni.


D. E quindi come si presenta la situazione oggi? In che cosa si differenzia dal passato?

Franco Ferrarotti
- Ma la situazione di oggi qual è? Qual è la grande differenza? Che allora il calcio era un fatto volontario, direi quasi un "doposcuola", da oratorio, da piazzetta, e oggi è una grande, grossa macchina, diciamo "affaristica" che macina miliardi. E macinando miliardi si finisce anche per macinare persone. Ora, questa è la grande differenza, il calcio è diventato un grande fenomeno sociale. Primo, sostitutivo di ciò che non c'è più; secondo, grande affare finanziario industriale; terzo, ha una funzione di secolarizzazione e di identificazione con la propria squadra in quanto è rappresentante del proprio Paese di origine, della propria località. Io sono rimasto molto colpito anni fa della retrocessione di una squadra della serie A alla serie B o alla serie C, si bloccarono le autostrade e le ferrovie. Trent'anni fa io proponevo una severa azione punitiva contro i club organizzati, cioè gli ultras come lazzaroni del re, per parlar chiaro. In sostanza al seguito, quasi come una specie di improprio postribolo al seguito delle truppe che andavano ad affrontare il nemico.
Lucio Caracciolo
- Il mondo dei tifosi è molto più frammentato oggi che trent'anni fa. La frammentazione è dovuta alla pervasiva penetrazione di interessi economici e politici in un fenomeno fino agli anni Settanta essenzialmente sportivo/religioso. Oggi ai tifosi si sono sommati i teppisti, cioè non i guardiani della fede ma i professionisti del crimine, indifferenti al credo ma non al denaro e al potere. I teppisti hanno messo sotto i tifosi in quasi tutti gli stadi, e spesso sono impegnati in guerre civili fra loro per il controllo di traffici e prebende. In genere gravitano verso il mondo dell'estrema destra nazistoide, o giù di lì.


D. Gli ultras sono stati più volte protagonisti e ispiratori di proteste, manifestazioni, sit in, come reazione a decisioni arbitrali, a questioni legate alla squadra, al loro ruolo. D'altra parte se guardiamo allo stadio, gli ultras insieme costituiscono gruppi di migliaia di persone. Si può allora parlare di "potere" degli ultras?

Giuseppe Caruso
- Se si parla di ultras come delle persone che tifano per la squadra, allora parliamo di migliaia di persone, certo… ma è bene fare distinzione e chiarire se per ultras si intendono coloro che prima gestivano totalmente anche l'andamento delle partite. Erano capaci di mettere in crisi anche delle società, ponendo in essere degli atti che alcune volte facevano anche squalificare volutamente il campo proprio per questo atteggiamento che avevano nei confronti della società… ma quelli sono dei delinquenti! Gli ultras che seguono la squadra sono migliaia, sono persone da incoraggiare, è tifo sano, è quello che facciamo tutti! Ma qui non stiamo parlando di questo: non sono le persone per bene che condizionavano le società, sono veri e propri delinquenti che hanno interessi anche e soprattutto economici.
Claudio Lotito
- Concordo. Il decreto è nato per rompere un meccanismo in essere tra gli ultras e le società sportive. è da tempo che sostengo che il calcio si è snaturato negli ultimi dieci/quindici anni ed ha perso quella connotazione di passione, di valori e di ideali per assumere una connotazione più materiale ed economica; ciò ha comportato un cambiamento nei rapporti dovuto al fatto che se la società sportiva depauperava sistematicamente le risorse attraverso una gestione allegra, aveva necessità di un consenso esterno, che andava a cercare soprattutto negli ambienti dei sostenitori. Io non a caso, in tempi non sospetti, dissi, ad un certo punto, e non mi riferivo solo alle società di calcio, che la politica doveva fare una scelta: o il consenso o la legalità. Perché troppo spesso il consenso allignava in ambienti dove purtroppo venivano violate le leggi ed anche il Codice Penale. E non venivano snaturati soltanto i valori dello sport, ma snaturavano anche chi avrebbe dovuto seguire la propria squadra del cuore in modo disinteressato e con atteggiamento basato soltanto sulla passione e sugli ideali: infatti costoro avevano trasformato la passione sportiva in un vero e proprio impegno lavorativo: di professione facevano i tifosi. Quindi si sono snaturati i rapporti ed i ruoli: è successo che, nel tempo, anche il tifoso è diventato un momento di scelta gestionale all'interno della società, laddove si è dato adito a questo straripamento di ruoli, condizionandone anche l'operato. A volte ciò avveniva subendo passivamente un'iniziativa esterna, a volta organizzandola, ma il risultato non cambia: io ricordo che quando sono entrato in questo mondo ho trovato un peso determinante da parte di tifoserie, chiamiamole particolari, che condizionavano l'operato e le scelte della società. Pensate che, nel caso della Lazio, c'era un'organizzazione commerciale gestita da certi soggetti che avevano trasformato ideali e passioni in un'attività commerciale con l'organizzazione delle trasferte, il merchandising e quant'altro, creando uno sconfinamento dei ruoli tra tifoso e società.
Lucio Caracciolo
- Gli ultras si dividono fra tifosi e teppisti. Sui primi ho già detto. Poi ci sono i teppisti, che come tali sono attori politici. E piuttosto potenti, a giudicare da come vengono rispettati da società e Polizia. La loro forza economica e politica consente loro di dettare legge, di controllare ampi settori degli stadi e dintorni con poche centinaia di uomini. Sono dei ricattatori decisi e abili, se necessario violenti, non diversamente dai camorristi o dai mafiosi.
Massimo Cecchini
-In questo senso vorrei intervenire in merito ai gruppi di potere. Di sicuro il mondo ultrà è consapevole di rappresentare un centro di potere importante, tant'è che all'Olimpico si è arrivati anche all'esposizione di striscioni che invitavano a votare un candidato alle elezioni regionali. Anche per questo sembra esista una lobby parlamentare che più volte avrebbe annacquato, in nome del garantismo, certe misure legislative che i diversi governi avevano cercato d'introdurre. Di sicuro essere un capo tifoso, più che un ultrà, è diventato un mestiere, una maniera per procurarsi un reddito. I modi sono quelli consueti: vendita di gadget e organizzazione delle trasferte. A Roma, poi, c'è un ulteriore fenomeno, che è quello rappresentato dalle radio e dalle tv private. Non è infrequente che capi tifosi (o ex), magari anche con precedenti penali legati alla criminalità comune o a quella politica, affittino spazi tv o frequenze per dare vita a trasmissioni autogestite i cui proventi pubblicitari (spesso notevoli) sono tutti a loro vantaggio. I più accreditati, poi, hanno legami stretti con i club cittadini ed anche con la cosiddetta società civile, tant'è che persino imprenditori, politici e giornalisti di primo piano in qualche modo danno il loro contributo allo "sdoganamento" di personaggi che, pur non diffondendo messaggi illegali, sono portatori di linee guida "violente", ossessivamente ripetute, dalle quali poi è facile trarne motivo per scatenare incidenti al momento dell'evento "clou", cioè la partita di calcio. In generale non saprei dire. Per quello che riguarda l'universo Lazio (fino a pochi anni fa molto irreggimentato e verticistico) adesso la polverizzazione è chiara, per ciò che concerne la Roma il fenomeno è in atto ormai da tempo. Non ci sono figure leader universalmente riconosciute e il collante, spesso, resta la comune matrice politica (al 90% di destra) e la voglia di ribellione che pervade un pò tutti i gruppi. Il discorso politico è assai complesso: di sicuro il riferimento al "mutuo sociale" per i senza casa è un dato trasversale, ma ormai anche antiche tradizioni di colleganza sono andate perdute. Ad esempio, Roma e Napoli fino a una ventina d'anni fa erano tifoserie assai legate, ora invece sono divise da odio inestinguibile. Le cause scatenanti (raccontano di un gesto, un gol, una particolare esultanza) viene tramandata solo per dare un senso al presente, e probabilmente i più giovani degli ultras neppure ne sono a conoscenza.


D. Parliamo di leader e potere, ma il mondo ultrà è composto principalmente da tifosi semplicemente animati da passione per la squadra. Che impatto ha su di loro tutto questo?

Giuseppe Caruso
- Devo dire che molti di quei ragazzi, normali tifosi, a me fanno pena perché venivano strumentalizzati dai delinquenti, perché molti degli ultras prendevano in buona fede i biglietti che ricevevano gratuitamente da coloro che ricattavano le società. Il grandissimo merito del decreto è quello di avere rotto il rapporto tra queste società e gli ultras, ma non perché le società fossero conniventi nel senso di parte attiva. Purtroppo in alcuni casi erano piuttosto delle vittime, perché a fronte della possibilità di questi delinquenti di fare squalificare il campo o di architettare qualcosa che danneggiasse la società, magari in buona fede qualche dirigente ha dato un numero rilevante di biglietti e concessioni, come parcheggi e altro... Era un intero mondo economico. Io, giunto qui a Roma due mesi fa, prima della partita con il Napoli, come faccio in tutte le sedi dove sono stato, ho chiesto di incontrare i capi delle tifoserie locali. A Palermo, ricordo, la prima partita sembrava Santa Rosalia sugli spalti, c'
erano giochi pirotecnici, petardi… Ricordo che ho convocato nei miei uffici 26 capi ultras che rappresentavano altrettanti gruppi, abbiamo fatto un discorso serio ma perché erano ultras seri, con cui si poteva discutere. La tifoseria palermitana, va detto, è tra le più corrette. Avevo chiesto agli ultras romani di incontrarli, ma hanno ritenuto di non farlo probabilmente perché consapevoli del fatto che in occasione della partita col Napoli non avrebbero potuto mantenere le promesse che io avrei loro chiesto di fare… Questo va a loro vanto, nel senso che evidentemente sono persone serie che dicono "è inutile che vado là, mi chiede di promettere una cosa che poi non riuscirò a mantenere, tanto vale che non ci vada" sotto un certo profilo sono stati coerenti, una coerenza da parte mia apprezzata.


D. Questo mancato incontro con gli ultras - che assume anche un forte significato simbolico - non potrebbe essere collegabile al fatto che il tifo oggi è cambiato e non vi sono più leader saldi, riconosciuti, come si diceva?

Giuseppe Caruso
- Secondo me i capi ultras esistono, la nostra "squadra tifoseria", ad esempio, ha dei contatti con i capi ultras. Ripeto, il capo ultrà anche da parte nostra è sollecitato, nel senso che è bene che ci sia, perché avere un interlocutore anziché mille va bene. L'importante è che sia una persona responsabile, seria.


D. Se il Questore chiama i capi per discutere della situazione ma riceve un rifiuto, allora chiediamoci se si può creare un dialogo, e quale!

Carlo Balestri
- Siamo andati troppo oltre. Dal mio punto di vista le ragioni sono diverse, e vorrei fare un altro esempio per spiegarmi. Con Roma c'erano state delle frizioni su una sorta di movimento che era nato nel 2003/2004 dall'unione di circa settanta tifoserie, un movimento che però non faceva altro che dire, in maniera civile, senza nessun tipo di incidenti, in che modo secondo loro si poteva ridare un po' di dignità al calcio, usando certe parole chiave. Avevano preparato anche un manifesto, che volevano presentare alle Istituzioni. Hanno chiesto a tutte le Istituzioni sia dello Stato sia del mondo del calcio, ma non hanno avuto ascolto. Poteva aprirsi un tavolo anche interessante, perché l'idea era quella di salvare il calcio, con l'intento non di fare politica in curva, ma di creare una sorta di politica di curva: "i fruitori dello stadio dicono che sta andando tutto in sfacelo, e noi vogliamo dare un nostro contributo". Un contributo che secondo me per alcuni aspetti era anche critico rispetto alla gestione del
calcio, ai diritti tv, a queste partite frammentate a mò di spezzatino, insomma, ma faceva anche delle proposte sociali sull'inserimento delle scuole, ad esempio. Ma non è stato ascoltato. Le conseguenze sono che se tu stai uno, due, tre anni a lavorare su un progetto, su un'iniziativa ma non vieni ascoltato e poi capitano incidenti e si fanno nuove leggi speciali, quegli stessi ultras attivi positivamente si chiedono: "ma chi ce lo fa fare di difendere il movimento unitario se non veniamo ascoltati?". E così quel movimento ha cominciato a sfilacciarsi...


D. Quindi il potenziale politico, nel senso positivo di partecipazione alla società, esiste? O si tratta invece di strumentalizzazioni?

Claudio Lotito
- No, secondo me il tifoso autentico è quello che va allo stadio, tifa per la propria squadra del cuore, esterna le sue passioni nel rispetto delle regole e dei valori dello sport: questo è il tifoso sano. Non è l'ultrà, è il vero tifoso; il giorno che non rispetta le regole non è più un tifoso, e quindi va trattato con altre regole, anche con quelle del Codice Penale. Allora la politica deve fare una scelta: o il consenso o la legalità. Nel momento in cui tu non insegui più il consenso e fai la scelta della legalità, questi fenomeni non hanno motivo di esistere. Queste curve, in passato, sono state oggetto di interesse politico, elettorale, perché la capacità di aggregare moltitudini di persone costituisce una forza elettorale, al di là di qualsiasi ideologia. Io penso che oggi la scelta sia più facile: prima forse, con il vecchio sistema elettorale, c'era il problema delle preferenze che, diciamo così, consentiva di sfruttare meglio le aggregazioni dal punto di vista elettorale, anche se il politico doveva
assumere su di sé la responsabilità delle scelte: il voto di un delinquente, dal punto di vista democratico, è uguale al voto di una persona per bene, ma dal punto di vista morale sicuramente no. Se favorisci il proliferare del consenso tra chi viola la legge, non sei altro che una persona che favorisce quel fenomeno indirettamente e ne sei anche responsabile.


D. Resta il fatto che si tratta di un numero considerevole di persone, che condividono ideali e passioni comuni che a loro volta costituiscono una risposta ad una condizione sociale. Qualcuno definisce il fenomeno ultras una "sottocultura"...

Lorenzo Contucci
- Il movimento ultrà non ha bisogno di diventare un soggetto politico, ma è lo Stato che lo sta facendo diventare tale. Negli anni '80 io non avrei mai pensato di parlare di cose di questo genere. Attenzione, se ai gruppi ultras fosse stato lasciato di sostenere la squadra, non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di diventare un attore politico. Lo Stato é riuscito a compiere un miracolo: unire fascisti e comunisti, romanisti e laziali, atalantini e bresciani. L'elemento unificante sono le misure repressive, che spesso vengono fatte passare per prevenzione, quindi il nemico è diventato lo Stato che viene definito oppressore, per come vedono gli ultras le cose. I gruppi ultras non hanno una coscienza politica così sviluppata, quindi per loro lo Stato è rappresentato dalle Forze dell’Ordine in uniforme che hanno di fronte.
Carlo Balestri
- Ecco perché secondo me si dovrebbe prestare più attenzione al mondo che popola le curve. Solo a Roma ci sono 20.000 persone in curva. Bisognerebbe dare più attenzione a chi vive nello stadio. Da una parte il calcio è un grande fenomeno di carattere culturale: ci sono le trasmissioni con i vari giornalisti-opinionisti durante tutta la settimana. Si utilizza il calcio come strumento di potere, si legittimano delle cose assolutamente allucinanti nel mondo del calcio, debiti incredibili, doping, personaggi-dinosauri che sono sempre là… eppure non ci si rende conto che il bacino degli ultras rappresenta anche un luogo di aggregazione e di socializzazione anche culturale/ politica forte, non nel mero senso di voti. Se quello è un luogo, una comunità, un'agorà, come la si vuole chiamare, perché si pensa solo a reprimerlo se ci sono dei problemi? Se in un quartiere hai un problema con la tossicodipendenza, con gli immigrati, da una parte ci sarà la Polizia, certo, ma dall'altra si iniziano a fare dei progettini
sociali. Un bacino di utenza così grosso e non si pensa a fare dei progetti? Si lascia alle società calcistiche l'unico progetto sociale, che magari consiste solo nel portare Totti nelle scuole una volta ogni due mesi per fargli dire che ha segnato un bel gol?


D.Sono emerse ancora una volta le società, e quindi stiamo cominciando a individuare tutti gli attori rilevanti in campo. Che rapporto hanno le società con gli ultras?

Claudio Lotito
- Noi non abbiamo nessun rapporto.


D. E i calciatori?

Claudio Lotito
- Quelli che ho adesso, son nuovi, li ho messi nuovi, non mi risulta.


D. Non vi è dunque nessun tipo di rapporto tra ultras e società?

Claudio Lotito
- Assolutamente no, nessun tipo di rapporto. Io ho chiuso. Il tifoso deve avere un rapporto con la società e questa deve essere spronata a recepire le sue istanze. In una trasmissione radiofonica un tifoso ha detto una cosa che mi ha colpito: "perché non mettiamo un elemento di distinzione alle società che hanno più di cento anni?". Questo è un suggerimento intelligente che costituisce un elemento elitario, altrimenti tutte le squadre sarebbero uguali, no? I 108 anni di storia della Lazio sono un patrimonio diverso da quello di una società che ha 40 anni. Chi ai suoi tempi fondò la Lazio, la fondò su alcuni valori che saranno diversi da quelli di un'altra squadra. Questi valori devono essere patrimonio del tifoso e quindi devono educarlo al rispetto della propria storia e alla costruzione di un'identità che deve essere assolutamente in rottura totale con la violazione delle regole. La lazialità deve essere rottura con la violazione delle regole, per esaltare la tradizione sportiva dei fondatori del club.


D.Ma dalla nostra analisi emerge che il circuito economico legato al mondo del calcio è a doppio senso, ovvero sia gli ultras sia le società ne possono trarre vantaggi. Questo però ha portato a forme di ricatto reciproche, da parte degli ultras anche minacciando di far squalificare il campo...


Claudio Lotito
- Le società traevano un vantaggio rispondendo al ricatto della squalifica del campo conseguente a disordini provocati ad arte; questo ha favorito la costituzione di gruppi che, in forza del consenso delle società, ha di fatto creato una figura ed un ruolo diverso da chi coltiva ideali e passioni, trasformando queste in attività commerciali a volte anche illecite.


D. La squalifica del campo è lo strumento di ricatto più temuto? Perché fa tanta paura?


Claudio Lotito
- Era conseguenza di vari elementi di pressione: i petardi, i cori, i disordini, elementi tutti che la tifoseria spesso ha usato per "premere" sulle società: qui va rivisitata tutta la normativa sportiva, laddove prevede anche la responsabilità oggettiva della società per il comportamento dei tifosi. Non a caso io due anni fa mi sono battuto per fare apportare modifiche sostanziali all'interno della normativa del codice di giustizia sportiva, inserendo circostanze attenuanti ed esimenti della responsabilità delle società, proprio perché non è pensabile che un club possa essere perseguito pur avendo messo in atto una serie di azioni volte a scongiurare il verificarsi di certi episodi, creando le condizioni affinché non si verifichino e soprattutto demolendo quello che prima era stato costruito. Del resto anche la legge ordinaria prevede che la responsabilità della società sia diversificata dalla responsabilità delle persone fisiche che la rappresentano: la legge 231 esclude la responsabilità delle società com
merciali in presenza di alcuni comportamenti preventivi, e quindi non vedo perché nel calcio non debba essere valida la stessa norma; è chiaro che va perseguito il club che coltiva alcuni rapporti di connivenza o tolleranza della violenza, ma, invece, non deve essere responsabile il club che mantiene un atteggiamento di rispetto e di correttezza, e di pressione sulla tifoseria più accanita e turbolenta. Va invogliato il club che sicuramente rifiuta certi rapporti non in linea con i valori dello sport e con il rispetto delle leggi.


D. Entriamo qui in un ambito che si deve necessariamente affrontare quando si parla di ultras: la violenza. Sarà bene tornare all'analisi sociologica per comprenderne le radici.


Franco Ferrarotti
- Per rispondere a questa sollecitazione, desidero tornare a quello che si diceva sulla caduta delle ideologie, sulle spinte ideali e sull'interpretazione del movimento dello sviluppo della società verso determinate mete. Si è detto che la caduta ha aperto un vuoto che viene malamente riempito. Anzi, dirò che mi accadeva addirittura di dare un’opinione nel Corriere della Sera tempo fa, a proposito dell'omicidio di Sandri che diede luogo a una vera e propria sommossa quasi guidata contro ciò che riteneva il Ministero dell'Interno. Io mi permettevo di ritenere, al contrario, che c'era non soltanto una sommossa emotiva e non guidata ma l'attacco che muoveva da quella sommossa contro i centri delle caserme e la scuola della Polizia era troppo mirato per non nascondere e per non essere messo in movimento da una vera e propria impresa idealmente guidata. Debbo però subito aggiungere che la mia interpretazione di questo movimento, vale a dire della valenza potenzialmente politica del tifo, del calcio vissuto come passione soprattutto dai gruppi organizzati, tende ad essere legata ad impulsioni elementari, l'autoaffermazione, la violenza come presenza, il muoversi secondo la logica del branco e in qualche modo l'autoaffermazione di fasce della popolazione che si sentono emarginate. Da questo punto di vista non sono d'accordo nè con Desmond Morris che sviluppa un discorso socio-biologico che mi permetto di ritenere troppo elementare di tipo darwiniano ma neppure con il raffinato A. Dal lago che vede nella tenzone sportiva una specie di simulacro di battaglia, e non è neppur la singolar tenzone medievale. Non è il Palio di Siena: qui siamo in presenza al contrario di grandi masse che proprio per la loro dimensione non ammettono un ragionamento raffinato. Il petardo, la distruzione del treno, non sono fatti dovuti a cattiva educazione. è questo il punto sul quale trovo molto carente l'analisi che pur viene fatta dalle Istituzioni ministeriali. Al contrario per me, la violenza è quasi, se mi consente di usare un vecchio titolo una volta famoso di Curzio Malaparte, "la rivolta dei santi maledetti". è qui troviamo il primo punto veramente delicato. Secondo, vi è il fare per fare, e il fare per fare corrisponde al decisionismo di tipo fascistico, il "fare per fare, pur di essere". Terzo, l'attaccamento, e qui c'è un fatto anche molto positivo: l'amore appassionato per le proprie radici, per la propria squadra, per la propria città, per il proprio villaggio e per i propri colori.


D. Ultimamente però c'è stato un salto di qualità. Una cosa è la violenza che emerge da un'emozione collettiva che viene mal canalizzata, un'altra cosa è quando si arriva a fare del teppismo una filosofia, una forma di partecipazione alla società per affermare il proprio ruolo che evidentemente si percepisce come marginale, negletto...


Franco Ferrarotti
- Il teppismo nella storia italiana ha una tradizione, e in questo senso anche le comparazioni con gli hooligans di anni fa non sono sostenibili perché implicano la messa a confronto di contesti culturali, storici, antropologici diversi.


D. Stiamo assistendo ad un cambiamento, dal 2006 fino ad oggi. Ora analisti, politici, esponenti della sicurezza cominciano a parlare di ultras e criminalità organizzata. Qualcuno ha ravvisato persino un'analogia con il terrorismo, come categoria criminale, che seppure come impostazione sia stata recentemente smentita, il terrorismo è stato comunque richiamato...


Franco Ferrarotti
- Ma questo va di pari passo con il cambiamento. Gli ultras si stanno organizzando su un piano ideologico sistematizzato. Questa sistematizzazione della violenza non è più l'emozione ma l'organizzazione dell'atto violento. Un conto ne è l'esplosione emotiva - che io ho sempre sospettato - altra cosa è l'organizzazione sistematica, persino idealmente giustificata, di gruppi permanenti. Tutto questo comporta un finanziamento continuo nel tempo. I gruppi nascono, come alcuni sociologi hanno immaginato, allo stato nascente potenziali, non solo, nel perdurare del tempo occorre che questi gruppi siano evidentemente dotati di una struttura organizzativa, un punto di riferimento, una sede, un segretario e poi che vengano finanziati. è in questo snodo che io leggevo molti anni fa una responsabilità primaria dei club sportivi organizzati, Roma, Lazio, Milan, Inter e questa caratteristica legata al fatto che non eravamo più di fronte ad un'associazione sportiva volontaristica soltanto. Eravamo di fronte ad un grande aff
are. Oggi l'abbiamo visto, da ultimo, per l'interesse non so quanto reale di un finanziere internazionale come Soros per la Roma.


D. Il problema starebbe allora nel grado di ricettività degli ultras rispetto alla violenza?

Carlo Balestri
- Ci sono posizioni che si distinguono e si possono distinguere, ma il problema, in Italia, è che se vi era una vera differenza - e vi era, seppure mai del tutto esplicitata - all'interno del mondo ultrà, era tra due tipi di atteggiamenti: a) quello di chi non era contro la violenza in generale, ma considerava la violenza un'opzione ma non la più importante per il gruppo, perché vi erano altre priorità tra cui anche fare iniziative di solidarietà, che ancora fanno; b) coloro che avevano un atteggiamento più paramilitare, gli hooligans veri e propri. C'era un forte scollamento tra gli aderenti ai due atteggiamenti, ma poi è arrivata la "mannaia", secondo me inconsapevole ed improvvisata di una politica di intervento repressivo che ha portato a 4 leggi speciali nel giro di otto anni. Sono stati adottati inoltre mille altri tipi di provvedimenti come l'abolizione dei treni speciali, il fatto che nel settore ospiti nel giorno della partita non si potrebbero vendere biglietti, tutto un insieme di limitazioni che s ono state percepite dagli ultras come una criminalizzazione di quell'area, di una criminalizzazione di ogni tipo di tifoso, specialmente in trasferta. Al di là delle trasferte oceaniche, se si va a vedere, alle trasferte ci va solo l'ultrà. L'ultrà è entrato nella logica di dire: "prima di tutto non mi faccio fregare: loro mi mettono più impedimenti, io ci sono uguale, gli rompo le scatole". Dall'altra parte, le misure repressive hanno avuto un forte impatto su tutti quelli che ci andavano solo per divertirsi, in trasferta, e questo è stato un problema. Ciò è dovuto molto a una politica che nella repressione sembra non aver distinto adeguatamente chi poteva commettere azione violenta… Così si è creata una situazione da "siamo tutti nella stessa barca", al di là delle differenze tra gruppi e gruppetti, portando ad una maggiore compattazione in difesa anche dell'altro un pò differente da te, che però sta nella tua stessa curva, pensando "NOI siamo in pericolo". E così scatta la sindrome dell'accerchiamento. Questa sindrome, a mio parere si è acuita per le leggi speciali, per l'utilizzo sul territorio di una potenza forse spropositata, per l'arresto fuori flagranza, la flagranza differita, le diffide - adesso son quattromila i diffidati - e ha buttato le cose in pasto a un'opinione pubblica molto favorevole, e si è cementata questa ostilità nei confronti delle Forze dell’Ordine.


D. La Polizia è il nemico dunque. È un fenomeno davvero preoccupante, che però spiega molti degli atteggiamenti attuali...

Giuseppe Caruso
- Io vengo da Palermo dove in genere c'è criminalità organizzata di altro tipo. Il fatto che il poliziotto sia visto come nemico lo lascio alla valutazione del sociologo, dello psichiatra. Ripeto, io parlo da tecnico su valutazioni di ordine tecnico. Sul fatto che qualche pazzo scriva frasi offensive e poi questo come cassa di risonanza venga recepito da qualche altro pazzo, da qualche altro microcefalo, è un altro paio di maniche, non sta a me stabilirlo. Io dico che la stragrande maggioranza delle persone sicuramente non la vede così. Aggiungo che queste norme tanto criticate hanno fatto del bene e ci hanno fatto fare dei passi avanti.
Massimo Cecchini
- Polizia nemico? Con la crescita esponenziale della violenza. L'acronimo ACAB (All Cops Are Bastards) fa capire come il fenomeno sia trasversale all'Europa intera. Si è giunti spesso al paradosso di una curva che, per motivazioni politiche, applaude i Carabinieri morti a Nassirya e cinque minuti dopo intona i soliti cori contro i carabinieri vivi all'Olimpico. Idee confuse? Più che altro forte senso di protezione del territorio. La curva è "cosa loro"? Siamo stupiti che in certi quartieri di Napoli e dintorni le Forze dell’Ordine non possano neppure entrare pena aggressioni (un pezzo di terra dello Stato perduto) e non ci meravigliamo che le stesse Forze dell’Ordine non possano controllare le curve dall'interno, durante le partite. Perché? Perché sarebbe considerata una provocazione, come se le truppe russe volessero sconfinare in Ucraina. Da qui il senso d'impunità che ne deriva e la voglia di repressione spesso affidata a personale giovane e inesperto. Da segnalare, certo, l'alleanza anti-Polizia da parte di ultras teoricamente agli antipodi come quelle di Roma e Lazio.
Lorenzo Contucci
- Prima erano solo questioni tra ultras, non c'entrava lo Stato… C'è una differenza da quando è nato il calcio ad oggi. I primi incidenti calcistici nella storia furono provocati dagli ultras del Preston North End nel 1886, ma anche nell'antica Roma squalificarono lo stadio di Gaeta per la corsa delle bighe per 7 anni… Detto questo, vi è da un lato la violenza negli stadi, ormai un po' desueta ma che ancora può capitare, è provocata dal movimento inconsulto di qualcuno, da una voce allarmistica, dal rigore non dato e quant'altro. Ed è un tipo di violenza spontaneistica che è capitata e può sempre capitare, ed è ovviamente meno organizzata. La violenza più organizzata che si è vista nel corso di questi anni, che comunque assume diverse forme dal '68 ad oggi - da quando cioè sono nati gli ultras - ha assunto diverse forme, perché prima la violenza era diretta contro i tifosi avversari, visti come banda rivale. Da dove nasce questo? Dal fatto che fino a quegli anni le trasferte non erano organizzate e ognuno poteva mettersi nel settore che voleva, però già iniziavano ad esserci quelle forme di territorialità che legavano le comunità ad un determinato settore dello stadio. Accadeva che i tifosi avversari andassero a mettersi nel momento sbagliato al posto sbagliato, e alla partita successiva veniva voglia di rendere pariglia a chi aveva aggredito questi tifosi. Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto di questo tipo di violenza è ovviamente l'essere mutuata dagli organismi politici dell'epoca, dai gruppi che si muovevano nell'ambito dell'antagonismo extraparlamentare, Lotta Continua, Terza Posizione, se facciamo dei raffronti tra gli estremismi politici. Tant'è che non è difficile, se confrontiamo le fotografie di quegli anni, vedere il simbolo della P38, stelle a cinque punte o, dall'altra parte, celtiche o svastiche. Ma l'attenzione mediatica non era così forte e l'evento sportivo non era così coperto, e quindi se ne parlava meno. Questo tipo di violenza che ancora adesso sussiste è ancora più sporadica da quando si è utilizzata una legislazione repressiva che è venuta fuori in concomitanza con l'uscita delle Pay-tv, per fattori anche economici e di consenso, quindi, perché uno striscione esposto che magari insulta un politico, ha una risonanza mondiale. Dal momento in cui lo Stato entra in questo modo in un mondo che era restato sostanzialmente intoccato per trent'anni, nasce la violenza contro le Forze dell’Ordine, che sono i rappresentanti sul campo degli apparati istituzionali.


D.Che tipo di connotazione assume questa ostilità verso le Forze dell’Ordine? In che modo si esplicita?

Lorenzo Contucci
- Si può dire che mentre prima poteva avvenire uno scontro con le forze dall'ordine, ma unicamente perché queste tendevano a separare curve con tifosi avversari perché poteva capitare che si trovassero degli esaltati che volevano picchiare qualcuno, adesso invece si forma una nuova coscienza che individua il poliziotto come un vero e proprio "ultrà in divisa". A mio modo di vedere, ed anche per esperienza personale, penso che non si possa far colpa ad un poliziotto di vent'anni se, in un momento di tensione, magari, abbia difficoltà a mantenere il controllo. Secondo me c'è un problema di adeguamento della formazione delle Forze dell’Ordine per la gestione e per il controllo delle ‘degenerazioni’ del tifo calcistico.


D. Sembra quasi che questa rabbia rancorosa, così si potrebbe definire, porti ad una percezione dell'incontro con le Forze dell’Ordine da parte degli ultras come di un corpo a corpo...

Franco Ferrarotti
- Questo fa parte di quello che abbiamo definito la crudezza, la elementarità, il carattere embrionale della loro voglia di ideologia. C'è un pensiero riflesso dietro questi comportamenti. Devo anche dire che per ciò che riguarda l'atteggiamento pubblico italiano verso i tutori dell'ordine, la Polizia, c'è stata un'evoluzione importante e paradossalmente dobbiamo quasi dire grazie al terrorismo per questo. Il fatto è che molti poliziotti e Forze dell’Ordine una volta venivano certamente identificati con il potere vessatorio. Fino agli anni di piombo anche i giudici si lasciavano prendere in una visione popolare del potere come potere vessatorio, intimidatorio, il tintinnare delle manette, e così via. Bisogna dire che l'atteggiamento di grande parte dell'opinione pubblica è maturato e si è cominciato a vedere nel poliziotto un difensore contro la criminalità. Questo, è determinato oggi dai grandi flussi dell'immigrazione extracomunitaria. La reazione verso l'altro quando l'altro soprattutto non solo si presenta con colore della pelle diverso ma con religione, lingua e tradizioni diverse, certamente pone un problema molto importante e anche qui la difesa è delle Forze dell’Ordine... Il tifo? Non c'è nulla di male nella passione sportiva, a patto che resti in piedi un terreno comune, uno standard comune di moralità cui fare riferimento.


D.Ma sulla tangenziale di Roma campeggia una scritta inquietante che non a caso è stata ripresa nell’approfondimento che segue questo Forum: "Ci togliete dagli stadi, ci troverete nelle strade!"...


Lorenzo Contucci
- Quella è una scritta che dovrebbe far pensare che il ribellismo giovanile è meglio canalizzarlo e controllarlo piuttosto che lasciarlo nella più pura anarchia. Se è vero che in Inghilterra il fenomeno all'interno degli stadi è grandemente diminuito, anche se non risolto perché i gruppi si organizzano prima e poi scontrano nelle stazioni ferroviarie e nella metropolitana, è anche vero che adesso ci sono un paio di teenager che vengono accoltellati a morte, cosa che fino a un pò di tempo non capitava. Quello che capita in Inghilterra tra un pò capiterà anche da noi, perché noi siamo dieci anni indietro rispetto all'Inghilterra, e la Grecia è venti anni indietro. La storia è ciclica, quindi i ragazzi... se si pensa a quello che accade a Campo de' Fiori oggi, quel gioco violento che d'estate scatena i ragazzi e li porta a scontrarsi con le Forze dell’Ordine, prima non accadeva. Ma è pur vero che in passato a Roma monticiani e trasteverini si scontravano, poi arrivava la Polizia e si univano contro di questa.
Claudio Lotito
- La Polizia viene vista come chi obbliga al rispetto di regole che non si vogliono rispettare. Le Forze dell’Ordine vanno sempre sostenute, perché corrono rischi sempre più gravi per sedare manifestazioni sempre più inutili e stupide. Io parlo sulla base dell'esperienza maturata e di ciò che osservo. Vi sono tre fasi: repressione del fatto, prevenzione e realizzazione delle strutture. Questi tre momenti di intervento vanno, anzi devono andare, in modo sinergico, non possono essere disgiunti; la Polizia è vista da questi pseudo tifosi (non diamo connotazioni, ma anche se vogliono passare per tifosi delinquenti rimangono) come l'istituzione che obbliga al rispetto delle regole, perché se si travalicano le regole, la Polizia prende provvedimenti.
Franco Ferrarotti
- Ciò che è interessante è che il tifoso teppistico para-criminale o potenzialmente criminale che guida poi la rivolta, è Masaniello, è il tribuno della plebe, è colui che prende la parola e si offre come potenziale sacrificio umano di fronte alla legge e dimostra agli altri che ogni legittimità formale non ha senso se non c'è questo atto di violenza come presenza, ma allora questa violenza non è semplicemente violenza criminale è la violenza come visibilità e presenza. Da li nascono, anche recentemente, i "boia chi molla". C'è un ricatto tremendo all'interno dei gruppi ultras, se tu appartieni veramente a noi, se tu ami questa strada, se tu ami la Lazio, la Roma, che cosa sei pronto a fare per noi? Sei pronto ad affrontare la Polizia? Sei pronto ad andare in prigione, ad essere ferito, a dare il tuo sangue. O no? E allora via! Questo è il ricatto interno. Qual’è l'esigenza in questa società di massa? Proprio perché è di massa l'esigenza diventa di distinzione dalla massa. Il leader potenziale, colui che non è nessuno e di colpo appare e ha tutte le luci della ribalta, è colui che grida più forte, il Beppe Grillo della situazione. La società di massa massifica, eccita il bisogno di distinguersi e ciò è paradossale. Non solo, io ne ho visto uno, ma forse sono un pessimo telespettatore, che compariva addirittura a viso scoperto e poi si metteva il passamontagna, perché il viso coperto è di colui che sfida l'ordine stabilito.


D. Se questa contrapposizione assoluta c'è sempre stata, in che cosa si differenzia dal passato? Nelle modalità? Nei ruoli? Nei valori di riferimento? In una mancata risposta da parte della società?


Claudio Lotito
- Questa contrapposizione oggi è forte ed è più palese perché le tifoserie usano coma cassa di risonanza lo stadio e lo vivono in una crisi di valori. Paradossalmente le tifoserie avversarie si uniscono per andar contro la Polizia, perché si dicono "cosa facciamo oggi? Andiamo allo stadio e facciamo caos", è questo che succede nello sport. Non esiste più il principio per il quale tu vai allo stadio per vedere lo spettacolo, siccome hai una crisi d'identità devi fare qualcosa in rottura del sistema. La Polizia viene vista come chi obbliga al rispetto di regole che non si vogliono rispettare. Le Forze dell’Ordine vanno sempre sostenute, perché corrono rischi sempre più gravi per sedare manifestazioni sempre più inutili e stupide.
Carlo Balestri
- Però va detto che in altri Paesi, il fenomeno del tifo - ma anche la violenza che ci può essere nel mondo sportivo - viene considerato non solo ed unicamente come un problema di ordine pubblico. Sebbene abbiano avuto problemi di violenza ben più devastanti di quelli italiani, essi hanno da una parte adottato misure di carattere repressivo dal punto di vista legislativo con anche leggi speciali o particolari, ma le hanno quasi da subito affiancate, come in alcuni paesi del nord, con misure di intervento di carattere sociale. Il caso della Germania è eclatante: una delle leggi quadro del 1992, che si chiama "Sport e sicurezza", legge quadro sullo sport e anche sulla violenza nel mondo del calcio, ha tutto un capitolo riservato all'istituzione di progetti sui tifosi, ovvero misure di intervento sociale proprio all'interno della legge quadro. In Italia non manca solo questo: da una parte vi è lo strumento di intervento sociale, dall'altra parte vi è la programmazione, sia negli aspetti che riguardano l'intervento sociale sia, mi permetto di dire pur entrando in ambiti che non sono i miei, nella coerenza delle leggi di carattere repressivo. Qui in Italia sembra si vada per addizione, semplicemente per risposta ad un'emergenza che a volte è reale, a volte emerge sui mass media. Dico questo perché tutto dipende anche dalla gravità effettiva dei fatti.
Claudio Lotito
- Io faccio una considerazione sulla base dell'esperienza di questi quattro anni. Innanzitutto il tifoso non svolge più il ruolo che gli compete, ma è diventato un professionista: è uno pseudo tifoso e se viola il codice penale va punito come previsto dalla legge. In passato questo non è avvenuto: ho ricordato che le Istituzioni devono fare la scelta tra il consenso e la legalità, proprio sulla base dell'esperienza del mondo del calcio, laddove coinvolgendo moltitudini di persone e dunque un vasto campo di consenso, qualche volta si è preferito giustificare comportamenti violenti, facendo passare certe manifestazioni come tollerabili e giustificabili, comunque al di fuori della violenza di massa: in realtà si trattava di comportamenti che, al di fuori dell'occasione sportiva, sarebbero stati puniti e perseguiti. Era una specie di moratoria. Si diceva "si, ma sono tifosi che contestano"; ma aggredire le Forze dell’Ordine è resistenza, come se lo fai in occasione di uno sciopero. Cioè voglio dire, che questo n
on è avvenuto in passato, perché c'era questo coinvolgimento di passioni, di persone e di consenso. Oggi bisogna riportare, secondo me, al rispetto delle regole il ruolo del tifoso e il ruolo della società sportiva. Significa che il tifoso deve sostenere la squadra, deve fare il tifo, deve esternare le proprie passioni senza violare la legge e rispettando i valori dello sport: gli è concesso di enfatizzare, ma sempre in modo corretto e composto, senza mettere a repentaglio l'incolumità delle persone, calpestando i diritti degli altri e gli interessi della società: violazioni che in, un'altra occasione, vengono perseguite normalmente, per cui vi è la necessità della certezza della pena - cosa che fino ad oggi speso non è stata realizzata - oltre all'inasprimento delle pene finalizzate a scongiurare il nascere di certi episodi; soprattutto bisogna combattere la possibilità che certe persone possono emulare determinati comportamenti, facendo affidamento sul fatto che non vengono repressi: bisogna poi agire per l
a prevenzione, è necessario che le società sportive, che hanno questa grande responsabilità perché amministrano anche le passioni e gli ideali di tanta gente ed hanno, quindi, un grande potere mediatico, una grossa capacità di coinvolgere moltitudini di persone, avvertano la responsabilità di mettere in atto una serie di azioni - che peraltro io avevo già enunciato quando ci fu il delitto Raciti - nelle scuole, tra i giovani, per educarli alla riscoperta dei valori dello sport, alla cultura della legalità, al rispetto delle regole che sono alla base della società civile. Io dico sempre che lo sport deve ritornare con i piedi per terra - visto che lo strumento di questo sport sono i piedi - cercando di coltivare i propri valori e non solamente gli interessi economici. Bisogna rompere l'assioma "più spendi più vinci": io ho in testa un calcio basato sull'esempio di Bekila, il maratoneta che vinse contro l'opulenza americana - senza dare, a questo, nessuna connotazione né di carattere politico, né di carattere i
deologico - per dimostrare che lo sport è sacrificio, rinuncia, professionalità, è umiltà. E solo attraverso queste caratteristiche si riescono a raggiungere determinati traguardi. Oggi, invece, c'è la cultura del vincere a tutti i costi, con qualsiasi mezzo e qualsiasi maniera: questa cultura va cancellata, va eliminata ed in questo, a mio avviso, una grande responsabilità è dei mezzi di informazione, che troppo spesso hanno enfatizzato alcuni atteggiamenti che invece andavano condannati, perché in completa rottura col sistema calcio e della società civile. Vede, si è verificato che, negli anni '60 e '70 il fenomeno, anche violento, era circoscritto al luogo dove avveniva il fatto: accadeva nello stadio Olimpico, per esempio, e veniva circoscritto a quell'ambiente, nessuno ne era informato al di fuori. Oggi, con il potere della televisione, se qualcuno allestisce uno striscione, viene visto in tutto il mondo: questo si verifica in una società in cui, soprattutto per i giovani, non esistono più punti di rifer
imento perché non c'è più il ruolo della famiglia che segue la crescita nei momenti critici, dove manca l'educazione perché i genitori sono impegnati nel lavoro tutto il giorno per soddisfare i bisogni materiali, dove non esiste più il ruolo della scuola, della Parrocchia dove veniva insegnato cosa è peccato e cosa non è peccato, dove manca il ruolo dei partiti politici che istradavano al rispetto di regole che, giuste o sbagliate che fossero, c'erano; oggi tutto questo non c'è più. I giovani attraversano un periodo di crisi d'identità vera: sono legati più all'aspetto economico della vita che all'aspetto etico, sono più legati a ciò che appare che all'essere, per cui, non avendo più punti di riferimento, si ispirano all'ideologia del branco ed adottano comportamenti di rottura con il sistema. Ed ecco che gli stadi sono diventati cassa di risonanza di questo disagio, proprio per questo potere mediatico che coinvolge una moltitudine di persone, che esalta questi atteggiamenti - per esempio i sassi dal cavalcav
ia, le contestazioni e gli atteggiamenti di violenza, negli stadi - divulga un disagio sociale dovuto alla mancanza di valori di questi giovani, spesso trascinati da gente che poi li strumentalizza. Si tratta di ragazzi dai dodici, quattordici anni fino ai 18 anni.


D. Le misure repressive ci sono, ma vengono aspramente contestate da tutto il mondo del tifo. Questo in contrasto con i dati diffusi dagli organi competenti che invece parlano di effetto positivo dell'adozione delle nuove normative, e di un decremento degli incontri con feriti, ad esempio. Le misure sono efficaci o no?


Giuseppe Caruso
- Mi attengo ai fatti, vogliamo parlare di Roma di questo inizio di campionato? Io ho avuto due partite casalinghe, la prima è stata quella un pò traumatica, Roma-Napoli, l'ultima Roma-Reggina. Cosa è emerso sotto il profilo tecnico? Ci siamo trovati davanti, parlo della prima partita, Roma-Napoli, circa 3000 tifosi napoletani. Abbiamo fatto in maniera tale, e ci siamo riusciti, che non venissero a contatto fisico con l'opposta tifoseria; si sono visti ma solo da lontano, con gli ultras romani, per cui non ci sono stati scontri. Non è un caso, questo, è riconducibile alla professionalità tanto invece deprecata dagli ultras. In cosa consiste questa professionalità? Sin dalla prima mattinata sappiamo benissimo dove si riuniscono gli ultras, tra l'altro c'è un posto, un bar vicino allo stadio dove abbiamo iniziato un'azione preventiva di bonifica massiccia, nel corso di quest'azione di bonifica, per esempio abbiamo tratto in arresto un tifoso romanista che si era disfatto alla nostra vista, buttandolo verso il fiume, di un martello di grosse dimensioni. Quindi, quando poi son passati da lì, scortati, accompagnati da noi, i napoletani, non è successo niente perché abbiamo fatto un pò da cordone umano e non c'è stata nessunissima aggressione reciproca. Finita la partita, abbiamo operato complessivamente altri 5 arresti, perché qualche tifoso è stato trovato con qualche fumogeno, qualcuno che era stato daspato ha cercato di entrare… complessivamente cinque arresti senza turbative dell'ordine pubblico, ovvero assalti in massa da parte di gruppi organizzati di tifosi. Finita la partita abbiamo aspettato che tutto la parte esterna della struttura sportiva e le zone limitrofe fossero completamente sgombre. Abbiamo messo tutti i tifosi, questi circa tremila tifosi napoletani nei pullman, e a gruppi di tre quattro, cinquecento a seconda della disponibilità delle vetture dei treni, li abbiamo accompagnati lasciando gli altri completamente isolati rispetto al resto della popolazione e vigilati da noi vicino allo stadio. Quindi anche qui è stata studiata a tavolino con discreta professionalità, se non grande professionalità, e non ci sono stati disordini. Cosa è successo alla stazione ferroviaria: su 2850, 2850 hanno pagato tutti il biglietto, sia cumulativo sia singolarmente, per cui sono partiti tutti muniti di biglietto, abbiamo fatto rispettare la legalità. Per carità alla stazione quando portavamo gruppi di 500/600 tifosi chiaramente il cittadino, il viaggiatore, la persona per bene ha visto queste cose, e ogni tanto certamente bisognava fare la voce grossa, e non solo la voce grossa, per contenere tentativi di sfondamento del cordone, perché abbiamo detto che da qui si passa solo con il biglietto e quindi, questa è la fotografia, poi ognuno può fare le proprie valutazioni…
Gli eventi sportivi sottraggono alla città energie immense, anche perché gli agenti sono persone, centinaia, centinaia e centinaia di persone che ovviamente poi hanno il diritto il giorno dopo o due giorni dopo di riposare. Quindi è chiaro che queste sono energie che vengono sottratte al normale svolgimento della quotidiana attività che si fa, quindi controlli del territorio, gli uffici e quant'altro. La gente non si deve lamentare perché la domenica magari vorrebbe che queste persone fossero decuplicate come numero, però poi l'indomani, se va a chiedere il passaporto, vuole che gli sia dato immediatamente, ma qui io sto facendo un discorso tecnico, rapportiamo la forza a quello che è l'evento, nella fattispecie parliamo di Roma-Napoli, dove il numero è stato di parecchie centinaia di ragazzi che hanno montato in servizio alle 9 di mattina e che io ho dato da questa radio il via libera, nel senso di smontare, alle 23.30. Sono ragazzi in un lasso di tempo particolarmente lungo, non stanno seduti alla scrivania, ma devono stare attenti che non arrivi la coltellata o il bullone o la molotov o il trictrac, quindi anche con una certa tensione, e malgrado questo hanno tenuto i nervi saldi. L'altra domenica, per la prima volta, mi risulta non sia mai stato fatto prima, abbiamo arrestato il cosiddetto Puncicatore. Sabato scorso, mi dicono i miei che non era mai successo, lo abbiamo arrestato nella quasi-flagranza di reato. Perché quasi-flagranza? Perché ovviamente noi non ce ne siamo accorti come addirittura non se n'è accorto l'interessato perché sul momento non si avverte nemmeno dolore si avverte poi un senso di bagnato si tocca e vede il sangue. Perché non si avverte dolore? Perché è fatto con dei coltelli talmente affilati e poi con un modus operandi tale che uno fa finta di sbattere per cui uno sente solo la puncicatura, come dicono qui a Roma. Lo abbiamo arrestato. Anche qui ci si sta affinando, probabilmente c'è il coinvolgimento di tante cose, oggi dal l'Unità al Corriere della Sera a Libero ne hanno dato atto: non solo questo è stato arrestato in quasi-flagranza. Perché poi abbiamo fatto vedere le foto al testimone, ce lo siamo portato in tribuna - lo sa che noi abbiamo le telecamere - e abbiamo inquadrato uno per uno gli ultras, l'ha riconosciuto, ovviamente non potevamo andare sugli spalti per arrestarlo, lo abbiamo seguito, abbiamo fatto un'opera pulita, e arrestato. Non solo è stato convalidato l'arresto ma, per esempio, il magistrato, stante la gravità del fatto, e il fatto di avere arrestato finalmente uno dei puncicatori, uno dei vari, perché penso che siano più di uno, ha disposto che dopo l'arresto resti in carcere fino al processo che è iniziato il 1° ottobre. Anche questa è una risposta delle Istituzioni nell'accezione più ampia. Cooperazione, perché io ritengo che a contrapporre le Forze dell’Ordine alla magistratura si faccia peggio degli ultras. Noi abbiamo determinate prerogative, determinati diritti e determinati doveri e dobbiamo esercitarli. Noi riteniamo, a fronte di un arresto facoltativo, di dover procedere all'arresto. È nostro compito, direi obbligo, farlo, poi se la magistratura - ma questa è una garanzia di democrazia - ritiene di non doverlo convalidare, lo può fare; se ritiene di doverlo convalidare, lo convalida, se ritiene, oltre a convalidarlo, di tenerlo in reclusione per la gravità del fatto o per i precedenti che ha l'interessato fino all'avvio del dibattimento, e lo fa… io non lo porrei come contrapposizione, ognuno ha un suo ruolo e lo deve svolgere. C'è una certa armonia.
Lorenzo Contucci
- Io percepisco però una sproporzione, ovvero la misura cosiddetta del DASPO. Come misura è tecnicamente corretta, ed è sbagliato dire "il DASPO non serve": il DASPO è una misura utile ed efficace. Il problema è come si usa, perché se il DASPO viene applicato per comportamenti assolutamente irrilevanti o di scarsissimo pericolo, e viene applicato il massimo della misura, allora si trasforma un ragazzo normale, che magari ha avuto un momento di follia, ha scavalcato un cancello per andar a vedere una partita perché non ha i soldi, ma non è un criminale, lo si trasforma in un soggetto che la prossima volta che ha modo di andare allo stadio si unirà al coro degli altri mille contro la Polizia. Io di questi discorsi da parte loro ne ho sentiti a migliaia. Il DASPO vuol dire che per uno, due, cinque anni devi firmare quando gioca la Roma o la Lazio anche se gioca in Norvegia o in Svezia. Un intervento legislativo, che mi rendo conto andrebbe contro l'opinione pubblica, ma che mi sento di porre alla vostra attenzione, è di adottare una visione diversa del provvedimento secondo parametri diversi. Penso che il Questore debba proporre una misura, anche la più alta possibile, a un agistrato che quindi decida in Camera di Consiglio. Certo queste misure sono il risultato di tensioni crescenti, che in qualche caso sono derivate da interventi delle Forze dell’Ordine che forse potevano essere meglio organizzati, perché hanno portato, in una situazione di minimo rischio, tutte le persone che erano lì intorno a coalizzarsi, anche persone di una certa età, che hanno percepito l'intervento come esagerato. Da lì è iniziata l'escalation che ha portato a quel che ha portato. Questo posso assicurare che in Inghilterra non accade. Adesso vedo con estremo favore l'introduzione degli steward perché da quando ci sono loro gli incidenti all'interno degli stadi sono diminuiti radicalmente. In Inghilterra, quando si arriva allo stadio si trova un signore che dice "Buon giorno! Spero si goda la partita!", e gli ultras sono gli stessi che frequentano le curve italiane.
Claudio Lotito
- A me non risulta che il DASPO sia mal visto; dipende forse da come viene applicato. Se tu commetti una violazione all'interno dello stadio è giusto che ti si impedisca di tornarvi: se lei invita una persona a casa sua e questa sfascia tutto, che fa la invita nuovamente? è chiaro che se il DASPO viene distribuito indiscriminatamente diventa illegittimo, ma non mi sembra che nessuno abbia usato il DASPO come una clava. Viene comminato alle persone che hanno violato alcune regole e che hanno messo a rischio l'incolumità degli altri.
Carlo Balestri
- Secondo me, nonostante i progressi, il DASPO, resta un provvedimento negativo perché è un provvedimento di carattere amministrativo che, giustamente, dice: teniamo lontano un soggetto pericoloso da una determinata zona visto che ha già commesso dei fatti violenti, quindi il DASPO è una pena preventiva accessoria, che dovrebbe però essere comprovata dai fatti. In altri paesi funziona così, in Germania sono le stesse società che segnalano alle Forze dell’Ordine e c'è anche una possibilità di ricorso maggiore che in Italia, dove ci trasciniamo dietro anche altri problemi, tipo processi o non processi e cosi via. Io direi di non parlare di vero e proprio processo, ma di un dibattimento, un qualcosa che sia più della formalità della difesa che entro tre giorni deve presentare ricorso...
Lucio Caracciolo
- Non sono un giudice costituzionale, ma a naso il DASPO non è difendibile in base alla nostra Carta. Purtroppo non è il solo caso di manipolazione dei diritti fondamentali, incentivata da chi specula sull'insicurezza per ragioni politiche. Se si vuole intervenire sui veri violenti, cioè sui teppisti e non sui tifosi, basta prenderli e processarli a norma di legge. Non dubito che società e questure ne conoscano nome cognome e indirizzo. Non lo si fa perché si ha paura di reazioni violente. E questo dà un'idea dei rapporti di forza fra Stato e crimine.


D. Dunque le contestazioni alle misure sembrano condivise sulla base di argomentazioni articolate. Ma restano i dati positivi che testimoniano comunque un progressivo miglioramento della situazione dal 2003 ad oggi. Questo porterebbe a pensare che abbiamo raggiunto una consapevolezza normativa forte nei confronti del fenomeno, ma sono emerse una serie di riflessioni concrete che portano a pensare che si deve ancora intervenire per renderle ancora più efficaci e rispondere ad esigenze manifestate dalla società che non possono essere trascurate...


Giuseppe Caruso
- Queste norme tanto criticate hanno fatto del bene e ci hanno fatto fare dei passi avanti. Statisticamente, hanno detto il Ministro e il Capo della Polizia, c'è una deflessione notevole in ordine ad incidenti, in ordine a feriti e contusi e cariche e quant'altro. Siamo andati via dall'interno delle strutture sportive, e ora ci dislochiamo fuori. Adesso ci sono solamente gli steward all'interno. Io vengo da una realtà dove la tifoseria, quella palermitana, è stata definita se non la più corretta almeno tra le più corrette in casa, quindi non sarei così pessimista come qualcuno vuole fare intendere. Obiettivamente dei miglioramenti ci sono stati. È chiaro che si può e si deve migliorare, ci si sta affinando anche in questo. Ho appena ricevuto il responsabile della sicurezza per le ferrovie: abbiamo cercato di affinare le tecniche di coinvolgimento dei tifosi per bene che vogliono pagare il biglietto, per fare in maniera tale che non si faccia perdere loro del tempo, se ci danno notizie sui loro spostamenti intempo utile in modo tale da programmare dei treni non straordinari, perché questi sono stati banditi dal decreto - e io concordo appieno - ma le cosiddette corse bis, cioè agganciare subito dei vagoni laddove viene rappresentato in tempo all'ente ferrovie che ci sono dei tifosi in più rispetto a quanto si potesse prevedere. Ovvero, fare in maniera tale che il fenomeno sportivo venga vissuto se non proprio con gioia, con una certa serenità.


D. A proposito dell'abolizione dei treni speciali, c'è chi sostiene che sia stato un grande errore…


Giuseppe Caruso
- Non credo che sia stato un grande errore perché a parte il fatto che i treni venivano letteralmente devastati, noi abbiamo avuto la prova provata che quando hanno saputo che non ci sono più i treni speciali, che è molto più opportuno e più logico noleggiare dei pullman, l'orientamento quasi di tutta la tifoseria organizzata seria per bene è orientata verso questo, e si fa. Tra l'altro con i pullman non abbiamo i problemi del trasferimento, perché si deve sapere che con il treno straordinario subentra il problema poi dell'accompagnamento dalla stazione alla struttura sportiva e viceversa, quindi si pone anche il problema dei pullman da noleggiare, e bisogna anche sapere che paga Pantalone, perché loro non pagano nulla, perché ritengono che questo sia un loro diritto. Con i treni c'è anche il problema di dover rispettare degli orari, a differenza dei pullman con cui invece risolviamo il problema immediatamente. Abbiamo sempre i numeri dei cellulari degli autisti, sappiamo gli itinerari che percorrono, le zone dove si fermano per la sosta. Nel momento in cui la struttura sportiva è deserta perché i tifosi locali sono andati via, accompagniamo quelli in trasferta e li facciamo subito partire, senza problemi e soprattutto risolviamo il problema di attraversare il centro della città per farli arrivare alla stazione... tutte cose che servono per evitare problemi.


D. Quale deve essere il ruolo dei dirigenti di Pubblica Sicurezza nel processo evolutivo dell'approccio al fenomeno ultras che si va delineando?


Giuseppe Caruso
- L'opera dei dirigenti, invece, è quella che deve fare leva proprio sullo stimolo agli agenti, perché le vere vittime sono i miei ragazzi, quelli del Reparto mobile, i territoriali, che vanno allo stadio, e sono ragazzi che escono da casa, salutano le loro famiglie, equipaggiati, per carità di Dio come è meglio possibile fare, però sempre con l'incognita del pazzo che vigliaccamente lancia di nascosto qualcosa che gli può creare dei problemi. Ed è una normale giornata di lavoro per questo ragazzo. Non è in missione in Libano, per cui deve avere una tensione nervosa, invece deve essere preparato anche a questo, e non è normale... Noi facciamo un addestramento generale e poi quando ogni singolo funzionario ha la sua aliquota, prima di impiegarla, inquadrarla, posizionarla là dove è il suo settore, è chiaro che parla con questi ragazzi, spiega innanzitutto in cosa consiste il servizio che devono svolgere, come devono stare attenti, che cosa devono fare e in alcuni casi qual è l'atteggiamento che devono avere... certo sempre un atteggiamento di tolleranza, e questo incide sulla tensione nervosa. Non si procede a cariche di Polizia da tanto tempo se non proprio quando si è costretti perché magari ci stanno tirando di tutto o perché vogliono sfondare. Ad innescare questa cosa sono gli ultras, nel momento in cui li troviamo con coltello a serramanico, petardi, bastoni, biglie, martelli, asce… mi pare che loro vadano in battaglia.


D. Tornando alle misure di sicurezza, proprio queste percezioni diverse fanno emergere una difficile armonizzazione di vedute tra gli attori coinvolti in merito alle strategie di contrasto...


Massimo Cecchini
- Teoria giurisprudenziale e pratica sul territorio in effetti vanno scarsamente d'accordo. Certo, se si pensa che in Gran Bretagna le Forze dell’Ordine hanno il potere di bloccare l'espatrio a tutti coloro che sono potenziali hooligans, si capisce come la nostra struttura garantista sia tutto sommato più efficace. Norme adeguate? Non credo, a me pare sia solo un palliativo. Certo, se le curve costassero 70, 80 o 90 euro come in Inghilterra forse una certa minoranza sarebbe automaticamente espulsa dalla curva per motivi di reddito, ma anche questa teoria è moralmente discutibile. Una cosa è certa: lo stadio è sempre più zona franca in cui l'illegalità riesce ad esplicitarsi più che altrove.
Franco Ferrarotti
- Io ho passato in Inghilterra alcuni anni nell'immediato dopoguerra fino al '48, devo confessare che ciò che mi ha sempre stupito, sia nella famosa corsa di moto chiamata Speedway, ogni mercoledì, sia nelle partite di calcio, è il fatto che non ci fosse recintato tra spazio del gioco effettivo o della corsa motociclistica e pubblico e che il pubblico restasse un pubblico. Ci fu poi il fenomeno degli hooligans che furono immediatamente tagliati via con un'operazione di amputazione sociale di cui noi non siamo capaci perché viviamo in una situazione di sotto-conoscenza dei problemi. Non c'è conoscenza adeguata anche tra le nostre Forze di Polizia che pure, con il terrorismo e dopo, sono diventate stupende agli occhi della gente che le apprezza. Però le Forze dell’Ordine vivono tecnicamente, numericamente e dal punto di vista cognitivo in una situazione in cui l'individuazione dei responsabili è scarsa, e quindi si tende a generalizzare, e questo è gravissimo perché non c'è soluzione possibile di un problema cui non siano stati individuati i termini.


D. La strategia di contrasto in atto oggi è sostenibile? Risponde adeguatamente al fenomeno della violenza legata agli eventi sportivi?


Claudio Lotito
- Certo che è sostenibile, secondo la mia visione sicuramente si: devono essere repressi certi comportamenti, che vanno comunque prevenuti attraverso un processo dì educazione; la repressione deve avvenire con la certezza della sanzione; se si viola il codice penale, il fatto va perseguito penalmente, altrimenti ricominciamo con le moratorie "perché è tifoso lo lasciamo stare". Ma se quello ti da una coltellata, scusi, quello deve essere punito.
Lorenzo Contucci
- Facciamo una premessa. Io difendo molti ragazzi che sono realmente violenti e, quando vengono colpiti da un provvedimento non se ne fanno cruccio perché sanno che quella è la sanzione per il loro comportamento antisociale. Ma una percentuale maggiore tra le persone che difendo, tiene comportamenti di bassissima pericolosità, ma viene colpita da provvedimenti di egual tenore dei coetanei che delinquono sul serio. Il DASPO è una misura seriamente afflittiva e consente di dare obblighi di firma a iosa - e quindi io sostengo che il nodo sia questo: mutare le procedure relative al DASPO rendendole più articolate. C'è poi il discorso sugli striscioni, che ha visto la resistenza di tutte le tifoserie d'Italia e di Europa. Prima gli striscioni venivano controllati dai funzionari di PS che in caso di dubbio chiamavano la Questura e la Questura dava o meno l'Ok. Gli striscioni violenti di certo entravano comunque in altri modi, lanciati, nascosti... Il fax preventivo, invece, demolisce quell'aspetto sociale che essi rappresentano. Se devo comunicare la coreografia, gli striscioni, vuol dire che non è possibile più fare nulla, si elimina l'effetto sorpresa. Gli striscioni sono fondamentalmente innocui, consentono di fare il tifo e dare un'identità. Se quindi si consente di portare le bandiere senza troppi problemi, portare gli striscioni e portare i coriandoli da un punto di vista pratico è un qualcosa che distoglie dalla violenza. Il dubbio che rimane nell'individuo che si trova a metà, nella zona cuscinetto tra tifo sano e violenza, in determinate partite, può essere sciolto in questo modo. Egli può avere la tentazione, ma è assolutamente distratto dagli strumenti di tifo e quindi preferisce starci dentro, piuttosto che farsi distogliere dalla "cattiva amicizia".


D. Torniamo allora al potere persuasivo del gruppo, al fascino che la contrapposizione violenta esercita su alcuni proprio perché costituisce elemento costitutivo dell'aggregazione. È anche una questione legata alla rappresentazione e auto-rappresentazione del tifoso. Parlando della rappresentazione, un ruolo importante è ricoperto dai media, che contribuiscono non poco a delineare l'ultras nell'immaginario collettivo...


Carlo Balestri
- Va ricordato infatti che molti aspetti del tifo sano sfuggono completamente all'opinione pubblica, perché si fa anche buon gioco a creare il demone con la sciarpa e la maglietta che va allo stadio solo per creare confusione. Non metto in dubbio che non bisogna sottovalutare il problema, che il problema della violenza negli stadi esiste e anche un certo tipo di aggressività, ma di per sé, da come sono nati i gruppi ultras negli anni '70 e come si sono sviluppati nel corso del tempo, hanno sempre avuto come scopo primario la partita nel senso del sostegno alla propria squadra, a differenza degli hooligans inglesi, che invece avevano un interesse per la partita relativo e poco specifico, un'attitudine a scontrarsi con il proprio nemico quando capitava l'occasione.
Franco Ferrarotti
- Anche in questo ambito c'è una politica dei media che cercano il momento truculento. In un gruppo più o meno organizzato chi riesce ad avere le luci della ribalta sono coloro che appaiono più sfegatati, e che addirittura appaiono pronti, sembrano pronti al sacrificio finale.


D. Da questa discussione emerge un quadro chiarissimo in merito a identità dell'ultras, ruoli interni, rapporti di forza e di potere, le società, le Forze dell’Ordine, le misure di sicurezza. Interroghiamoci ora su possibili passi avanti in questo percorso tortuoso che pure dovrebbe portarci a sanare la frattura che si è creata tra ultras e società/Stato, identificati dagli ultras per lo più nelle Forze dell'Ordine.

Franco Ferrarotti
- Quella che è la reazione forse logica, ma non so fino a che punto, o comunque naturale, ovvero quella di reprimere e proibire per due anni, per due partite, mettendo fuorilegge la tale curva o altro, la posso persino comprendere, come reazione, ma non giustificare. Non vorrei che all'emotività peraltro organizzata, degli ultras, corrispondesse l'emotività del CONI o della Lega Calcio. Mi pare che i dirigenti non dovrebbero essere codisti in quanto si accodano, ma dovrebbero anticipare ed offrire non solo la repressione e la negazione ma anche degli sbocchi positivi. Immaginare forme organizzative diverse, radicalmente, qualitativamente differenti da quelle dominanti, addirittura se ciò non avverrà, se si insisterà nella pura visione negativa, avranno ragione gli ultras a dire "ci troverete nelle strade".
Lorenzo Contucci
- Il movimento ultrà non è fatto solo di violenti, ma c'è un sacco di gente perbene che vuole sostenere la squadra. C'è anche una minoranza di violenti di natura, che cercano in ogni modo lo scontro. Poi c'è una "fascia cuscinetto" di soggetti che non sono di indole necessariamente violenta, ma possono diventarlo se si scatenano determinati fattori. Lo Stato con le misure dà l'impressione di voler eliminare i gruppi ultras, compresi quelli buoni, e questo è un rimedio suicida perché di fatto si toglie la forte capacità aggregativa di questi ragazzi che fanno di questa cosa una ragione di vita. Nel momento in cui si tolgono anche gli strumenti che riescono a controllare la fascia cuscinetto, tra l'ultras buono e quello cattivo, si creano dei problemi. Ci sono infatti delle persone che sono come un ago della bilancia, che se hanno qualcosa da fare di buono lo fanno, altrimenti vanno ad ingrossare le fila dei cattivi. I movimenti che si stanno formando in Italia, sull'onda di quanto avvenuto oltremanica alcuni anni fa, sono dei gruppi più pericolosi dei vecchi ultras. La violenza dei gruppi ultras era nella maggioranza dei casi quasi rituale e non era pre-organizzata, non si facevano piani di battaglia contro la tifoseria avversaria; poteva capitare la scaramuccia o lo scontro ma era meno pericolosa. Ci sono invece determinati soggetti che ingrossano le loro fila per il fatto che gli ultras non hanno più diversivi, passano tutto il tempo a studiare le piantine stradali ed a pensare come fare atti vandalici o violenti - perché è questa la loro attuale occupazione. In questo il sentimento giovanile, che comunque è ribelle in una determinata categoria di persone - perché l'ultrà è comunque ribelle - fa sì che la sfida avvenga contro le Istituzioni ed è anche più forte. Al ragazzino piace essere inseguito dal poliziotto e seminarlo, perché poi se ne vanta a scuola, è una stelletta da appuntare al petto. Ma questo è un problema culturale che va affrontato in un certo arco di anni. L'emergenza, come gestione, porta soltanto alla critica, a "ricette". Per me è da folli non fare entrare più gli striscioni che ci sono sempre stati o diffidare per cinque anni quelli che hanno lanciato la carta igienica, o come quelli del Pisa che sono stati indicati come la tifoseria più violenta perché si sono ribellati e hanno messo uno striscione con scritto "Giustizia per Gabriele", oppure quegli altri che hanno esposto uno striscione con l'articolo 21 della costituzione sulla libertà di pensiero e sono stati diffidati. E questo come viene percepito? Io dico, con la passione e con il buon senso di una persona civile, che non si può diffidare per un articolo della costituzione su uno striscione, però la Questura lo fa.
Lucio Caracciolo
- La frattura fra ultras teppisti e Stato è insanabile. Quella fra ultras tifosi e Stato può essere gestita. Dai primi ci si aspetta che ricorrano alla violenza come extrema ratio - e infatti non vi ricorrono quasi mai. Dai secondi ci si aspetta rispetto dei tifosi ultras finché non commettono reati. E soprattutto la rinuncia alla provocazione.
Carlo Balestri
- In Italia non si fa niente di assolutamente innovativo. Si prendono spezzoni di idee senza aver una propria linea guida, e si mettono insieme in stile puzzle, uno dentro l'altro per vedere cosa succede. Si parla ora della tessera del tifoso, che altro non è che un'operazione tentata in Olanda alla fine degli anni '90 e abortita dopo un anno, in parte anche perché considerata lesiva della privacy. Lo stesso tipo di operazione era stato tentato anche da qualche società inglese e dal Barcellona. Non è che un biglietto nominativo, legato ad una sedia particolare in curva, faccia qualcosa dal punto di vista della sicurezza e permetta di risalire con certezza a chi commette atti criminosi. Non è il codice fiscale a permetterti di risalire ad un'azione violenta. La violenza è sempre dinamica, non è mai statica, per cui come fai a dire che chi occupava il posto 11 nella tal fila è la persona che ha lanciato l'oggetto, peraltro in Italia non c'è nessuno che occupi il proprio posto in curva. Per cui, tutti questi sono meccanismi che finiscono soltanto per soffocare la voglia di andare allo stadio, ma non solo per gli ultras, ma per l'italiano medio. Non si torna indietro, si va avanti in un altro modo. Hai presente l'osservatorio che ha detto: "diamo credito ai tifosi"? Allora diamogli credito! Però vi sono episodi come quello del treno Napoli-Roma che fanno pensare. Dentro l'osservatorio hanno messo anche un responsabile delle Ferrovie dello Stato. Possibile che i responsabili non si siano mai parlati rispetto ad un treno speciale, visto che c'erano tremila tifosi in movimento? Dunque programmare e pianificare, però dando credito ai tifosi, ma non in maniera paternalistica, non è questo l'atteggiamento giusto. I tifosi stessi dovrebbero cominciare a dire, no alla violenza. No, apriamo lo stadio,modifichiamolo, altro che bunker, deve diventare un luogo gradevole e vivibile, non tanto luogo dove ci sono solo dei McDonalds, cerchiamo di togliere le barriere, i divisori, i fossati. Rendiamolo un po' più accogliente e cerchiamo di far sentire un po' di più il tifoso a suo agio. E il biglietto? Per comprarlo devo quasi portarmi dietro l'estratto conto... è una cosa allucinante. Tutte queste limitazioni, tutte queste norme, sembrano partire dal presupposto che il tifoso sia colpevole.
Massimo Cecchini
- Ritengo che la frattura sia insanabile perché connaturata ai due diversi sistemi di riferimento. L'ultrà, con l'accezione attuale, non può avere un codice di comportamento riconosciuto dalla Stato e viceversa. I due mondi si elidono e, al massimo, si possono reciprocamente tollerare per evitare degenerazioni più pericolose. Certo, l'ultrà non ha il potere di abbattere lo Stato, mentre lo Stato, volendo, avrebbe i mezzi per sgominare il fenomeno ultras nelle sue forme delinquenziali. Se questo non avviene è per una malintesa forma d'incanalamento delle pulsioni ribellistiche nel calcio e non altrove (la politica?). Una sorta di do ut des in cui lo stadio diviene zona quasi franca a patto che ci sia una sorta di autogestione interna che impedisca tragedie. Quando il sistema salta (sempre più spesso), allora s'interviene con durezza, ma solo per ripristinare lo "status quo". In generale, perciò, il vero sconfitto è lo sport in senso stretto e tutti coloro che vorrebbero fruirlo senza limitazioni. Non a caso i nostri stadi (anche i pochi a 5 stelle, cioè quelli che hanno tutti gli standard di sicurezza richiesti dalla Uefa) si svuotano e gli abbonamenti alle pay-tv (venduti a prezzi erroneamente stracciati) crescono sempre di più. Se ci si pensa bene, forse a qualcuno conviene.
Claudio Lotito
- Io osservo i fatti. Severità, prevenzione, strutture che mancano: in un progetto serve anche la struttura. Fin quando rimarranno questi stadi obsoleti, che vengono considerati un corpo estraneo, una zona franca, consegnati alle squadre la mattina della partita e riconsegnati nel pomeriggio, e durante il resto della settimana vengono utilizzati da altre strutture, può accadere di tutto; è difficile pensare di educare i giovani al rispetto di una struttura che non considerano casa propria ma un corpo estraneo. Ecco perché vi è necessità di mettere le società sportive, che oggi hanno la responsabilità della sicurezza dell'impianto, nelle condizioni di potere operare in casa propria e dei propri tifosi; si tratta di poter costruire uno stadio polifunzionale che venga vissuto 24 ore su 24, per 365 giorni all'anno, da parte dei tifosi come casa propria, e in quanto tale venga da tutti rispettato. Si metta la tifoseria sana in condizione di rispettare i propri beni: certamente esiste una sparuta minoranza di pseudo tifosi che praticano violenza e danneggiano la credibilità del sistema, ma in questi anni costoro hanno costretto la maggioranza per bene a soccombere perché si sono appropriati dello stadio elevandosi a mito dominante. Le persone per bene, sbagliando, hanno messo la testa sotto le sabbia come gli struzzi, e invece di riappropriarsi del proprio ruolo emarginando la parte violenta, sono giunti al punto di non andare più allo stadio. Ecco perché c'è un depauperamento delle presenze all'interno dello stadio: nel momento in cui vai in una struttura scomoda, fredda, lasci la macchina a 5 chilometri, non vedi la partita bene, non hai servizi, corri rischi di manifestazioni violente, te ne stai a casa e guardi la partita in televisione. Questo ha portato alla necessità di costruire strutture ex novo, polifunzionali, con attività commerciali, che diventino punti di riferimento e di formazione oltre che di aggregazione dei tifosi, i quali verranno educati alla storia del proprio club, ai suoi valori, al rispetto della struttura diventando parte integrante di un progetto di cambiamento. Costoro si devono sentire parte attiva nei confronti del proprio club perché oltre ad averne costituito elemento di sostentamento, perché contribuiscono con la loro presenza a tutte le attività del club, rappresentano un valore aggiunto, "il dodicesimo uomo sul campo", la motivazione forte per la squadra, per migliorarsi, uno stimolo continuo che ogni club deve avere. La società sportiva lavora per raggiungere determinati obiettivi, per soddisfare le esigenze dei propri tifosi, che, se sono parte del progetto, stimolano ancora di più il club a fare bene, mantenendo un atteggiamento rispettoso delle regole civili e sportive.
Franco Ferrarotti
- No, il problema in qualche modo è più semplice ma anche più difficile. Occorre in primo luogo l'analisi. La grande sconfitta del '68 è stata determinata da una protesta che non riesce a diventare progetto e non diventa progetto perché manca di analisi. è ricca di parole d'ordine, immaginazione colorita e interessante come sono interessanti i blog degli ultras. Ma sempre più è l'emotività che prevale, mentre a mio giudizio il primo punto fondamentale è una fredda analisi.


D. Eppure vi sono anche eminenti studiosi che si sono misurati con questi temi...

Franco Ferrarotti
- No, no! Non è stata fatta l'analisi, non basta predicar l'analisi per dire che è fatta, niente affatto! Oggi, proprio oggi, abbiamo gli strumenti - Ministeri di Grazia e Giustizia, degli Interni, Ministeri di prim'ordine - questi devono riuscire a scindere, a vedere analiticamente la fanghiglia che può essere teppistico-criminale, più o meno organizzata, dalla grande maggioranza dei gruppi emotivamente coinvolti dall'attività sportiva che non sono criminali. Ciò che io temo è che la mancanza di analisi faccia fare di ogni erba un fascio, perché ciò vorrebbe dire emarginare coloro che in fondo non sono per niente criminali e che semplicemente vedono, cercano, scorgono nell'appassionato legame con la loro squadra un surrogato, un succedaneo, una strada di partecipazione. Occorre favorire le partecipazioni, non reprimerle in generale. Questo è possibile solo con un'analisi. Fatta quest'analisi, il secondo passo positivo è la durezza estrema, come si meritano i teppisti criminali, che invece in questa situazione di confusione hanno ovviamente il primo posto, le luci della ribalta e conducono la musica anche per tutti gli altri. Invece no, bisogna punirli, renderli inoffensivi e richiamare alle loro responsabilità le grandi squadre sportive e cominciare a fare ciò che io ho proposto senza fortuna vent'anni fa, ai cinque giornali sportivi in Italia, unica cosa al mondo: invece di questi titoli infiammati, che buttano benzina sul fuoco, avere una pagina di educazione civica, di storia... per far penetrare nella struttura mentale sportiva del tifoso appassionato una nuova visione. Raccontargli la storia del calcio, la storia d'Italia anche la storia di Bari, di Tortona, come è nata la squadra, ricordare i campioni del passato, cosa che fa la televisione, ma in maniera anacronistica.


D. Quindi creare gli elementi di una vera cultura del calcio....

Franco Ferrarotti
- Il calcio è un grande fenomeno di massa che esprime una cultura antropologica non ancora conosciuta, misconosciuta, ignorata e per questo spinta all'estremismo radicale.


D. Paradossalmente si sta invece trasmettendo non tanto la cultura trasversale dello sport quanto la cultura trasversale degli ultras violenti...

Franco Ferrarotti
- Non solo l'ultrà, la cultura estremistica potenzialmente criminale comunque teppistica è quella che si sente di più, e quella più fotogenica, che fa più notizia ecc. Ma proprio in questo modo, e questo è un aspetto che non c'è in altri paesi, si spinge sempre più l'italiano sportivo tifoso ad essere uno sportivo di poltrona, davanti alla televisione, perché ha paura! Bisogna creare invece una situazione in cui lo sportivo possa seguire in tranquillità la sua squadra, prendere il treno senza buttar fuori quelli che son già lì seduti. Io ho l'impressione che la pura repressione finisca per esaltare gli elementi deteriori di questa situazione.
Claudio Lotito
- Il calcio deve insegnare ai giovani, deve essere didascalico e moralizzatore, ecco perché oggi in una società globalizzata dove non ci sono innumerevoli punti di riferimento, uno dei pochi validi è lo sport ed in particolare modo il calcio. Noi dobbiamo costruire un modello di comportamento; il campione deve essere campione non solo sul campo, ma anche nella vita. Dobbiamo ricreare la cultura del rispetto dell'avversario, che non deve essere visto come nemico ma come colui con il quale dobbiamo confrontarci in modo leale e nel rispetto delle regole, e che vinca il migliore. Dobbiamo esaltare i principi di De Coubertain. Il "terzo tempo" non è altro che la codificazione e soprattutto la formalizzazione delle regole dello sport, che in altri tempi sono stati sempre rappresentati dai comportamenti in linea con quei valori. Parliamoci chiaro è un problema di codici morali e di valori morali: di etica.


D. La percezione però è che di tutto si tratti fuorché di valori. Il fenomeno della violenza viene presentato come estremamente pervasivo e gli aspetti positivi vengono messi in ombra.

Franco Ferrarotti
- La cosa che più mi colpisce è la generalizzazione in merito alla proporzione del fenomeno. A un certo punto ci si chiede: "Non è possibile che siano tutti facinorosi… saranno 10, 15 anche 30, ma non 1.500!". Questo mi fa paura, la grossolana generalizzazione. Lo stesso meccanismo psicologico per cui la ragazza nigeriana per strada fa diventare tutte le nigeriane prostitute. Ormai si sta consolidando un pregiudizio sugli ultras. Al contrario, vanno analizzati e bisogna distinguere nettamente e in maniera molto precisa la minoranza teppistico-criminale e gli sportivi del tutto normali.


D. In conclusione, ci rivolgiamo al Presidente Lotito che da tempo ha proposto non soltanto una moralizzazione del mondo del calcio, ma anche una visione completamente diversa degli impianti sportivi, in cui si esprime il tifo, territori che costituiscono peraltro elementi fondanti nella costruzione dell'identità del tifoso. Lotito immagina uno stadio che ritorni ad essere uno spazio del tifoso, per il tifoso.

Claudio Lotito
- Nello stadio che bisogna costruire la Polizia non ci sarà; se si realizza una struttura a dimensione del tifoso, questi non vede più la Polizia come chi lo obbliga a comportarsi bene, perché lui già da solo, se è una persona bene, si comporta bene, perché è a casa sua. Una persona a casa propria non distrugge tutto, mentre questo è ciò che accade oggi allo stadio. Lo stadio di oggi non ha elementi di preselezione precedenti alla partita; allo stadio del futuro verranno realizzati tre anelli di sicurezza che si chiameranno "stazioni di pre-filtraggio"; nella cittadella dello sport ci sarà il cancello d'ingresso che costituirà una prima selezione; poi vi sarà altro filtraggio per le varie attività; quando si arriverà al tornello dello stadio il tifoso non avrà più con sé oggetti contundenti. Perché in altri Paesi non c'è la stessa violenza? In questi Paesi questa mentalità è stata costruita attraverso l'educazione, le strutture, la condanna diffusa di certi fenomeni. La violenza che si vede per strada è un aspetto della violenza che si vede dentro lo stadio.



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